Introduzione
Sono ormai lontani i tempi in cui Lombroso sosteneva che data una
specifica conformazione cerebrale una persona fosse predisposta al
crimine e quindi socialmente pericolosa; tuttavia le ricerche moderne sul
funzionamento cerebrale possono aiutare a comprendere la quasi totalità
del comportamento umano, anche quello antisociale.
In Italia, nel 2009, nell’ambito di un processo contro l’algerino
Abdelmalek Bayout accusato di aver ucciso a coltellate un giovane dopo
essere stato offeso, le perizie di imaging cerebrale condotte da Giuseppe
Sartori contribuirono a dimostrare che il soggetto presentava un deficit
nelle aree cerebrali preposte all’autocontrollo. Mediante tali strumenti di
prova, unitamente alle analisi genetiche, si poté rilevare che l’uomo
presentava problematiche legate all’impulsività e valsero a convincere il
giudice della semi-infermità mentale dell’imputato.
Il mio elaborato sostiene quindi l’ipotesi che sulla base di localizzate
alterazioni neuronali indotte da un trauma cranico si può determinare
un’alterazione delle aree cerebrali deputate al controllo emotivo e
comportamentale, alla regolazione degli stati emotivi e alla messa in atto
di condotte conformi alle regole sociali.
Si tratterà preliminarmente della fenomenologia dei traumi cranici, in
particolare di quelli che interessano il lobo frontale; si analizzeranno le
complesse strutture corticali e sottocorticali alla ricerca dei centri
responsabili della gestione, del controllo emozionale, della pianificazione
e della regolazione del comportamento. Ci si soffermerà quindi sulle
funzioni del circuito orbitofrontale, la cui compromissione innescherebbe
Introduzione
la messa in atto di condotte socialmente inappropriate, incapacità di
assumere atteggiamenti empatici, e una consistente labilità emotiva. Le
alterazioni destano particolare interesse in quanto possono manifestarsi
in soggetti prima perfettamente adeguati alle regole sociali e la cui
intelligenza razionale rimane illesa dopo il trauma, mentre ad essere
intaccata è quella sociale ed emozionale. Si parla per l’appunto di
“Sindrome del lobo frontale”, di cui uno degli aspetti centrali consiste
nella messa in atto di condotte disinibite e impulsive, che non tengono
conto dei riferimenti contestuali.
Un effetto più problematico si ha con l’emergere di condotte colleriche
e di una facile irritabilità, fino alla messa in atto di comportamenti
manifestamente aggressivi. Si cercherà quindi di spiegare quali sono le
aree cerebrali implicate in questo tipo di agiti facendo ricorso a diverse
fonti d’informazione, come le evidenze emerse da esami neurologici e da
tecniche di neuroimaging.
Lo scopo del mio elaborato è quello di trovare più fonti di prova
possibili a sostegno dell’esistenza di una correlazione tra lesioni
craniche, più specificamente, frontali e la messa in atto di comportamenti
antisociali.
Si sosterrà questa tesi utilizzando diverse metodologie d’indagine e
lungo tre linee di prova: 1) considerando le conseguenze psicologiche
derivanti da un TCE; 2) cercando se tra gli autori di crimini di vario tipo
vi sia un trascorso di lesioni craniche; 3) attraverso studi longitudinali
per vedere se nel corso del tempo vittime di traumi cranici possono
venire coinvolte in condotte antisociali. Si cercherà anche nella storia
clinica di famosi serial-killer se abbiano mai riportato un qualche trauma
Introduzione
cranico e se questo abbia avuto un ruolo nell’estrinsecazione della loro
condotta delittuosa.
Nel secondo capitolo verranno approfondite nello specifico le
dinamiche neurocomportamentali derivanti da una lesione frontale, a
partire dalla semplice impulsività, passando poi alla Sindrome di
disinibizione frontale, fino all’esternazione di condotte palesemente
aggressive. Ci si interrogherà anche sulla possibilità che i soggetti
aggressivi siano consapevoli e critici nei confronti della propria condotta
e se in contesti in cui sono sottoposti al giudizio esterno siano
acquiescenti, in ragione di una forte componente di desiderabilità
sociale.
Si passerà quindi al punto di vista della Legge; si rifletterà sul
complicato incontro del mondo delle Neuroscienze e della
Giurisprudenza, mettendo a confronto le loro prospettive, i loro
linguaggi e i loro oggetti d’interesse. Si tenterà di comprendere in quali
campi può essere utile o quasi indispensabile il parere degli esperti, quali
siano gli strumenti di misurazione legittimati e considerati validi per
costituire materiale probatorio e quale sia il peso del loro giudizio nelle
aule di tribunale.
Nella seconda sezione, infine, il focus attentivo si sposterà su un
livello più vicino, analizzando due storie cliniche che possono essere
interessanti ai fini del nostro discorso. Si esamineranno le storie di due
pazienti che sono stati in cura presso la Cooperativa Puzzle, un centro
diurno socio-terapeutico riabilitativo di Torino, che si occupa di
traumatizzati cranici e di gravi cerebrolesioni acquisite.
Nel primo caso si vedrà come un incidente stradale possa modificare
la personalità di un individuo e trasformarlo da socievole, cordiale e
Introduzione
devoto alla famiglia, a una persona irritabile, aggressiva, incline
all’infrazione delle regole sociali; questo caso potrà probabilmente essere
di maggiore ausilio per le finalità di questo lavoro, in quanto la persona
oggetto d’interesse si è resa addirittura responsabile di un omicidio.
L’altro caso riguarda invece una donna, in cui le ripercussioni
neurocomportamentali derivanti da una lesione frontale si sono espresse
in una condotta vistosamente disinibita fino a farne quasi una “stalker”.
Si studieranno le cartelle cliniche, le documentazioni varie riferite ai
casi al fine di accertare la correlazione esistente tra il trauma cranico
frontale subito e le loro condotte antisociali. Si rifletterà sulle
problematiche maggiormente rilevanti e sugli aspetti che accomunano i
due casi. Verrà approfondito uno dei deficit che accomuna i due pazienti
così come molte vittime di TCE: la compromissione della consapevolezza
riferita a se stessi e agli altri, con tutte le conseguenze che questo deficit
determina. Si valuterà infine il lavoro svolto con loro per verificare se il
percorso riabilitativo abbia avuto buon esito.
Introduzione
SEZIONE I:
IL TRAUMA CRANICO E IL COMPORTAMENTO
ANTISOCIALE
Capitolo 1. Traumi cranici e lesioni frontali
1.1. Eziopatogenesi dei traumi encefalici
Ogni anno in Italia si registrano circa 200 casi di traumi cranici gravi
ogni 100 mila abitanti, la cui origine può essere riferita a fattori disparati:
nel 67% dei casi ad incidenti stradali, causa principale di decessi nelle
classi di età giovanile (Servadei, Ciucci e altri, 1988), mentre il 30-40% è
dovuto a circostanze di altra natura (Greenberg, 2001): all’occupazione
lavorativa svolta con i rischi che comporta, ad incidenti domestici,
sportivi, oppure possono essere l’esito di aggressioni. Alcuni soggetti
possono essere più predisposti di altri a essere vittima di traumi cranio-
encefalici per ragioni dovute, ad esempio, al sesso di appartenenza: i dati
EBIS (European Brain Injury Society, organismo della CEE preposto allo
studio del trauma cranico) riportano una maggiore incidenza di vittime
maschi (75%, contro il 24, 8 % di femmine) e di scapoli (64,2%) rispetto
alle altre categorie di status; questi dati sono stati confermati anche dalle
statistiche americane, probabilmente per ragioni anche legate all’età
media dei pazienti. Altresì vanno considerate variabili specificamente
individuali e “umane” legate al proprio stile di vita o al proprio
temperamento (ad esempio la tipica “spericolatezza” e l’imprudenza
degli adolescenti), all’inadeguatezza psicofisica, a patologie neurologiche
minori o misconosciute, o ancora, a disturbi psicopatologici (Zappalà,
1990).
Nel 2006 il National Center for Injury Prevention and Control ha
rilevato che i giovani tra i 15 e i 19 anni (insieme ai bambini di ⩽ 4 anni)
sono il gruppo a più alto rischio di traumi cranici. Cadute, incidenti con
Capitolo.1 Traumi cranici e lesioni frontali
5
lo scooter, risse e tentativi (riusciti o no) di suicidio sono le maggiori
cause di traumi cranici registrate negli annali statunitensi (Langlois et al.,
2006).
Di questi casi, solo il 20% è accompagnato da turbe persistenti della
coscienza fino al coma. La valutazione clinica prevede infatti una
diagnosi “immediata” che permette di distinguere tra traumi “lievi”, “di
media gravità” e “severi”; questi ultimi comportano un’alterazione
permanente della coscienza, che può essere accompagnata da deficit
neurologici focali e/o da lesioni craniche penetranti.
I traumi cranici lievi costituiscono la fenomenologia più
frequentemente riscontrata nella pratica clinica traumatologica
(Gualtieri, 1995; Kibby e Long 1996; Rizzo e Tranel, 1996). Essi spesso
sfuggono alle casistiche in quanto, a differenza dei traumi cranici gravi
che richiedono il ricovero o l’osservazione urgenti, non vengono
documentati mediante la registrazione degli ingressi in ospedale
(Cattelani, 2006).
Craswell et al. (2004) hanno definito il TCE come “un trauma cranico
di rilievo che comporta perdita di coscienza/amnesia con progressive
compromissioni cognitive e sociali”.
Uno strumento molto utile nella pratica clinica che consente di fare
una stima della gravità del trauma è la Glascow Coma Scale. Mediante il
suo utilizzo si può valutare l’entità dell’alterazione della coscienza,
basandosi su tre parametri: apertura degli occhi, risposta motoria e
risposta verbale. Dalla somma dei punteggi dei tre indici si ottiene una
stima complessiva, il Glascow Coma Store che può andare da 0/2
(impossibilità di sopravvivenza) a 3/8 (trauma grave= coma profondo) a
9/12 (trauma moderato) fino a 13/15 (trauma lieve= paziente vigile e
Capitolo.1 Traumi cranici e lesioni frontali
6
cosciente). Particolarmente gravi sono i traumi che riportano un G.C.S. ≤
di 7 (Greenberg, 2001).
Occorre poi fare distinzione tra TCE “aperti”, perforanti, che causano
lesioni focalizzate e casualmente localizzate con conseguenze
fisiopatologiche assimilabili a quelle dovute a malattie cerebrovascolari
(Goldstein, 1942; Lurija, 1947), e TCE “chiusi” in cui non è avvenuta una
lesione ossea, ma il tessuto cerebrale può comunque essere stato
danneggiato da lesioni focali o diffuse (Gennarelli, 1986; Pang, 1989).
Il colpo subito innesca meccanismi primari riferibili al momento
stesso dell’impatto, legati all’azione esercitata sulla scatola cranica da
forze esterne che possono causare lacerazioni del tessuto cerebrale,
danno diffuso della sostanza bianca, oltre che emorragie intracerebrali ed
ematomi (Adams et al., 1989) e meccanismi secondari, i cui effetti
emergono a distanza di ore o di giorni, quali ipossia, ipertensione
intracranica, edema cerebrale, disturbi del flusso ematico cerebrale (Pitts
e McIntosh, 1990).
Il danno immediato è dato dal brusco impatto della materia molle
dell’encefalo con le superfici aspre della parete cranica. Tale colpo esita
nelle tipiche contusioni corticali, solitamente localizzate nei poli frontali
e temporali, e negli ematomi da contraccolpo, dovuti allo spostamento
della massa cerebrale inerte nella regione controlaterale alla sede
dell’impatto. Da esse possono insorgere emorragie superficiali ed edemi
perifocali, ed eventualmente, ischemie e compressioni da effetto-massa
che possono sfociare in danni più diffusi (Ommaya e Gennarelli, 1974;
Gennarelli, 1986).
Il colpo subìto comporta altresì l’azione di forze inerziali di
accelerazione/decelerazione rotatorie e lineari di particolare intensità e
Capitolo.1 Traumi cranici e lesioni frontali
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velocità che sottopongono a “strappamenti”e a “rotture” i tessuti
cerebrali. Le fibre nervose possono essere distrutte, stirate, schiacciate,
oppure l’assone può andare incontro a rigonfiamento (retraction balls)
causando la morte dell’intero neurone, compreso il corpo cellulare
(necrosi cellulare primaria).
A catena avverrà una necrosi cellulare secondaria dei neuroni
circondari e dipendenti da quelli direttamente danneggiati. I violenti
movimenti della materia cerebrale cagionano, infatti, un danno assonale
diffuso (DAD), ovvero una lesione dei fascicoli sottocorticali, a livello
delle strutture profonde: sostanza bianca parasagittale e del centro
semiovale, corpo calloso, gangli della base e tronco encefalico (Adams et
al., 1989).
I traumi cranici più gravi sono quelli che a lungo termine causano una
condizione di atrofia cerebrale diffusa, dovuta a lesioni multifocali,
particolarmente critiche per i processi funzionali, responsabili di
sindromi da disconnessione, cortico-corticali, cortico-sottocorticali, intra-
e inter-emisferiche (Geschwind, 1965). Il DAD esita quindi in una
disfunzione di aree corticali non intaccate dal trauma, ma pur tuttavia
coinvolte nel danno in quanto non possono più partecipare all’attività
integrata del cervello in ragione della lesione degli assoni afferenti ed
efferenti. Sebbene questo tipo di lesione non sia immediatamente
riscontrabile ad un esame RM non si può escludere un esito fatale.
Solitamente le regioni cerebrali più vulnerabili alle lesioni focali nel
corso di traumi cranici sono quelle frontali e temporali, in virtù della loro
posizione anatomica attigua alle strutture ossee del cranio, la cui lesione
innesca dei processi caratteristici: afasia, emiplegia, eminattenzione, ecc.
(Lepore, Napolitano e Grossi, 2002). Le conseguenze di una lesione
Capitolo.1 Traumi cranici e lesioni frontali
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diffusa invece riguardano la vigilanza e l’attenzione, la velocità di
elaborazione delle informazioni, la memoria, le funzioni cognitive
complesse, a causa della compromissione del network neuronale (Perino
e Rago, 1990).
Capitolo.1 Traumi cranici e lesioni frontali
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