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INTRODUZIONE
Di tanto in tanto la cronaca ci narra di situazioni disperate, vite
al limite della sopravvivenza, eventi drammatici o straordinari, tutti
riconducibili a quel mondo dai contorni indefiniti che è quello dei
senza fissa dimora.
Ma chi sono queste persone? Cosa sappiamo realmente di loro?
A volte sembra che nei confronti di questi soggetti l'indifferenza
prenda il sopravvento, i 'barboni' sono diventati soprammobili che
non si notano più, fanno parte di un arredamento e la gente spesso
sembrerebbe accorgersi della loro esistenza solamente quando
pensa che il tale dal corpo malconcio deturpa l'ambiente cittadino.
La nuova povertà è costituita da persone che, probabilmente,
prima erano ragionieri, commercianti, camionisti, magazzinieri,
operai ecc., in poche parole, “persone nomali”. Forse non si
sarebbero mai immaginate di arrivare a tal punto. Eppure succede!
Può succedere a tutti se si verificano determinate rotture che
innescano un circuito spesso senza ritorno.
Forse troppi hanno ancora, delle persone senza fissa dimora,
un'immagine o di clochard che hanno scelto una vita libera lontana
dagli schemi che la società ci impone, o di fannulloni che non
hanno voglia di fare nulla e si accontentano di vivere alla giornata.
Alcune ricerche hanno invece evidenziato che le persone senza
dimora sono coloro che hanno perduto nel corso del tempo i legami
sociali significativi, che si trovano in precarie condizioni materiali di
esistenza e che hanno abbandonato l'uso prevalente dell'abitazione.
Rotture biografiche più o meno grandi hanno contraddistinto
l'esistenza di queste persone: dalla morte di un figlio alla
separazione coniugale, dal vizio del gioco a quello dell'alcool e della
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droga, da problemi con la giustizia alla perdita del lavoro. Piccoli o
grandi drammi che hanno contribuito passo dopo passo a far
intraprendere al soggetto una spirale senza fine, una carriera da
'barbone' che comincia con l'annullamento dei legami familiari, poi
con quelli amicali ed infine lo si trova a dormire sotto un cartone o
alla mensa per mangiare un pasto caldo.
La perdita di una rete di sostegno familiare e sociale può
condurre un soggetto svantaggiato a diventare una persona senza
fissa dimora. Le persone che arrivano a diventare dei “senza
dimora”, sono spesso persone con fragilità psichiche, anziani
abbandonati, giovani disadattati, depressi alcolisti, immigrati con
difficoltà.
La scelta di affrontare tale fenomeno in questo lavoro, nasce
dall‟esperienza di volontariato da me vissuta nel corso di questo
anno presso la Missione di Speranza e Carità di Palermo. Tale
esperienza non ha sortito semplicemente l‟effetto di rendermi
sensibile al “fenomeno” ma anche di mettermi a confronto con una
Palermo diversa, quella della notte, fatta di panchine, solitudine,
miseria, di persone derise, evitate, giudicate.
Di fronte a tali persone, al cattivo odore che spesso emanano,
agli stracci di cui vestono, di domande me ne sono poste.
Ecco che nasce il desiderio di approfondire il fenomeno, di
consultare testi, articoli ed altro, per saperne di più, soprattutto,
sulle ragioni che portano una persona a divenire “barbone”.
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1. EMARGINAZIONE
1.1 Emarginazione: un concetto complesso
Pensando all‟emarginazione, viene subito in mente tutta una
serie di persone o “categorie sociali” che istintivamente si associano
e si mettono ai margini della società. Il termine stesso di
“emarginazione” è stato usato nella nostra lingua con un significato
del tutto diverso da quello che ha ora, ma che può essere utile
riprendere per fare una riflessione: emarginato era, infatti,
l‟annotazione compiuta sul margine delle pratiche amministrative
e, ci ricorda un dizionario del 1971
1
, era importante per condurre a
buon fine tali pratiche.
È solo col tempo che questo termine viene usato per indicare la
persona “esclusa dalla consuetudine di un rapporto umano, o di
classe (o di gruppo) sociale relegata in una condizione di avvilente
inferiorità sul piano economico, spirituale, intellettuale”
2
, una
persona che viene messa ai margini, o addirittura esclusa, dalla
vita sociale in quanto limitata “fisicamente, psichicamente,
culturalmente, ecc. in qualcuna delle capacità o delle
caratteristiche proprie degli appartenenti a un dato tipo di
società”
3
.
Riprendendo la prima definizione, si può idealmente
immaginare la società come un foglio, ai cui margini però non sono
1
Vedi voce “Emarginato” in Devoto, Giacomo Oli, Gian Carlo (a cura di), Dizionario della
lingua italiana 12^ ristampa 1980, Le Monnier, Firenze, p.793
2
Voce “Emarginato” in Devoto, Giacomo Oli, Gian Carlo (a cura di) Vocabolario della
lingua italiana 8^ ristampa 1985, Le Monnier, Bergamo, p.393
3
Voce “Emarginato” in Dogliotti, Miro Rosiello, Luigi (a cura di), Il nuovo Zingarelli.
Vocabolario della lingua italiana 11^ ed., Zanichelli, Milano 1984, p.641
4
più annotati degli elementi utili per la pratica, ma ciò che dal foglio
si vorrebbe togliere, cancellare.
In latino margo è l‟orlo, la sponda, il confine, ed il suffisso e- ex-
indica l‟essere fuori; quindi, emarginato, è chi è fuori dal confine,
dal margine: si è addirittura oltre il bordo della pagina. Per i greci il
diverso era chi non era cittadino, lo straniero è il βάρβαρος, il
barbaro, colui che è diverso e non fa parte della πόλις, della città: la
sua diversità lo porta a non essere totalmente uomo
4
.
1.2 Gli emarginati: chi sono?
Se trovare una definizione di emarginazione è relativamente
semplice (basta infatti consultare qualche buon dizionario), il
discorso comincia ad essere più complesso nel momento in cui si
voglia individuare chi sono quelle persone che concretamente
corrispondono alla descrizione data.
Infatti dalle definizioni di emarginazione, si possono
individuare numerose categorie di persone emarginate, alcune che
corrispondono ad un cliché più comune, che tende ad identificare
gli individui al margine nei “miserabili” (i poveri, i senza fissa
dimora, gli extracomunitari, i malati psichici, le prostitute, i
carcerati, gli omosessuali, gli zingari, i tossicodipendenti…), ed
altre che invece possono essere ritenute più vicine alla società, ma
che comunque possono rientrare nelle definizioni di emarginazione
(i malati, gli anziani, i religiosi di clausura, i disoccupati, gli
handicappati, i bambini, gli eremiti…).
4
Vedi Bucciarelli, Claudio, Io tu gli altri. La differenza: ostacolo o valore? domande dei
giovani a cura di Paola Springhetti, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma 1996,
p.103
5
Ma cercando di scendere più in profondità e vedere quali
caratteristiche sono state attribuite agli emarginati, ci si può
rendere conto di come non sia così chiara ed univoca una
definizione.
In un testo del 1975, si trova scritto che gli emarginati “sono
tutte quelle persone che, a causa dell‟impostazione classista e
perciò selettiva dell‟attuale società, si trovano in una situazione di
assoluta e grave mancanza di mezzi economici necessari per vivere,
con tutto quel che ne deriva: carenza dell‟alimentazione, abitazione
insufficiente o sovraffollata, analfabetismo, ecc.”, per cui gli autori,
forse in maniera troppo radicale, individuano gli emarginati nel
sottoproletariato, ancora in grado di inserirsi in attività produttive
(disoccupati, sottoccupati e lavoratori a domicilio) o, per condizioni
soggettive, fuori dalla produzione e dall‟organizzazione capitalistica
del lavoro (pensionati, invalidi, handicappati).
L‟emarginazione quindi sarebbe la conseguenza di una
condizione di pauperizzazione tipica del sottoproletariato, classe
improduttiva e incapace di reagire alla propria situazione
5
. Nel
Nuovo dizionario di Pedagogia delle edizioni Paoline, oltre alla
sottolineatura che l‟emarginazione ha solitamente connotati
negativi, emerge il fatto che il diverso e l‟emarginato sono i
principali attori della propria condizione di contrapposizione alla
società, infatti emarginato “è colui che non si è saputo o voluto, per
i motivi più svariati, conformare, colui che persegue una
5
Vedi De Sandre, Italo “La costruzione sociale dell‟emarginazione: proposte per una
analisi sistematica dell‟emarginazione” in Quelli che non contano. Materiali di studio
sull’emarginazione sociale Collana Documentazione di Servizio Sociale n.19, Centro Studi
Zancan, Padova 1978, pp.124-135
6
concezione del mondo o un ideale che contraddice la cultura
egemonica e dominante”
6
.
Nelle due concezioni del termine (emarginazione come
discostarsi dal conformismo della società ed emarginazione come
diversità necessaria per essere quel che si è) vi è una sola visione di
emarginazione attiva
7
, in cui non emergono chiaramente alcune
delle cause non imputabili all‟emarginato stesso.
Un differente approccio
8
è quello di chi individua più forme e
cause di emarginazione, che nei singoli casi possono presentarsi in
maniera isolata o intrecciarsi ed accumularsi (formando quelli che
in servizio sociale vengono chiamati “casi multiproblematici”). Si
sottolinea come sia la diversità a portare diffidenza ed ostilità – in
quanto l‟immagine del diverso viene fatta coincidere con il negativo
– ed essere quindi causa di discriminazione ed emarginazione.
Esemplificando vengono individuate le seguenti forme di diversità:
fisica (handicappato, minorato, malato…);
razziale (nero, ebreo, emigrato…)
9
;
sessuale (omosessuale, transessuale, pedofilo…);
mentale (psicopatico, depresso…);
per età/generazionale (anziano, bambino…);
territoriale (meridionale, contadino, straniero…);
professionale (chi fa un lavoro “sporco” o molto umile…);
6
Michelin-Salomon, Antonio (1982) voce “Emarginazione” in Flores d‟Arcais, Giuseppe (a
cura di), Nuovo dizionario di pedagogia Edizioni Paoline, Roma 1942, p.405
7
Vedi paragrafo1.6
8
Si fa qui riferimento principalmente ai seguenti testi: Osservatorio della Gioventù
Universitaria Salesiana di Roma (a cura di), Emarginazione e associazionismo giovanile.
Emarginazione, disagio giovanile e prevenzione nella società italiana dal 1945 ad oggi
Ministero dell‟Interno, Roma 1990, pp.328 e Sarpellon, Giovanni, Dentro e fuori la
società. Emarginazione e stato sociale domande dei giovani a cura di Paola Marchetti,
Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma 1998, p.144
9
Secondo alcuni può essere poco corretto l‟uso del termine “razza”, in quanto numerosi
studiosi concordando nel dire che le razze non esistono: affermano “che non vi è mai
stata una «razza pura» e che, al contrario, le mescolanze sono state tante e tali da
rendere illusorio ogni tentativo di classificazione” (Bucciarelli, op. cit. p.103).
7
culturale (analfabeta, chi non sa esprimersi…).
A queste forme di diversità se ne possono aggiungere altre:
economica-sociale (povertà, accattonaggio…);
occupazionale (disoccupazione, precarietà lavorativa,
cassaintegrazione…);
comportamenti devianti (tossicodipendenza, criminalità,
alcolismo…);
abitativa (senza dimora, sfrattati, abitazioni insalubri…);
relazionale (solitudine, isolamento…);
stato civile (donne sole, madri nubili…)
apparenza esteriore (brutti, grassi, bassi, troppo alti…)
10
.
Queste caratteristiche risultano essere non solo causa
dell‟emarginazione, ma spesso anche effetto, in quanto la
condizione iniziale già svantaggiata può frequentemente e
progressivamente provocare ulteriori bisogni e difficoltà alla
persona
11
.
Da quanto fino a qui detto può apparire evidente l‟eccezionalità
del fenomeno che, per quanto diffuso sembra toccare per lo più casi
“limite” o segnati da determinate condizioni: possono verificarsi
fenomeni di emarginazione anche all‟interno di situazioni “normali”
e comuni; ciò può accadere ad esempio proprio nell‟ambito
10
Per quanto si possa pensare che il “bello” sia un concetto assolutamente soggettivo, e
che pertanto non si può individuare con obiettività una persona come brutta, è vero
anche che alcune persone che si considerano e vengono da molti considerate brutte –
perché grasse, basse o troppo alte, con un brutto profilo, strabiche o non si sa nemmeno
il perché – si trovano a vivere in sofferte situazioni di emarginazione. Vedi Paterlini,
Piergiorgio (1994) I brutti anatroccoli. Dieci storie vere , Baldini&Castoldi, Milano 1998,
pp.94
11
A questo proposito Sarpellon presenta dei brevi e chiari schemi esemplificativi di
possibili percorsi di emarginazione (vedi Sarpellon, op. cit. p.63).