1
Introduzione
La globalizzazione è sempre più spesso il motivo che spinge le imprese moderne a
sviluppare strategie internazionali e ad affermarsi anche in mercati diversi da quello
nazionale. Il nostro lavoro si pone l’obiettivo di mostrare il comportamento delle imprese
italiane riguardo le alleanze strategiche con partner esteri e di creare un quadro particolare su
un fenomeno di cui si trovano molti riferimenti teorici mentre pochi a livello empirico.
Il primo capitolo cerca di fornire gli strumenti adeguati alla comprensione delle diverse
modalità di internazionalizzazione esistenti a cui le imprese italiane possono ricorrere. In
particolare, nel terzo paragrafo viene approfondito con particolare attenzione il fulcro della
tesi stessa: gli accordi strategici. Infine, vengono analizzati alcuni fattori che possono portare
al successo o al fallimento degli accordi.
Il secondo capitolo riguarda la modalità di raccolta dei dati e le problematiche riscontrate,
la scelta delle fonti e delle variabili al fine di ottenere un database formato dagli accordi
strategici realizzati dalle imprese italiane negli anni 2006 e 2007. Il campione è stato formato
attraverso la scrematura di migliaia di articoli presenti su Lexis Nexis e Il Sole 24 Ore,
facendo riferimento ai soli accordi posti in essere nei due anni prestabiliti. Questo lavoro di
analisi ha portato alla costituzione di un database composto da una settantina di accordi,
definiti attraverso la nazionalità dell’impresa estera, la dimensione dell’impresa italiana in
base al numero dei dipendenti, il settore in cui si vuol entrare stipulando l’accordo, la distanza
culturale tra l’impresa italiana e quella estera, la presenza internazionale dell’impresa italiana
attraverso filiali o esportazioni ed infine l’obiettivo dichiarato per cui l’accordo viene
stipulato. Le variabili sono quindi approfondite con particolare attenzione per la definizione
del settore, per la quale è stata utilizzata la classificazione secondo il codice NACE, e delle
distanze culturali, per le quali si è fatto affidamento alle cinque variabili culturali proposte da
Hofstede.
Il terzo e ultimo capitolo analizza i dati ottenuti attraverso la correlazione delle diverse
variabili utilizzate. I risultati ottenuti danno luogo ad un quadro generale del comportamento
delle imprese italiane nel periodo considerato. Il nostro campione è stato quindi analizzato per
quanto riguarda la distribuzione temporale, settoriale, geografica, in base agli obiettivi
dichiarati, alle dimensioni culturali e alla presenza internazionale dell’impresa prima della
realizzazione dell’accordo.
2
CAPITOLO 1.
L'INTERNAZIONALIZZAZIONE
1.1 INTRODUZIONE
In questo capitolo, viene trattato l'argomento delle modalità di internazionalizzazione; la
definizione di questo processo si applica a tutti i percorsi di crescita attuati dalle imprese sui
mercati esteri.
1
Successivamente questo concetto ha assunto un carattere via via più ampio
tanto da esser considerato una strategia volta al rafforzamento di un vantaggio competitivo
2
in
paesi diversi da quello di origine al fine di conseguire miglioramenti nella produttività
aziendale e un miglior sfruttamento delle opportunità di crescita.
Storicamente la prima forma di internazionalizzazione sviluppata dalle imprese è stata
quella mercantile; le prime imprese che hanno voluto infatti sfruttare questa modalità di
crescita hanno utilizzato come primo strumento le esportazioni. Successivamente si è poi
affermata la cosiddetta forma produttiva, costituita dal trasferimento di risorse e tecnologie
dal paese di origine ad un altro paese (Majocchi, 1997). In questa accezione, questa forma di
internazionalizzazione riguarda la delocalizzazione internazionale della produzione e può
avvenire attraverso diverse modalità, dagli investimenti diretti esteri alle nuove forme di
internazionalizzazione (joint venture e accordi strategici).
1
Majocchi A., 1997, Economia e strategia dei processi d’internazionalizzazione delle imprese, Milano: Giuffrè
Editore, pag. pag 1.
2
Valdani E., Bertoli G., 2003, Mercati internazionali e marketing, Milano: EGEA, pag. 78.
3
Per quanto concerne la letteratura in merito, i primi contributi risalgono ai primi anni '60 e
'70 negli Stati Uniti, poiché proprio le imprese statunitensi svilupparono in quel periodo le
prime strategie di internazionalizzazione. Questi studi focalizzarono l'attenzione sulle
motivazioni e sulla fase iniziale di questa strategia; il tema degli aspetti gestionali e strategici
viene posto in evidenza soltanto negli anni '80 (Majocchi, 1997).
Le imprese americane attuarono in misura sempre maggiore strategie di crescita all’estero,
fino al punto che gli investimenti diretti esteri (IDE) rappresentarono il 66,3% degli IDE
mondiali; seconde furono le imprese britanniche rappresentando il 10,5% mentre le imprese
giapponesi si posizionarono all’ottavo posto con solo il 2%
3
. Le imprese statunitensi,
tipicamente di grandi dimensioni ed operanti in settori tecnologicamente avanzati,
utilizzarono gli IDE come lo strumento tipico di crescita all’estero, destinandoli
principalmente in Europa e nel resto del continente americano. Negli anni settanta, grazie alla
riduzione delle barriere al libero scambio, le imprese europee e giapponesi vollero ottimizzare
la localizzazione delle loro attività produttive e instaurare una presenza diretta nei mercati
esteri dove i costi del lavoro erano inferiori. Si affermò quindi un nuovo modello di
internazionalizzazione, tipico delle imprese giapponesi, in cui erano protagoniste le piccole e
medie imprese operanti in settori maturi con prodotti altamente standardizzati, in forte
crescita domestica nel decennio precedente. Esse riuscirono ad ottenere rilevanti economie di
scala grazie ad una forte standardizzazione dei prodotti e alla conseguente produzione in
grandi volumi, rivolgendosi al maggior numero possibile di Paesi, soprattutto verso i paesi in
via di sviluppo ed alta intensità di lavoro
4
.
3
Hill C. W. L., 2007, International Business, economia e strategia internazionale: l’impresa nei mercati globali,
Milano: U. Hoepli, pag. 21.
4
Majocchi A., 1997, Economia e strategia dei processi d’internazionalizzazione delle imprese, Milano: Giuffrè
Editore, pag. 113.
4
1.2 LE MODALITÀ DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Prima di approfondire l’argomento principale di questo capitolo, è importante analizzare
tutte le eventuali modalità di internazionalizzazione e le caratteristiche di ognuna avendone
ben chiaro sia i vantaggi sia i limiti.
Così come nella storia del mondo le nazioni hanno sperimentato sia la competitività che la
cooperazione, così anche le imprese stanno sempre più sviluppando strategie che riguardano
entrambi gli aspetti. La cooperazione diviene quindi un aspetto sempre più importante anche
nelle strategie internazionali.
Si possono distinguere le modalità di internazionalizzazione in due grandi insiemi:
l’internazionalizzazione mercantile avviene attraverso le esportazioni, mentre quella
produttiva si realizza attraverso investimenti diretti esteri. A metà strada tra queste due
possibilità esistono nuove forme d’internazionalizzazione che, al contrario della prima
modalità, richiedono competenze e capacità nuove e differenti.
Ciò che spinge le imprese ad sviluppare una strategia internazionale può essere individuato
tenendo conto da un lato delle modalità di entrata nei mercati esteri, dall'altro del grado di
presenza estera già raggiunta dall'impresa. Questi elementi sono sintetizzati nella seguente
tabella.
TABELLA 1. LE CAUSE DELL’ESPANSIONE INTERNAZIONALE.
AVVIO DELLA PRESENZA
INTERNAZIONALE
SVILUPPO DELLA PRESENZA
INTERNAZIONALE
ESPORTAZIONI
- Ricerca di nuovi mercati
- Sfruttamento di opportunità
competitive del sistema produttivo del
prodotto
- Apprendimento
- Ricerca di nuovi mercati
- Sviluppo di sinergie
ACCORDI STRATEGICI
E JOINT VENTURE
- Ricerca nuovi mercati in paesi con
regolamentazione del commercio estero
- Controllo del rischio
- Sviluppo di competenze
- Ricerca di nuovi mercati
- Sfruttamento di opportunità
contingenti
- Flessibilità strategica e organizzativa
- Sviluppo di competenze
IDE
- Rafforzamento della posizione
competitiva nel mercato estero
- Ricerca e sfruttamento di vantaggi
localizzativi
- Sfruttamento di condizioni di
vantaggio competitivo originate nel
mercato locale
- Rafforzamento della posizione
competitiva nel mercato estero
- Ricerca e sfruttamento di vantaggi
localizzativi
- Sviluppo organizzativo internazionale
- Sfruttamento di condizioni di
vantaggio competitivo originate nel
mercato locale
FONTE: CAROLI M., 2008, ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE INTERNAZIONALI, MILANO:
MCGRAW-HILL, PAG.64.
5
1.2.1 LE ESPORTAZIONI
Molte imprese manifatturiere iniziano la propria espansione all’estero attraverso le
esportazioni indirette o dirette, e solo successivamente modificano l’approccio verso un
determinato mercato nazionale
5
. Ci si riferisce a export indiretto quando l’impresa vende sui
mercati esteri senza alcuna attività di marketing internazionale, ma attraverso un esportatore
domestico che si occupa di effettuare tutte le operazioni necessarie all’esportazione; di fatto,
l’export è realizzato attraverso la rete domestica di vendita, che si occupa di vendere a export
management companies, international trading companies o uffici d’acquisto di reti di vendita
straniere. Si parla invece di export diretto quando le esportazioni sono frutto del processo di
pianificazione internazionale dell’azienda, che realizza pertanto un piano di marketing
internazionale, caratterizzato dalla scelta del mercato obiettivo, dalla raccolta di informazioni
su di esso, dalla scelta del canale distributivo estero, dalla programmazione della logistica e
della documentazione per l’export e infine dalla definizione dell’international marketing mix.
I vantaggi principali presentati da Hill (2007) di questa modalità sono due: evitare i costi
connessi all’installazione di capacita distributiva e/o produttiva nel paese estero e il
perseguimento di curve di esperienza ed economie di localizzazione
6
. L’impresa può inoltre
perseguire economie di scala producendo il prodotto in un unico stabilimento e distribuendolo
attraverso esportazioni.
Secondo Caroli (2008), le esportazioni sono spiegate da due ragioni principali: la ricerca di
diverse opportunità di mercato e la volontà di sfruttare in nuove aree geografiche il potenziale
di un prodotto o di capacità produttive che sono risultate di successo nel mercato di origine.
La ricerca di nuovi sbocchi commerciali all’estero può a sua volta essere stimolata da limiti di
crescita della domanda locale o dal forte intensificarsi della concorrenza nel proprio contesto
geografico o dal manifestarsi di notevoli potenzialità commerciali e strategiche nei mercati
esteri. Vi può essere anche una terza ragione che spinge l’impresa a esportare: si tratta della
volontà di maturare nuove conoscenze sulle caratteristiche di un determinato contesto
geografico, senza dover sostenere investimenti eccessivamente onerosi.
In questa prospettiva, l’impresa inizia a sviluppare operazioni commerciali in nuovi paesi
per rafforzare le proprie competenze organizzative e strategiche di livello internazionale e
5
Hill C. W. L., 2007, International Business, economia e strategia internazionale: l’impresa nei mercati globali,
Milano: U. Hoepli, pag. 477.
6
La curva di esperienza si riferisce alla riduzione sistematica dei costi di produzione che si osserva durante la
vita di un prodotto (Hall e Howell, 1985); gli effetti dell’apprendimento si riferiscono al risparmio sui costi che
si origina dal learning by doing. La strategia di localizzazione invece si focalizza sull’aumento della redditività
attraverso l’adattamento dei beni o servizi dell’impresa per adeguarsi ai gusti e alle preferenze dei diversi
mercati locali.
6
acquisire le conoscenze necessarie per porre successivamente in essere strategie di entrata più
impegnative.
Nelle imprese che hanno già un certo grado di presenza internazionale, l’ulteriore
focalizzazione sulle esportazioni è spiegato innanzitutto dalla volontà di esplorare le
potenzialità di nuovi mercati geografici, valorizzando le esperienze progressivamente
acquisite in quelli già penetrati. In secondo luogo, dall’opportunità di allargare il più possibile
la propria presenza commerciale in determinate macro-aree geografiche, beneficiando delle
conseguenti sinergie sul piano della produzione, distribuzione e del marketing
7
.
Questa modalità presenta però anche degli svantaggi legati alla produzione locale; infatti,
essa può non essere economicamente vantaggiosa per quelle imprese che vogliono perseguire
strategie di espansione globale o transazionale, per le quali è più conveniente realizzare un
impianto delocalizzato in un’area a minori costi. Un secondo svantaggio riguarda i costi
relativi al trasporto che possono renderle eccessivamente dispendiose.
1.2.2 GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
L'investimento diretto estero (IDE) può essere attuato attraverso l’acquisto diretto di
un’altra impresa in un mercato estero, oppure attraverso la fusione con un'impresa già
esistente nel mercato estero, o la realizzazione ex novo di un'unità produttiva. Questo tipo di
investimento è realizzato al fine di produrre e/o commercializzare un prodotto nel mercato
estero verso cui è stato fatto (Hill, 2007).
Le motivazioni per cui gli investimenti esteri sono realizzati, possono essere ricondotte a
tre grandi insiemi a seconda degli obiettivi che si vogliono realizzare
8
. Gli investimenti
resource seeking, sono realizzati per ottenere risorse ad un costo reale più basso rispetto a
quello domestico (non solo il lavoro, ma anche capacità tecnologiche, di management, di
marketing ed organizzative); quelli market seeking, per entrare in un mercato (ad esempio, per
seguire clienti o fornitori importanti che si sono internazionalizzati, per adattare i prodotti ai
“gusti” locali, per abbassare i costi per servire il mercato o per essere presenti sugli stessi
mercati dei concorrenti); quelli efficiency seeking, sono volti a razionalizzare la struttura di
imprese già internazionali; ed infine gli investimenti strategic asset seeking, sono realizzati
per perseguire obiettivi di tipo strategico o rafforzare la competitività internazionale (come,
ad esempio, accordi con altre imprese per evitare che queste si leghino con concorrenti o
fusioni per raggiungere dimensioni critiche per affrontare la concorrenza).
7
Caroli M., 2008, Economia e gestione delle imprese internazionali, Milano: McGraw-Hill, pag. 63.
8
Ghauri P. N., Cateora P. R., 2005, International Marketing, McGraw-Hill Education, pag. 269.
7
Esistono poi altre tipologie di investimenti esteri, come quelli volti ad evitare rigide
imposizioni politiche o legislative non gradite; un’altra tipologia è rappresentata dagli
investimenti “passivi”, classificati formalmente come IDE, mentre dal punto di vista
manageriale sono puramente finanziari.
Un investimento diretto a un’industria estera, uguale a quella di appartenenza dell’impresa
che investe viene definito IDE orizzontale. Un IDE verticale, invece, può assumere due forme
diverse:
l’IDE verticale a monte è realizzato per produrre in un paese estero una componente
necessaria al processo produttivo attivato dal paese di origine;
l’IDE verticale a valle è realizzato per acquistare un’attività in un paese estero perché
si impegnino nella commercializzazione del prodotto che l’impresa già attua nel suo
paese d’origine (o in un altro)9.
Quando un’impresa decide di effettuare un investimento estero può farlo o costituendo una
sussidiaria interamente posseduta, realizzando quindi un greenfield investment, oppure
acquisendo un’impresa già presente nel mercato in cui si vuole entrare.
Secondo Hill (2007), l’acquisizione presenta tre vantaggi. Innanzitutto, fusioni e
acquisizioni sono di veloce realizzazione, poiché acquistando un’azienda estera già esistente
si può imporre velocemente la propria presenza sul mercato estero. Questa strategia dà inoltre
la possibilità di anticipare i concorrenti, fattore importante soprattutto in quei settori, come le
telecomunicazioni, in cui vi è l’esigenza di prevenire e scalzare i concorrenti. Infine, essa è
considerata meno rischiosa rispetto all’investimento di tipo greenfield: quando si realizza
un’acquisizione si acquistano un insieme di asset che generano un flusso di profitti conosciuti,
diversamente, il flusso di profitti che un investimento greenfield genera è sconosciuto in
quanto l’attività ancora non esiste. L’azienda che compie l’acquisizione non solo acquista
asset tangibili e sistemi di customer care, ma anche un insieme di asset intangibili quali un
marchio conosciuto a livello locale e l’esperienza del management dell’impresa acquisita,
riducendo notevolmente la possibilità di commettere errori.
Le acquisizioni però presentano però anche dei punti deboli che possono portare al
fallimento dell’investimento stesso. Una prima causa del fallimento può essere individuata nel
momento in cui l’impresa acquirente paga un prezzo superiore al reale valore degli asset della
società acquistata; questa situazione si presenta quando c’è più di un’impresa interessata
all’acquisto o quando l’impresa acquirente, a causa di un ottimismo eccessivo dei top-
manager che sovrastimano la loro capacità di generare valore che può essere realizzato tramite
9
Hill C. W. L., 2007, International Business, economia e strategia internazionale: l’impresa nei mercati globali,
Milano: U. Hoepli, pagg. 245, 252.