4
Introduzione:
Nel settembre 2007, quando iniziai la mia avventura universitaria, non avrei
mai immaginato che avrei potuto, 3 anni dopo, cimentarmi direttamente con la
ricerca storica. Noi studenti del XXI secolo siamo abituati a studiare gli eventi del
passato attraverso strumenti di semplice reperibilità e comprensione. Ci serve
sapere quale risultato ha prodotto l'influenza di un personaggio politico vissuto nel
periodo «x»? Niente di più semplice. La vastità di testi a stampa e il sempre più
ampio e variegato mondo del web, hanno aperto un canale di facile accessibilità
per gli appassionati e gli studiosi. Questi ultimi (me compresa), certamente
ringraziano questa agevolazione nell'apprendimento, una facilitazione che però
svia dal vero ed esatto modo di studiare o scrivere gli eventi storici: l'utilizzo delle
fonti.
Quando ho avuto la possibilità di potermi cimentare con manoscritti o fogli
del XVI secolo, non ho potuto resistere al naturale e storico richiamo degli archivi
e delle biblioteche. Sono stata particolarmente fortunata, perché oltre a potermi
realizzare con la ricerca, ho affrontato uno studio veramente interessante sugli
origini e sviluppi di un conservatorio di terziarie domenicane della mia città natia,
Firenze.
Rosalia Manno Tolu, nel suo saggio, Echi Savonaroliani nella Compagnia e nel
conservatorio della Pietà, già illustra la nascita e il percorso che il conservatorio
intraprese nel corso dei secoli e il suo studio è stato una perfetta base di partenza
per le mie ricerche sulla Pietà. Necessario, per non dire fondamentale, è stato il
manoscritto, Croniche delle suore della Pietà, redatto verso il 1700 da frate Felice
Viccioni e conservato nella biblioteca Moreniana di Firenze. Esso narra le
maggiori vicende storiche del conservatorio ed è inutile dire che, in questi mesi, è
stato per me un guida eccezionale. Sempre nella biblioteca Moreniana è custodito
un altro manoscritto, Capitoli o Costituzioni della fanciulle della Pietà ..., che
illustra le regole che le fanciulle dovevano quotidianamente attendere. Ancora
ordini rivolti alla comunità sono quelli elencati in un terzo manoscritto, Regola e
5
Costituzione delle suore del terzo ordine della penitenza di San Domenico ...,
conservato nell'archivio provinciale di San Marco a Firenze. Tale regolamento
differisce dal precedente perché venne adottato dalle fanciulle solo nel 1685,
quando esse divennero suore.
Altri atti, registri, documenti riguardanti la Pietà sono conservati nell'archivio di
Stato di Firenze, in Corporazioni religiose soppresse dal governo francese (serie
112), che è stato da me utilizzato soprattutto - come vedremo - per l'analisi delle
fanciulle accettate nell'ospedale.
Le fanciulle di via del Mandorlo mi hanno tenuta impegnata su un
argomento di storia sociale fiorentina che si articola dal 1500 fino al 1800, anche
se da me verranno esclusivamente esaminati i primi due secoli; accennerò agli
sviluppi del XIX secolo solo per spiegare i motivi che hanno portato alla
soppressione dell'istituto avvenuta nel 1808.
Ho iniziato questo mio lavoro con una veloce premessa sull'assistenza
fiorentina in età moderna. Nel primo capitolo, «Uno sguardo alla Firenze
assistenziale», ho voluto inserire il conservatorio della Pietà nel panorama
generale dell'assistenza rivolta ai pellegrini e malati nella Firenze del 1500.
Facendo una differenzazione degli «spedali» destinati al ricovero per gli infermi e
quelli destinati ai poveri o viandanti, ho introdotto la nascita del conservatorio
della Pietà e l'evoluzione che l'istituto effettuerà nel corso degli anni: da ospedale
rivolto a fanciulle misere e abbandonate a convento di suore del terzo ordine di
San Domenico. Anche se l'aspetto religioso prevarrà quasi immediatamente,
inizialmente l'istituto poteva chiamarsi «spedale». Ho voluto evidenziare, sempre
nel primo capitolo, la particolarità che distinse questo ospedale dagli altri presenti
in città, proprio perché era un centro rivolto esclusivamente a giovani donne.
Questo non può non essere motivo di particolare attenzione perché, anche se
Firenze poteva vantare un numero elevato di ospedali nel territorio, la cura e
l'assistenza verso la donna era ancora nel XVI secolo poco sviluppata.
Il capitolo secondo «La nascita del conservatorio della Pietà di Firenze» è,
come si può capire, l'analisi dell'origine e dei motivi che portarono i due fondatori
6
a iniziare questa opera caritatevole nel 1554. Ho abbandonato il «quadro
generale» per addentrarmi nello specifico del conservatorio. Come ho detto
precedentemente, è solamente grazie all'opera del domenicano Viccioni, Croniche
delle suore della Pietà, che la memoria e storia di questo istituto non è stata
perduta nei secoli. Dopo un veloce sguardo alla struttura e organizzazione interna
del conservatorio, dedico un piccolo paragrafo all'opera del domenicano
Alessandro Capocchi, padre spirituale delle ragazze, il quale attraverso
insegnamenti dottrinali e morali riuscì a perfezionare e delineare la Pietà come
istituto religioso. Le abbandonate non avevano emesso nessun tipo di voto, ma
iniziarono ad osservare accuratamente la terza regola dell'ordine domenicano,
ordine a cui padre Capocchi apparteneva.
Mi sono addentrata, con il terzo capitolo «Le fanciulle della Pietà: i registri
di entrata», ancor più approfonditamente nel conservatorio. L'archivio di Stato di
Firenze conserva due registri nel quale sono annotati i nomi e la data di ingresso
delle fanciulle nella Pietà. Insieme, sono anche scritti il luogo di provenienza e
l'eventuale data di morte o uscita dall'istituto della ragazza. Contenta di potermi
direttamente confrontare con la realtà della Pietà, ho iniziato una progettazione di
tabelle - aggiunte nell'appendice di questa tesi - che sono state di notevole utilità
per l'elaborazione di otto grafici presenti proprio in questo capitolo. I grafici che
colpiranno maggiormente o che sicuramente hanno colpito me, sono quelli relativi
all'entrata e l'uscita delle ragazze dal conservatorio. Specificamente i grafici 4, 5,
6, 7, sono indirizzati sull'«uscita» delle fanciulle, differenziando l'esito di uscita
naturale per causa di morte dall'effettivo abbandono del conservatorio da parte
delle ragazze ospitate. I dati dei decessi sono estremamente alti, come
rispettivamente risultano elevati gli ingressi nel conservatorio. Questo risultato mi
ha condotto successivamente ad un'analisi delle carestie ed epidemie, avvenute in
Toscana, che avrebbero potuto confermare i dati dei grafici.
Lasciandoci alle spalle i dati delle fanciulle, nel penultimo capitolo «La
nuova casa di via del Mandorlo», affronto in particolare il tema del trasferimento
delle ragazze dall'originale abitazione in borgo Ognissanti. La prima abitazione,
7
infatti, non era più adatta a quell'aumentato numero di ospiti a cui abbiamo
precedentemente accennato e l'eredità di un «Palazzuolo», sempre nelle vicinanze
di Ognissanti, scatenò un intenso dibattito epistolare tra le governatrici della Pietà,
i reclamatori dell'edificio ereditato dalle fanciulle e il Duca di Firenze Cosimo I.
Come vedremo, il successivo trasferimento che avverrà nel 1563 in via del
Mandorlo, comporterà (per motivi di lontananza) l'addio di padre Capocchi alla
guida spirituale dell'istituto, affidando le giovani alla cura dei padri domenicani
della chiesa di San Marco.
Nell'ultimo capitolo di questa tesi, «1600: secolo di cambiamenti», è
descritto il definitivo passaggio delle fanciulle a suore del terzo ordine di San
Domenico. Il 1685 sarà l'anno di questo passaggio e per poter comprendere
meglio i cambiamenti che dovettero affrontare le ragazze, mi è sembrato utile il
confrontare due regole riguardanti la Pietà. La prima, scritta nel 1570, è intitolata
Capitoli o Costituzioni delle fanciulle della Pietà poste nella via del Mandorlo ...,
l'altra, Regola e costituzioni delle suore del terzo ordine di San Domenico ..., è
datata 1685 ed è conservata nell'archivio della provincia di San Marco a Firenze.
La trascrizione della prima regola, i Capitoli o Costituzioni, è stata aggiunta in
appendice di questo scritto e la sua lettura è interessante per apprendere la vita
quotidiana, i lavori e i doveri che le fanciulle della Pietà dovevano attendere.
8
I) Uno sguardo alla Firenze assistenziale:
«Ospedale» o «spedale» sono due parole che provengono dal latino
«Hospitàle
1
», e avevano il significato di «luogo dove si alloggiano gli ospiti, cioè i
forestieri». Certamente è obbligo riferirci al passato quando vogliamo conoscere il
significato delle parole; significato che oggi è notevolmente mutato. Quando
studiamo o semplicemente sfogliamo libri, articoli e cronache riguardante la storia
degli ospedali, non può non colpire immediatamente il fatto che questi istituti
offrivano alla popolazione un servizio che, come si deduce dall'etimologia della
parola stessa, non corrisponde al servizio odierno di cura e ricovero per i malati.
Dobbiamo allontanarci dal parallelismo «ospedale - medicina» che
normalmente associamo ai due termini, adottando la parola «assistenza»,
maggiormente consona al periodo che verrà da me preso in considerazione. È
proprio nella città fiorentina del XVI secolo (1500), all'interno del panorama
assistenziale, che si originerà il conservatorio della Pietà, istituto verso il quale ho
rivolto il mio interesse in questa tesi.
Bisogna tornare nella Firenze del XIII - XIV secolo, quando iniziarono a
svilupparsi i primi centri per il ricovero dei poveri, dei viandanti e degli ammalati.
«Tanto più che questi nostri istituti sono per la loro essenza e natura meritevoli di
non restarsi ignorati, essendo non pochi tra essi di origine così remota, da potersi
assicurare che Firenze in molti rami di beneficenza è stata alla Europa maestra di
carità»; la frase che il Passerini scrive nella prefazione al suo studio Storia degli
stabilimenti di beneficenza e d'istruzione elementare gratuita della città di
Firenze
2
, è peculiare nel farci comprendere come la città abbia sviluppato una rete
di istituti, dedicati al soccorso, che la rendeva agli occhi dei contemporanei un
esempio da imitare. Ulteriori prove dello sguardo che realmente i paesi europei
1
L'origine della parola «ospedale» è stata da me individuata attraverso il «Dizionario etimologico
della lingua italiana on-line». Per altri riferimenti cfr. L'enciclopedia, la biblioteca di Repubblica,
Torino 2003, volume 15 p. 396.
2
Luigi Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d'istruzione elementare gratuita della
città di Firenze, Firenze, Le Monnier, 1853.
9
volgevano alla nostra città, avviene nel 1524, quando Enrico VIII, re d'Inghilterra,
chiese alla famiglia Portinari i regolamenti dell'ospedale di Santa Maria Nuova
che Folco dei Portinari, aveva fondato nel 1288 e lo stesso Ferdinando d'Austria,
si rivolse a Cosimo I per ottenere i regolamenti dello stesso ospedale che vennero
spediti nel 1546
3
. Santa Maria Nuova si distinse per la efficiente organizzazione
interna, delineando già dalla sua fondazione il suo scopo di cura e assistenza
sanitaria verso i malati, differenziandosi dalla maggior parte degli «spedali» della
città che si limitavano a offrire vitto e alloggio per i poveri o viandanti. Forse, non
a caso, è per questo che Santa Maria Nuova è l'ospedale più antico della città
tutt'ora esistente. Certamente non possiamo limitarci al caso fiorentino; infatti
tutta la Toscana sembra aver goduto di una fiorente espansione in ambito
assistenziale. Posso citare Pisa che tra il 1000 e il 1300 con quarantamila abitanti
ospitava ben cinquantadue ospedali, oppure Siena che disponeva di circa dieci
ospedali per trentacinquemila - quarantamila persone all'inizio del XIV secolo o
anche Lucca, che poteva vantare tredici istituzioni per quindicimila - ventimila
abitanti
4
.
Questo aumento di luoghi per la cura, assistenza e ospitalità verso il
«prossimo», verificatosi nelle maggiori città, è certamente legato - come sostiene
la studiosa Lucia Sandri
5
- a un incremento demografico iniziato nel Basso
Medioevo tra il XI e XV secolo. Oltre allo sviluppo della popolazione, importante
fattore è l'aumento della povertà. Guerre, carestie ed epidemie che si sono
succedete nella storia, occupano un posto certamente predominate nella decisione
della costruzione di questi ospedali, che, come ho già affermato, erano per la
maggior parte centri d'accoglienza per gli umili. In quest'ultima categoria si
3
L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d'istruzione elementare gratuita della città
di Firenze, pp. 304 e 308.
4
Lucia Sandri, Aspetti dell'assistenza ospedaliera a Firenze nel XV secolo, in Città e servizi sociali
nell'Italia dei secoli XII-XV, atti del XII Convegno Internazionale di Studi (Pistoia, 9-12 ottobre
1987), Pistoia, Centro italiano di studi di storia e d'arte, 1990, pp. 238-239.
5
L. Sandri, Ospedali e utenti dell'assistenza nella Firenze del Quattrocento, in La società del
bisogno. Povertà e assistenza nella Toscana Medievale, a cura di G. Pinto, Firenze, Salimbeni,
1989.
10
inserisce l'ospedale della Pietà, fondato nella città fiorentina nel XVI secolo da
due religiosi mossi dal desiderio, misto a necessità, di salvare giovani fanciulle
abbandonate per la strada.
Nel mio elaborato, quando mi riferisco all'istituto, non userò l'appellativo di
«spedale», ma quello di «conservatorio» perché esso, seppur nato come centro
ospedaliero, pochi anni dopo abbandonerà quella funzione per trasformarsi in un
conservatorio di terziarie dell'ordine domenicano. Posso infatti affermare che la
Pietà ha attraversato «tre fasi» di sviluppo. Nasce come ospedale (mantenendosi
tale nei primi anni
6
), si trasforma in conservatorio di fanciulle che osservano una
propria regola sotto la guida dei padri domenicani, per poi diventare nel 1685 un
convento di terziarie domenicane che emettono i voti e sono vestite dell'abito.
Nella Firenze della fondazione della Pietà (metà del 1500), sono attivi gli ospedali
di San Matteo, di Bonifazio, il già citato Santa Maria Nuova e lo «spedale»
dell'Umiltà, che verso la fine del secolo adotterà il nome di San Giovanni di Dio.
Questo piccolo raggruppamento riguarda gli istituti che operano o cercano di
operare alla cura delle malattie e degli infermi; mentre molto più ampio sarebbe
l'elenco di tutti gli altri «enti» che si differenziano dal primo, per l'offerta dei
servizi verso la cittadinanza o i pellegrini stranieri. Certamente è di rilievo la
differenziazione di questi servizi offerti che cercavano di colmare tutte le
necessità della popolazione e della città. Un ruolo necessario a quest'ultima era
quello incarnato dall'arciconfraternita della Misericordia, fondata nel XIV secolo,
la quale - oltre all'assistenza ai fanciulli abbandonati - operava la raccolta di
defunti per trasportarli al sepolcro. L'importanza di questa è facilmente
comprensibile, ma il Pellegrini riporta un curioso evento descritto in un diario di
Filippo Tornabuoni, il quale fa comprendere la reale necessità dell'opera di questa
antica confraternita:
6
La Pietà si trasformerà in conservatorio quando padre Capocchi diventerà la giuda spirituale
delle fanciulle. È certo che nel 1563, anno del trasloco da Ognissanti a via del Mandorlo, l'istituto
aveva perso tutte le caratteristiche di «spedale».
11
«Morì un povero uomo nella via di San Francesco. Né preti, né chierici, né fraternita veruna si
presentò per toglierlo dalla via ove giaceva miserando spettacolo ai passeggeri, e già da vari giorni
insepolto, molestava per orribil fetore i vicini. Un popolano, tolto quel cadavere sulle spalle, lo
recò nel Palazzo della Signoria, e lo gettò ai piedi del gonfaloniere, il quale sorpreso da tale
spettacolo, domandò la cagione di un cotal atto. E il popolano rispose esser quello un effetto della
inosservanza delle leggi che a lui ed ai suoi antecessori nel governo spettava di far mantenere: e lì
lasciato il cadavere se ne andò con Dio
7
»
Certo, l'esempio riportato è riferito ad un preciso momento, il 1425, quando
per volere di Cosimo de' Medici, gli istituti del Bigallo e l'arciconfraternita della
Misericordia si unirono in un unica struttura. Rimane comunque chiaro che la
temporanea mancanza dello svolgimento delle opere delle due associazioni
(causata appunto dall'unione dei due), non era più tollerata dalla popolazione, che
richiedeva la ripresa delle funzioni che da circa un secolo la Misericordia operava.
Allargando lo sguardo sugli altri «servizi» offerti, di rilievo è l'opera svolta
dalle due compagnie di Santa Maria della Croce e di San Buona Ventura e Santa
Elisabetta e Buonomini delle carceri le quali, sorte rispettivamente nel 1356 e
1582, assistevano i detenuti delle galere offrendo sia ai condannati a morte, che ai
prigionieri, prestazioni riguardanti l'assistenza spirituale e temporale. Si trattava di
un opera di carità esclusivamente rivolta a coloro che erano stati giudicati
colpevoli di un crimine, ma come ho già sostenuto prima, tutto ciò rientra
perfettamente nel grande panorama assistenziale esistente nella Firenze del 1500.
Accanto ai piccoli o grandi centri di ricovero per la popolazione, esistenti in
città, si affiancavano le congregazioni o compagnie di cura per i poveri malati
dell'ordine ecclesiastico. La più antica tra le cinque istituzioni che il Pellegrini ci
illustra nel suo studio, è la congregazione maggiore dei preti e spedale della Casa
di Dio
8
, la quale sembra avere origini antichissime (1113 circa). È verso il 1310,
7
L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d'istruzione elementare gratuita della città
di Firenze, cit; pp. 464-465.
8
I nomi degli altri quattro istituti, a scopo assistenziale, rivolti alla popolazione ecclesiastica che il
Passerini illustra nel suo scritto sono: compagnia e ospizio di San Tommaso D'Aquino,
congregazione dello Spirito Santo e pia opera di carità dei cappellani di Santa Maria del Fiore. Dal
12
circa due secoli dopo, che essa si prepose ad altro scopo; non più assistenza ai
poveri o fanciulli, ma bensì centro per l'accoglienza di poveri ecclesiastici. Questo
cambiamento è stato accompagnato con la narrazione di un episodio capitato ad
Amedeo, prete proveniente dalla Val di Pesa, nel 1310, il quale necessitato di
recarsi nella città fiorentina, non trovò ospitalità che in una misera osteria, la
quale offrì uno scandaloso ed indecente spettacolo al religioso. Il racconto
continua con la visione, avuta durante la notte, di Cristo vestito da pellegrino il
quale ordinava una costruzione a Firenze di uno ospizio dedicato esclusivamente
agli ecclesiastici
9
. Ovviamente anche l'autore della storia e stabilimenti di
beneficenza, dubita della avvenuta costituzione dell'ospedale tramite una visone
mistica e preferisce attribuire la sua fondazione alla necessità dei chierici
pellegrini di alloggiare in luoghi attinenti al loro status, potendo riuscire a
svolgere i doveri derivanti la loro professione, anche durante gli spostamenti o le
malattie degli stessi religiosi.
Se particolare assistenza veniva data ai poveri, sia pellegrini che cittadini,
ancor più speciale è l'assistenza che veniva rivolta ai quei nobili o famiglie
facoltose che, per svariati casi, perdevano la loro posizione sociale e soprattutto la
loro ricchezza. La compagnia dei Buonomini di San Martino venne fondata verso
il 1441 da frate Antonio, domenicano di San Marco, il quale preoccupato delle
sorti dei «poveri vergognosi», decise di offrire aiuto attraverso l'elargizione di
denaro, vesti o doti a quelle famiglie che, abituate ad una certa agiatezza, male si
sarebbero adattate ad una vita di mendicità
10
.
1451 figura anche lo spedale di SS. Filippo e Jacopo detto «del Ceppo», il quale si trasformò da
centro per l'assistenza dei poveri a ricovero esclusivo per gli ecclesiastici.
9
L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d'istruzione elementare gratuita della città
di Firenze, cit; pp. 520-522.
10
Per un maggior approfondimento sulla «povertà vergognosa» cfr. Giovanni Ricci, Povertà,
vergogna, superbia. I declassati fra Medioevo e età moderna, Bologna, il Mulino, 1996; Piero
Bargellini, I buonomini di San Martino, Firenze, Cassa di risparmio di Firenze, 1972; Tommaso
Rosselli Sassatelli del Turco, La congregazione dei buonomini di San Martino: Notizie storiche ed
artistiche, Firenze, Tip. Mealli e Stianti, 1930.