7
INTRODUZIONE
Soleva Roma, che‟l buon mondo feo,
due soli aver, che l‟una e l‟altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L‟un l‟altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l‟un con l‟altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l‟un l‟altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch‟ogn‟erba si conosce per lo seme.
(D. ALIGHIERI, Divina Commedia, Purgatorio, XVI, vv. 106-114)
Le innumerevoli discussioni sorte e sviluppatesi negli ultimi anni sulla scena politica nazionale sul
rapporto tra lo Stato e la Chiesa Cattolica, con accuse reciproche da una parte di voler tacitare la
missione pastorale e dall‟altra di ingerenza clericale nella legislazione inerente materie etiche e
sociali, hanno riportato più volte alla ribalta la questione dei Patti Lateranensi, gli accordi che, l‟11
febbraio 1929, sancendo la conclusione dell‟annosa “Questione romana”, portarono alla nascita
dello Stato della Città del Vaticano e ad una nuova stagione di rapporti bilaterali. La “pax laetitia”
dei Patti del Laterano è il frutto di un lungo e tormentato rapporto tra lo Stato liberale e il Papato
che vede una rottura fondamentale nella vicenda risorgimentale e nella conquista di Roma del 1870.
La città del martirio di S. Pietro, Principe degli Apostoli, capitale per secoli del dominio temporale
dei pontefici e cuore dell‟identità cristiana del continente europeo, veniva così paradossalmente a
sancire la nascita di uno Stato, il Regno d‟Italia, dai forti connotati anticlericali. Il rapporto tra la
Santa Sede e lo Stato italiano ha poi conosciuto, attraverso le definizioni normative del 1929 e 1948
una sistemazione provvisoria. La Revisione del 1984, adeguandosi ai mutamenti di una società
sempre più secolarizzata, ha posto termine al ruolo del Cattolicesimo quale religione di Stato
introducendo il principio del pluralismo religioso, accentuato dalla creazione dell‟istituto dell‟Otto
per mille. Rimangono però evidenti ed immutati il ruolo e l‟importanza della religione cattolica
nella cultura e nell‟identità italiana. Il rapporto di reciproca collaborazione tra le due istituzioni,
impegnate a vicenda per lo sviluppo e la dignità della persona umana in tutti i campi della vita e del
sapere, continua ancor oggi, nella precisa delimitazione delle reciproche sfere di competenza
tematiche e territoriali. La città di Roma vanta in questo contesto la singolarità di capitale di due
Stati, pacifici fra loro e uniti dall‟elaborazione culturale classica e cristiana.
A distanza di un secolo e mezzo, il riavvicinamento di Stato e Chiesa si pone così come un fatto
compiuto, nonostante qualche discordia intorno a temi etici e morali, in un‟epoca sempre più laica e
globalizzata. Negli ultimi anni, l‟aula della Camera dei Deputati, espressione compiuta della
8
democrazia italiana, ha assistito a due discorsi di “mea culpa”, da parte cattolica e da parte italiana,
atti a chiudere definitivamente un conflitto di secolare portata, come ci ricordano le parole del
“sommo poeta”.
Il 10 maggio 1996, insediandosi quale presidente di Montecitorio per la XIII legislatura, l‟onorevole
Luciano Violante, di formazione e cultura laica, parlando dell‟atto fondante dell‟Unità nazionale
italiana, rimarcava, riprendendo l‟annoso tema della “memoria condivisa”, che
“a differenza di altri importanti paesi europei, non abbiamo ancora valori nazionali comunemente
condivisi. Le due grandi vicende della storia nazionale, il Risorgimento e la Resistenza, hanno
coinvolto solo una parte del paese e solo una parte delle forze politiche. Quelle che ne sono uscite
sconfitte, ma anche settori di quelle vincitrici, tanto a metà dell‟Ottocento, quanto, un secolo dopo,
a metà del Novecento, hanno potuto, per ragioni diverse, frenare la portata innovativa e nazionale di
quegli eventi. Oggi del Risorgimento prevale un‟immagine oleografica e denudata dei valori
profondi che lo ispirarono”.
Sei anni dopo, la stessa aula partecipò ad un fatto storico: il 14 novembre 2002, Papa Giovanni
Paolo II, primo pontefice a varcare la soglia di uno dei palazzi sede dell‟antico potere papale, parlò
per 46 minuti di fronte a deputati, senatori e alle massime cariche dello Stato. Karol Wojtyla invitò
con queste parole il Parlamento a riscoprire l‟identità cristiana dell‟Italia, ricordando i terreni
proficui di collaborazione tra Stato e Santa Sede:
“Davvero profondo è il legame esistente fra la Santa Sede e l‟'Italia! Ben sappiamo che esso è
passato attraverso fasi e vicende tra loro assai diverse, non sfuggendo alle vicissitudini e alle
contraddizioni della storia. Ma dobbiamo al tempo stesso riconoscere che, proprio nel susseguirsi a
volte tumultuoso degli eventi, esso ha suscitato impulsi altamente positivi sia per la Chiesa di
Roma, e quindi per la Chiesa Cattolica, sia per la diletta Nazione italiana. A quest‟opera di
avvicinamento e di collaborazione, nel rispetto della reciproca indipendenza e autonomia, hanno
molto contribuito i grandi Papi che l‟Italia ha dato alla Chiesa ed al mondo nel secolo scorso: basti
pensare a Pio XI, il Papa della Conciliazione, ed a Pio XII, il Papa della salvezza di Roma, e, più
vicini a noi, ai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, dei quali io stesso, come Giovanni Paolo I, ho
voluto assumere il nome. Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi,
potremmo dire che l‟identità sociale e culturale dell'Italia e la missione di civiltà che essa ha
adempiuto ed adempie in Europa e nel mondo ben difficilmente si potrebbero comprendere al di
fuori di quella linfa vitale che è costituita dal cristianesimo. Mi sia pertanto consentito di invitare
9
rispettosamente voi, eletti Rappresentanti di questa Nazione, e con meditata fiducia nel patrimonio
di virtù e di valori trasmesso dagli avi. E‟ sulla base di una simile fiducia che si possono affrontare con
lucidità i problemi, pur complessi e difficili, del momento presente, e spingere anzi audacemente lo sguardo verso il
futuro, interrogandosi sul contributo che l‟Italia può dare agli sviluppi della civiltà umana (…)”
1
.
Questa ricerca si pone come obiettivo la ricostruzione dettagliata del lungo processo di
ricomposizione della frattura tra Stato e Chiesa, attraverso un‟analisi dei testi giuridici che ne hanno
codificato e ne determinano ancora il rapporto: il lavoro è stato svolto con materiale sia
storiografico sia giornalistico (utile per la parte più recente), ed è completato da un‟appendice
documentaria composta di fonti che, nonostante siano state già edite, costituiscono una selezione
scelta di quelle più importanti che contraddistinguono le quattro tappe cruciali di questa vicenda
(Legge delle Guarentigie del 1871, Patti Lateranensi del 1929, Costituzione del 1948, Revisione del
1984).
1
Il testo completo del discorso del Papa è consultabile in appendice (doc. 1).
10
Cap. I LA QUESTIONE ROMANA: ORIGINI DI UN CONFLITTO
11
12
La rivoluzione francese, con la diffusione graduale dei principi liberali ed egualitari in tutto il
continente europeo al seguito delle truppe napoleoniche, è il punto consolidato di passaggio da
un‟epoca all‟altra della storia mondiale. Il Congresso di Vienna, che riporta l‟assetto territoriale
europeo alla situazione dell‟Antico Regime tenterà di scalfire, non riuscendovi, un moto
inarrestabile che, passato per le azioni carbonare del 1820-21 in Italia e la rivoluzione parigina del
luglio 1830, vedrà il suo approdo naturale nelle vicende del 1848. E‟ in questo contesto storico che
nasce e si sviluppa la “Questione romana”
2
: i fatti francesi dal 1789 in poi avevano dimostrato
l‟incapacità per la Chiesa Cattolica di venire a patti con la società moderna; forte dei suoi millenari
domini temporali, il Papato era incapace di accettare le idee della triade “liberté, égalité, fraternité”.
Nel contesto del processo risorgimentale italiano, Roma diventa l‟ideale assoluto di capitale, nel
recupero dei valori di unità ed indipendenza con la liberazione dal secolare dominio straniero.
L‟“intransigentismo cattolico”, ossia la teorizzazione di un‟impossibilità di disgiungere il potere
spirituale dei papi dal dominio temporale, che permarrà, nelle sue linee essenziali, sino agli accordi
del 1929, è rappresentata dai due papi centrali del secolo, Gregorio XVI (enciclica “Mirari vos” del
1832) e Pio IX (1792-1878)
3
. L‟elezione di Mastai Ferretti al soglio di Pietro, avvenuta nel 1846, è
da interpretarsi in questo contesto come uno dei più grossi equivoci di tutta la vicenda
risorgimentale: la concessione dell‟amnistia per i prigionieri politici, il progetto di una timida serie
di riforme (tra cui la concessione di una costituzione) portato avanti da un primo ministro laico,
Pellegrino Rossi, in seguito assassinato per le strade di Roma, e l‟invocazione “Gran Dio benedite
l‟Italia” all‟atto della nomina a Papa genereranno, infatti, una serie di fraintendimenti a catena. Per
“Italia” il Pontefice intendeva chiaramente la Penisola italiana, con un‟idea non dissimile da quella
enunciata dal ministro degli Esteri austriaco, Metternich, quando la definì, al Congresso di Vienna,
una pura “espressione geografica”. Ben presto, all‟interno del movimento risorgimentale emersero,
sulla scorta di riflessioni sulla natura di un futuro Stato unitario, diverse tendenze critiche nei
confronti della politica papale: ai tradizionali anticlericali si assommarono ben presto numerosi
cattolici praticanti impegnati in politica, i quali proponevano un rinnovamento religioso e morale
2
Alla “Questione romana”, in questa ricerca, si è data una periodizzazione estensiva: a chi tende a considerare conclusa
la vicenda con i fatti del 1870, si è preferito porre la conclusione con la Conciliazione del 1929. Se, come si può
osservare, con Porta Pia si realizza la conquista di Roma de facto, è solo con i Patti Lateranensi che si assisterà, infatti,
ad un reciproco riconoscimento tra Stato italiano e Santa Sede. Da aggiungere inoltre il fatto che, chiusa la “Questione
romana”, da molti osservatori si continua a parlare di “Questione vaticana”, per molti versi non ancora conclusa.
3
Gregorio XVI, Lettera Enciclica “Mirari vos”, 15 agosto 1832 in appendice, doc. 2. I testi dei documenti papali sono
tratti dal “Denzinger” ( http://www.totustuus.biz/users/magistero).
13
nell‟ambito dell‟ortodossia cattolica
4
. Il dibattito sullo Stato della Chiesa era movimentato anche
fuori della Penisola: il 5 gennaio 1849, il ministro degli Esteri inglese lord Palmerston scrisse
all‟inviato speciale britannico presso Pio IX queste osservazioni che riflettevano il pensiero del
governo di Londra:
È chiaramente desiderabile che una personalità la quale, nella sua veste spirituale, possiede tanta influenza sulla
maggior parte dei Paesi europei, si trovi in una posizione indipendente tale da non poter essere impiegata, quale
strumento politico, da alcun Paese europeo a svantaggio di altre potenze. Da questo solo punto di vista è desiderabile
che il Papa rimanga sovrano del suo Stato.
In quegli stessi mesi, mentre il Papa si trovava esule a Gaeta sotto protezione borbonica ed a Roma i
mazziniani avevano proclamato la Repubblica (9 febbraio 1849) dichiarando decaduto il potere
temporale dopo il ritiro delle truppe pontificie dalla guerra contro l‟Austria, una commissione
politica francese, con rappresentanti di tutti i partiti politici d‟Oltralpe giunse ad una conclusione
analoga al governo di Londra dichiarando che per il bene universale l‟indipendenza del Papa era
indispensabile, “né vi erano altre forme di indipendenza che la sovranità”. Queste reazioni aiutano a
comprendere gli eventi successivi: mancante di appoggi internazionali, la Repubblica guidata da
Mazzini, Armellini e Saffi, dovette soccombere in conseguenza dell‟intervento francese
5
e le
autorità politiche piemontesi cercarono di temporeggiare sullo spinoso nodo della sovranità
pontificia. Dopo la prima guerra d‟indipendenza, il Regno di Piemonte era l‟unica realtà in Italia
dove persisteva un regime costituzionale; la classe dirigente liberale cominciò, in concomitanza con
gli eventi bellici a creare, nel contesto di una riforma generale dello Stato, un‟organica politica
ecclesiastica, che si sarebbe progressivamente estesa alle altre regioni dal 1859.
Sono note le vicende relative allo “Statuto Fondamentale del Regno di Sardegna”, concesso da
Carlo Alberto nel cuore degli eventi bellici il 4 marzo 1848
6
. La Carta, che resterà la legge
fondamentale dello Stato italiano dal 1861 al 1948
7
, si apriva con il riconoscimento della “religione
Cattolica, Apostolica e Romana” come “sola religione dello Stato”, e qualificava le altre confessioni
4
Tra questi citiamo l‟abate piemontese Vincenzo Gioberti (1801-1852), che nel 1842, esule a Bruxelles, aveva
pubblicato il “Primato morale e civile degli italiani”, manifesto del cosiddetto “neoguelfismo”, ossia la volontà di
formare, sotto la presidenza del Papa, una confederazione unitaria di Stati, e del filosofo Antonio Rosmini, che propose
un rinnovamento della Chiesa fondato sulla “libertà senza privilegi”
5
Il generale Oudinot sbarcò a Civitavecchia il 5 aprile, seguito da truppe austriache, spagnole e napoletane; lo stato
romano crollò il 3 agosto.
6
Statuto del Regno, l.4 marzo 1848, n. 674. Le vicende relative alla nascita del documento sono ben ricostruite in G.
REBUFFA, Lo Statuto Albertino, Bologna 2002.
7
Per l‟evoluzione dell‟assetto costituzionale in Italia vedi S. LABRIOLA, Storia della costituzione italiana, Napoli 1995.
14
come “tollerate conformemente alle leggi”
8
. L‟apparente confessionismo della formulazione fu
ridimensionalo già dagli “editti di tolleranza” attuativi del secondo comma, che concessero diritto di
culto, fra gli altri, ai Valdesi, ma soprattutto con la Legge Sineo (19 giugno 1848, n. 735), che
specificò che la differenza di culto non poteva dare luogo a discriminazioni nel godimento dei diritti
civili e politici e nell‟ammissibilità alle cariche civili e militari. La successiva legge 25 agosto 1848,
n. 777 soppresse la Compagnia di Gesù vietando “ogni sua adunanza in qualunque numero di
persone”. Il 22 novembre successivo, nell‟intento di eliminare una parte di privilegi ecclesiastici, il
deputato Angius presentò un progetto di legge che proponeva l‟abolizione della secolare imposta
della decima, da compensare con l‟istituzione di un Economato generale misto destinato ad
assicurare una congrua ai vescovi ed ai sacerdoti in cura d‟anime
9
.
La politica antiecclesiastica del Regno, atta a limitare le ingerenze clericali nella vita dello Stato
Sabaudo con una politica giurisdizionalista che sostanzialmente lasciava inattuato il dettato dello
Statuto, venne quindi proseguita dal gabinetto presieduto dal cattolico liberale Massimo D‟Azeglio.
Questa politica vede il suo culmine, dal punto di vista patrimoniale, nelle leggi Siccardi (l. 9 aprile
1850, n. 1013 e 5 giugno 1850, n. 1037). Votate in un clima di scontro tra il governo liberale e la
destra conservatrice, queste contribuirono ad alienare il consenso di molti cattolici, dentro e fuori il
Regno, nei confronti del movimento risorgimentale, e furono condannate dall‟episcopato locale e da
Pio IX, che ne scomunicò gli estensori. Punti centrali della legge, che eliminò ogni residuo di
feudalesimo nel Regno, furono: la soppressione del “privilegio del foro”, ossia l‟esenzione degli
ecclesiastici dalla giustizia ordinaria; l‟eliminazione del “diritto d‟asilo”, ossia il privilegio della
Chiesa di sottrarre alle pubbliche autorità i colpevoli di qualsiasi reato che si fossero rifugiati nei
luoghi di culto; la riduzione del numero eccessivo di festività religiose e l‟obbligo
dell‟autorizzazione governativa per ogni acquisto di beni da parte degli enti morali, pubblici e
privati, ecclesiastici e laicali, nazionali e stranieri
10
. La laicizzazione dello Stato attraverso le
cosiddette “leggi eversive” conobbe quindi una sosta forzata a causa della crisi del governo
D‟Azeglio. Davanti alla proposta del premier (1852) di introdurre nell‟ordinamento del Regno il
8
La norma, voluta dallo stesso devoto sovrano, riprendeva sostanzialmente una codificazione tradizionale nella storia
dello Stato sabaudo e nei vecchi concordati con la Chiesa, ed era stata mutuata dalla Carta spagnola di Cadice (1812).
La disposizione era enunciata inoltre negli artt. 1-3 del Codice Civile piemontese, emanato nel 1837: F. FINOCCHIARO,
Diritto Ecclesiastico, Bologna 1990, p. 15.
9
A. C. JEMOLO, La questione della proprietà ecclesiastica (1848-1888), con premessa di F. MARGIOTTA BROGLIO,
Bologna 1974, p. 41
10
“Gli stabilimenti o corpi morali, siano ecclesiastici o laicali, non potranno acquistare beni stabili senza essere a ciò
autorizzati con regio decreto, previo il parere del Consiglio di Stato. Le donazioni tra vivi e le disposizioni testamentarie
a loro favore non avranno effetto se essi non saranno nello stesso modo autorizzati”: S. LARICCIA, Diritto Ecclesiastico,
Padova s.d., p. 15.
15
matrimonio civile, la destra piemontese e la Chiesa si lanciarono in una nuova offensiva, arrivando
a proporre l‟offerta di un contributo finanziario allo Stato in cambio del ritiro del progetto, e
Vittorio Emanuele II si rifiutò di firmare, considerando il provvedimento contrario alla sua
coscienza. Il ritiro del progetto e la crisi di governo divennero a quel punto inevitabili, creando una
situazione di vera e propria ingovernabilità. L‟alleanza tra Rattazzi e Cavour (il “connubio”), portò
quindi alla formazione di un governo di larghe intese, presieduto dal secondo. Il nuovo gabinetto,
emendato il testo nelle sue parti più contestate, approvò la legge nel 1855. Questa prevedeva
l‟esproprio totale dei beni degli enti ecclesiastici contemplativi (non impiegati in attività
d‟istruzione, assistenza ai malati o predicazione) e il passaggio dei loro beni all‟amministrazione
statale tramite un ente appositamente costituito, la Cassa Ecclesiastica, che devolveva gli interessi a
quei sacerdoti la cui “congrua” era inferiore alla media. Oltre ad una completata laicizzazione,
tramite la vendita dei beni ecclesiastici fu così risanato il bilancio messo in crisi dalle forti spese
sostenute per le opere pubbliche ed incentivato lo sviluppo dell‟agricoltura capitalistica
11
.
Successivo oggetto dell‟interesse del Parlamento subalpino fu l‟istruzione pubblica. La legge Lanza
(l. 22 giugno 1857, n. 2328), all‟articolo 10 prevedeva:
“Negli istituti e nelle scuole pubbliche la religione cattolica sarà fondamento dell‟istruzione e dell‟educazione religiosa.
Per gli acattolici ne sarà lasciato alla cura ai rispettivi parenti. Nelle leggi speciali e nei regolamenti relativi
all‟insegnamento pubblico si determinano le cautele da osservarsi nella direzione ed istruzione religiosa degli alunni
cattolici”.
Il provvedimento più importante sulla materia avrebbe però atteso due anni: è la legge 13 novembre
1859, n. 3725 del ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati, che introdusse tra le discipline
scolastiche la religione cattolica. Pur nel clima laico che dominava i concomitanti eventi della
seconda guerra d‟indipendenza, la classe dirigente piemontese era convinta che il popolo non fosse
pronto ad un‟educazione priva di solidi riferimenti morali. Il provvedimento, che costituirà
l‟ossatura della scuola italiana fino al 1923, improntato ad un rigido schema gerarchico, definiva
chiaramente il ruolo della religione. Nella scuola elementare essa figurava come parte integrante del
curricolo, era impartita dal maestro e controllata dal parroco mediante un esame alla fine di ogni
semestre (art. 325); allo stesso maestro era imposto, soprattutto nei comuni rurali, di accompagnare
gli allievi alle funzioni parrocchiali nei giorni festivi. Nelle scuole secondarie di indirizzo classico e
tecnico la legge prescriveva, a fianco degli insegnamenti curricolari, che “l‟istruzione religiosa sarà
data da un direttore spirituale nominato dal Ministero della Pubblica Istruzione” (art.193); nelle
11
S. LARICCIA, Diritto Ecclesiastico… op. cit.., p. 17.
16
Scuole Normali (le antesignane delle Magistrali) essa era impartita da un titolare di cattedra e
costituiva materia d‟esame finale. Nelle scuole secondarie di ogni ordine e grado, a differenza delle
elementari, era però prevista la possibilità dell‟esonero su richiesta dei genitori per i non cattolici e
per coloro cui il padre o chi ne facesse le veci avesse per iscritto dichiarato di “provvedere
privatamente all‟istruzione religiosa”. La legge prescriveva anche il mobilio da tenere in tutte le
aule scolastiche del Regno: tra gli oggetti, per la prima volta è prevista l‟esposizione del
crocifisso
12
.
La guerra contro il Papato e la conquista di Roma
Mentre il Regno di Sardegna poneva mano ad una riorganizzazione generale della materia
ecclesiastica, buona parte dei domini pontifici (Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Umbria), in
seguito alla seconda guerra d‟indipendenza, veniva annessa al territorio dello Stato Sabaudo tramite
l‟istituto plebiscitario. Il 27 marzo 1861, dieci giorni dopo la nascita del nuovo Regno, il
Parlamento proclamava, con evidente intento provocatorio, Roma capitale d‟Italia, mentre ancora la
città era saldamente in mano al Papa, garantito dall‟appoggio delle principali potenze europee,
capeggiate dalla Francia di Napoleone III. Nel suo vibrante discorso Cavour ricordò le profonde
ragioni storiche che motivavano quella decisione, mostrandosi fiducioso del fatto che, con la
restituzione di Roma all‟Italia e la definitiva scomparsa del potere temporale della Chiesa, l‟autorità
dei Pontefici e l‟autonomia del loro magistero spirituale non avrebbero subito alcuna diminuzione,
anzi ne avrebbero derivato maggior prestigio morale: era l‟enunciazione della celebre formula
separatista “Libera Chiesa in libero Stato”, che sarebbe stata alla base della politica del nuovo Stato
nei confronti della Santa Sede
13
. Con la proclamazione del Regno d‟Italia, si consolidava intanto il
potere della Destra storica, anche se molte potenze straniere non vedevano favorevolmente
l‟espansione dello Stato in un territorio più grande del previsto. Da parte loro, i democratici
mazziniani e garibaldini, delusi da un‟unificazione che aveva solamente esteso le caratteristiche del
Regno precedente al resto della Penisola (la cosiddetta “piemontesizzazione”) senza coinvolgere le
masse popolari, riportarono in primo piano quella che si cominciò a definire la “Questione romana”.
Sensibili al richiamo dell‟antica tradizione repubblicana, i democratici, raccolti nel Partito
12
L. ZANNOTTI, Il crocifisso nelle aule scolastiche, in “Il Diritto Ecclesiastico”, s.l. 1990, p. 325.
13
La formula separatista si basava sull‟idea di un compromesso stabile tra Stato liberale e Chiesa cattolica, fondato
sulla rinuncia da parte della seconda al proprio potere temporale in cambio del dominio spirituale, e sull‟impegno del
primo a garantire non solo la piena libertà religiosa, ma il “primato etico-civile del cattolicesimo come base della vita
nazionale”. Tra gli altri liberali, da ricordare la posizione del piemontese Quintino Sella: per lui la “terza Roma” dopo
quella dei Cesari e dei Papi, avrebbe dovuto diventare “la capitale della nuova età della scienza e del progresso”.
17
d‟Azione, cominciarono a premere sul governo per una sbrigativa soluzione del problema. La
rilevanza internazionale della posta in gioco, al centro di difficili equilibri intessuti dai moderati nel
contesto europeo, non poteva però permettere una forzatura sul processo di unificazione delle
rimanenti regioni (Roma e il Lazio, oltre al Veneto ancora austriaco), tenuto conto del fatto che, in
molti dei democratici, il movente politico nascondeva un vero e proprio anticattolicesimo. Il 6
giugno 1861, a poche settimane dalla nascita del nuovo Regno, Cavour moriva precocemente,
all‟età di cinquantuno anni, lasciando la classe dirigente orfana del suo esponente più
rappresentativo e lungimirante. Il successore di Cavour, il barone toscano Bettino Ricasoli (1809-
1880), nominato primo ministro il 12 giugno 1861, dimostrò di non avere la stessa abilità
diplomatica del predecessore. Educato in un particolare rigore morale e cattolico praticante, il primo
ministro era sinceramente convinto che, se la Chiesa si fosse liberata degli ultimi segni del potere
temporale, avrebbe potuto avviare un‟opera di profondo rinnovamento interiore, adeguandosi alle
attese della religiosità moderna. Dopo aver tentato di convincere Pio IX ad una soluzione negoziata,
ricevendo dal pontefice, ostentato nel voler conservare il proprio dominio temporale e sospettoso
verso ogni esperimento di riforma del cattolicesimo, un netto rifiuto, (“non possumus”), Ricasoli si
orientò verso la Francia. Napoleone III, avvertita un‟iniziativa italiana sul Lazio come
un‟aggressione diretta, protrasse ulteriormente la permanenza delle truppe francesi nello Stato
Pontificio, supportato da Austria e Inghilterra. Contestato dalla destra, che avrebbe preferito
maggiore cautela, osteggiato dalla sinistra, che continuava a caldeggiare una politica estera più
aggressiva minacciando il ricorso all‟azione diretta di tipo garibaldino, abbandonato da Vittorio
Emanuele II, sempre oscillante in materia religiosa, dopo appena nove mesi di governo, il 3 marzo
del 1862, Ricasoli dovette rassegnare le dimissioni. Il suo posto fu occupato dall‟antico leader della
Sinistra piemontese, Urbano Rattazzi (1808-1873), che, nonostante la fiducia del sovrano, dovette
affrontare l‟opposizione delle potenze europee alla fine del potere papale. Rattazzi, convinto di
poter ripetere l‟impresa che aveva portato alla conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei
Mille, agevolò segretamente le iniziative per arruolare volontari per marciare su Roma e Venezia.
Nel maggio 1862, costretto dalle minacce austro-francesi, Rattazzi fu costretto a sconfessarsi,
disperdendo le truppe di volontari pronti a varcare il confine a Sarnico, nel Trentino. Due mesi
dopo, noncurante della sconfitta trentina, Garibaldi, al grido di “O Roma o morte!”, tornò in Sicilia
per compiere un‟iniziativa armata contro lo Stato pontificio. Di fronte all‟atteggiamento di
Napoleone III, che minacciò l‟invio di truppe a difesa del Papa, Rattazzi, proclamato lo stato
d‟assedio nell‟isola, mandò l‟esercito a fermare Garibaldi, sbarcato in Calabria con i suoi volontari.
18
Il 29 agosto 1862 forze dell‟esercito regolare aprirono in Aspromonte il fuoco contro i garibaldini.
Garibaldi, ferito, fu imprigionato per alcuni mesi nella fortezza di Varignano, presso La Spezia
14
.
Vittima dell‟ambiguità della propria condotta, il governo Rattazzi cadde l‟8 dicembre 1862. Da quel
momento in avanti gli esecutivi dovettero adottare una tattica diversa, fatta di trattative
diplomatiche che sfruttassero gli spiragli aperti nel quadro europeo dalle contraddizioni tra le
potenze dominanti. Questa via seguì il ministero presieduto dal moderato bolognese Marco
Minghetti (1818-1866), succeduto nel marzo 1863 al governo di transizione di Luigi Carlo Farini
(1812-1866). Volenteroso di giungere ad una soluzione consensuale sulla “Questione romana”,
Minghetti rassicurò la Francia, “tutrice” dello Stato papale. Il 15 settembre 1864, Vittorio Emanuele
II e Napoleone III firmarono così la cosiddetta “Convenzione di settembre”. In virtù di
quest‟accordo la Francia s‟impegnava a ritirare entro due anni le truppe poste a difesa dello Stato
pontificio; da parte sua, il Regno d‟Italia si faceva garante dell‟integrità del potere del Papa e, per
simboleggiare la definitiva rinuncia a Roma, s‟impegnava a trasferire la propria capitale da Torino a
Firenze. La notizia della Convenzione scontentò tutti: i democratici denunciarono con forza la
rinuncia governativa a Roma e il rischio di un “Aspromonte permanente” implicito nell‟impegno a
tutelare i confini pontifici. Torino insorse il 21 settembre contro la decisione di trasferire la capitale:
seguì una sanguinosa repressione che causò 30 morti nella città sabauda e la separazione dalla
maggioranza di un gruppo di deputati piemontesi (“la Permanente”), intransigenti difensori delle
prerogative dell‟antico Regno. Minghetti fu così costretto alle dimissioni (23 settembre 1864),
sostituito alla guida del governo dal generale piemontese Alfonso La Marmora (1804-1878). Il
governo italiano, in realtà, vedeva nella Convenzione solo un espediente diplomatico per eliminare
dalla penisola ogni presenza militare francese.
Allarmato dalle possibili conseguenze dell‟accordo italo-francese, Pio IX, l‟8 dicembre 1864 emanò
l‟enciclica “Quanta Cura”. Al documento venne annesso il “Sillabo”, un elenco di 80 proposizioni
giudicate “errori dei tempi moderni” dalla Chiesa. Tra le tante proposizioni enunciate, la
settantanovesima asseriva che “la libertà di discussione corrompe le anime” e la trentaduesima che
“il clero ha un diritto naturale ad essere esentato dal servizio militare”. Si condannavano inoltre: il
principio democratico della “volontà del popolo”, sovvertitore dei diritti divini delle sovranità da
parte delle legittime monarchie, lo spirito laico di ricerca, la negazione del potere temporale, la
scuola libera da interferenze religiose, la ribellione contro l‟autorità costituita, la tolleranza
14
L'episodio d‟Aspromonte destò enorme impressione nell‟opinione pubblica italiana, riportando alla luce quel
contrasto tra “Paese reale” e “Paese legale” che sarebbe rimasto ben oltre l‟Unità (fenomeno del brigantaggio), e
dimostrando come la conquista dei territori non ancora annessi poteva realizzarsi solo con un‟adeguata copertura
politica e diplomatica.
19
religiosa, la libertà di coscienza e di stampa, la legislazione eversiva. Socialismo e comunismo
furono definiti “funestissimi errori”, in quanto sovvertitori dei diritti naturali di proprietà, insieme al
razionalismo e alle associazioni per la diffusione della Bibbia, ed era decisamente negato che il
Papa dovesse o potesse scendere a compromessi “col progresso, col liberismo, colla moderna
civiltà”. Il documento, una pagina oscura nella storia della Chiesa, suscitò enorme indignazione tra i
governi europei e provocò un‟ondata violenta di anticlericalismo, ben rappresentata dalla frase di
Francesco Crispi: “La cristianità deve essere purgata dai vizi della Chiesa romana o altrimenti
perire”
15
. La conquista del Veneto con la terza guerra d‟indipendenza (aprile-ottobre 1866) rilanciò
le critiche progressiste di arrendevolezza nei confronti della Santa Sede da parte del governo.
L‟esecutivo, da parte sua, in contemporanea con gli eventi bellici, riprendendo la politica
ecclesiastica del Regno piemontese, approntò una serie di provvedimenti legislativi per porre fine al
potere temporale della Chiesa e rilanciare lo sviluppo economico del Paese.
La prima legge, varata il 7 luglio 1866, soppresse quasi tutti gli ordini religiosi nel territorio del
Regno, le corporazioni e le congregazioni regolari e secolari, i conservatori ed i ritiri di carattere
ecclesiastico (circa 25000, che si aggiungevano ai 13000 precedentemente soppressi), disponendone
la confisca dei beni. Il successivo provvedimento, entrato in vigore il 15 agosto 1867, pur lasciando
intatti i redditi delle parrocchie, dichiarò decaduti dalla qualifica di “ente morale” i Capitoli delle
Chiese Cattedrali e delle collegiate, le chiese ricettizie, le comunità e le cappellanie corali. Tutti i
beni appartenuti a questi enti furono devoluti allo Stato “provvedendosi a iscrivere, a favore del
fondo per il culto, una rendita del 5%”, dopo aver operato la deduzione di tre decimi per scopi
educativi e di pubblica beneficenza
16
. Accantonate proposte più radicali (controllo governativo sui
seminari; interferenza prefettizia, se necessario, nella celebrazione dei riti religiosi; rinvio a giudizio
dei sacerdoti che rifiutavano l‟assoluzione agli scomunicati per motivi politici), il governo obbligò
con un altro provvedimento i seminaristi a compiere il servizio militare, e con il nuovo Codice
Civile non diede sanzione legale ai matrimoni che non fossero stati celebrati secondo il rito civile.
Nell‟aprile 1867, con il ritorno al potere di Rattazzi, s‟intensificò l‟organizzazione garibaldina per
una nuova spedizione verso Roma. La condotta nuovamente titubante del primo ministro, intimorito
dalle proteste di Napoleone III, condusse però ben presto ad un nuovo arresto di Garibaldi
15
Pio IX, “Quanta Cura”, 8 dicembre 1864, doc. 3 in appendice.
16
Con l‟istituzione del Fondo per il culto, lo Stato manteneva la religione cattolica grazie alle rendite del patrimonio
ecclesiastico di cui si era appropriato, anche se formalmente il denaro statale non finiva nelle casse ecclesiastiche, dal
momento che le spese destinate ad opere di religione e di culto erano a carico del bilancio del Fondo stesso. Per
approfondire l‟argomento vedi G. DALLA TORRE, Il Fondo per il Culto. Ascesa e declino di un istituto
giurisdizionalistico, in Ministero dell‟Interno-Direzione Generale degli Affari dei culti, Il Fondo Edifici di Culto.
Chiese monumentali: storia, immagini, prospettive, Napoli 1997, pp. 9 ss.
20
(settembre 1867). Il generale, fuggito da Caprera, raggiunse i volontari ai primi d‟ottobre: entrati
nello Stato Pontificio, i volontari si scontrarono con il corpo di spedizione militare comandato dal
generale Oudinot ed equipaggiato da moderni fucili, gli chassepots, a retrocarica e rigatura a spirale.
Dopo un primo successo a Monterotondo, i volontari, giunti a Roma, furono sconfitti dagli zuavi a
Villa Glori; il 3 novembre 1867 anche i garibaldini furono definitivamente battuti a Mentana dalle
organizzate truppe francesi. Il fallimento dell‟insurrezione popolare romana, dimostrando la
vicinanza di buona parte della popolazione al Pontefice, riportò il governo italiano a preferire
l‟azione diplomatica all‟intervento militare. Le difficoltà dell‟Impero francese e le sempre più
manifeste ambizioni della Prussia lasciavano, infatti, intravedere prossimo un nuovo
sconvolgimento a livello europeo. La sconfitta di Napoleone III a Sedan (2 settembre 1870) e la
proclamazione in Francia della repubblica offrirono al governo italiano, guidato ora dal piemontese
Giovanni Lanza (1810-1882), l‟occasione per assumere un‟iniziativa autonoma.
La mattina del 20 settembre 1870 l‟artiglieria dell‟esercito italiano aprì una breccia nelle mura
aureliane, all‟altezza della michelangiolesca Porta Pia. Due battaglioni (uno di fanteria, l‟altro di
bersaglieri) al comando del generale Raffaele Cadorna, dopo una simbolica resistenza opposta dai
papalini (guardie svizzere, più qualche volontario francese, austriaco, olandese e spagnolo)
17
,
occuparono la città, dove per primo fu fatto entrare un cane, ribattezzato “Pio IX”, che trasportava
un carretto pieno di Bibbie protestanti
18
. Mastai Ferretti, che stava celebrando il Concilio Vaticano
I, dove era stato stabilito il dogma dell‟infallibilità papale “ex cathedra”, decise di ritirarsi nei
Palazzi Apostolici, rifiutando però la clausola dell‟armistizio che gliene lasciava il possesso. Con
l‟enciclica “Respicientes ea” (1 novembre 1870) Pio IX, dichiarata “ingiusta, violenta, nulla e
invalida” l‟occupazione italiana dei territori della Santa Sede, denunciò la “cattività” del pontefice,
impossibilitato ad “esercitare liberamente e sicuramente la suprema autorità pastorale”, e scomunicò
tutti coloro che avevano attuato o favorito “l‟usurpazione” (compresi il re, il governo e il
Parlamento italiani). La lettera si chiudeva con un appello alle potenze cattoliche e ai credenti
17
Questa la descrizione di quel giorno nel diario di un soldato papalino, il caporale dei Cacciatori Pontifici Antonio
Maria Bonetti (1849-1896), allora ventunenne: “Stavamo sulle righe, quando alcune voci sulla Piazza di San Pietro
gridarono: „Il Papa, il Papa!‟. In un momento, cavalieri e pedoni, ufficiali e soldati, rompono le righe e corrono verso
l‟obelisco, prorompendo nel grido turbinoso e immenso di: „Viva Pio IX, viva il Papa Re!‟, misto a singhiozzi, gemiti e
sospiri. Quando poi il venerato Pontefice, alzate le mani al cielo, ci benedisse, e riabbassatele, facendo come un gesto di
stringerci tutti al suo cuore paterno, e quindi, sciogliendosi in lacrime dirotte, si fuggì da quel balcone per non poter
sostenere la nostra vista, allora sì veruno più poté far altro che ferire le stelle con urla, con fremiti ed esecrazioni contro
coloro che erano stati causa di tanto cordoglio all‟anima di un sì buon Padre e Sovrano”. Figg. 1-6 in appendice
iconografica.
18
Da allora, il 20 settembre divenne festa nazionale, abolita solo dopo la Conciliazione del 1929. In molte città e paesi
italiani, a ricordo dell‟evento, le amministrazioni chiamarono “XX settembre” la piazza o la strada prospiciente il
principale edificio di culto cattolico.
21
italiani affinché venissero in suo aiuto
19
. Con un successivo plebiscito del 2 ottobre, nonostante gli
appelli papali, era proclamata l‟annessione della città e del restante territorio pontificio all‟Italia (su
167548 votanti, vi furono 133681 favorevoli e 1507 contrari): terminava così la secolare storia dello
Stato Pontificio e si apriva una nuova fase, più delicata, nei rapporti tra il neonato Regno e la Sede
Apostolica
20
.
La prima codificazione normativa tra lo Stato e la Santa Sede: la “Legge delle Guarentigie” (13
maggio 1871)
Conquistata Roma, proclamata capitale del Regno nella primavera del 1871 e divenuta sede della
Corte nel luglio successivo, il governo italiano deliberò un provvedimento per “compensare” il Papa
della perdita subita e disciplinare i rapporti tra il neonato Stato e la Santa Sede. Il presidente del
Consiglio Lanza, dopo lunghi dibattiti, affidò così l‟incarico di redigere un progetto di legge sulla
materia al ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Matteo Raeli.
La cosiddetta Legge delle Guarentigie (ossia delle garanzie, l. n. 214), fu approvata dal Parlamento
il 13 maggio 1871 con 105 voti a favore e 20 contrari. Composto di 19 articoli, il provvedimento
riconosceva al Papa una posizione privilegiata nello Stato italiano ma, tuttavia, al di là delle
questioni di ordine giuridico che imponeva (se il Papa l‟avesse accettata sarebbe stato costretto a
riconoscere lo Stato italiano e quindi ad approvare la conquista di Roma e la conseguente fine del
potere temporale), costituiva una iniziativa unilaterale di tipo giurisdizionalista ed era assolutamente
impensabile che potesse essere accettata dalla Santa Sede. Il provvedimento, ispirato al principio
del separatismo liberale cavouriano, consta di due titoli. Il primo, dedicato alla Santa Sede,
prevedeva l‟impegno italiano a garantire il libero svolgimento del magistero papale ed ecclesiastico
e l‟attribuzione al Papa di una protezione giuridica simile a quella accordata al re. Al Pontefice,
dichiarato esente dalla giurisdizione penale italiana, venivano riconosciuti onori sovrani; la legge si
incaricava inoltre, in base al principio della religione di Stato, di punire gli attentati e le ingiurie al
Papa con le stesse pene stabilite per gli attentati e le ingiurie al re. Al corpo diplomatico accreditato
presso la Santa Sede venivano concesse le stesse garanzie e prerogative accordate al corpo
diplomatico accreditato presso l‟Italia, con diritto di legazione attiva e passiva. Pur non concedendo
alcuna sovranità territoriale al Vaticano, lo Stato italiano attribuì il privilegio dell‟extra-territorialità
19
Pio IX, “Respicientes ea”, 1 novembre 1870, doc. 4 in appendice.
20
Sulle vicende risorgimentali e la complessa figura di Pio IX vedi, oltre ai classici G. MARTINA, Pio IX (1851-1866),
Roma 1986 e ID., Pio IX (1867-1878), Roma 1990, A. TORNIELLI, Pio IX. L‟ultimo Papa re, Milano 2004 e il recente D.
I. KERTZER, Prigioniero del Vaticano. Pio IX e lo scontro tra la Chiesa e lo Stato italiano, Milano 2005.