3
Quando, nel marzo 1927, i due partiti socialisti (P.S.I.
e P.S.U.L.I.), il Partito Repubblicano, la Lega Italiana per i
Diritti dell’Uomo e la C.G.I.L., diedero vita a Parigi alla
Concentrazione d’Azione Antifascista, è certo che tra i propositi
politici che essi posero all’ordine del loro programma, quello
di influenzare le relazioni diplomatiche intercorrenti tra Italia e
Francia fu uno dei più importanti.
Essi tentarono in vari modi di isolare l’Italia dal
contesto delle nazioni europee democratiche, non solo e non
principalmente attraverso il loro organo ufficiale “La Libertà”,
ma anche attraverso contatti personali con personaggi politici
francesi e non. Essi riuscirono ad avere, almeno fino ad un
certo periodo, contatti stretti con la S.F.I.O., tanto che un
deputato socialista, Renaudel, si può dire che fosse la voce
amica dei fuorusciti italiani nel parlamento francese.
Lo stesso Herriot, almeno fino al 1932, dimostrò più
che simpatia per i proscritti italiani, tanto che egli era solito
invitare i politici italiani presenti ai congressi radico-socialisti a
4
sedere alla presidenza del congresso stesso, ed a dire, in uno
di questi congressi rivolto a Luigi Campolonghi, presidente
della L.I.D.U.: “(…) Io saluto Luigi Campolonghi. La nostra
amicizia e il nostro aiuto si sforzeranno di fargli scordare
quello di cui lo priva l’esilio. Senza dubbio, noi ci guarderemo
dall’immischiarci nella politica interna dell’Italia. Tuttavia noi
abbiamo diritto di restare fedeli ai nostri amici e di salutarli in
Italia, in Spagna, nel Portogallo, dovunque un velo copre la
statua della Libertà. E assicuro che la democrazia francese
saprà spendere tutto il suo credito politico per tutelare il diritto
d’asilo dei proscritti.”
1
Certo, ci sarebbe da obiettare ad Herriot,
quanto un popolo possa disporre di se stesso se poi, come egli
dice, ‘un velo copre la statua della Libertà politica’. Ma nelle
parole di Herriot ci sono un po’ tutti i motivi che regolarono i
rapporti tra i fuorusciti italiani ed i governanti francesi, di
destra o di sinistra che essi fossero.
1
“LA LIBERTA”. 21 aprile 1929. “Herriot e i proscritti”.
5
I politici francesi mai prestarono orecchio ai consigli
che i profughi politici italiani (anche se gli italiani non si
ritennero mai profughi ma, appunto, fuorusciti
2
diedero loro,
riguardo ai rapporti che essi avrebbero dovuto tenere con il
Duce.
Ma allora perché, se i governi francesi non si lasciarono
influenzare dai politici italiani presenti in Francia, Mussolini,
almeno fino al 1929, si preoccupò così tanto di essi e delle loro
azioni, al punto che la sua corrispondenza al proposito con gli
ambasciatori in Francia, Camillo Romano Avezzana prima,
Gaetano Manzoni poi, fu così fitta da arrivare ad un certo
punto ad uno scambio frequentissimo di telegrammi,
richiedenti proteste contro le autorità francesi che, secondo il
Duce, non erano abbastanza ferme contro i fuorusciti?
3
Era
solo paura di possibili attentati che i fuorusciti avrebbero
potuto organizzare contro la sua persona? O era qualcos’altro
2
“Noi diciamo che abbiamo alzato volontariamente questa bandiera”. Testimonianza di Aldo
Garosci all’autore.
3
Vedi D.D.I. Settima serie. 1922-1935. ROMA. 1952.
6
di più politico legato alle richieste che Mussolini in quel periodo
avanzava verso la Francia? Si tratterebbe, in pratica, di
appurare se il Duce, per aumentare il sue peso contrattuale
nei confronti dei francesi, ‘utilizzò’ a tal scopo i fuorusciti.
Abbiamo chiesto ad Aldo Garosci, il quale, oltre che
studioso, fu partecipe diretto di quella storia, se fosse vero che
i fuorusciti furono strumentalizzati da Mussolini, se essi
ebbero, quindi, una rilevanza passiva nei rapporti diplomatici
tra i due paesi alpini.
Garosci ci ha risposto: “Da un lato era così, ma da un
altro lato era anche vero il contrario: ossia che il fuoruscitismo
italiano rappresentava una forza non grandissima, ma
notevole, che aveva dei buoni capi, e riusciva, effettivamente,
ad influenzare l’uno e l’altro paese. Quindi non è che essi
fossero solo strumentalizzati e strumentalizzavano, c’era
coscienza precisa del compito da essi assunto.
Per quanto riguarda i fuorusciti italiani, c’era l’idea di
riprendere in terra straniera, in un modo o nell’altro, la
7
battaglia che era stata perduta sul terreno strettamente delle
armi con Mussolini. Da parte, invece, dei governanti stranieri,
c’era l’idea che essi avrebbero finito per servirsi dei fuorusciti.
Ma, insomma, gli uni e gli altri erano in realtà indipendenti”.
4
Nella nostra ricerca, condotta principalmente presso
l’Archivio Centrale dello Stato in Roma, e presso l’Archivio del
Ministero degli Esteri italiano, cercheremo di analizzare, oltre
che la rilevanza effettiva che i fuorusciti italiani ebbero nei
rapporti tra Italia e Francia, anche i motivi reali che erano
dietro le paure, vere o meno, di Mussolini verso il movimento
dei fuorusciti.
4
Testimonianza resa da Aldo Garosci all’autore.
8
C A P I T O L O I
L’EMIGRAZIONE ITALIANA IN FRANCIA NEGLI ANNI VENTI
- Cause
- Consistenza del fenomeno
- Valore dell’emigrante per il fuoruscitismo e per il fascismo
9
CAUSE
L’emigrazione italiana in Francia fu un fenomeno che
non apparve improvvisamente negli anni venti: la via francese
dell’emigrazione italiana aveva tradizioni storiche secolari.
Esso aveva delle ragioni economiche prima di tutto, e, a
seconda dei periodi storici, anche delle ragioni politiche; così
come nel Risorgimento la Francia fu suolo amico per i rifugiati
politici italiani, così essa si avviava ad esserlo nel periodo
storico caratterizzato in Italia dal fascismo.
I motivi che spingevano gli emigrati italiani a scegliere la
Francia come terra di lavoro erano prettamente pratici. Intanto
la vicinanza con l’Italia, poi la presenza in Francia di familiari o
conoscenti che assicuravano un relativamente facile
inserimento, aspetti non secondari erano anche l’affinità della
lingua italiana e francese e degli usi e costumi dei due paesi.
Ma, naturalmente, il motivo principale che spinse negli
anni venti gli italiani a stabilirsi in Francia, fu determinato dalla
facilità con la quale essi riuscirono a trovare lì un lavoro: “La
10
Francia era un paese scarso di manodopera, ed ogni operaio,
da qualunque parte del mondo vi immigrasse, vi trovava
occupazione senza ritardo e a buoni patti”.
5
La Francia era un paese da ricostruire, in senso
letterale, dopo la guerra, e gli italiani erano maestri in edilizia;
a fianco dell’agricoltura, essa fu il campo principale di lavoro
per i nostri emigrati.
Vi era poi, in quel periodo in Francia, una forte
contrazione demografica, causata oltre che dalla riduzione
delle nascite, anche dai quasi due milioni di morti in guerra; il
presidente del consiglio Paincarè, ai primi del 1927,
rispondendo in Parlamento ad un’interpellanza socialista sulla
disoccupazione, fece presente che in Francia vi erano un
milione e mezzo di lavoratori stranieri, che compensavano,
però, la perdita di uomini che c’era stata in guerra, il rimedio
5
Gaetano SALVEMINI. Memorie di un fuoruscito, MILANO. 1960, p. 51.
11
non era dunque, egli disse: “la xenofobie et la restricion des
immigrations des travelleurs”.
6
Tutto faceva sì, dunque, che gli italiani scegliessero la
Francia come suolo d’emigrazione e che essi fossero ivi ben
accolti.
CONSISTENZA DEL FENOMENO
Ma che consistenza aveva il fenomeno? E in che misura
le ragioni politiche si inserivano nelle cause che spingevano gli
italiani all’emigrazione?
Dall’annuario dell’Istituto Centrale di Statistica Italiano,
7
risulta che se nel 1921 le emigrazioni italiane in Francia
furono, rispettivamente, circa la metà ed un terzo di quelle
dell’Europa intera e dei paesi non europei, (esse infatti
ammontarono a 44.782 per il primo dato ed a 84.328
∗
e
116.963 per gli altri due), nel 1922 i dati relativi alla Francia
6
Edouard BONNEFOUS. Historie de la troisiéme republique. Vol. 4. PARIS. 1973, p. 205.
7
ISTAT. “Annuario Statistico Italiano, 1944-48”, serie V. ROMA; 1949, I, p. 49.
∗
compresa la Francia
12
raddoppiarono (99.464), mentre nel resto d’Europa e nei paesi
non europei essi rimasero sostanzialmente immutati.
Nel 1923 si ebbe una cospicua impennata del dato
relativo alla Francia. Le emigrazioni in terra d’oltralpe
divennero quasi quattro volte superiori (167.982) a quelle di
soli due anni prima, mentre aumentarono visibilmente anche
quelle in paesi non europei (da 125.716 del 1922 esse
passarono a 184.684 nel 1923), nonostante gli Stati Uniti
avessero imposto delle restrizioni alle immigrazioni.
I dati si stabilizzarono su queste cifre fino al 1926, per
poi ridiscendere fino al 1929 e riavere una breve impennata, a
causa della grande crisi, nel 1930.
Da tutto ciò si potrebbe ricavare la facile conclusione che
l’emigrazione degli anni subito successivi alla marcia su Roma
dell’ottobre 1922, ebbe principalmente delle ragioni politiche.
Ma ciò fu vero solo in parte. Non è possibile avere dei
dati precisi sull’incidenza dell’emigrazione politica nel contesto
dell’emigrazione in generale della prima metà degli anni venti,
13
ma da alcune notizie possiamo avere, comunque, una risposta
parziale.
Dalle carte provenienti dall’Ambasciata italiana a Parigi e
conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma,
risulta che in realtà coloro i quali svolgevano attività politica
all’interno della colonia italiana, erano pochissimi. Gli italiani
espatriati in Francia volevano lavorare e vivere in modo
tranquillo.
Sull’entità numerica di coloro che si erano allontanati
dall’Italia per motivi politici potremmo concordare,
approssimativamente, con uno storico che si è occupato del
problema,
8
che fa ammontare a circa il 10% dei 760.116
italiani residenti in Francia, secondo il censimento francese del
1926, il numero di essi.
D’altro canto l’esiguo numero degli iscritti italiani ai
sindacati della manodopera straniera (Confederazione
Generale del Lavoro Unificata), dà ragione alla tesi.
8
Fedele SANTI. Storia della Concentrazione Antifascista, MILANO. 1976, p. 8.
14
Essi, secondo una relazione fiduciaria inviata alla polizia
fascista in Francia da parte di una spia appartenente alla
segreteria del Partito Comunista Italiano
9
, ammontavano a soli
35.000. I lavoratori italiani in Francia erano, quindi, una
massa poco politicizzata.
VALORE DELL’EMIGRANTE PER IL FUORUSCITISMO E PER IL
FASCISMO
Ai lavoratori italiani in Francia furono interessati, per
motivazioni diverse, sia le organizzazioni politiche italiane
antifasciste presenti lì, sia il fascismo stesso, attraverso i fasci
e le varie organizzazioni dopolavoristiche e di assistenza create
da esso.
Il motivo che spingeva gli antifascisti a far sì che i
lavoratori italiani fossero sensibilizzati al problema politico del
9
Ambasciata a Min. Interni, 24-8-’25. A.C.S., Min. Interno, Dir. Gen. PS, A.g.e r., 1925 b. 130
Movimento Sovversivo.
15
fascismo ed eventualmente aderissero alle loro organizzazioni
è ovvio (essa era una delle ragioni della loro esistenza).
Essi non riuscirono mai, però, come si è già
accennato e come si vedrà meglio in seguito, a creare delle
organizzazioni di massa, che avessero al loro seguito un
cospicuo numero di aderenti. Si pensi che la maggiore
organizzazione antifascista presente in Francia, la
Concentrazione, nel 1928, anno in cui la presenza dei
lavoratori italiani in Francia fu altissima, non raggiunse, fra i
suoi aderenti, che un numero di poco superiore ai 10.000; così
risulta da un’informazione che un membro stesso della
Concentrazione (una spia) diede all’ambasciata italiana.
10
Dalla parte fascista i motivi politici che spingevano le
autorità a ricercare un contatto con la massa degli emigrati
erano, chiaramente, uguali ed opposte a quelle degli
antifascisti; esse non volevano che i lavoratori italiani
10
Ambasciata a Min. Interni, 22-9-’28. A.C.S., Min. Interno, Dir.Gen.PS, A.g. e r., 1928, b.
180. Concentrazione.
16
potessero divenire potenziali antifascisti ed oppositori, perciò,
del regime.
Ma vi erano anche altre ragioni più direttamente
concernenti la politica internazionale dei rapporti fra l’Italia e
la Francia. Al regime fascista faceva comodo che una gran
massa di lavoratori italiani emigrasse in Francia, in questo
modo esso sperava di alleviare quello che poteva essere il
problema della disoccupazione in Italia e di creare, così, una
valvola di sfogo alle tensioni sociali.
L’ambasciata italiana a Parigi era consapevole di ciò e
teneva continuamente informato della situazione il Ministero
degli Esteri, come, a titolo esemplificativo, in un rapporto sulla
situazione di politica interna in Francia, inviato nel luglio 1926,
nel quale, dopo aver delineato l’instabilità economica e politica
della Francia, si dice: “Ponendo mente a queste realtà è
agevole comprendere che quando si parla di un avvenire
incerto della Francia non si esagera. Ho creduto mio dovere
informare V.E. della situazione interna della Francia, quale