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CAPITOLO 1
QUADRO NORMATIVO-ISTITUZIONALE DEL FONDO
SOCIALE EUROPEO
Il Fondo sociale europeo (Fse) - oggetto di questo studio con particolare riferimento agli
aspetti istituzionali e procedurali - è il principale strumento dell’Unione europea per
promuovere le possibilità di occupazione e mobilità geografica e professionale dei
lavoratori, nonché facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali.
Al fine di meglio comprendere l’evoluzione normativa nel tempo e il funzionamento
attuale del Fondo sociale europeo, è opportuno fornire preliminarmente un breve
excursus sul sistema delle fonti del diritto comunitario nonché dei meccanismi di
recepimento della relativa normativa nell’ordinamento interno. Tale base consentirà di
comprendere il complesso quadro normativo-istituzionale in cui si inscrive oggi il Fse,
volto a finanziare la politica sociale comunitaria.
1.1 Il sistema delle fonti del diritto comunitario
Nel diritto comunitario si possono distinguere, in linea generale, fonti scritte e fonti non
scritte. Rientrano nelle fonti scritte in primo luogo il diritto primario, così definito perché
contenuto nei Trattati istitutivi delle Comunità europee, nei Trattati che li modificano,
nell’Atto Unico Europeo (Aue), nei relativi allegati e protocolli. A un secondo livello
opera il diritto derivato, così definito perché emanato dalle istituzioni comunitarie,
costituito dalle norme contenute negli atti normativi previsti dai Trattati, segnatamente:
decisioni generali e raccomandazioni Ceca (Comunità economica del carbone e
dell’acciaio), regolamenti, direttive e decisioni Cee (vedi oltre). Oltre alle sentenze della
Corte di Giustizia, appartengono al diritto derivato anche le raccomandazioni Cee, i pareri
Ceca e Cee, sebbene questi siano atti non vincolanti. A un terzo livello di fonti operano
gli accordi stipulati tra gli Stati membri in seno alle Comunità e quelli conclusi con Stati
terzi e organismi internazionali. Infine, possono essere considerate fonti scritte le
decisioni dei Vertici le quali occupano un posto a sé stante perché sottratte alla
8
giurisdizione della Corte di Giustizia e perché lo stesso Aue non contiene disposizioni in
merito alla procedura da seguire per la loro adozione
1
.
Fonti non scritte sono, invece, tutti quei princìpi di diritto internazionale o comuni ai
diritti degli Stati membri alla cui identificazione ha contribuito in maniera significativa la
Corte di Giustizia.
Ribadendo che il diritto derivato è costituito da tutte quelle norme contenute negli atti
adottati dalle istituzioni comunitarie per conseguire gli obiettivi posti dai Trattati, i tre
Trattati prevedono due categorie di atti: obbligatori e non vincolanti. In base all’art. 14
Ceca sono atti obbligatori: le decisioni e le raccomandazioni; sono atti vincolanti: i pareri.
In base all’art. 249 del Trattato per l’Unione europea (Tue) sono atti obbligatori i
regolamenti, le direttive e le decisioni; sono atti non vincolanti le raccomandazioni e i
pareri.
1.1.1 Regolamenti
Ai termini dell’art. 249 del Tue il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti
suoi elementi ed è direttamente applicabile negli Stati membri. Uno Stato membro non
può dunque applicare in modo incompleto o selettivo un regolamento, in modo da
bloccare quelle parti ritenute in contrasto con eventuali interessi nazionali. Essendo
direttamente applicabile, produce effetti immediati, in ragione della sua stessa funzione
nell’ambito delle fonti dell’ordinamento comunitario. Per questa sua ultima caratteristica
viene generalmente utilizzato dalle istituzioni comunitarie quando si voglia procedere a
un’uniformazione delle legislazioni interne degli Stati membri. Come si dimostrerà in
seguito (cfr. par. 1.3), il regolamento è l’atto che maggiormente ha determinato
l’evoluzione normativa del Fse.
1.1.2 Direttive
L’art. 249 del Tue, inoltre, definisce la direttiva “come l’atto che vincola lo Stato membro
cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. Dopo che la direttiva
viene adottata dalla Commissione o dal Consiglio ovvero dal Consiglio e dal Parlamento
1
Lauria F., Manuale di diritto delle Comunità Europee, 2 edizione, UTET, Torino, 1990. p. 131.
9
europeo e dopo la notifica agli Stati membri cui è destinata, questi sono tenuti a emanare
entro un termine fissato dalla direttiva stessa i provvedimenti legislativi o regolamentari o
amministrativi necessari per la sua trasposizione nei rispettivi ordinamenti nazionali. Le
direttive sono pubblicate nella serie L della Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea
(Guce). A differenza dei regolamenti, le direttive entrano in vigore dopo esser state
notificate agli Stati membri, che ne sono i destinatari esclusivi. Come evidenziato dalla
rassegna normativa presentata al par. 1.3, l’incidenza di questa tipologia di atto sulla
formazione della disciplina specifica del Fse risulta trascurabile.
1.1.3 Decisioni
La terza categoria di atti obbligatori è costituita dalle decisioni menzionate all’art. 249
Cee. In base a tale articolo la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i
destinatari da essa designati. Secondo un’ampia giurisprudenza il criterio distintivo tra
regolamento e decisione è dato dalla portata generale o meno dell’atto. Le istituzioni
comunitarie si avvalgono di tale strumento per realizzare gli scopi i più disparati, ad
esempio, per la concessione di clausole di salvaguardia (art. 81), in materia di aiuti (artt.
87 ss.). Dopo il regolamento, questa tipologia di atto comunitario risulta essere quella più
frequentemente adottata per disciplinare la sfera di intervento del Fse (cfr. par. 1.3).
1.1.4 Raccomandazioni e pareri
Il panorama delle fonti scritte del diritto comunitario si completa considerando gli atti non
vincolanti e gli atti c.d. “atipici”. Nella prima categoria rientrano le raccomandazioni e i
pareri che non fanno sorgere obbligazioni giuridiche a carico dei destinatari.
Generalmente sono rivolti agli Stati membri, sebbene in alcuni casi espressamente
indicati, possono essere indirizzati anche a privati (art. 91 Cee abrogato dal Tue). Nella
seconda categoria s’inscrivono invece tutti quegli atti non elencati all’art. 249. Sono tali
gli atti c.d. “interni”, poiché riguardano il funzionamento dei diversi organi comunitari,
quali, ad esempio, il regolamento interno della Commissione europea (cfr. par. 1.4.1); i
vari programmi generali la cui adozione era prevista dai Trattati; le raccomandazioni della
Commissione al Consiglio per la conclusione di alcuni accordi internazionali.
10
1.2 Rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento interno
Definite le principali caratteristiche degli atti comunitari, si rende necessario un pur
breve esame del rapporto che intercorre tra questi ultimi e l’ordinamento interno. A tal
riguardo, è stato affermato che “non è un mistero che la creazione della Comunità
europea, pur voluta dalla grande maggioranza dei politici e dell’opinione pubblica
italiana abbia posto delicati problemi di rapporti con l’assetto costituzionale italiano”
2
.
Se infatti il problema della legittimità costituzionale dell’ordine di esecuzione dei
Trattati è stato da tempo superato, permane la questione dell’attuazione delle norme di
diritto derivato sopra esaminate.
Sebbene attraverso una serie di sentenze la Consulta abbia nel corso degli anni
riconosciuto una serie di princìpi e si sia progressivamente allineata agli orientamenti
della Corte di Giustizia, indubbiamente resta una concezione dualistica italiana del
rapporto comunitario e interno, ossia come due ordinamenti separati e non già come un
continuum. Secondo alcuni autori tale rapporto non ha trovato una soluzione definitiva
anche “a causa della mancanza di volontà di inserire nella Costituzione italiana una
‘clausola europea’, autorizzata anche pro-futuro di cessioni di sovranità a favore della
Comunità/Unione”
3
.
Anche gli strumenti di adattamento al diritto comunitario, fino alla fine degli anni ‘80,
hanno sofferto di ritardi e lacune. Una svolta si è avuta con la legge 86/89 che ha
profondamente innovato sia i meccanismi di partecipazione al circuito decisionale
comunitario, sia l’applicazione degli atti comunitari in sede nazionale.
Introdotta nell’ordinamento italiano nel 1989 con la Legge 9 marzo 1989, n. 86 (c.d. legge
La Pergola), è lo strumento che regola le modalità e i tempi per la trasposizione delle
direttive comunitarie. In essa le direttive da recepire sono classificate per materia, una
distinzione dalla quale derivano diverse modalità di trasposizione nell’ordinamento
nazionale. Al di fuori delle ipotesi di recepimento diretto (nel caso in cui al destinatario
della direttiva sia imposto soltanto un obbligo di non fare, ovvero quando la direttiva si
limiti a ribadire obblighi previsti dai Trattati, oppure quando la materia oggetto della
2
Guizzi V., Manuale di diritto e politica dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 1995, p. 465.
11
direttiva sia disciplinata in modo così puntuale e dettagliato da rendere superfluo qualsiasi
provvedimento di attuazione), la legge comunitaria determina con quali provvedimenti
(decreti legislativi, decreti ministeriali o regolamenti) verrà attuata ciascuna direttiva
4
.
Il maggior pregio della Legge La Pergola, tuttavia, non risiede tanto nell’aver superato gli
strumenti di adattamento impiegati in passato (delega legislativa, attuazione in via
legislativa e amministrativa delle direttive), quanto nell’averli inclusi in una procedura
che periodicamente è destinata a fornire una soluzione permanente al problema
dell’adempimento degli obblighi comunitari.
A giudizio di taluni autori, la Legge sopra esaminata ha dato una notevole spinta nel senso
di una rinnovata attenzione nei confronti della Comunità
5
. A tal riguardo, è interessante
notare come, nel riconoscere il persistere di difficoltà e di un insufficiente adeguamento
della Pubblica amministrazione al dinamico processo di unificazione, si identifichi nei
Programmi integrati mediterranei (Pim) prima e, successivamente, proprio nella riforma
dei Fondi strutturali (delibera Cipe del 21 dicembre 1988 contenente la “Direttiva Fondi
Comunitari a finalità strutturale”), gli strumenti con cui le istituzioni italiane hanno
iniziato un’opera di recupero. (Di tale riforma si parlerà nel par. 3.1.7).
3
Alpa G., Corso di sistemi giuridici comparati, G. Giappichelli Editore, Torino, 1996, p. 51.
4
Triulzi U., Dal mercato comune alla moneta unica, Edizione SEAM, Roma, giugno 1999, p. 372.
5
Guizzi, op.cit., p. 481.
12
1.3 Base giuridica e disciplina del Fondo sociale europeo
Nel quadro delle fonti del diritto comunitario, la base giuridica del Fondo sociale europeo
va rinvenuta nel Trattato istitutivo della Comunità europea. Specificamente, lo strumento
finanziario della politica sociale comune è stato previsto dagli autori del Trattato di Roma
agli artt. 123-127.
In base all’art. già 123, obiettivo del Fondo è quello “di promuovere all’interno della
Comunità le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei
lavoratori, nonché di facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai
cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la
riconversione professionale”.
La gestione del Fondo è affidata alla Commissione europea (ex art. 124 del Trattato Cee),
coadiuvata dal Comitato Fse, tuttora operante composto da rappresentanti dei governi e
delle parti sociali (cfr. par. 1.4.7.6).
Il Trattato Cee, avendo competenza su tutti i settori economici (ad eccezione del comparto
siderurgico e nucleare), può essere considerato il testo fondamentale della politica sociale
comune e, conseguentemente del Fse. A testimonianza della rilevanza attribuita fin
dall’inizio alla politica sociale dagli Stati fondatori delle Comunità si segnala che il Fse è
l’unico dei Fondi strutturali ad essere espressamente previsto dal Trattato con l’esatta
dizione
6
.
La normativa sul Fondo sociale europeo ha subìto modifiche con il Trattato per l’Unione
europea, adottato dai Dodici l’11 novembre 1991 che, per un’esigenza di comparazione
tra vecchie e nuove norme, verranno esaminate nel capitolo 3. Per il momento è
necessario anticipare che il Tue ha dato una diversa collocazione alla formazione
professionale scorporandola dalla normativa dedicata al Fondo sociale europeo. Inoltre,
occorre soffermarsi sul fatto che il Trattato di Maastricht ha ampliato l’art. 2 del Trattato
Cee, rendendo esplicita la coesione economica e sociale, affermando che “La Comunità
ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di
un’unione monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui
6
Infatti, l’art. 40, par. 4 prevede la creazione di strumenti finanziari, ma parla genericamente di “uno o più
fondi agricoli d’orientamento e di garanzia”. Inoltre il Fondo regionale non era previsto dal trattato, ma fu
istituito nel 1975, con ricorso all’art. 235.
13
agli articoli 3 e 3A, uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche
dell’insieme delle comunità, una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti
l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di
occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della vita, la coesione
economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri”.
Durante i negoziati di Maastricht vennero ridefiniti gli obiettivi e gli strumenti dei Fondi,
e venne creato il Comitato delle Regioni (cfr. par. 1.4.4). Tuttavia, una lacuna del
Trattato risultava essere la totale assenza di disposizioni di ordine pratico in materia di
Fondi strutturali. In breve, nel Tue non si rinveniva alcun riferimento ai compiti, alla
gestione, al funzionamento e al finanziamento dei Fondi. Una circostanza che ha costretto
il legislatore comunitario a procedere per via regolamentare
7
.
Come si dimostrerà di seguito, infatti, oltre che dai Trattati, il Fondo sociale europeo
risulta disciplinato, pressoché invariabilmente da regolamenti del Consiglio (le cui
caratteristiche sono richiamate nel par. 1.1.1).
Di norma, i regolamenti vengono emanati dal Consiglio, su proposta della Commissione
(con il Parlamento associato secondo la procedura di cooperazione) oppure dalla
Commissione. Il potere regolamentare autonomo della Commissione, legato
essenzialmente alla fase iniziale della realizzazione del mercato comune, è ormai limitato.
Pertanto molto più importanti sono i regolamenti adottati in virtù di una delegazione di
potere da parte del Consiglio, derivante dall’art. 211 che dispone che la Commissione
“esercita le competenze che le sono conferite dal Consiglio per l’attuazione delle norme
da esso stabilite”
8
.
La prassi denomina “regolamenti di base” gli atti adottati dal Consiglio secondo la
procedura prevista dai Trattati e “regolamenti di attuazione” quelli adottati dalla
Commissione su autorizzazione del Consiglio oppure dal Consiglio stesso ricorrendo a
una procedura semplificata (senza la proposta della Commissione).
7
Monti L., I Fondi strutturali per la coesione economica e sociale, Edizioni SEAM, Roma, dicembre 1996,
p. 39.
8
Ballarino T., Lineamenti di diritto comunitario, 3 edizione, CEDAM, Padova, 1990, p. 90.
14
La procedura con cui sono stati adottati i nuovi regolamenti concernenti il Fse e i Fondi
strutturali viene illustrata dettagliatamente nel capitolo 3 (cfr. par. 3.5). Per il momento si
segnala che le decisioni relative ai compiti, agli obiettivi prioritari e all’organizzazione dei
Fondi spettano al Consiglio e devono essere adottate all’unanimità, su proposta della
Commissione, previo il parere conforme del Parlamento europeo e previa la consultazione
del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni. Le decisioni di
attuazione, invece, sono adottate a maggioranza, secondo la procedura di codecisione, per
il Fse e il Fesr
9
(cfr. glossario).
Attraverso la decisione, invece, il Consiglio approva le forme di intervento previste (quali
i Programmi operativi e altre forme contemplate all’art 5. del Regolamento quadro) dai
regolamenti sui Fondi strutturali. Spetta sempre al Consiglio, a maggioranza qualificata,
adottare l’elenco delle regioni eleggibili per il periodo di programmazione recentemente
iniziato.
La prevalenza del regolamento rispetto alle altri fonti del diritto comunitario nel
disciplinare il funzionamento del Fse è dimostrata se si analizza l’evoluzione del tessuto
normativo del Fse dal 1957 ad oggi. Tale rassegna normativa e regolamentare comprende
i seguenti atti:
• Regolamento n. 9 del 28 agosto 1960, regolamento istitutivo del Fse
• Decisione del Consiglio europeo n. 71/66 (atto teso a superare il metodo di finanziamento
assistenzialistico vigente a favore di un modo programmato)
• Decisione del Consiglio 83/516 del 17 ottobre 1983 relativa ai compiti del Fondo Sociale
Europeo Guce L 289/83 p. 38 (modifica Regolamento 85/517 in Guce L 370/85, p. 40)
• Decisione del Consiglio 83/517 del 17 ottobre 1983 relativa allo Statuto del Comitato del
Fondo Sociale Guce L 289/83 p. 42 (modifica Regolamento 4253/88)
• Regolamento Cee n. 2950/83 del 17 ottobre 1983 concernente l’applicazione della Decisione
83/516, Guce L 289/83 p. 1 (modifica Regolamenti 3823/85, 3824/85, 4255/88 in Guce L
370/85, 374/88)
• Decisione della Commissione 83/673 del 22 dicembre 1983 relativa alla gestione del Fondo
sociale europeo, Guce L 377/83, p.1
• Regolamento del Consiglio n. 3823/85 del 20 dicembre 1985 che modifica il Regolamento
2950/83 in seguito all’adesione della Spagna e del Portogallo, Guce L 370/85, p.23
9
Monti, op. cit., p. 140-141.
15
• Regolamento Cee n. 2052/88 del 24 giugno 1988, relativo alle missioni dei Fondi a finalità
strutturale, della loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Bei e
degli altri strumenti finanziari, Guce L 185/88, p. 9
• Regolamento Cee n. 4253/88 del 19 dicembre 1988 recante disposizioni di applicazione del
Regolamento n. 2052/88 relativamente al coordinamento degli interventi dei Fondi a finalità
strutturale, Guce L 374 del 31/12/88, p.1
• Regolamento Cee n. 4255/88 del 19 dicembre 1988, recante disposizioni di applicazione del
Reg. n. 2052/88 per gli interventi del Fse, Guce L 374 del 31/12/88, p. 21
• Regolamento Cee n. 2081/93 (regolamento quadro), regolamento di modifica del
Regolamento Cee n. 2052/88, regolamento relativo alle missioni dei Fondi a finalità
strutturale, alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Bei e degli
altri strumenti finanziari esistenti
• Regolamento Cee n. 2082/93 (regolamento di coordinamento), ), regolamento di modifica del
Regolamento Cee n. 4253/88
• Regolamento Cee n. 2084/93 (regolamento Fse), regolamento di modifica del Regolamento n.
4255/88 recante disposizioni di applicazione del Fse
• Regolamento Cee n. 1260/1999, regolamento quadro recante le disposizioni generali sui Fondi
strutturali
• Regolamento Cee n. 1262/1999, regolamento relativo al Fse.
E’ interessante notare come i succitati atti comunitari corrispondano, in effetti, alle tappe
evolutive fondamentali del Fondo, segnatamente: la riforma del 1971, la revisione del
1983, la riforma del 1988, la revisione dei regolamenti dei Fondi strutturali del 1993, la
riforma della politica strutturale del 1999 fino ad arrivare ai nuovi regolamenti adottati a
Lussemburgo nel giugno del 1999. Data la portata e le implicazioni di tali regolamenti, le
disposizioni più significative saranno esaminate in dettaglio, nonché valutate criticamente
nel capitolo 3.
16
Oltre alla produzione di atti regolamentari, il Fondo è disciplinato, infine, da una intensa
attività amministrativa della Commissione europea che si concretizza nell’approvazione e
attuazione di una serie di documenti di programmazione. Tale attività sarà oggetto di un
esame approfondito nel cap. 4 del presente studio.
1.4 Soggetti istituzionali responsabili
Il precedente esame della disciplina specifica del Fse dimostra come la produzione
normativa e l’attuazione della stessa coinvolgano una pluralità di istituzioni che
intervengono, a vari livelli, allo sviluppo generale della politica sociale europea. In
particolare, nell’ambito delle varie fasi di programmazione e di attuazione degli
interventi finanziati dal Fse agiscono, nel rispetto del principio della partnership e del
generale principio della sussidiarietà (cfr. rispettivamente i parr. 2.2.2 e 2.2.1) sia
organi comunitari che nazionali, definiti gli “attori del processo”
10
.
Si è visto, infatti, che il Consiglio Ue adotta all’unanimità, previo parere conforme del
Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del
Comitato delle Regioni, le decisioni relative ai compiti, agli obiettivi prioritari e
all’organizzazione dei Fondi strutturali. La Commissione europea, poi, oltre al rapporto
con i singoli Stati membri, è tenuta a presentare ogni tre anni al Parlamento europeo, al
Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni, una relazione sui progressi
compiuti in materia di coesione sociale e di gestione dei Fondi (cfr. par. 4.6.2.1). Altri
organi competenti, a livello comunitario, sono il Parlamento europeo, il Comitato
economico e sociale e il Comitato delle Regioni, i Comitati consultivi e di gestione dei
Fondi, le parti sociali. Tali organi hanno, tuttavia, prevalentemente funzione consultiva.
I presenti paragrafi, dunque, analizzano le competenze e le responsabilità dei soggetti
istituzionalmente deputati a dare esecuzione e garantire l’attuazione alle disposizione
relative al Fse, sia sul fronte comunitario che nazionale. In particolare, si tenterà di
mostrare come stia emergendo una chiara tendenza all’accentuarsi del ruolo gestionale
della Commissione, istituzione “regina”
11
il cui rafforzamento risulterà evidente
dall’esame dei Regolamenti concernenti i Fondi strutturali varati nel 1999 (cfr. cap. 3).
10
Sono denominati attori gli organi che esprimono la “volontà” sia a livello nazionale che comunitario.
11
Sapienza R., La politica di coesione economica e sociale, Edizioni Il Mulino, Bologna, aprile 2000,
p.65.
17
1.4.1 Commissione europea
Come sancito dall’art. 211 del Tue, la Commissione europea è l’organo esecutivo della
Comunità e ne assicura il funzionamento e lo sviluppo. Essa di fatto svolge funzioni, ha
poteri esecutivi simili a quelli di un governo a livello nazionale e quello di iniziativa
normativa presentando al Consiglio le proposte di regolamenti, direttive o decisioni a
secondo i casi. In qualità di “esecutivo”, ha anche la gestione di tutte le politiche
comunitarie, e dunque di quella sociale e dei relativi strumenti finanziari
12
. Il
funzionamento della Commissione e dei suoi servizi sono disciplinati da un regolamento
interno
13
.
Rispetto alla politica sociale comunitaria, alla Commissione europea sono affidati tre
specifici mandati: essa è responsabile di deliberare in materia di a) bilancio, b) politica di
coesione economica e sociale c) politica per l’occupazione.
In materia di bilancio, l’attività della Commissione è disciplinata dal regolamento
finanziario e dalle relative regole di esecuzione. Queste ultime regolano le diverse fasi,
dalla previsione di spesa, alla procedura di decisione, dall’esecuzione ai controlli.
L’esecuzione avviene in due fasi successive: la fase di impegno e quella di pagamento.
Inoltre la Commissione promuove la politica di coesione economica e sociale sancita nel
Trattato di Amsterdam (Titolo XIV), cui i Fondi strutturali, e dunque il Fse, forniscono il
necessario sostegno finanziario. Infine, relativamente alla politica per l’occupazione,
l’esecutivo europeo persegue obiettivi dichiarati nel Titolo VIII del Trattato di
Amsterdam mediante il processo dei Piani nazionali per l’occupazione (Pan) (vedi par.
3.3.1). In tale contesto il Fse rappresenta lo strumento finanziario principale per la
realizzazione di tale politica.
Operativamente l’amministrazione responsabile del Fondo sociale europeo è la Direzione
generale " Affari Sociali e Occupazione", fino al 1999 denominata DG V. In particolare,
responsabile del monitoraggio degli interventi di Fse per l’Italia è la Direzione C1.
12
Guizzi, op.cit., p. 20, 21.
13
Regolamento interno della Commissione del 17 febbraio 1993 (93/492/Euratom, Ceca, Cee) pubblicato su
Guce n. L 230 del 11.9.1993, p. 15.
18
In relazione ai vari Obiettivi del Fondo (cfr. par. 2.3) e alle procedure di programmazione
tale DG costituisce l'amministrazione capofila nel caso degli ex Obiettivi 3 e 4 (ossia gli
Obiettivi riferiti alla programmazione 1994-1999 ormai terminata descritti nel par. 2.3).
Per gli altri Obiettivi che prevedono la partecipazione di più Fondi strutturali, essa è
partner di altre Direzioni generali capofila:
la DG XVI (Politiche regionali)
14
per ciò che riguarda gli ex Obiettivi 1 e 2;
la DG VI (Agricoltura) e la DG XIV (Pesca) per ciò che riguarda gli ex Obiettivi 5a e 5b.
E’ importante sottolineare che le attuali attribuzioni riferite a suddette Direzioni saranno
suscettibili di modificazioni già nel corso del 2000. Infatti, nel progetto di Libro bianco
“La riforma della Commissione”
15
sono state avanzate proposte di grande portata per
riformare la Commissione in modo che essa possa rispondere alle sfide dell'Unione
europea del ventunesimo secolo. Tali proposte riguardano le modalità di funzionamento
della Commissione, le priorità e l'impiego delle risorse amministrative e umane,
l’organizzazione dell’audit, della gestione finanziaria e del controllo. Questi cambiamenti
investiranno l’intera Commissione e comporteranno anche una nuova divisione delle
responsabilità nella gestione dei Fondi strutturali
16
.
Ciò premesso, attualmente, nella fase di programmazione delle forme di intervento (cfr.
par. 4.5) si realizza una procedura di consultazione mirante ad avere l’assenso delle
diverse Direzioni generali e dei servizi interni alla Commissione competenti per i vari
aspetti che costituiscono il contenuto dei documenti di programmazione del Fse. Tale
consultazione è conforme al richiamato regolamento interno (art. 20) che stabilisce che
“gli uffici incaricati dell’elaborazione o dell’attuazione delle deliberazioni della
Commissione operano in stretta cooperazione. (…) L’ufficio competente ha cura di
formulare una proposta che raccolga il consenso degli uffici consultati”.
14
La DG XVI è responsabile delle azioni comunitarie intese a ridurre il divario di sviluppo socioeconomico
tra le varie regioni dell'Ue, conformemente agli articoli 130 A e 130 C del Trattato. Le politiche e i
programmi della DG perseguono l'obiettivo di promuovere un elevato livello di occupazione cercando di
risolvere il problema della diversa capacità delle regioni di attuare uno sviluppo sostenibile. All’inizio del
2000 è stata entrata in vigore una riorganizzazione della DG XVI che ha puntato a: a) anticipare la
riforma della Commissione in materia di audit, gestione finanziaria e controllo; per il controllo sarà
istituita un'unità specifica; b) unificare la gestione del Fondo europeo di sviluppo regionale e quella del
Fondo di coesione, al fine di contribuire in modo più efficace all'obiettivo comune della coesione
economica e sociale.
15
Commissione europea, Programma di lavoro per il 2000 della Direzione generale della Politica regionale,
Bruxelles, 17 gennaio 2000, p. 13.
16
Avviato nel marzo del 2000, il processo si concluderà nel 2002 con l’adozione della riforma del
regolamento finanziario e delle modifiche dello Statuto da parte del Consiglio.
19
Nell’ambito di tali procedure sono, in particolare, coinvolte - oltre alle Direzioni generali
capofila nel caso degli ex Obiettivi 1, 2 e 5b - la DG IV (Concorrenza), la DG XIX
(Bilancio), la DG XX (Controllo Finanziario) e il Servizio giuridico. Il loro
coinvolgimento è anch’esso conforme alle disposizioni dell’art. 5 che infatti sancisce che
“la consultazione delle direzioni generali incaricate dei bilanci del personale e
dell’amministrazione è obbligatoria per tutti i documenti che possono incidere
rispettivamente sul bilancio, le finanze, il personale e l’amministrazione. Lo stesso vale,
ove necessario, per la direzione generale incaricata del controllo finanziario”.
Le modalità di interazione tra gli uffici della Commissione e gli Stati membri, nonché
l’attività amministrativa della stessa, saranno esaminate dettagliatamente, con particolare
riferimento all’attività di programmazione, nel capitolo 4 relativo alla gestione del Fse. In
particolare, si cercherà di mostrare come l’esecutivo comunitario ha acquisito un ruolo
preponderante nel nuovo equilibrio interistituzionale determinato dalla nuova politica
strutturale. Per ora sarà sufficiente segnalare che il rafforzato ruolo gestionale della
Commissione deriva dall’esigenza di migliorare il coordinamento degli interventi dei
Fondi strutturali con le politiche nazionali di sviluppo. In breve, si constaterà che, sebbene
la partnership sancisca che una continua interazione con gli Stati membri, questi ultimi
hanno visto ridotta la propria capacità di condizionare le scelte europee in materia di
gestione dei Fondi.
1.4.2 Parlamento europeo
Il Parlamento europeo (Pe), non possedendo una vera e propria funzione legislativa, non
ha grandi poteri di decisione in materia di aiuti comunitari. I Regolamenti del 1988 (cfr.
par. 3.1.7) prevedevano esclusivamente la trasmissione, da parte della Commissione, al
Parlamento, al Consiglio e al Comitato economico e sociale, di una relazione annua sulla
gestione dei Fondi strutturali.