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Capitolo 1: Introduzione
In questo lavoro di tesi l’attenzione è stata posta sullo studio di tre polimeri addensanti,
Agar, Klucel g e Carbopol, utilizzati nella preparazione di soluzioni acquose addensate
per la pulitura delle superfici murali. Uno dei requisiti fondamentali del trattamento di
pulitura di qualsiasi opera d’arte è che gli impacchi utilizzati siano totalmente removibili,
cioè, dopo aver agito, possano essere rimossi con facilità senza il rischio di lasciare residui
sulla superficie dell’opera in grado di causare ulteriori problematiche e danni futuri. Lo
scopo di tale lavoro di tesi è proprio quello di verificare se i tre polimeri oggetto di studio
siano effettivamente dei buoni addensanti per il trattamento di pulitura oppure se
rimangano in tracce sulla superficie del manufatto e quindi non siano idonei a questo
utilizzo.
Prima di procedere alla parte sperimentale è stato necessario reperire una
documentazione adeguata sulle caratteristiche tecniche della pittura murale e sui
requisiti necessari per l’esecuzione di un corretto trattamento di pulitura. È stata
condotta inoltre una ricerca bibliografica sulle caratteristiche strutturali e chimico-
fisiche dei polimeri oggetto dello studio.
Avendo a disposizione una conoscenza di base sugli addensanti polimerici è stato dunque
possibile procedere alla prima parte della sperimentazione: la caratterizzazione. Sono
state utilizzate diverse tecniche analitiche, come la spettroscopia infrarossa in riflettenza
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totale attenuata (FTIR-ATR) e l’analisi termogravimetrica (TGA), ma quella che ha fornito
risultati più interessanti riguardo allo scopo di questo lavoro è stata l’analisi
gascromatografica accoppiata alla spettrometria di massa, previa pirolisi del campione
esaminato (Py-GC/MS). Con la spettroscopia infrarossa si è cercata una conferma della
struttura chimica del polimero, attraverso la determinazione dei gruppi funzionali
presenti nello spettro FTIR-ATR; utilizzando l’analisi TGA si è valutata la stabilità termica
del campione, il contenuto di umidità e si è potuta definire una curva di degrado
caratteristica del materiale in esame; attraverso l’analisi Py-GC/MS, condotta sia su
campioni non derivatizzati che derivatizzati con tetrametilmmonio idrossido (TMAH),
sono stati invece ricercati i frammenti caratteristici di ciascun addensante, i cosiddetti
markers, al fine di poter identificare correttamente ciascun polimero all’interno di
campioni reali incogniti.
Nella seconda parte del lavoro sperimentale si è proceduto allo studio di miscele di
polimero con carbonato di calcio a diverse percentuali di miscelazione, con lo scopo di
simulare condizioni analitiche il più possibile simili a quelle di casi reali, in cui si auspica
che l’addensante polimerico sia stato completamente rimosso dalla superficie trattata o
che comunque rimanga in quantità assolutamente trascurabili. Grazie allo studio di
miscele, condotto utilizzando le medesime tecniche analitiche impiegate nella fase di
caratterizzazione iniziale (FTIR-ATR, TGA e Py-GC/MS), è stato possibile valutare il limite
di rilevabilità di ciascuna tecnica, cioè capire fino a che grado di miscelazione si
potevano ottenere risposte ragionevoli rispetto alla presenza di polimero.
Parallelamente al lavoro sperimentale, sono state effettuate alcune analisi esplorative con
un innovativo sistema TGA-FTIR-GC/MS costituito da un analizzatore termogravimetrico
ad alta sensibilità (TGA), collegato in linea con uno spettroscopio ad infrarosso (FTIR) e
un gascromatografo accoppiato a spettrometro di massa (GC/MS). Lo scopo è stato quello
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di verificare se i risultati ottenuti con tale tecnica potevano essere paragonati a quelli
ottenuti nel corso del lavoro con gli stessi strumenti non accoppiati.
Tutto quanto studiato nella parte sperimentale è stato applicato per l’indagine di tracce di
addensanti polimerici su manufatti simulati, preparati presso l’Opificio delle Pietre Dure
di Firenze e lì sottoposti a trattamenti di pulitura da un team di esperti restauratori. I
campioni modello sono stati inizialmente fotografati e osservati allo stereomicroscopio
per prendere visione dello stato della superficie e, successivamente, sono state eseguite
analisi Py-GC/MS e FTIR-ATR per verificare la presenza di eventuali tracce di addensante
sulla superficie del manufatto modello.
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Capitolo 2: Le pitture murali e le tecniche di pulitura
Prima di iniziare la trattazione dello studio dei polimeri addensanti oggetto di questo
lavoro di tesi è doveroso introdurre il discorso presentando le caratteristiche generali
delle pitture murali, le forme di degrado che possono manifestarsi e tutti i vari
trattamenti di pulitura che le riguardano, nonché i requisiti fondamentali per preparare
l’opera ad un restauro eseguito ad opera d’arte [1].
2.1 Caratteristiche tecniche della pittura murale
La pittura murale è senza dubbio una delle prime manifestazioni artistiche umane,
iniziata ancor prima che l’uomo imparasse a costruire edifici in muratura. Già nel
periodo preistorico, infatti, vi sono le prime testimonianze di pitture parietali, semplici
dipinti eseguiti stendendo pigmenti naturali mescolati a grasso animale direttamente
sulle pareti rocciose naturali, precedentemente levigate.
Con lo sviluppo delle antiche civiltà, passando da Egiziani, Greci, Etruschi e Romani, si è
arrivati a quella che ad oggi viene definita a tutti gli effetti pittura murale, caratterizzata
da determinate peculiarità e differenti caratteristiche tecniche [2].
In generale la pittura murale prevede la presenza di uno strato preparatorio da adagiare
sul supporto murario, per ottenere la massima solidità e durata del manufatto artistico e
la migliore resa pittorica possibile [3]. Tale fondo preparatorio è formato da due differenti
strati (figura 1): l’arriccio e l’intonachino o intonaco pittorico. L’arriccio è uno strato di
intonaco ruvido e scabroso costituito da una malta grossolana, in cui la sabbia possiede
grani grossi e granulometricamente differenziati fra loro che, impastati con la calce,
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favoriscono l’interazione tra la calce e l’anidride carbonica e quindi il processo di presa
del legante. Lo spessore dell’arriccio dipende dall’omogeneità della superficie del muro di
appoggio, mentre la scabrosità è richiesta per ottenere una decisa adesione del secondo
intonaco, quello pittorico, steso sull’arriccio dopo che questo è rimasto esposto all’aria
fino al completamento della reazione di carbonatazione.
L’intonaco pittorico o intonachino è costituito da una malta più raffinata di quella del
sottostante arriccio, caratterizzata da sabbia a grana medio-fine. La sua applicazione
viene effettuata sull’arriccio completamente carbonatato ma leggermente bagnato in
superficie, per favorire l’adesione tra gli strati. La superficie da dipingere deve essere
completamente liscia e compatta, in quanto una tale struttura offre caratteristiche di
elevata resistenza: la minor granulometria della sabbia e l’azione meccanica della
cazzuola facilitano questa operazione.
Figura 1: Sezione verticale di una parete decorata con pittura murale [4].
A seconda della tecnica pittorica utilizzata, al momento della stesura del colore,
l’intonachino dovrà essere “fresco”, “mezzo fresco” o “secco” [4], come vedremo di seguito.
A. Supporto murario.
B e C. Strato preparatorio;
B=arriccio, C=Intonachino.
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Affresco o buon fresco
L’affresco è una tecnica pittorica che consiste nel dipingere con una sospensione di
pigmenti stemperati in acqua su di un supporto costituito da intonaco ancora “fresco”,
cioè in cui l’idrossido di calcio, Ca(OH)
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, non ha ancora subito il processo di
carbonatazione.
Il metodo tradizionale del buon fresco, tramandatoci dal Cennini e dal Vasari, comporta
la scelta operativa di iniziare e terminare la stesura dei pigmenti in un intervallo di
tempo definito e limitato: il “momento ideale” per dipingere non è immediatamente dopo
la stesura dell’intonaco, altrimenti si verificherebbe un indesiderato impasto del pigmento
con la malta, ma è nelle successive due o tre ore, durante la fase iniziale di asciugatura
dell’intonaco pittorico, quando cioè l’acqua di imbibizione che è servita per miscelare i
componenti della malta dell’intonaco stesso migra nell’arriccio e, conseguentemente, nel
supporto murario, lasciando i pori superficiali liberi; in questo modo l’acqua contenuta
nella pennellata stesa sull’intonachino può facilmente penetrare in esso lasciando che il
pigmento si depositi sulla superficie pittorica.
Dopo un certo periodo di tempo, variabile con la stagione, il tipo di muro e lo spessore
degli intonaci, il supporto pittorico tende a non assorbire più l’acqua contenuta nella
sospensione di colore che, se stesa in questa fase, non aderisce più alla superficie,
colando. È infatti iniziato il processo inverso di evaporazione sia dell’umidità assorbita in
precedenza dall’arriccio e dal supporto murario, che dell’acqua contenuta nell’intonaco
pittorico. Contemporaneamente a tale processo di asciugatura avviene il fondamentale
processo di presa del legante: l’idrossido di calcio contenuto nell’impasto della malta
viene infatti trasportato verso la superficie insieme all’acqua di evaporazione con
conseguente reazione con l’anidride carbonica presente nell’aria; proprio dalla reazione
di carbonatazione Ca(OH)
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+ CO
2
→ CaCO
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+ H
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O si ottiene la trasformazione
dell’intonaco “fresco” in intonaco “secco”, con formazione sulla superficie dell’opera di
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uno strato uniforme di carbonato di calcio (CaCO
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) che compenetra i pigmenti fissandoli
al supporto e rendendoli resistenti a tutti gli agenti esterni, con un ottimo risultato
estetico. Quanto detto finora è rappresentato schematicamente nella figura 2.
La trasformazione chimica completa di tutta la calce in carbonato di calcio è piuttosto
lenta e permette quindi la stesura di eventuali velature e rifiniture in affresco, anche in
tempi di poco successivi a quelli ideali. In ogni caso, considerando il breve intervallo di
tempo in cui è conveniente stendere i colori, è opportuno che il pittore appronti la
superficie intonacata che ritiene di poter completare nel tempo stabilito come ideale; è
per questo motivo che si lavora procedendo a “giornate”, come vengono chiamate
Figura 2: Fasi di esecuzione e processi in atto nella pittura a buon fresco.
a) L’intonaco pittorico (C) è in fase di asciugatura: l’acqua contenuta in questo strato migra
all’interno dell’arriccio (B) e del supporto murario (A), liberando i pori superficiali.
b) In questa fase è possibile stendere lo strato di colore (D) che rimane adagiato sulla
superficie, mentre l’acqua di composizione migra all’interno dei pori liberi dell’intonachino.
c) Quando il supporto non è più in grado di assorbire l’umidità inizia il processo inverso di
evaporazione dell’acqua con trasporto di calce verso la superficie e conseguente reazione di
carbonatazione. Si arriva alla formazione di uno strato uniforme di cristalli di carbonato di
calcio (E) che ricopre e compenetra il colore coesionandolo e fissandolo al supporto [4].
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comunemente le varie porzioni di intonaco stese in fasi successive e tagliate “a scarpa” in
modo tale da combaciare perfettamente fra loro.
La caratteristica fondamentale di una pittura a buon fresco è proprio il processo di
carbonatazione successivo alla stesura del colore, che la rende infinitamente più stabile
rispetto alle altre tecniche di seguito citate, in quanto l’idrossido di calcio presente
nell’intonachino funge sia da supporto, nella fase iniziale, che da legante del colore, una
volta carbonatato. È quindi necessario sottolineare, oltre all’elevata coesione esistente fra
gli elementi componenti i singoli strati preparatori risultante da forze intermolecolari di
natura chimica e fisica, anche la debole adesione esistente tra uno strato e l’altro, dovuta
a forze di attrazione correlate a fattori quali la diversa scabrosità delle superfici a
contatto e la diversa composizione di ogni singolo strato; è quindi evidente la possibilità
di separare fra loro gli strati di intonaco pittorico e di arriccio attraverso una opportuna
forza di trazione, mentre non è possibile sfogliare il singolo strato.
La tecnica del buon fresco necessita però di grande esperienza ed abilità di esecuzione
perché, oltre a non consentire correzioni su uno stesso strato di intonaco, non permette
all’artista di vedere immediatamente il reale tono dei colori stesi; durante l’asciugatura
dell’intonaco infatti si altera progressivamente la cromia, venendo meno la forza e la
vivacità del colore bagnato.
Mezzo fresco
Viene definita pittura a “mezzo fresco” quella tecnica in cui l’artista, dopo aver proceduto
alla stesura dello strato preparatorio secondo le modalità di esecuzione precedentemente
discusse, opera su intonaco pittorico in uno stadio di carbonatazione estremamente
avanzato. In questo modo è possibile ottenere una pellicola pittorica sufficientemente
legata dal carbonato di calcio solo nel caso in cui i colori vengano stemperati in latte di
calce, una soluzione di idrossido di calcio che funziona da legante.
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La differenza sostanziale tra l’affresco e la pittura a mezzo fresco è che in quest’ultima la
calce costituisce il mezzo disperdente ed il legante del colore ma non il supporto, come
invece accadeva nel caso della pittura a buon fresco. In questo caso quindi ciò che
permette al colore di rimanere fissato sull’intonaco pittorico è l’idrossido di calcio della
soluzione legante, che una volta carbonatato ha una buona capacità di adesione
all’intonaco stesso; lo strato di carbonatazione che si ottiene ha inglobato il colore, ma
risulta differenziato dall’intonachino sottostante in quanto sovrapposto successivamente
ad esso. Per ottenere una maggiore unione tra lo strato di colore e l’intonaco pittorico la
superficie di quest’ultimo non deve più essere liscia e levigata, ma granulosa e ruvida:
questo si ottiene piallettandola.
Con la tecnica a mezzo fresco i colori stemperati nel latte di calce risultano più corposi,
ricchi e a volte in rilievo; inoltre tale tecnica permette un notevole risparmio di tempo in
quanto consente di lavorare su porzioni molto più estese di intonachino, conservando la
caratteristica bellezza dell’affresco.
Pittura a secco: tempera ed olio
La pittura murale a tempera o ad olio si realizza su intonaco pittorico completamente
secco, in cui il processo di carbonatazione si è concluso, utilizzando pigmenti stemperati
in leganti organici (uovo intero sbattuto con latte di fico, rosso d’uovo sbattuto con acqua,
colla di carnicci ottenuta facendo bollire in acqua ritagli di carta pergamena e gomme
vegetali).
Volendo eseguire un’opera a tempera o ad olio si deve necessariamente evitare
l’inconveniente di campire i colori su una struttura estremamente porosa e quindi
assorbente. Per questo motivo, nel passato, per ridurre la porosità dell’intonaco si operava
in due modi: o preparando un impasto per l’intonaco pittorico con una carica
estremamente fine, tale da ottenere uno strato preparatorio compatto e di minima
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porosità; o impregnando la superficie intonacata con un legante affine a quello utilizzato
per stemperare i pigmenti, definito metodo dell’imprimitura.
La necessità di operare a secco deriva dalla elevata causticità dell’idrossido di calcio
presente nell’intonaco non completamente carbonatato, in grado di degradare un gran
numero di pigmenti poco stabili; è per questo motivo che, rispetto alla pittura a buon
fresco e a quella a mezzo fresco, la tecnica a secco possiede una gamma cromatica
decisamente arricchita.
Encausto
L’encausto, dal greco “brucio”, è un’antica tecnica pittorica che consiste nell’usare
pigmenti miscelati con della cera e riscaldati al momento di dipingere, in modo tale che il
colore penetri bene nella struttura murale. Quando la pittura era ben asciugata veniva
lucidata semplicemente strofinandola con panni di lana o pelle.
Molto spesso la tecnica a buon fresco viene confusa con questa tecnica perché talvolta,
nell’antichità, l’affresco veniva trattato con una stesura finale di cera, utile alla lucidatura
e alla protezione, che lo rendeva simile all’encausto.