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1. GENERALITA’ SUL PROCESSO TRIBUTARIO
1.1 Aspetti generali
Affinché lo Stato e gli altri enti pubblici possano assolvere alle loro molteplici funzioni debbono
essere provvisti di mezzi economici adeguati, derivanti da entrate di vario tipo. Queste entrate
possono provenire da due fonti: entrate pubbliche di diritto privato ed entrate pubbliche di diritto
pubblico. La prima tipologia riguarda introiti che lo Stato assorbe attraverso negozi di diritto privato
(mediante gestione di imprese pubbliche o tramite compimento di atti o fatti di rilevanza
privatistica) mentre la seconda categoria, quella che più ci interessa, riguarda risorse economiche
consistenti in beni in denaro o in natura che l'Erario incorpora in forza dell'esercizio della potestà di
prelievo coattivo disciplinata dalla legge. Rientrano in quest'ultima categoria i cosiddetti tributi
1
che
si caratterizzano rispetto alle altre prestazioni patrimoniali per i seguenti elementi essenziali: a)
consistono in una obbligazione che ha ad oggetto una prestazione, normalmente pecuniaria, a titolo
definitivo; b) tale obbligazione nasce direttamente o indirettamente dalla legge ed è perciò coattiva;
c) la nascita dell'obbligazione medesima ha luogo al verificarsi di un presupposto di fatto che non è
mai costituito da un illecito.
Spesso però il soggetto/contribuente si trova in disaccordo con l'Amministrazione finanziaria sul
fatto di dover pagare o meno un tributo (o di essere rimborsato in quanto ha pagato in eccesso) ed è
in questo momento che si apre il contenzioso tributario regolato dal D. Lgs. n. 546 del 31 dicembre
1992, oltre che dal codice di procedura civile. Si tratta di un procedimento giurisdizionale originato
da una lite tributaria tra l'ente impositore ed il contribuente e concernente l'esistenza, la misura, le
agevolazioni, la forma, i termini, i privilegi per la riscossione e comunque ogni questione che incida
sull'obbligazione tributaria e sulla sua realizzazione anche in sede di esecuzione
2
. Sul momento in
cui deve sorgere l'obbligazione tributaria si sono espressi contrastanti orientamenti dottrinali ma si
vuole ricordare quello più prevalente fornito da Giannini: il debito d'imposta nasce nel momento in
cui si verifica il presupposto di fatto, cioè la situazione di fatto cui la legge collega il sorgere del
tributo. L'accertamento, quindi, non fa sorgere l'obbligazione tributaria, ma segue la stessa con
efficacia dichiarativa; l'accertamento non è elemento costitutivo del credito d'imposta ma
1
Per approfondimenti vedi FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2007, pag.7-8; TESAURO,
Compendio di diritto tributario, Milano, 2004, pag. 3-4; GAFFURI, Diritto tributario, Padova, 2006, pag. 5-7;
2
Vedi Cass., n. 511, 10 febbraio 1975, Boll. Trib., 1975, pag. 661;
8
condizione di esigibilità del credito tributario sia per l'Amministrazione finanziaria, sia per il
contribuente che solitamente prima di esso ed indipendentemente da esso, non può pagare il suo
debito pur già sorto.
3
Quindi un soggetto che non paga o paga parzialmente un tributo in una fase successiva riceverà
un”richiamo”
4
da parte dell'ente impositore e, qualora tale soggetto restasse fermo sulle proprie
convinzioni, ad esso è riconosciuta la facoltà di proporre ricorso contro questa seconda pretesa
dell'Amministrazione finanziaria. Diritto affermato anche dagli articoli 24 e 113 della Costituzione i
quali recitano:”tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” e
“contro gli atti della pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei
diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa”. Il
ricorso dunque, è l'atto introduttivo di un giudizio, previsto nei procedimenti speciali (come quello
tributario) e nel processo di lavoro, che si differenzia dall'atto di citazione utilizzato per processi di
tipo civile. I due si differenziano per il fatto che nel ricorso la domanda è portata prima a
conoscenza del giudice e poi della controparte, viceversa che nell'atto di citazione. Il ricorso nel
processo tributario è sostanzialmente un atto di citazione con l'unica particolarità, tipica del ricorso,
della fissazione della prima udienza da parte del giudice e non della parte. Infatti nel processo
tributario il ricorso segue lo schema parte-controparte-giudice
5
e non lo schema tipico del ricorso
parte-giudice-controparte. Le funzioni principali ed essenziali che generalmente si riconoscono al
ricorso sono
6
:
1) la funzione di costituzione del rapporto processuale in contraddittorio (vocatio in ius)
7
;
2) la funzione d'individuazione dell'oggetto del processo e quindi di esercizio dell'azione (editio
actionis);
Ulteriore caratteristica del ricorso è quella di preparazione dell'udienza di trattazione e istruzione;
questa è collegata ai motivi del ricorso e all'indicazione nello stesso dell'oggetto del processo.
L'art. 18 del D. Lgs. 546/92 stabilisce che il ricorso deve essere proposto alle Commissioni
tributarie provinciali le quali hanno il compito di riesaminare nel merito il rapporto d'imposta,
trattandosi di un giudizio di impugnazione-merito e non di impugnazione-annullamento. In altre
parole “la giurisdizione dichiara legittima o illegittima, in tutto o in parte, la pretesa tributaria sul
3
Contra QUATRARO, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Boll. Trib., 2009, pag. 88;
4
Termine generico nel quale si vuol ricomprendere tutti gli atti impugnabili a norma dell'art.19 del D. Lgs. 546/92
5
Cfr. art. 20, D. Lgs. 546/1992:”il ricorso è proposto mediante notifica a norma dei commi 2 e 3 del precedente art.
16), nonché art. 22, D. Lgs. 546/1992;
6
SOCCI-SANDULLI, Manuale del nuovo processo tributario, Bologna, 1997, pag. 46;
7
Caratteristica tipica del processo civile (quindi dell’atto di citazione) ma che viene utilizzata anche dal processo
tributario dove l’attore invita direttamente la controparte a comparire all’udienza da lui stesso fissata, e solo
successivamente la controversia viene portata a conoscenza del giudice. Cfr LOIERO-BATTELLA-MARINO, Il
processo tributario, Torino, 2008, pag. 199;
9
piano sostanziale, senza necessità di revoca dell'atto proveniente dalla pubblica Amministrazione”
8
spettando successivamente all'Amministrazione finanziaria annullare o sostituire gli atti riconosciuti
illegittimi e riliquidare, disponendo, in ipotesi, il rimborso sulla base della pronuncia giudiziale
9
.
Questo a conferma del fatto che il legislatore ha voluto dare uno stampo prevalentemente di tipo
dispositivo al processo tributario lasciando pochi poteri inquisitori al giudice e nei “limiti dei fatti
dedotti dalle parti”. E' questo il principio, espressamente previsto per il processo tributario, che
costituisce il nucleo essenziale e indefettibile del sistema dispositivo; il giudice non può d'ufficio
indicare fatti rilevanti per la soluzione della controversia, e ricercarne le prove. L'allegazione dei
fatti, oggetto di prova, è monopolio delle parti, l'iniziativa è esclusa, e non può il giudice
intervenire. Altro principio utile ai fini di una decisione giudiziaria circoscritta a fatti dedotti dalle
parti deriva dall'art. 58 (D. Lgs. n. 546/92) che ammette nuove prove in appello solo se la parte
dimostra di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non
imputabile.
Da quanto sopra detto discende che, anche nel processo tributario, operano i seguenti principi:
1) la Commissione tributaria giudica in base al materiale probatorio fornitole da tutte le parti in
causa (c.d. principio di acquisizione);
2) può disporre consulenza tecnica o richiedere relazioni ad organi tecnici dell'Amministrazione
dello Stato o di altri enti pubblici, compreso il Corpo della Guardia di finanza, ma solo quando
occorre acquisire elementi giustificativi di particolare complessità;
3) può esercitare tutte le facoltà di richiesta di dati, informazioni e chiarimenti conferiti agli Uffici
tributari ed all'ente locale, da ciascuna legge d'imposta.
Tuttavia esistono due casi eccezionali in cui il giudice può disporre d'ufficio dei mezzi di prova
indicati dall'art. 7 del D. Lgs. n. 546/92: il primo si avrà quando sia necessario verificare la validità
delle prove proposte dalle parti nei casi in cui, pur avendo le stesse tentato di provare un
determinato fatto, rimangono comunque ancora dei dubbi; mentre il secondo si verificherà quando
una parte risulti impossibilitata a fornire la prova perché non nella sua disponibilità. Ritiene invece
concordemente la dottrina che, nei casi in cui vi sia stato il comportamento negligente di una parte,
il giudice dovrà astenersi dall'intervenire poiché i poteri attribuiti alle Commissioni non devono
supplire ai mancati doveri delle parti.
8
QUATRARO, op. cit., pag. 88;
9
Contra Vedi Cass., n. 3835, 9 giugno 1986, in Foro it., 1986, I, pag. 1525 che valorizzava la tesi di un giudizio
impugnazione-annullamento prevedendo che il giudice possa, qualora ritenga fondato il ricorso, annullare l'atto
impugnato;
10
1.2 Le parti
Civilisticamente perché si possa parlare di parte è necessario che in capo a questa sussista un
interesse ad agire. Questo appunto, è quello che precisa l'art 110 del codice di procedura civile
stabilendo che “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi un
interesse”. Quanto affermato può, in via di principio, valere anche per il processo tributario il quale
individua sostanzialmente la parte ricorrente e la parte resistente. La prima, quella che propone
ricorso, “deve risultare titolare di un interesse ad agire, ossia di un diritto ad ottenere
l'annullamento totale o parziale dell'atto impugnato, ovvero ad ottenere l'emanazione di un atto in
precedenza negato (impugnazione del silenzio-rifiuto)”
10
e la seconda, quella che contraddice il
ricorso, deve avere la capacità di resistere in un giudizio da altri instaurato e solidificare le ragioni
su cui si basa la propria pretesa. Attenzione però che la parte ricorrente non si identifica anche nelle
vesti di attore del ricorso; apparentemente sembrerebbe che suddetta qualifica spettasse al
contribuente, il quale, impugnando l'atto, investe il giudice della cognizione della lite ma da un
punto di vista sostanziale l'attore è, in realtà, l'ufficio. In quanto, scrive un interprete dottrinale,
“l'atto impugnato delimita i fatti costitutivi della pretesa fiscale e costituisce titolo e causa per
l'azione, appare chiaro che il ricorrente è qualificabile come convenuto sostanziale e, di
conseguenza, attore solo dal punto di vista procedimentale”
11
. Il discorso deve essere impostato in
termini diversi per ciò che concerne liti da rimborso (deducibilità di un costo o un'agevolazione
fiscale) in quanto, per orientamento consolidato della Cassazione, è il contribuente che deve dare la
prova dell'esistenza dei requisiti per beneficiare della deduzione o dell'agevolazione per cui l'attore
in senso formale e sostanziale è il contribuente, non l'ufficio come negli altri casi.
Nel processo tributario, contrariamente a quanto avviene nel processo civile, la legittimazione ad
agire o a contraddire spetta ai soggetti rigorosamente indicati nell'art. 10 del D. Lgs. n. 546 del
31/12/1992, in funzione del loro interesse ad essere parti nel rapporto giuridico processuale e del
libero esercizio dei diritti che nel processo stesso si fanno valere
12
. La scelta di dedicare un apposito
articolo all'individuazione delle parti è giustificata con il fatto che il processo tributario ha ad
oggetto particolari rapporti che originano da peculiari comportamenti (tali da incidere sulle
posizioni soggettive dei destinatari) posti in essere da una determinata Pubblica Amministrazione
(finanziaria), ovvero da particolari enti che agiscono per conto di questa (concessionari della
riscossione), ovvero ancora da enti pubblici territoriali.
10
FLESSATI, Le parti del processo tributario, Torino, 2001, pag. 29;
11
BATISTONI FERRARA, Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, pag. 30;
12
Art. 75 c.p.c. (capacità processuale):”sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei
diritti che vi si fanno valere”;
11
Parte protagonista del processo è il ricorrente in quanto titolare del diritto che nel processo viene
fatto valere e, conseguentemente, legittimato all'azione. Detto anche soggetto promotore del
processo, questi si inquadra molto frequentemente nella figura del contribuente ossia quel soggetto
debitore del tributo, sia che ricorra contro un tributo, sia che ricorra per il rimborso di somme
pagate erroneamente; in altri casi però, la veste del ricorrente è assunta da soggetti diversi dal
contribuente quali il sostituto d'imposta
13
che ha legitimatio ad caubligato per vicende inerenti al
rapporto di sostituzione o il responsabile d'imposta
14
. Seguendo la dottrina dominante, riteniamo
che soggetto legittimato a proporre ricorso in un processo tributario sia il soggetto destinatario e
notificatario di un atto impugnabile a norma dell'art. 19 del D. Lgs. n. 546. In altre parole
“l'individuazione del soggetto legittimato a proporre il ricorso deve avvenire sulla base delle
indicazioni fornite dalle singole leggi d'imposta e con riferimento ai destinatari degli atti
impugnabili, ex art. 19, D. Lgs. n. 546/1992.
In pratica, il ricorrente può dunque essere: una persona fisica in proprio; una persona fisica
obbligata per legge a dichiarare redditi altrui come se fossero propri (es:dichiarante IRPEF per i
redditi del coniuge e dei figli minori); una persona fisica in veste di sostituto d'imposta; una società
di persone, di capitali, un ente non commerciale o un associazione in proprio; una società di
persone, di capitali, un ente o un'associazione in veste di sostituto d'imposta; un patrimonio
autonomo pur non dotato di personalità giuridica, quale il condominio, il fallimento o l'eredità
giacente.
Presupposto essenziale per essere parte del processo è la capacità processuale che si riflette nella
capacità di agire consistente nella capacità di stare in giudizio da sé e di compiere validamente atti
processuali: spetta – ad esempio – a tutte le persone fisiche d'età maggiorenne. Quando un soggetto
difetta di questa capacità di agire l'esercizio dei sui diritti processuali viene fatto valere da altri, che
compiranno ogni atto processuale in nome e per conto della parte che rappresentano
15
.
Ora, vista la fattispecie comune che prevede come parti principali il contribuente e l'ente
impositore, merita un breve cenno il caso in cui a realizzare il presupposto siano
contemporaneamente più soggetti (coobligazione solidale).
A tal riguardo il legislatore ha previsto l’istituto del litisconsorzio necessario entrato in vigore con il
decreto legislativo 546/1992 poiché le legislazioni precedenti non lo prevedevano. Primo tipo di
litisconsorzio previsto dal 1°co. dell'art. 14 è quello necessario che trova la sua “ratio” nell'evitare
13
Art. 62 1°co. D.P.R. 600/1973:”Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di
altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è
diversamente stabilito in modo espresso”;
14
Art.64 3°co. D.P.R. 600/1973:”Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte insieme
con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa”;
15
Il minore è rappresentato dai genitori; l'interdetto è rappresentato dal tutore; il minore emancipato e l'inabilitato
stanno in giudizio con l'assistenza del curatore;
12
che la pronuncia del giudice sia “inutiliter data” (cioè priva di risultato pratico e utile) se non
emessa nel contradditorio di più persone vincolate da un rapporto indivisibile. “Il concetto di
inscindibilità che informa il litisconsorzio necessario si rinviene nel sistema delle impugnazioni
all'art 331 c.p.c. (che prescrive per l'appunto l'integrazione del contraddittorio in appello) e si
fonda su di un nesso di dipendenza logica tra le cause nel senso che la decisione dell'una
costituisce l'indefettibile presupposto per la risoluzione dell'altra prospettandosi un vincolo di
pregiudizialità-dipendenza che impone obbligatoriamente la trattazione unitaria della lite
16
. Il
secondo comma del suddetto articolo prevede la possibilità, o meglio il dovere, di chiamare in causa
tutti i litisconsorti se il ricorso non dovesse essere stato proposto dall'unanimità di questi. Nel
dettaglio la legge prevede che, competente ad impartire l'ordine di integrazione dei residuali
litisconsorti sia la Commissione in composizione collegiale e, qualora la parte non provveda alla
chiamata in causa delle altre parti, ciò comporterà la fine anticipata del processo e quindi estinzione
di esso per inattività delle parti. “L'omessa integrazione del contraddittorio nel termine indicato dal
giudice deve essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del processo, anche se la parte
interessata non abbia precedentemente sollevato la relativa eccezione”
17
.
Come già fatto con il litisconsorzio necessario, il legislatore tributario ha introdotto anche l'istituto
del litisconsorzio facoltativo, mutuandolo dal diritto processuale civile. L'appena richiamato istituto
si caratterizza per il fatto che, oltre alle parti obbligatoriamente chiamate in causa, possono
intervenire volontariamente o essere chiamati in causa soggetti che sono destinatari dell'atto
impugnato o parti del rapporto tributario controverso. “L'eventuale ampliamento soggettivo della
lite potrà così verificarsi solo facoltativamente mediante intervento volontario (art. 105 c.p.c.) o
chiamata in causa del terzo cointeressato (art. 106 c.p.c.) vuoi perché la decisione faccia stato nei
rapporti interni per eventuali rivalse, vuoi per proporre elementi di fatto e di diritto utili ad
adiuvandum ove la ripresa fiscale non sia ancora divenuta definitiva e salva la riunione dei
processi o la sospensione per pregiudizialità come ulteriori percorribili rimedi allorché il terzo
risulti già promotore di autonomo giudizio”
18
. Perciò i casi in cui si realizza il litisconsorzio
facoltativo sono quindi limitati dal legislatore a due sole ipotesi: quando i soggetti che interverranno
o saranno chiamati in giudizio sono insieme al ricorrente destinatari dell'atto impugnato ovvero
quando essi sono parti del rapporto tributario controverso. Infine l'ultimo comma ci ricorda che le
parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente
l'atto, se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza.
Sull'altro fronte del rapporto tributario troviamo la parte resistente che potrebbe, secondo l'art. 10,
16
GILARDI-LOI-SCUFFI, Il nuovo processo tributario, Milano, 1997, pag. 91;
17
Cass, n. 878, 28 gennaio 1994;
18
GILARDI-LOI-SCUFFI, op. cit., pag. 94;
13
assumere le vesti di Ufficio del Ministero delle finanze, Ente locale e Concessionario per il servizio
della riscossione che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto, ovvero se
l'ufficio è un centro di servizio, Ufficio delle Entrate del ministero dell'Economia e delle Finanze al
quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. Appare necessario sottolineare come la parte
resistente
19
deve essere individuata dal ricorrente con estrema precisione, rilevando siffatta
indicazione quale requisito di ammissibilità del ricorso stesso ai sensi del successivo art. 18, 2° co.,
lettera c) del D. Lgs. n. 546/1992.
Come per la parte attiva del processo, anche in capo alla parte resistente deve provarsi l'esistenza
della legittimazione ad agire (rectius: a contraddire) giudizialmente. “Alla legittimazione
sostanziale, vale a dire titolarità del credito di imposta (essendo oggetto del processo il rapporto
d'imposta), corrisponde la legittimazione formale, unica riconosciuta dall'art. 10 a commento, che
si traduce nell'avere il soggetto designato emanato l'atto che si impugna ovvero nell'essere tenuto a
pronunciarsi sopra ad un'istanza di rimborso
20
.
La prima figura che andremo ad analizzare, anche in ordine di importanza, è l'Agenzia delle Entrate
la quale si occupa dei tributi di tipo erariale (chiamata dall'art. 10 Ufficio del Ministero delle
Finanze ma ora scomparso
21
). E' un ente pubblico non economico che svolge le funzioni relative
alla gestione, all'accertamento e al contenzioso dei tributi con l'obbiettivo di perseguire il massimo
livello di adempimento degli obblighi fiscali. E' sottoposta alla vigilanza del Ministero
dell'economia e delle finanze, che ha la responsabilità dell'indirizzo politico, ed è dotata di
autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. I
rapporti tra il Ministero e l'Agenzia sono regolati dalla Convenzione triennale in cui sono indicati i
servizi da assicurare, gli obiettivi da raggiungere e le risorse destinate a queste finalità. Dal punto di
vista strutturale-organizzativo, prima della riforma esisteva la Direzione centrale, le Direzioni
regionali e poi c'erano degli Uffici periferici con una competenza territoriale variabile (normalmente
minore rispetto ad una provincia) oltre a degli uffici localizzati nelle provincie. Oggi la struttura,
secondo modifiche intervenute molto di recente, sta cambiando a discapito degli Uffici “minori”. La
Direzione centrale mantiene la sua funzione di coordinamento delle agenzie gerarchicamente
sottordinate oltre al compito di rispondere agli interpelli di carattere nazionale o rispondere ad
interpelli antielusivi ecc.. Sotto abbiamo le Direzioni regionali che oltre al compito di
coordinamento dell'azione degli uffici che stanno sotto di loro, devono altresì rispondere alle istanze
19
Vedi AMBROSETTI, Il ricorso nel processo tributario, Padova, 1999, pag. 235 che rileva come in ambito
processualtributario sia più corretto parlare di “parte resistente” e non “parte convenuta”, come accade invece nel
processo civile;
20
FLESSATI, op. cit., pag. 42;
21
Attualmente l'Agenzia delle entrate è una delle quattro Agenzie fiscali, insieme a l'Agenzia delle Dogane, l'Agenzia
del Territorio, l'Agenzia del Demanio, che svolgono le attività tecnico operative che prima erano di competenza del
Ministero delle Finanze;
14
di interpelli ordinari presentate dai contribuenti, inoltre presso le Direzione regionali sono oggi
incardinati quelli che si chiamano gli “Uffici Grandi Contribuenti”: sono degli uffici con i
funzionari che sono incaricati di effettuare il controllo e quindi sia l'attività di verifica e sia l'attività
di accertamento nei confronti delle imprese di grandi dimensioni (con un volume d'affari superiore a
cento milioni di euro). Infine abbiamo, di nuova attivazione, le Direzioni provinciali che svolgono
un ruolo più pratico ma di fondamentale importanza quale il controllo e l'accertamento dei
contribuenti; infine, all'ultimo gradino troviamo i sopravvissuti Uffici periferici ai quali però sono
relegati compiti di assistenza al contribuente quindi registrazione atti, risposte a quesiti,
informazioni generali ecc..
Per espressa previsione normativa dell'art. 10 può essere parte nel processo tributario anche l'ente
locale che ha emanato l'atto impugnato ovvero non ha emanato l'atto richiesto. Ciò discende dal
dettato normativo esplicitato dall'art 2, lettera h), il quale, diversamente da quanto accadeva sotto la
previgente disciplina, comprende nella giurisdizione delle nuove Commissioni tributarie anche le
controversie in materia di tributi comunali e locali
22
. Ne consegue che con il termine “ente locale”
si indicano, a seconda della rispettiva competenza, il Comune, la Provincia e la Regione, come del
resto già evidenziato dalla Circolare ministeriale n. 98/E del 1996.
Con una previsione del tutto innovativa rispetto al previgente decreto sul contenzioso tributario,
nell'ambito del quale, mancando una norma espressa in tal senso, si riteneva che l'azione dovesse
essere proposta unicamente nei confronti degli uffici dell'Amministrazione finanziaria, il legislatore
delegato del '92 ha riconosciuto anche al Concessionario per il servizio della riscossione l'idoneità
ad essere parte processuale ogni qualvolta sia egli stesso ad “emanare l'atto impugnato”. Oggi, la
figura del Concessionario viene ricoperto da una società chiamata Equitalia s.p.a.: è una società
pubblica per azioni i cui azionisti sono l'A.E. e l'INPS, la quale ha il compito di svolgere l'attività di
riscossione quindi di andare materialmente ad incassare le imposte; questa società, quindi, ha
compiti eminentemente esattoriali limitandosi all'emissione di cartelle di pagamento e non può che
rispondere per vizi attinenti la pura emanazione di detti atti.
Qualora si controverta in tema di atti particolari è dunque necessario chiedersi se, in presenza di una
cartella di pagamento, la cui notificazione ai sensi dell'art. 21 vale anche come notifica del ruolo, sia
sempre necessario chiamare in causa, quale parte resistente, anche il Concessionario della
riscossione o se ciò sia necessario solo in caso in cui si ritenga che la prestesa rappresentata nella
cartella di pagamento sia errata e quindi illegittima a motivo di un'azione imputabile al
22
Sull'ampliamento della giurisdizione speciale tributaria fino a comprendere “i tributi di ogni genere e specie
comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali (...)”(Comma modificato dall'art. 3 bis, D.
L. 30/09/2005, n. 203 convertito con modifiche in legge n. 248 del 2/12/2005) vedi DELLA V ALLE-FICARI-MARINI, Il
processo tributario, Padova, 2008, pag. 21;
15
Concessionario e non anche all'ufficio finanziario; quesito risolto con la Circolare ministeriale n.
98/E, la quale ha sul punto affermato che il Concessionario “è parte del processo tributario quando
oggetto della controversia sia l'impugnazione di atti a lui riferibili, nel senso che trattasi di errori
imputabili allo stesso Concessionario (errori connessi alla compilazione ed alla intestazione della
cartella di pagamento o degli avvisi di mora, alla notificazione degli stessi ecc.). Su quest'ultimo
argomento occorre richiamare anche la giurisprudenza
23
, la quale ha escluso la legittimazione
passiva del Concessionario per il servizio della riscossione quando la censura investa un atto
dell'Ufficio che aziona la pretesa fiscale. Il Concessionario quindi è, secondo tale impostazione,
legittimato a stare in giudizio solo nell'ipotesi in cui venga ritenuta fondata una censura rivolta
contro un atto da esso compiuto nell'esercizio dei propri poteri di esattore.
Prima di concludere il paragrafo vale la pena aprire una piccola parentesi sulle spese di giudizio che
il legislatore precedente, col D.P.R. n. 636 del 1972, non prevedeva. Si trattava di una lacuna che,
seppur in qualche maniera giustificabile in relazione alla possibilità concessa ai privati di difendersi
senza assistenza qualificata, ha contribuito in maniera assai accentuata al diffondersi di ricorsi
pretestuosi, volti d ottenere, puramente e semplicemente, lo slittamento dei tempi della riscossione,
in attesa magari della ricorrente “sanatoria”, od anche di appelli o ricorsi in terzo grado della P.A.
privi di fondamento sostanziale, proposti al solo scopo di garantire il funzionario da eventuali azioni
di responsabilità. L'art. 15, finalmente disciplina la materia, prevedendo la condanna della parte
soccombente alle spese del giudizio. “La condanna alle spese realizza il diritto alla tutela
giurisdizionale, quale espressione della tutela concreta ed effettiva del diritto riconosciuto in
sentenza”
24
. Questa previsione normativa obbliga la parte soccombente alle refusione delle spese
giudiziarie a favore dell'altra parte secondo le regole stabilite dall'art.91 c.p.c. non esclusa la facoltà
della Commissione tributaria di dichiarare le spese compensate in tutto od in parte ai sensi
dell'art.92 c.p.c. in caso di soccombenza parziale e reciproca ovvero per giusti motivi.
Analogamente a quanto avviene nel processo civile le spese saranno liquidate con sentenza
definitiva ivi comprese quelle già provvisoriamente anticipate per eventuali consulenze tecniche
disposte in corso di giudizio.
Il legislatore delegato ha dunque opportunamente superato rilievi – invero assai modesti – addotti
dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 196 del 24/11/1982 (ribaditi poi con numerose ordinanze
di inammissibilità della questione) per superare l'invero irragionevole disparità di trattamento
rispetto al processo civile in violazione degli artt. 3, 24, 113 Cost.
“Del resto il nuovo processo tributario si presenta oggi con struttura molto più articolata e
complessa rispetto al precedente e la ripetizione delle spese costituisce dunque il naturale
23
CTP Venezia, n. 147, 27 dicembre 1997;
24
SOCCI-SANDULLI, op. cit., pag. 33;
16
“corollario” per una efficace difesa delle parte nel riformato contenzioso”
25
.
1.3 Le Commissioni tributarie
Anche per le controversie tra Amministrazione finanziaria e contribuenti relative all'applicazione
dei tributi valgono i principi costituzionali che garantiscono la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi (artt. 24 e 113 Cost.). Ai contribuenti è dunque riconosciuta la possibilità di
sottoporre al vaglio di un “giudice” le pretese delle Agenzie erariali o degli Enti impositori (inclusa
quella di non rimborsare somme indebitamente versate) che ritengano non conformi a legge e lesive
di loro diritti o interessi legittimi. Questo giudice viene denominato dal legislatore come
Commissione tributaria della quale, grazie ad una recente modifica dell'art. 2 D. Lgs. n. 546/1992
,ha esteso la giurisdizione a controversie “aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie” nonché
“le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi ed ogni altro
accessorio” oltre ad una serie di controversie catastali, lasciando al giudice civile i soli giudizi
riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di
pagamento. Per quanto riguarda il nuovo assetto organizzativo, delle Commissione tributarie,
previsto dal D. Lgs. n. 546/1992, esse sono suddivise in:
1) Commissioni tributarie provinciali (con sede in ciascun capoluogo di provincia), giudici di
primo grado;
2) Commissioni tributarie regionali (con sede nel capoluogo di ogni regione e a Trento e
Bolzano), giudici di secondo grado;
3) Commissione tributaria centrale destinata a rimanere in vita transitoriamente al solo scopo di
concludere le controversie pendenti e comunque non oltre il 31/12/1998, ferma la possibilità di
conversione dei gravami in ricorso per Cassazione. Quindi oggi per il terzo grado di giudizio si
ricorrerà alla Corte di Cassazione.
Ognuna delle Commissioni ha un presidente e da una a più sezioni, a ciascuna delle quali sono
assegnati un presidente, un vicepresidente e almeno quattro giudici (art. 2 D. Lgs. n. 545).
Nell'ambito di queste si formano i collegi giudicanti, composti da tre votanti, presieduti dal
presidente o dal vicepresidente della sezione. Il presidente della Commissione tributaria, oltre a
presiedere la prima e l'unica sezione, ha funzioni proprie, per esempio quella di assegnare i ricorsi
alle sezioni. Le Commissioni tributarie sono inoltre assistite da uffici di segreteria (art. 30 ss., D.
Lgs. n. 545).
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GILARDI-LOI-SCUFFI, op. cit., pag. 97;