INTRODUZIONE
Questo lavoro di tesi si pone l’obiettivo di analizzare le cause che hanno portato alla
rovina e in alcuni casi alla fine drammatica di alcuni dei più “ grandi dello sport ”.
Per grandi dello sport s’intendono tutti quei personaggi che non solo sono arrivati a
primeggiare nella propria disciplina sportiva, ma che sono diventati veri e propri
campioni, indiscussi ed osannati dalle folle, ben al di là della stretta cerchia di
appassionati.
Infatti vi è una grande differenza tra l’ottimo sportivo e il campione.
Il campione è quel personaggio che si distingue dai colleghi non solo per l’incredibile
talento e la propria ineguagliabile tecnica sportiva, ma anche per il carisma e per la
capacità di entrare nel cuore del pubblico tifoso, rendendosi creatore di mode e abitudini
da seguire e imitare.
Elementi comuni a tutti gli sportivi che verranno trattati sono, innanzitutto, l’essere
diventati quasi simbolo del proprio sport, l’enorme esposizione mediatica ricevuta,
l’esaltazione e “iconizzazione” trasformatasi poi nella più cruda speculazione con
conseguente affossamento del personaggio.
Come già detto, sono stati scelti dei personaggi sportivi a dir poco emblematici per
quanto riguarda il rapporto tra grande successo e fragilità emotiva:
1. Marco Pantani : l’uomo che dopo Fausto Coppi ha fatto innamorare di nuovo gli
italiani del ciclismo; lo sportivo vincitore nello stesso anno di “Giro d’Italia” e
“Tour de France”, il “pirata” , personaggio di spettacolo conteso dagli sponsor
e, infine, dopo lo scandalo doping di Madonna di Campiglio, il drogato
dipendente dalla cocaina, trovato morto in una camera d’albergo.
2. Diego Armando Maradona : forse il più grande calciatore di tutti i tempi, l’autore,
contro l’Inghilterra, del gol più bello del secolo, il trascinatore dell’Argentina
nella vittoria dei Mondiali dell’86, “El Pibe de Oro” che a Napoli era più
venerato di S.Gennaro, il personaggio pubblico eccessivo e dipendente dalla
cocaina, come risultato dai controlli anti-doping, costretto a porre fine alla sua
carriera sportiva.
3. George Best : il grande calciatore del “Manchester United”, il vincitore del
Pallone d’Oro del 1968, icona pop inglese, definito il “ quinto beatle” per i suoi
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lunghi e oltraggiosi capelli, l’amante della bella vita e bevitore incallito tanto da
morire, alcolizzato, di cirrosi epatica.
4. Andrè Agassi : la “rockstar” del tennis, detentore tuttora di numerosi record
sportivi, che confessa, a fine carriera, con la sua autobiografia “Open”, l’odio per
il tennis, praticato solo per imposizione del padre Mike e la sua dipendenza da
metanfetamina, per sopportare gli impegni sportivi e una vita non scelta.
5. Tiger Woods : il più grande golfista di tutti i tempi, lo sportivo più pagato al
mondo, il “nero” nello sport dei bianchi, testimonial di innumerevoli sponsor,
l’uomo e marito coinvolto in torbidi scandali sessuali, terminati con una sua
confessione in conferenza stampa, nella quale ammette la sua dipendenza dal
sesso.
6. Mike Tyson : il più giovane campione di pesi massimi nella boxe, l’uomo
rincorso dagli sponsor che, all’apice della sua carriera, nel 1991 viene arrestato e
condannato per violenza sessuale su minore, lo sportivo che, scontata la
reclusione, ritorna sul ring nello storico incontro contro Holyfield dove mette
fine alla sua carriera con il famoso morso all’orecchio dell’avversario.
7. Matti Nykanen : il più grande saltatore con gli sci di tutti i tempi, poliedrico
personaggio che dopo il ritiro era diventato cantante pop, attore e perfino
spogliarellista; l’uomo alcolizzato coinvolto in svariati problemi giudiziari e
accusato di tentato omicidio della moglie.
8. Amanda Beard : la nuotatrice, campionessa olimpionica che nel 2012 pubblicherà
la sua autobiografia “In the water they can’t see you cry”, in cui confessa i suoi
abusi di alcol e droga per le troppe pressioni subite.
Con questo lavoro di tesi verrà analizzata la carriera sportiva, la presa sul pubblico, la
funzione dei media nell’esaltare e distruggere il personaggio non più solo sportivo e
infine la rovina e la caduta di queste straordinarie figure.
Il lavoro di tesi si struttura come segue.
Il primo capitolo tratta delle psicopatologie legate propriamente all’attività sportiva,
nella letteratura della psicologia dello sport italiana ed estera.
Il secondo e il terzo capitolo trattano, invece, delle dipendenze da sostanze e gli aspetti
ad esse correlati, all’interno della letteratura psicologica italiana ed estera.
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Ognuno dei capitoli successivi tratta di un campione sportivo considerando: biografia,
ascesa del mito, tipologia di dipendenza sofferta (droga, alcol, sesso, successo ecc.) e
infine il declino o la rovina (in alcuni casi, la morte).
Infine, vi è il capitolo delle conclusioni sull’analisi effettuata.
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Capitolo 1.
LA PSICOPATOLOGIA E LO SPORT Nel mio lavoro di tesi mi prefiggo l’obiettivo di analizzare “L’altra faccia dello Sport”
e, quindi, le psicopatologie specificatamente legate all’attività sportiva.
In questo primo capitolo, verranno esaminati gli aspetti negativi, portatori di patologia e
disagio insiti nello sport, all’interno della letteratura di psicologia dello sport.
Antonelli e Salvini (1987), massimi esponenti della psicologia dello sport, classificano le
patologie legate all’attività sportiva in sindromi specifiche e aspecifiche da sport .
In seguito Terreni e Occhini (1997) hanno ampliato la classificazione di tali disturbi,
aggiungendo la categoria dell’ Atleta in crisi, ovvero quando un atleta di buone qualità
con un positivo standard di performance attraversa un momento negativo a livello
individuale o a livello prestazionale, e suddividendo la Sindrome aspecifica da sport in
minore e maggiore (come analizzato nei seguenti paragrafi).
1.1 Le sindromi specifiche da sport
In questa categoria nosografica si includono le forme psicopatologiche che, pur
instaurandosi su una personalità genericamente predisposta, sono determinate da cause
legate all’attività sportiva e soltanto a essa.
Poiché ciò che dà allo sport un’entità psicologica a sé stante è l’agonismo, cioè l’anelito
a misurarsi con altri, le cause psichiche patogene legate allo sport non possono non
associarsi con le due situazioni emotive che sono la logica conclusione di ogni gara: la
sconfitta e la vittoria (Antonelli, 1967).
Le Sindromi specifiche da sport vedono un atleta di buone qualità non presentare uno
standard positivo di performance o d’altra parte, presentarlo in maniera saltuaria e
discontinua, tale da far pensare a impedimenti di natura psicologica limitati all’area
sportiva.
In questa tipologia di sindromi si possono individuare:
- La sindrome del campione ( Master Syndrome ), analizzata nel capitolo 4;
- La nikefobia (S uccess Phobia ): n ikefobia letteralmente significa “paura della vittoria”.
A sostenere la sindrome contribuisce talvolta lo stato di esaurimento psicofisico dovuto
alla preparazione al completamento di un’opera molto impegnativa. Questa è
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un’eventualità umanissima piuttosto nota: lo stesso Nietzsche parlò di una “melanconia
delle cose completate”.
La “nikefobia” è un fenomeno per cui un atleta (di qualsiasi ambiente e livello sportivo)
seppur dotato di grandi potenzialità, non raggiunge mai livelli elevati di prestazione
sportiva a causa di propri comportamenti specifici che assumono le sembianze di un
vero e proprio “auto-sabotaggio”.
Un esempio si ha, quando l’atleta rende più in allenamento che in gara o manca
sistematicamente gli appuntamenti sportivi più importanti, fallendo in prossimità di un
successo pressoché assicurato.
Tale fobia razionalmente non si giustifica: eppure si possono indicare in una percentuale
che va dal 20 al 30%, il numero di atleti che, in maniera più o meno evidente, ne soffre.
La nikefobia è una manifestazione psichica che può essere determinata da svariate
circostanze di vita, sportiva e non, delle persone e dalle credenze che in esse si sono
venute a strutturare rispetto all'avere successo.
Spesso vengono rintracciate negli atleti che ne soffrono delle “idee o immagini mentali
inibenti” (molte volte poco consapevoli o comunque poco elaborate ) associate al
successo, come la convinzione che il successo possa impedire altri progetti di vita, che
richieda delle abilità che si ritiene di non possedere, o la paura che esso porterà alla
realizzazione di una “vendetta ideale” che genera colpa nel soggetto.
Altre volte può derivare dal convincimento di non poter più ripetere una prestazione
eccellente inaspettatamente arrivata nel corso della propria carriera, oppure dal continuo
procrastinare della dimostrazione del proprio valore, che ingigantisce la paura della
responsabilità e delle aspettative a cui può essere chiamato a rispondere rispetto ai
compagni, allenatore e familiari.
In altri casi ancora, può colpire l'atleta a seguito di un suo successo inaspettato e
repentino, che lo “strappa” dalle proprie abitudini, dal proprio ambiente e da tutto ciò
che per lui prima era rassicurante e prevedibile: in questa situazione, seppur
inconsapevolmente, l'atleta può attuare comportamenti tali da permettergli di tornare alla
situazione precedente, rifiutando i benefici della vittoria .
- A nsia preagonistica (Prestart Anxiety):
L’ansia, in generale, è un segnale che indica lo stato d’impotenza di fronte a una
situazione che il soggetto vive come una minaccia esterna (es. sentire un pubblico
contrario) o interna (es. timore di incontrare un determinato avversario).
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L’ansia pre-agonistica può essere considerata un particolare evento emozionale con
caratteristiche multidimensionali, poiché essa produce delle modifiche su quattro livelli:
fisiologico, cognitivo, emotivo e comportamentale.
Dal punto di vista fisiologico le risposte di attivazione più comuni risultano essere: il
respiro affannoso (che può condurre all’asma) l’aumento della tensione muscolare, la
tachicardia, l’aumento della sudorazione, l’emicrania, i dolori addominali, i disturbi
gastro-intestinali, l’ipertensione arteriosa, la secchezza delle labbra, le alterazioni del
sonno, fame nervosa o chiusura d’appetito, l’oppressione toracica, il frequente bisogno
di urinare, i tic, ecc.
Dal punto di vista cognitivo le risposte riguardano: l’eccessiva preoccupazione di non
riuscire e di non essere in grado di affrontare una determinata sfida, i ricorrenti pensieri
di pericolo, l’incapacità di concentrarsi, le aspettative negative sugli esiti della gara, uno
stato costante di vigilanza, la rigidità di pensiero.
Dal punto di vista emotivo le principali risposte sono accomunabili al senso di disagio, a
uno stato di confusione mentale, ad uno stato di apprensione eccessiva, a un senso di
paura e di tensione, alla sensazione di avere uno scarso controllo della situazione, a un
senso di disistima, al negativismo estremo.
Infine, dal punto di vista comportamentale, le risposte conducono ad atteggiamenti di
fuga dalla situazione e, conseguentemente, ad un peggioramento nelle performance , e
nei casi più gravi, potrebbero rendere il soggetto inabile per un determinato periodo di
tempo; ciò può avere origine dall’abbassamento del livello d’autostima positiva del
soggetto, nonché dal peso di risposte fisiologiche ostacolanti e di risposte cognitive
caratterizzate dalla presenza di belief disfunzionali.
L’ansia pre-agonistica è comune a tutte le età, ma specie nei bambini e negli adolescenti,
per i quali, da un lato, la motivazione ad autoaffermarsi, attinente allo sviluppo del sé, e
dall’altro, la ricerca di consenso e di approvazione sociale, attinente allo sviluppo
sociale, risultano essere significative.
L’ansia è un’emozione correlata alla vita che a livelli moderati assume per l’atleta, e per
l’individuo in generale, una connotazione positiva, in quanto crea motivazione e ci
spinge a mobilitare le nostre risorse personali, mentre a livelli esponenziali, essa è
bloccante e impedisce di attivare in maniera efficace tutte le risorse di cui disponiamo.
- La depressione da successo:
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Nella depressione da successo , l’atleta, subito dopo aver conquistato un titolo
importante, ha un crollo nella forma e nell’umore che gli impediscono di continuare a
competere ad alti livelli.
In questi casi per l’atleta l’agonismo, che in un primo momento era servito ad
incrementare l’autostima, diviene fonte di ansia per le maggiori responsabilità che il
successo comporta.
Per l’atleta che grazie al successo ha gonfiato l’immagine di se stesso, senza avere una
base psicofisica ben strutturata, sarà più difficile accettare le inevitabili defaillance
dell’allenamento e delle gare che verranno; defaillance che sono vissute come e vere e
proprie ferite narcisistiche, soggettive e personali - Il “burn-out” sportivo :
Il termine “burn-out” deriva dal gergo sportivo statunitense: negli anni Trenta, infatti,
veniva utilizzato per indicare la condizione di quegli atleti che, dopo un periodo di
insuccessi, improvvisamente vanno in crisi, non riuscendo a dare più nulla sotto il
profilo agonistico.
Nell’atleta affetto da “burn-out”, si assiste a un disinvestimento emotivo, cosicché,
l’unica cosa importante diventa il percepire lo stipendio, come in qualsiasi altro rapporto
di lavoro: l’atleta, quindi, si “appiattisce”, rinuncia a giocare per divertirsi e si allena
solo per contratto.
Un altro sintomo, risulta essere un senso di depersonalizzazione nei confronti del proprio
corpo, che inizia a essere considerato più in base al valore di mercato che per il piacere
di trarre soddisfazione dalle proprie prestazioni.
Sul piano spazio-temporale l'atleta può deformare le più comuni categorie spazio-
temporali, iniziando a percepire il tempo in termini di stagioni agonistiche e tempi di
recupero, ed a delimitare lo spazio all’interno delle strutture organizzative sportive.
Infine, possono deteriorarsi i rapporti sociali con i compagni e l’allenatore che iniziano a
essere visti come ostacoli e antagonisti; in alcuni casi i rapporti interpersonali iniziano a
deteriorarsi anche all’esterno dell’ambiente sportivo, determinando complicazioni
ulteriori nella vita del soggetto.
- Il ricorso al doping:
Il doping è la somministrazione o l’uso, da parte di un atleta agonista, di qualunque
sostanza estranea al corpo o di qualunque sostanza fisiologica assunta in quantità
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abnorme o assunta attraverso un’anomala via d’ingresso nel corpo, con la sola
intenzione di migliorare in maniera artificiosa e sleale la propria prestazione nella
competizione.
Tra le motivazioni che spingono un atleta a fare uso di doping se ne possono indicare
diverse, quali le cause psicofisiologiche (es. la riduzione del dolore, la riabilitazione
dopo un infortunio, il controllo del peso), le cause psicologiche ed emotive (es. la paura
di fallire, la ricerca della perfezione psicofisica, il raggiungimento del successo a ogni
costo), le cause sociali (es. l'imitazione di atleti di alto livello, la pressione dei compagni
o di altre persone dell'ambiente sportivo).
1.2 Le sindromi aspecifiche da sport In questa categoria nosografica, suddivisa poi da Terreni e Occhini (1997) in Sindrome
minore o maggiore , rientrano tutte quelle manifestazioni psicopatologiche che non
dipendono direttamente dallo sport (situazione sportiva e carriera atletica) ma che sono
sempre, sia pure indirettamente, collegate con l’attività agonistica.
E’ chiaro che spesso l’azione sportiva, compiuta sotto gli occhi critici di migliaia di
persone e sotto il controllo dei mass-media che ne registrano e divulgano ogni
particolare, è di per se stessa un fattore capace di disturbare anche una personalità del
tutto sana.
L’atleta che si accinge a compiere un salto o a tirare un calcio di rigore o ad affrontare
un qualsiasi ostacolo sportivo (sia esso un avversario, un tempo o uno spazio),
difficilmente riesce a distrarsi del tutto dall’ambiente per concentrarsi nello sforzo che
sta per compiere e che pur necessita di ogni sua energia psichica e fisica.
Se poi l’atleta si accinge a vivere quelle stesse circostanze con una personalità già
disturbata da preesistenti alterazioni nevrotiche o costituzionali, allora è chiaro che in lui
lo sport può rappresentare la modalità con cui il preesistente disturbo della personalità si
manifesta in tutta la sua evidenza (Antonelli 1967).
Come già detto gli studiosi Terreni e Occhini (1997) hanno suddiviso tale categoria
nosografica:
- La Sindrome aspecifica minore, la quale vede l’atleta non presentare un positivo
standard di prestazione o, d’altro canto, presentarlo in maniera saltuaria e discontinua.
L’anamnesi e gli accertamenti psicodiagnostici suggeriscono, quindi, la presenza di un
disturbo di tipo ansioso, somatoforme, dissociativo, distimico, dell’adattamento, del
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