7
Non sorprende perciò che i discorsi dei giuristi fossero destinati a cambiare, così
come lo stesso lessico, che vede in rapida successione passare da una denominazione del
fenomeno come “concubinato”, a “convivenza more uxorio”, nonché “famiglia di fatto”
come ora si è soliti chiamare il convivere come coniugi. In questa fase di transizione da un
vecchio ad un nuovo approccio al fenomeno una tappa significativa è costituita dallo
storico convegno di Pontremoli del 1976. Allora centrale era la preoccupazione di
individuare i principi su cui fondare il “riconoscimento” della famiglia di fatto da parte
dell’ordinamento, di passare cioè dalla sua discriminazione alla sua tutela in quanto
“formazione sociale in cui si svolge la personalità umana”.
Da questo punto di vista, è oramai opinione diffusa che, mentre l’art. 30 Cost. tutela
la funzione educativa dei genitori nei confronti dei figli nati nel o fuori dal matrimonio e
l’art. 29 Cost. tutela la famiglia legittima (in forma privilegiata ma non esclusiva), più in
generale, l’art. 2 Cost. protegge ogni formazione sociale in quanto effettivamente capace di
corrispondere alle esigenze di crescita ed affermazione personale, di soddisfacimento dei
bisogni spirituali e materiali delle persone che la compongono, tra cui la famiglia di fatto
certamente rientra.
Da tempo ormai argomenti di questo tipo si rinvengono nelle motivazioni delle
sentenze. E’ la stessa Corte di Cassazione, a partire dalla rilevante pronuncia del 1977, n.
556, ad accedere all’idea della famiglia di fatto come formazione sociale “riconosciuta”
dall’ordinamento. La formula secondo la quale l’ordinamento, anche a livello
costituzionale, “riconosce” la famiglia di fatto, se da un lato ha avuto una forte valenza,
anche ideologica, quando si è trattato di rimuovere odiose forme di discriminazione
(autentici pregiudizi nei confronti della stessa), dall’altro ha talvolta dato luogo all’equivoco
che “riconoscimento” potesse significare “uguaglianza”. Vale a dire che una volta
riscontrato nell’ordinamento un positivo apprezzamento per la famiglia di fatto, da ciò
potesse desumersi una necessaria e meccanica parificazione alla famiglia legittima.
Viceversa non sfuggono le differenze tra l’una e l’altra realtà: occorre infatti rispettare le
specificità del rapporto coniugale che trova solo nel matrimonio il proprio fondamento;
così come occorre rispettare la libertà di chi ha scelto di vivere al di fuori di schemi legali e
di vincoli formali.
I problemi giuridici della famiglia di fatto nascono proprio da questa esigenza di
misura: offrire ai rapporti che si sviluppano al suo interno e verso i terzi una disciplina
adeguata, che tuteli le esigenze personali nel rispetto delle specificità che
contraddistinguono il fenomeno. E’ questo il compito cui attendono dottrina e
giurisprudenza. Ad esse di poco ausilio è la normativa del codice civile e delle leggi
speciali, perché se è vero che queste ultime (specie in materia di assistenza) fanno
sovente riferimento alle “coppie” anche non coniugate, è anche vero che si tratta di una
normativa frammentaria e specifica che poco aiuta nel tentativo di costruzione
sistematica dell’istituto. Attualmente è principalmente all’opera della giurisprudenza che
si deve l’elaborazione di regole e di principi sui quali fondare una disciplina della famiglia
di fatto ed è per questo che da più parti si sollecita un intervento del legislatore che, pur
senza perdere di vista la differenza con la famiglia fondata sul matrimonio, ponga mano
ad una regolamentazione essenziale e “leggera” della stessa.
8
Capitolo 1 – Paragrafo1
DATO SOCIALE E RICOSTRUZIONI DOTTRINARIE
In questi ultimi decenni, accanto al modello normativamente tracciato dalla legge 9
maggio 1975, n. 151, è emerso nella realtà sociale un diverso fenomeno familiare che
propone un modello alternativo alla famiglia, il riferimento è specificatamente alla
cosiddetta libera unione, nota anche come convivenza more uxorio (lett. “a ‘mo di moglie”),
vale a dire l’unione di un uomo e di una donna di stato libero, che pur concretandosi in
comportamenti corrispondenti all’attuazione di quelli che nell’ambito della famiglia tout
court costituiscono i diritti e i doveri propri dei coniugi, è contraddistinta dalla non totale
conformità allo schema legale del nucleo familiare legittimo perché o del tutto privo
dell’elemento formale della celebrazione del matrimonio (art. 106 c.c.), oppure perché
fondata su un atto formale non rilevante per l’orientamento giuridico quale ad esempio un
matrimonio celebrato davanti al ministro del culto cattolico cui non sia seguita relativa
trascrizione nei registri dello stato civile (art. 5 legge 847/29 e successive modificazioni).
V’è da dire in ogni caso che l’indicato fenomeno, che nell’anno 1998 riguardava
340.000 coppie dichiarate (
1
), non è esclusivo dell’attuale momento storico. Uno sguardo
al passato (
2
) pone, infatti, in luce la rilevanza dell’unione extra-matrimoniale attraverso il
tempo, rilevanza segnata da alterne vicende che passano da una valutazione di biasimo sia
sociale che giuridico di condanna dell’ordinamento per queste relazioni extra-coniugali,
anche se instaurate tra soggetti liberi da vincoli matrimoniali, ad altra valutazione che si
risolve in una totale indifferenza o tolleranza almeno rispetto a quelle non adulterine.
La stessa terminologia utilizzata per definire il fenomeno, consente di evincere le
diverse prospettive con le quali si è osservato il medesimo in termini di sfavore o di
riconoscimento.
Come ricorda il DE LUCA (
3
): « Prima ancora che fosse definita convivenza more uxorio,
l’unione libera tra due persone ha trovato una sua codificazione nel termine
“concubinato”. L’espressione, che pure indicava un delitto contro il matrimonio (art. 560
c.p.), e costituiva causa di separazione per colpa, veniva significativamente usata anche per
definire la relazione tra due persone tra loro non coniugate.
Il modello familiare era fondato su una rigida struttura gerarchica, ove dominava la figura
del marito, la cui autorità era assicurata dalla potestà maritale e dalla patria potestà.
L’indissolubilità del vincolo creava una struttura chiusa in cui il matrimonio, legato alla
tradizione cattolica, rafforzata anche dal Concordato, costituiva il momento centrale al di
fuori del quale nulla rilevava, se non come sanzione o sfavore, nemmeno nei confronti dei
(
1
) Dati ISTAT, in Note per la stampa, del sito ISTAT su Web. I dati forniti contenuti nel volume “Famiglia, soggetti sociali e
condizioni dell’infanzia” relativi all’anno 1998 rilevano che, su un totale di 21 milioni e 211 mila famiglie, ben 4 milioni e 594
mila (21,7%) di esse sono composte da persone singole; 555 mila sono le famiglie ricostituite (aventi cioè una precedente
esperienza coniugale) e di queste 192 mila convivono more uxorio; mentre 148 mila sono le unioni libere di celibi e nubili.
Complessivamente le libere unioni dichiarate ammontano a 340 mila, pari al 2,3 % del totale (con punte del 3,7 % nel Centro-
Nord ).
(
2
) Per l’analisi, nella prospettiva storica, della rilevanza giuridica in negativo ed in positivo della convivenza more uxorio ovvero della
sua tolleranza muovendo dai diritti pre-romani fino alle codificazioni del 1865 e del 1942 vedi F. D’ANGELI, La famiglia di fatto,
Milano, 1989, pp. 24– 151.
(
3
) G.DE LUCA, La famiglia non coniugale, Cedam, 1996, pp. 5 ss.
9
figli. L’espressione concubinato, che trova riscontro in alcune pronunce giurisprudenziali,
aveva, dunque, anche una valenza negativa verso le unioni non istituzionalizzate.
La formula convivenza more uxorio che sostituisce l’altra (concubinato) evoca una
connotazione neutra del fenomeno: si fa riferimento, in questo caso, alla consuetudine di
vita in comune, prescindendo di solito dalla presenza di figli, secondo modalità e
comportamenti assimilabili a quelli propri dei coniugi.
E’ questa l’espressione che trova la maggiore fortuna presso la giurisprudenza, giacché
indica un fenomeno informato a criteri di libertà e di volontà dei suoi componenti, che si
esaurisce nell’ambito dell’autonomia privata: l’ordinamento, infatti, non la regolamenta, né
la Costituzione riconosce altri tipi di organizzazione familiare oltre quella fondata sul
matrimonio.
Nessun valore giuridico continua a darsi alla convivenza, benché alcune pronunce
giurisprudenziali comincino a riconoscere, in alcuni settori e a limitati fini, la rilevanza della
stessa convivenza more uxorio. Il riconoscimento del fenomeno non implica, comunque,
una sua rilevanza nell’ambito della normativa familiare in senso stretto: la realtà della
famiglia legittima riveste un ruolo di centralità, cui la convivenza more uxorio non può
essere nemmeno lontanamente equiparata. Non a caso il riconoscimento e gli effetti che la
convivenza produce per le persone che ne fanno parte non sono mai raffigurati in
un’ottica familiare, ma sempre e solo ispirati a situazioni contingenti e non generalizzabili,
e tutt’al più di carattere individuale.
L’atteggiamento verso il fenomeno della convivenza muta in relazione ai mutamenti che
l’intero impianto della famiglia subisce a partire dagli interventi della Corte Costituzionale,
nel corso degli anni ’60, tendenti a revisionare i rapporti familiari e quelli coniugali, in
relazione alla rapida evoluzione della realtà sociale.
Il modello familiare fino ad allora espresso cede di fronte al principio dell’eguaglianza dei
coniugi ed al delinearsi del nucleo familiare non più in termini puramente formali: la
famiglia si propone come un nucleo fondato sulla solidarietà e sulla parità dei suoi
componenti i cui legami, trascendendo i meri vincoli di sangue, determinano una comunità
di affetti.
In tal senso, significative sono le aperture verso la tutela delle ragioni dei figli naturali,
nonché la disciplina sullo scioglimento del matrimonio: con la legge n. 898 del 1970 è
indubbia la scelta del legislatore verso una valorizzazione nella famiglia dell’effettività
dell’esperienza di vita. Altri segnali importanti di questa evoluzione sono la sentenza della
Corte Costituzionale n. 147 del 3 dicembre 1969, che dichiara l’illegittimità costituzionale
della norma incriminatrice del concubinato, e successivamente la riforma del diritto di
famiglia che elimina l’ipotesi di separazione per colpa.
L’eguaglianza dei coniugi e lo scioglimento del vincolo determinano la nascita di una
nuova realtà familiare meno rigida e stabile di quella affidata all’autorità del marito, ma
fondata su un impegno costante dei coniugi a coltivare la loro comunione nel corso degli
anni, secondo una visione decisamente di maggiore dignità e responsabilità per entrambi.
Non è un caso se la Corte Costituzionale con sentenza n. 181 del 1976 dichiara che la
famiglia legittima, quale società naturale fondata sul matrimonio, è una “realtà sociale e
giuridica che presuppone, richiede e comporta che tra i soggetti che ne costituiscono il
nucleo essenziale, cioè i coniugi, esista e permanga la comunione spirituale e materiale”.
10
Siffatte evoluzioni si riflettono positivamente in materia di convivenza – peraltro anch’essa
caratterizzata dalla comunione spirituale e materiale – al punto di riconoscerne la funzione
familiare, quale adempimento dei doveri educativi verso i figli, e la garanzia di sviluppo
della personalità del singolo, poiché formazione sociale con carattere di stabilità e
responsabilità.
Sulla base di tali considerazioni si arriva ad una sorta di equiparazione della convivenza
fuori del matrimonio alla famiglia legittima e, dunque, a qualificare la prima come “famiglia
di fatto”, come gruppo cioè in nulla dissimile all’altro se non sotto il profilo dell’atto
solenne del matrimonio, ma certo con uguale funzione e stessi valori.
La definizione della convivenza come famiglia di fatto è di notevole importanza: la
terminologia usata cioè, proprio col riferimento alla famiglia legittima, chiarisce il valore
che ormai alla convivenza stessa si tributa. Non vi è più solo il vivere insieme, ma anche e
soprattutto una famiglia con tutte le implicazioni e i valori che essa comporta. La sua
struttura ed i suoi scopi sono quelli della famiglia legittima, cui la differenzia solo la
modalità della formazione ».
Naturalmente non tutta la dottrina condivide la tesi che famiglia legittima e famiglia
di fatto siano tra loro equiparabili, anzi c’è chi come il GAZZONI contesta l’uso stesso
del termine “famiglia di fatto” in quanto colorato di una valenza ideologica che mira ad
indirizzare la discussione sui binari di una equiparazione delle due realtà sociali.
Osserva, infatti, l’Autore (
4
) a proposito della espressione in discorso, come: « sul
piano meramente lessicale può anche apprezzarsi lo sforzo di puntualità di chi preferisce
parlare di famiglia di fatto, dal momento che con tale espressione si unificano le altre due
(concubinato e convivenza more uxorio) perché la famiglia di fatto prescinde dallo stato
civile dei conviventi … diversamente è a dirsi quando la nuova espressione non si limita
più ad una migliore e più attuale descrizione del fenomeno ma è invece il segno di una
profonda modificazione dell’orientamento specialmente dottrinario, che mira a produrre
una altrettanto profonda modificazione del sistema normativo, ben al di là di quanto sia
già avvenuto in seguito all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia.
Non si tratta infatti, a mio avviso, di un termine utilizzato perché “neutro sia
emotivamente che moralmente” (come ritiene FERRANDO, Sul problema della “famiglia di
fatto” in Giur. merito, 1975, II, p. 134.), ma di una precisa regolamentazione della fattispecie,
che sia totalizzante, organica e tipica, in perfetto parallelismo con quanto avviene per la
famiglia legittima, superando così quell’atomismo di interventi che caratterizza … tanto
l’opera del legislatore quanto quella della giurisprudenza, sia costituzionale che ordinaria.»
D’altra parte, come lucidamente esposto dalla D’ANGELI (
5
): « di fronte a tale
fenomeno, … non poteva non aprirsi l’orizzonte di una nuova problematica fondata
sull’esigenza di ricondurre alla dimensione qualificante del diritto anche queste unioni di
natura extra-matrimoniale … al fine di individuare se e quali effetti possono coesistere e
addirittura armonizzarsi con quelli che scaturiscono dalla fattispecie legale.
Si è gettato così sul tappeto il problema della rilevanza giuridica che questi rapporti
potrebbero assumere sia nell’ambito dei principi generali dell’attuale ordinamento positivo,
(
4
) F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, cit. p.5
(
5
) F.D’ANGELI, La famiglia di fatto, Milano, 1989, pp. 3 ss.
11
sia in riferimento a precisi indici normativi ed esattamente norme costituzionali, civili,
penali, assistenziali e previdenziali ….
La posizione fondamentale assunta in merito, anche se non univoca, è stata quella di
ritenere possibile nel quadro dei dati emergenti dal sistema l’individuazione di in preciso
ambito di tutela riferibile a queste situazioni familiari atipiche, tutela che verrebbe a porsi
su di un piano non di contrapposizione ma di coesistenza con quella prevista per il nucleo
familiare legittimo ».
Ma se è maggioritaria, nella più recente dottrina, la constatazione della oramai
indiscutibile rilevanza giuridica del fenomeno in esame, molto più articolate sono le tesi di
quanti vanno alla ricerca di soluzioni atte a determinare il senso ed i limiti di tale rilevanza.
Ed è solo per mera comodità espositiva che verranno qui catalogate alla stregua di tre
fondamentali linee di pensiero.
Un primo indirizzo tende a favorire un processo di ampia assimilazione tra disciplina
normativa della famiglia legittima e l’auspicata regolamentazione della famiglia di fatto.
Tale processo dovrebbe realizzarsi, secondo taluni, al livello interpretativo, mediante
un ricorso generalizzato all’analogia, vale a dire che la disciplina della famiglia legittima
diverrebbe così applicabile, in linea di principio, alla famiglia di fatto (
6
)
Altri, ritiene più conforme ad una insopprimibile esigenza di certezza affidare la
realizzazione di codesto processo di assimilazione direttamente al legislatore, il quale
dovrebbe darsi carico di introdurre una disciplina organica della famiglia di fatto
ricorrendo, in quanto possibile, ad una “tecnica legislativa di richiamo” di norme già
vigenti per la famiglia legittima (
7
).
In ogni caso, l’aspirazione ad una “giuridicizzazione” più estesa del fenomeno della
famiglia di fatto non importa, nella linea di pensiero che la esprime, una parallela
necessaria svalutazione o compressione, sul piano dei valori fondamentali, dell’istituto
della famiglia legittima; al contrario, è diffuso l’esplicito riconoscimento della “indiscutibile
priorità di rango che compete alla famiglia legittima” (
8
).
Obbiettivo dichiarato di tale aspirazione è, piuttosto, quello di sottrarre la
regolamentazione della famiglia di fatto alla “logica dell’individualismo che è sempre la
logica del più forte”(
9
), imponendo ai conviventi un preciso quadro di doveri e di
responsabilità. L’idea di fondo è, dunque, che “in questa materia deve farsi sentire più la
legge del dovere che il principio di libertà” (
10
), soltanto così la famiglia di fatto potrebbe
salvaguardare l’asserita “attitudine a porsi come una positiva alternativa al rapporto
coniugale formalizzato” (
11
).
(
6
) F.PROSPERI, La famiglia “non fondata sul matrimonio”, Camerino, 1980, pp. 198-202 e 220-221; G.FURGIULE Libertà e famiglia,
Milano, 1979, pp. 285-290; nonché F.BILE,la famiglia di fatto: rapporti patrimoniali, in La famiglia di fatto, pp. 78-107, il quale, tra
l’altro, in considerazione dell’attuale vuoto legislativo, pone la questione tra una possibile estensibilità in via analogica alla
famiglia di fatto delle norme dettate per la famiglia legittima ed una eventuale incostituzionalità di dette norme per violazione
dell’art. 3 Cost.
(
7
) G.GANDOLFI, Alcune considerazioni “de iure condendo” sulla famiglia naturale, in Foro it., 1974, pp. 221 ss.
(
8
) G.GANDOLFI, Alcune considerazioni “de iure condendo” sulla famiglia naturale, in Foro it., 1974; F.PROSPERI, La famiglia “non fondata
sul matrimonio”, Camerino, 1980
(
9
) F.BILE, La famiglia di fatto: rapporti patrimoniali, in La famiglia di fatto, p.92
(
10
) G.GANDOLFI, op.ult.cit.
(
11
) F.PROSPERI, op.ult.cit., p. 246
12
Diametralmente opposto è l’approccio caratteristico del secondo indirizzo e di chi,
come il GAZZONI (
12
), avverte l’esigenza di evidenziare la “profonda differenza”
intercorrente, dal punto di vista giuridico, tra disciplina della famiglia legittima e disciplina
della famiglia di fatto: “la prima è tipizzata e legale, la seconda essenzialmente frutto
dell’autonomia privata”.
La strada attraverso cui passa la garanzia giuridica della famiglia di fatto – ecco l’idea
di fondo di questa linea di pensiero – “non è quella della legge ... ma l’altra dell’autonomia
privata”.
Le libere scelte dei conviventi, quali che siano le esigenze che esprimono (affettive,
sociali, economiche, etc.), non dovrebbero essere mortificate e soffocate all’interno di una
disciplina normativa piattamente uniforme, ma “nella possibilità, riconosciuta ai suoi
membri, di giuridicizzare le vicende che si svolgono al suo interno, secondo una autonoma
decisione e regolamentazione che l’ordinamento protegge e sanziona”.
Conseguentemente, gli interventi legislativi dovrebbero rimanere circoscritti,
settoriali, e motivati da esigenze di carattere sociale che non investono aspetti peculiari del
rapporto di coppia ma che afferiscono al più lato concetto di “nucleo familiare”.
Un indirizzo intermedio viene, infine, prospettato da chi, come il ROPPO (
13
), nel
denunciare un “eccessivo schematismo” nell’assunto della equiparazione tra famiglia
legittima e famiglia di fatto, ammette che quest’ultima costituisce “quasi l’immagine
speculare” della prima; riconoscendo altresì “alla decisione dei conviventi di non
legalizzare la loro unione, il valore di una positiva rivendicazione di libertà e di
autonomia”; ma evidenziando l’esigenza, altrettanto fondamentale che l’ordinamento non
consenta “un atteggiamento di fuga dagli impegni e dalle responsabilità che il rapporto di
coppia implica”; ritenendo, in ultima analisi, che la rilevanza da accordarsi alla famiglia di
fatto debba fondarsi su “una consapevole ed equilibrata valutazione comparativa degli
interessi in gioco”, su di un accorto contemperamento tra “libertà” e “responsabilità” dei
conviventi.
Naturalmente, un simile assetto, non trovando nell’attuale legislazione un supporto
normativo sufficiente, dovrebbe essere realizzato mediante l’emanazione di uno “statuto
delle coppie conviventi”, ispirato ad un modello normativo specificatamente
“giusfamiliare”; uno statuto destinato ad assicurare alla famiglia di fatto un nucleo
“minimo” di giuridicità tendenzialmente coincidente, in una prospettiva affidata ai tempi
lunghi, con quel “minimo giuridico” che dovrebbe sopravvivere all’ipotizzato “processo di
smantellamento dell’armamentario legale di cui si circonda il rapporto tra coniugi” nella
vigente disciplina della famiglia legittima (
14
).
Ma a fronte di tali posizioni non sono certo mancate opinioni decisamente contrarie
che, in base a motivazioni diverse, riaffermando la necessaria correlazione tra matrimonio
e famiglia, hanno ribadito la validità della tesi dell’esclusivo riconoscimento giuridico del
(
12
) F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983.
(
13
) E.ROPPPO, La famiglia non fondata sul matrimonio; e Come tutelare la famiglia di fatto? in Pol.dir., 1980
(
14
) La prospettiva di un progressivo accostamento tra famiglia di fatto e famiglia legittima viene qui ipotizzato, non più all’insegna
di una pressante esigenza di organica regolamentazione della prima, quanto sulla scia della previsione di un graduale processo di
deregulation della seconda. L’ipotesi di una “graduale abdicazione, da parte dello Stato, dal suo ruolo di regolatore del
matrimonio” (E.ROPPPO, La famiglia non fondata sul matrimonio, p. 769) fa leva sui risultati di alcune ricerche nord-americane
nelle quali l’Autore ha riscontrato una linea comune ai vari sistemi di c.d. civiltà occidentale (E.ROPPO, op.ult.cit., p. 704).
13
nucleo familiare legittimo, da cui la consequenziale impossibilità di porre sullo stesso piano
situazioni le quali, se nel loro concreto modo di atteggiarsi a quel modello normativo si
uniformano, sono pur sempre derivanti da fonti extra-matrimoniali (
15
).
In più, nell’evidenziare come la famiglia di fatto, sia una relazione priva del carattere
della stabilità, connotato che solo il vincolo matrimoniale precostituito può garantire, ne
hanno sottolineato la inidoneità a formare un nucleo sociale giuridicamente rilevante e
qualificato come fonte di diritti e di doveri riferibili ai membri del gruppo in quanto tale
(
16
).
In conclusione, a seguito di questa breve ricognizione delle diverse posizioni
dottrinali assunte circa la rilevanza giuridica o meno del delineato modello para-familiare
emerge con chiarezza che i termini del problema, lungi dal trovare una soluzione univoca
sono tuttora aperti.
Ed è per tale motivo che sarà interessante verificarne l’evoluzione, principalmente
giurisprudenziale, in alcuni degli aspetti più rilevanti, vale a dire quelli che più di altri
hanno dato adito a controversie giudiziarie tra conviventi, per concludere poi con una
panoramica dottrinale sull’opportunità o meno di una legislazione in materia ed una breve
presentazione dei, non pochi, disegni di legge presentati nel corso della XIII legislatura e
tuttora giacenti in parlamento.
(
15
) Per tale orientamento cfr. F.BRIGNOLA, La famiglia di fatto e di diritto, in La famiglia di fatto, Atti del Convegno di Pontremoli,
27-30 maggio 1976, Montereggio, pp. 157-158; G.STELLA-RICHTER, Appunti sulla nozione di matrimonio di fatto, ivi, p. 166;
E.BAGNOLI, Osservazioni di un notaio, ivi, p. 191; A.PIRAINO LETO, L’interesse del giurista alla tematica dei rapporti di fatto, ivi, p.
203; P.PASCALINO, Famiglia naturale e ordine pubblico, ivi, p. 338 ss.; M.E. MARTINI, Riflessioni sull’iter della riforma, ivi, p. 128; e
precedentemente A.TRABUCCHI, Il ritorno all’anno zero: il matrimonio come fonte di disparità, in Riv.dir.civ., 1975, II, p. 488 ss.
(
16
) Così L.MENGONI, La tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, in Sociologia, n. 1, 1970, pp. 139 ss; G.STELLA-RICHTER, Aspetti
civilistici del concubinato, cit., pp. 1118 ss.; A.TRABUCCHI, Natura, legge, famiglia, cit., pp. 3 ss.
14
Capitolo 1 - Paragrafo 2
UNIONI DI FATTO E CONVIVENZA MORE UXORIO
A conclusione di questa prima parte della nostra ricerca sorge la necessità di
effettuare una distinzione tra le diverse forme di convivenza di fatto che nella società
moderna sono presenti, cercando, nei limiti del possibile e senza pretese esaustive, di
rilevarne le motivazioni e le peculiarità che ne evidenziano l’esistenza.
Quanto alle motivazioni che inducono una coppia ad instaurare una unione di fatto,
anziché un vincolo coniugale, tra le più comuni troviamo:
a) I partners desiderano vivere insieme, ma non si sentono ancora pronti ad
istituzionalizzare il loro legame con una unione matrimoniale. In altri termini, i “fidanzati”
non sono contrari al legame di coniugio, ma preferiscono subordinare tale decisione ad
una sorta di “prova prematrimoniale”. In questi casi, la convivenza presenta un carattere
transitorio, ed è seguita dalla celebrazione del matrimonio o dalla rottura della stessa.
b) I conviventi non possono contrarre matrimonio tra di loro, poiché uno od
entrambi non godono di stato libero. Questa ipotesi si verifica, in particolare, allorché uno
o entrambi i conviventi sono legati ad una terza persona da un vincolo matrimoniale
ancora esistente o perché lasciato sussistere intenzionalmente, oppure perché, nonostante
l’affettiva separazione di fatto, non hanno ancora formalizzato lo scioglimento del vincolo
coniugale.
c) I conviventi non possono contrarre matrimonio a seguito di precisi divieti legali in
tal senso. E’ questo il caso dei conviventi minori di età (art. 84 c.c.), o interdetti per
infermità di mente (art. 85 c.c.), o legati tra loro da vincoli di parentela quali ascendenti e
discendenti in linea retta, legittimi o naturali, fratelli e sorelle germani, consanguinei o
uterini (e altre ipotesi previste dall’art. 87 c.c.), o ancora colpevoli di omicidio tentato o
consumato sul coniuge dell’altro (art. 88 c.c.), ovvero, sebbene la legge non lo stabilisca
espressamente, perché i conviventi sono dello stesso sesso.(
17
)
d) I conviventi sono tali per l’ordinamento giuridico italiano poiché non hanno
contratto un valido matrimonio ad effetti civili, pur essendo legati da un matrimonio
religioso quale ad esempio un matrimonio cattolico non concordatario, o un matrimonio
celebrato secondo il rito di una diversa religione che non sia stato trascritto o non sia
trascrivibile presso i Registri Anagrafici in Italia.
e) I conviventi decidono di non regolarizzare il loro rapporto per “convenienza”,
cioè per non perdere i benefici scaturenti da un precedente matrimonio ora venuto meno.
E’ questa l’ipotesi, ad esempio della vedova che decide di convivere con l’attuale partner
per non perdere la pensione di reversibilità del marito defunto, ovvero del coniuge che
gode di un assegno di mantenimento a seguito di divorzio (
18
).
(
17
) Sull’illegalità di un matrimonio tra persone dello stesso sesso: F.D’ANGELI, La tutela delle convivenze senza matrimonio, Torino,
1995, p.176 ss. L’autrice con, riferimento ad una sentenza del Tribunale di Roma, rileva come può ben dedursi la diversità di
sesso tra i nubendi, quale presupposto invalicabile del matrimonio nella legge vigente, dagli artt.143,143 bis,143 ter e art. 87
comma 1, c.c. Aggiungendo che, qualsiasi intervento della legislazione ordinaria teso ad estendere alle unioni unisessuali
l’accesso al matrimonio e la tutela prevista per la famiglia istituzionalizzata, costituirebbe una palese violazione degli artt.29 e 3,
1° comma, Cost.,
(
18
) Anche se, è orientamento oramai consolidato della Cassazione, che la convivenza more uxorio, quando abbia carattere di stabilità
e determini il superamento, o la riduzione, dello stato di bisogno del coniuge separato o divorziato, può produrre effetti «sia
15
f) Infine, la convivenza può essere motivata da una precisa scelta in tal senso, operata
da partners che, pur decidendo di intrattenere una stabile relazione sentimentale
caratterizzata dalla comunione di vita, non ritengono di doverla consacrare in un formale
rapporto di coniugio. In tali casi non esiste una motivazione precisa se non il disinteresse o
il rifiuto cosciente verso un’istituzione che, ai rapporti interpersonali, collega effetti
giuridici spesso indesiderati.
Se diverse sono le motivazioni che possono originare una unione di fatto, altrettanto
differenti appaiono le modalità attraverso cui essa si può esprimere. Talvolta, dato il
carattere eminentemente concreto (appunto di fatto) rivestito dall’unione tra conviventi e,
per la realtà stessa del fenomeno, non riconducibile a canali di indici certi a causa degli
innumerevoli atteggiamenti con cui si può manifestare, la ricerca di un criterio oggettivo
qualificante un rapporto di convivenza non effimera può risultare estremamente difficile.
L’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ha tuttavia, nel corso degli ultimi anni,
riconosciuto alcuni requisiti, la cui contemporanea sussistenza costituisce un indice di
valutazione semplificato ai fini della qualificazione del rapporto di coppia come
“convivenza more uxorio”. Detti requisiti, senza pretese di uno specifico ordine
d’importanza, possono essere così elencati:
a) Viene in primo luogo in considerazione la liceità del rapporto. La convivenza è da
ritenersi illecita quando si instaura tra soggetti di cui, uno o entrambi, sono uniti in
matrimonio con altra persona. Infatti, in questa ipotesi la convivenza more uxorio si pone in
conflitto con l’esigenza di tutela della famiglia legittima che deve sicuramente prevalere. E i
conviventi che violano gli obblighi matrimoniali soggiacciono alle sanzioni che potranno
avere soltanto natura civile ovvero sia civile che penale a seconda del comportamento che
realizza l’infrazione.(
19
)
La possibilità di qualificare la fattispecie contra legem può venire meno se il legame si
instaura tra persone legalmente separate, tranne che, in questa ipotesi, la violazione
dell’obbligo di fedeltà, evidenziato dalla convivenza, possa costituire “ingiuria grave” (
20
) in
quanto offende la dignità e la onorabilità dell’altro coniuge. In tal caso, lo stesso, sarebbe
legittimato a richiedere in sede giudiziale il mutamento del titolo della separazione con
relativo addebito della stessa all’altro coniuge. (
21
)
sulla sussistenza del diritto all’assegno di mantenimento, sia sulla sua quantificazione che avviene ad opera del giudice». In altre
parole, in presenza di una convivenza more uxorio caratterizzata da «inequivocità, serenità e stabilità» - e perciò ben distinta da un
rapporto non caratterizzato da tali requisiti, ancorché possa determinare la nascita di figli - il diritto all’assegno di divorzio si
“interrompe”, per poi eventualmente rinascere nell’ipotesi di un nuovo ridimensionamento delle condizioni economiche dell’ex
coniuge avente diritto (Cassazione - Sezione Prima Civile - Sent. n. 7328/2000). È importante sottolineare che il diritto si interrompe e
non si estingue, come avviene invece quando il beneficiario passi a nuove nozze (ipotesi normativamente prevista dall’articolo 5
legge 898/70; da ultimo, Cass. 3503/98 e 13053/99). Tale principio si può evincere anche da una lettura estensiva del secondo
comma dell’articolo 9bis legge 74/1987 (modificatrice della legge 898/70) nella parte in cui, dopo aver ribadito che «il diritto
all’assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze», precisa altresì che «tale diritto si estingue se viene meno il suo
stato di bisogno», affrettandosi ad aggiungere che, «qualora risorga lo stato di bisogno, può essere nuovamente attribuito».
(
19
) Così F.D’ANGELI, La famiglia di fatto, Milano, 1989, p.223 ss
(
20
) Sent.Corte Costituzionale 18 aprile 1974, n.99, in Giur.Cost., 1974, p. 731 ss.
(
21
) Così F.D’ANGELI, La famiglia di fatto, p.228, nota (151). Sulla questione della illiceità della convivenza more uxorio instaurata
da un soggetto legalmente separato, vi sono opinioni discordanti sia in dottrina che in giurisprudenza. Tuttavia sembra
prevalente la tesi che, anche in consonanza ai valori espressi dalla morale sociale, ritiene lecita tale ipotesi. D’altra parte come
dice F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p.162 ss “Negare la liceità delle convivenze che si
instaurano durante lo stato di separazione, significa relegare nell’area dell’illecito ipotesi statisticamente frequenti di convivenza
more uxorio”.
16
Altre fattispecie di illiceità possono riscontrarsi nella convivenza del coniuge dello
scomparso o dell’assente dichiarato, perché il suo matrimonio rimane valido fino al ritorno
dell’assente o all’accertamento della sua morte.
Ancora illecita è la convivenza quando si instaura tra persone già legate a terzi da
matrimonio concordatario regolarmente trascritto, il cui vincolo, pur dichiarato nullo con
sentenza del competente tribunale ecclesiastico, continui a sussistere ed a produrre effetti
nell’ordinamento statale, stante il rigetto da parte dell’autorità giurisdizionale italiana
dell’istanza diretta ad ottenere la esecutorietà civile della predetta pronuncia ecclesiastica,
per contrarietà della stessa all’ordine pubblico italiano.(
22
)
A tali fattispecie vanno poi assimilate, proprio perché intese ad eludere un divieto posto
dalla legge, le convivenze di cui al precedente punto c) – minori, interdetti, parenti, etc. – .
Per i minori tuttavia, sul presupposto che il soggetto il quale abbia compiuto i 16 anni,
avendo raggiunto la maturità psico-fisica, può, con l’autorizzazione del tribunale, contrarre
matrimonio, sembra potersi affermare che, prevalendo il profilo del rapporto su quello
dell’atto, i minori infrasedicenni possano essere ritenuti capaci di costituire una famiglia di
fatto, previo accertamento caso per caso della loro idoneità fisica e mentale. (
23
)
b) Un secondo requisito essenziale è rappresentato dalla bilateralità del rapporto per
cui i conviventi dovrebbero vivere un mènage singolo e non plurimo.
La poligamia di fatto nella nostra attuale società ed in una prospettiva corretta del
fenomeno, esclude qualsiasi struttura parafamiliare ed è del tutto irrilevante, anche sotto il
profilo sociale, essendo lo schema della convivenza puramente monogamico.(
24
)
c) Altro elemento di individuazione è quello della diversità dei sessi dei due partners. A
questo riguardo, mentre astrattamente è possibile che l’unione tra omosessuali rientri nella
categoria delle comunità garantite dalla Costituzione (
25
), in concreto, allo stato attuale del
convincimento sociale, non sembra possa trovarsi un consenso generale ed una pressione
d’opinione che convinca dottrina e giurisprudenza ad attribuire a dette unioni rilevanza
giuridica.
In dottrina, il DOGLIOTTI, argomentando e partendo dal presupposto che il modello di
riferimento è la famiglia legittima, esclude potersi ipotizzare una famiglia di fatto tra
persone dello stesso sesso.(
26
)
Della stessa opinione il DONATI, il quale da un punto di vista sociale categoricamente
rileva come « la coppia omosessuale non può essere sociologicamente una famiglia per
varie ragioni, in primis perché non può riprodursi. Anche qualora adottasse un figlio o lo
avesse tramite biotecnologie riproduttive, non potrebbe costituire (in senso generalizzato)
(
22
) Così F.D’ANGELI, La famiglia di fatto, p.234 ss.; G.OBERTO, Illecito civile e convivenza more uxorio, cit.
(
23
) Così F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, p.59; contra F.PROSPERI, La famiglia non fondata sul matrimonio, Napoli,
1980, p.251, il quale ritiene invece applicabile la norma dell’età matrimoniale. In quest’ultimo senso anche G.FURGIUELE,
Libertà e famiglia, Milano, 1979, p.279.
(
24
) Così F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, p.53 ss. Il quale precisa che non è così per altri ordinamenti come ad
esempio quello francese, dove si è giunti a teorizzare l’esistenza di più famiglie di fatto con conseguenze anche nocive per i
terzi, ad esempio in materia di risarcimento del danno per l’uccisione del convivente.
(
25
) Il diritto di libertà sessuale è stato riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale, 18 dicembre 1987, n.561, in Foro it., 1989, I,
c.2113 ss., quale “diritto soggettivo assoluto che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla
Costituzione ed inquadrato nei diritti inviolabili della persona umana che l’art.2 Cost. impone di garantire.
(
26
) M.DOGLIOTTI, voce Famiglia di fatto in Digesto Disc. priv. Sez.Civ., p. 194
17
un ambiente di socializzazione valido per quest’ultimo. Modificare questi vincoli
significherebbe, dal punto di vista sociologico sottoporre la nostra cultura ad un processo
di trasformazione così radicale da mettere in fluttuazione i valori e le norme fondamentali
che reggono la nostra civiltà ». (
27
)
Non sono, comunque, mancate opinioni ma soprattutto iniziative legislative favorevoli al
riconoscimento di una qualche rilevanza delle unioni omosessuali.
Prima fra tutte la Risoluzione del Parlamento Europeo dell’8 febbraio 1994, approvata con
159 voti a favore (sinistre e verdi), 96 contrari (democristiani e conservatori) e 18 astenuti,
con la quale veniva richiesto alla Commissione di proporre al Consiglio d’Europa
l’emanazione di una Direttiva che inviti gli Stati Membri ad eliminare ogni qualsivoglia
discriminazione giuridica legata ai comportamenti sessuali consentendo altresì l’accesso
degli omosessuali ad unioni matrimoniali (o pari istituto giuridico) e all’istituto
dell’adozione (
28
). Ad esso ha fatto seguito il nuovo articolo 13 del Trattato che istituisce la
Comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam, di cui alla legge 16
giugno 1998, n. 209, che pone il divieto di discriminazione per tutte le cause motivate dalle
differenze di sesso, di razza o origine etnica, di religione o convinzioni personali, di
opinioni politiche, di disabilità, di età, di orientamento sessuale, di condizioni personali o
sociali.
Mentre, per quanto riguarda l’Italia, si segnalano da una parte, il disegno di legge
d'iniziativa della sen. Ersilia Salvato (Rif. Com.) Norme contro la discriminazione motivata
dall'orientamento sessuale (
29
), il successivo disegno di legge d’iniziativa governativa (governo
D’Alema) Misure contro le discriminazioni e per la promozione di pari opportunità (
30
), il progetto di
legge d’iniziativa dell’on. Antonio Soda (Dem. Sin.) ed altri, Disciplina dell’unione affettiva,
riservato esclusivamente alle coppie omosessuali (
31
), nonché le varie proposte legislative
in materia di “unioni civili” (per coppie omo ed eterosessuali) di cui si parlerà nell’ultimo
capitolo.
E dall’altra, per la grande risonanza che hanno suscitato, le iniziative di alcuni Comuni
(Empoli per primo) tese ad istituire un registro per le “unioni civili” – cui possono
registrarsi anche le coppie omosessuali – preordinato al servizio sociale “della educazione
alla tolleranza” (intesa in senso razziale, sessuale, culturale), per la comprensione delle
diversità nei modi di “organizzare la forma di vita della coppia”, nella “accettazione delle
diversità e delle libertà di scelta in materia di forme di convivenza fra gli individui” (
32
).
d) Da aggiungere, quale elemento anch’esso imprenscindibile nel tipo di unione in
esame, è la effettiva convivenza che non può ridursi alla mera coabitazione.
(
27
) P.DONATI, Le fam. di fatto come realtà e problema sociale oggi in Italia, in Justitia, 1990, p.245
(
28
) Questa risoluzione ha avuto vasta eco nell’opinione pubblica con una precisa reazione negativa della Chiesa espressa dal Papa
nell’Angelus del 20 febbraio 94 il quale ha dichiarato che “L’approvazione giuridica della pratica omosessuale non è moralmente
ammissibile ... Con la risoluzione del Parlamento Europeo si è chiesto di legittimare un disordine morale ... conferendo un
valore istituzionale a comportamenti devianti non conformi al piano di Dio”.
(
29
) Atto Senato n. 2147 – Allegato in appendice
(
30
) Atto Camera n. 6582 – Allegato in appendice
(
31
) Atto Camera n. 4657 – Allegato in appendice
(
32
) La delibera comunale in questione, ha trovato però il parere contrario del CoReCo prima e, in sede di ricorso avverso tale
parere, del TAR della Toscana poi. (sentenza 9 febbraio 1996, n. 49, in Foro it. III, 1996, 525)
18
Così, certamente costituiscono una famiglia di fatto i partners, legati da una relazione
sentimentale, che intraprendono una convivenza con lo spirito di condividere per il futuro
la vita quotidiana, collaborando tra loro e fornendo l’uno all’altra il necessario appoggio
morale e materiale, formando così un autonomo nucleo familiare in senso lato.
Diversamente, non potranno considerarsi tali, ad esempio, due studenti i quali – anche se
legati da legame affettivo – decidano di convivere sotto lo stesso tetto al fine di ridurre i
costi di una loro permanenza presso la sede universitaria.
e) Per tali motivi, non può mancare la notorietà della stessa convivenza, che deve
oggettivarsi al fine di dimostrare anche ai terzi una comunione di vita materiale e spirituale,
caratteristica indefettibile della convivenza more uxorio. E rilevare che i conviventi abbiano
una abitazione comune, che rivesta il carattere di casa familiare e che normalmente
coabitino, costituisce uno dei sicuri indici rivelatori dell’esistenza di una famiglia di fatto,
quasi una forma obbligata di pubblicità nei confronti dei terzi.(
33
)
f) Ad integrare, ulteriormente, i requisiti della fattispecie esaminata, dovrebbero
esservi la continuità e la serietà dell’impegno. Una delle prove dell’esistenza di sentimenti
profondi e non passeggeri tra i partners può essere fornita dalla durata della relazione: un
vincolo di fatto che si protrae da anni è normalmente sintomo di una situazione di stabilità
della coppia.(
34
)
g) Infine come espressione significativa della peculiare unione more uxorio, va
considerata l’affectio, alla quale tocca la funzione di elemento vivificatore, coagulante, che
serve a meglio delineare i contorni della fattispecie.
Questa è ritenuta dalla dottrina « un coelemento essenziale della fattispecie » anzi « il vero
cardine intorno cui ruota la famiglia di fatto » ed « il suo accertamento deve essere
rigorosissimo proprio perché non può essere presunto, come invece avviene nel caso della
famiglia legittima » (
35
).
Più in particolare, l’affectio nella convivenza va concepita nella sua speciale accezione di un
vissuto pregnante, operoso nei termini di una « solidarietà partecipata e realizzata nel
quotidiano sacrificio » (
36
), come dedizione ideale e materiale dell’uno (convivente) nei
confronti dell’altro. E, come tale, essa si affermerà ed avrà tangibile prova nella
sperimentazione di se stessa, che non potrà e non dovrà sfuggire alla verifica ex post del
giudice, il quale « dovrà verificare l’esistenza di quei sicuri indici di effettività dell’insorta
comunione di vita materiale e spirituale, cioè della condivisione esistenziale dei conviventi
» (
37
). E’ evidente che l’accentuazione della carica ideale del connotato affettivo che attrae
(
33
) Così F.D’ANGELI, La famiglia di fatto, p.255; F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, p.62.
(
34
) Considerano la stabilità come requisito che vale a distinguere la convivenza more uxorio da altri rapporti di natura parafamiliare
saltuari ed occasionali, tra i tanti, M.BESSONE, Ambito di rilevanza e garanzie cost. delle convivenze more uxorio in Foro pad., 1979, I,
c.105; F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, p.63; E.ROPPO, La famiglia senza matrimonio in Riv.trim.dir.proc.civ, 1980,
p.706.
(
35
) F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit. p.69 ss. Concorde anche TRABUCCHI, Pas pour cette voie s’il vous plait!, in
Riv.dir.civ., 1981, p.345, il quale osserva che “se alla base della c.d. famiglia di fatto si trova solitamente una convivenza (essa)
non basta, perché la convivenza può riscontrarsi anche in altre situazioni umane; la caratterizzazione della convivenza sarà data
dall’animus di coloro che vivono insieme. Sarò un elemento soggettivo di affectio che qualifica il fenomeno più che la materialità
di una convivenza stabile”
(
36
) M.BERNARDINI, La convivenza fuori dal matrimonio, Padova, 1992, cit. p.191 ss.
(
37
) M.SANTILLI, Note critiche in tema di famiglia di fatto in Rv.trim.dir.proc.civ., 1980, cit. p.847. Concorde anche M.BERNARDINI, La
convivenza fuori del matrimonio, Cedam, 1992, p.191 ss., il quale esemplifica tra gli indici oggettivi dell’affectio “la coabitazione e la
sua durata, normalmente la consuetudine di rapporti sessuali e la esclusività di tale consuetudine” ma ritiene che il giudice “non
19
ed unifica la vita dei conviventi, elevandola al di sopra della stessa affectio coniugalis (
38
), non
potrà travolgere i contenuti normali della routine quotidiana al punto di imporre situazioni
inconcepibili nella realtà, come la necessità di coabitazione costante.
E appare quasi superfluo dire che il venir meno dell’affectio determina il dissolversi del
rapporto paraconiugale, e qualsiasi diverso intendimento della stessa, in termini di
semplice amicizia ovvero di reciproca utilità economica, trasforma la famiglia di fatto in
altro e diverso rapporto sociale.
deve indulgere a una ricerca eccessivamente intimistica e psicologica dell’affectio cottidiana, nei conflitti in cui è implicato un
convivente more uxorio”.
(
38
) Così F.GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, p.79, il quale evidenzia come l’affectio non costituisca l’essenza del
matrimonio civile nemmeno a livello di qualificazione giuridica astratta. Conforme M.BESSONE, Ambito di rilevanza ... in Foro
pad., 1979, I, c.103, che effettua una netta distinzione tra rapporto meramente affettivo e convivenza more uxorio.