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Introduzione
Grazie allo studio, della materia universitaria Storia del Teatro e
dello Spettacolo, ho potuto approfondire la conoscenza di un
grande commediografo italiano, che a metà del 1700, in un’epoca
di passaggio tra il “mondo antico” e quello “moderno”, è riuscito ad
imporsi sulla scena europea, apportando una notevole riforma alla
Commedia dell’Arte, e non solo! Grande osservatore della realtà,
Carlo Goldoni ha dedicato la sua vita allo studio dei rapporti umani
e sociali, con il loro continuo annodarsi e sciogliersi, nella fitta
trama che, commedia dopo commedia, hanno costituito la grande
varietà della sua produzione.
Questo mio lavoro, senza grandi pretese, vuol essere un inizio ed
uno spunto per un maggiore approfondimento allo studio di un
genio della comunicazione, quale è stato Goldoni, che a distanza di
tre secoli può ancora insegnare molto. Infatti, con la sua dialettica
vivace e pungente era capace di parlare a chiunque, attrarre lo
spettatore di qualsiasi estrazione sociale, facendo passare nei
contenuti delle sue opere, valori morali, a cui lui stesso, aderiva.
Col linguaggio usato dai personaggi sulla scena, specie con l’uso
del dialetto, riusciva a coinvolgere, immediatamente, il pubblico, il
quale, con stupore, si riconosceva come parte di quella realtà
quotidiana che non veniva solo raccontata o definita, ma piuttosto
rappresentata o, anche solo, suggerita come modello.
La grandezza di questo autore sta nel suo immenso talento a
giostrare le varie situazioni, gli ambienti, le vite dei personaggi, a
volte, anche contrapposti ed ambigui, in modo tale, da mostrarli
ogni volta, in maniera diversa e sotto un aspetto particolare,
offrendo l’opportunità, di guardare la scena e di immedesimarsi
nella vicenda rappresentata, sempre da un nuovo punto di vista.
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Ho voluto dare uno sguardo al mondo della cultura goldoniana,
poiché il personaggio mi incuriosiva, così ho raccolto citazioni
dirette, un ricco materiale di battute e di temi che rispecchiano la
terrena umanità del commediografo veneziano e la fantasia di un
“teatro puro”. Il Goldoni è un autore difficile che sfugge ai suoi
critici: spirito aperto all’avventura, fervido d’idee proprie ma
accondiscendente in tutto alle idee altrui, pronto a contraddirsi,
come l’avvocato che cura la difesa senza interessarsi delle
responsabilità; attento al mondo e al teatro insieme, egli aveva una
personalità poliedrica, che ben ci può far comprendere il motivo per
cui, gli furono spesso mosse delle critiche.
Il mio impegno è stato quello di rivivere, per quanto mi fosse
possibile, l’arte goldoniana: anche perché il Goldoni è un autore
che si fa amare, e su questo punto, non ci sono dubbi, concorda
anche la critica. Proprio questa, dopo le inutili accuse dei
contemporanei nel Settecento e le preziose indagini erudite
dell’Ottocento, si è svolta intorno al cosiddetto “realismo
goldoniano”: da una parte i sostenitori di un Goldoni impegnato a
rappresentare, obiettivamente, la realtà, con intenti anche
bonariamente riformistici; dall’altra, quelli di un Goldoni, autore
fantasioso, di un teatro puro, per il lieto divertimento degli
spettatori. L’antinomia nascondeva, in verità una polemica sulla
consistenza degli ideali goldoniani, che gli uni volevano esaltare e
gli altri svalutare ed era comunque impostata male, perché realtà e
fantasia sono la vita dell’arte e questa diatriba, su cosa porti meglio
all’arte, potrebbe durare all’infinito.
“Critiche costruttive ma non polemiche, consigli e suggerimenti
nuovi sono ben graditi, poiché siamo tutti su una strada comune e
ci muoviamo tutti verso una meta comune: la conoscenza
dell’uomo.
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Le gomitate tra compagni di marcia, sono il gioco immaturo di chi
non comprende, come il bene degli altri sia anche il nostro bene”.
Lo scrisse Carlo Goldoni, che delle polemiche ebbe tanto a soffrire.
C’era la necessità di documentare meglio, l’accennata evoluzione
dell’opera goldoniana, per evitare quanto di angustamente
psicologico, potesse essere in questo autore, che sviluppa il proprio
teatro su una situazione personale di rivolta, di accomodamento e
di nostalgia, senza aperture chiaramente denunciate verso la vita
della città degli uomini, che pure erano nella sua natura e nella
storia del suo tempo. Altri osservano l’indiscussa originalità
goldoniana, più che l’atmosfera culturale, entro la quale quella
originalità si è formata. L’importanza fondamentale nel teatro del
Goldoni e le successive metamorfosi dei personaggi, veri e propri
caratteri, l’evoluzione della riforma, da un inizio appassionato ad un
momento più stanco ed accomodante, sino ad una ripresa in cui
trema una vena di nostalgia, la rilettura di tutta l’opera con
interpretazioni che, anche a distanza di tempo, mi sembra
conservino una loro nativa freschezza, l’importanza storica della
commedia goldoniana nel contesto del Settecento italiano, legata
com’è ad un fondamentale senso di rinnovamento dell’uomo e della
società, in nome della ragione e di una nuova moralità.
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1. CAPITOLO.
Biografia e bibliografia di Carlo Goldoni.
Venezia 1707. Era una sera gelida il 25 febbraio, la bora
soffiava dal mare e nelle case i camini bruciavano legna.
Nonostante il rigido inverno, anche quella sera il freddo, non riuscì
a frenare l‟euforia e la voglia di festeggiare il giovedì grasso del
Carnevale.
Nella Repubblica della Serenissima, il periodo dedicato a feste e
divertimenti carnevaleschi durava centottanta giorni l‟anno, un
lasso di tempo lunghissimo, che culminava con la celebrazione del
Volo dell‟Angelo in piazza San Marco. Questo era un evento molto
atteso dalla città: un uomo, legato a una doppia corda, doveva
compiere dal bacino della piazza, l‟ascesa al campanile della
Basilica di San Marco. Tradizionalmente e per scaramanzia, se la
salita avveniva senza intoppi, veniva interpretata come buon
auspicio per l‟anno appena iniziato e per le sorti della Repubblica;
in caso contrario, diventava un cattivo presagio. Fortunatamente
quell‟anno, il Volo dell‟Angelo si era compiuto senza intralci e
l‟applauso della folla aveva salutato l‟augurio di pronostici positivi;
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i fuochi d‟artificio, i giocolieri acrobatici e due orchestrine avevano
allietato fino a notte fonda il popolo che era accorso numeroso.
Così, tra ali di folla impazzita di gioia, dame e cavalieri mascherati,
strilli e burle di Carnevale, la levatrice scivolò frettolosamente in
calle di Ca‟ Centanni, tra il ponte dei Nomboli e quello di Donna
Onesta a San Tomà, per giungere al palazzo cinquecentesco di casa
Goldoni. Stava lì, nell‟attesa, la puerpera tra timori e
preoccupazioni perché due parti precedenti non avevano avuto un
esito felice: tre anni prima con il primogenito Carlo Antonio, morto
sette giorni dopo il parto e un anno giusto da allora, coi due gemelli
Carlo Antonio e Paolo, che non riuscirono a sopravvivere al terzo
giorno di vita. Tuttavia, accompagnata dai conforti religiosi,
giunsero le doglie che furono brevi e quasi indolori.
Ecco come, ci descrive la sua nascita lo stesso Goldoni, in una
rievocazione affettuosa della propria madre, nei Mémoires:
“Ma mere me mit au monde presque sans souffrir: elle m’en
aima davantage”
1
.
Venne alla luce un maschietto, pelle rosata, occhi e capelli castani,
il labbro superiore appena più sporgente dell‟inferiore, una fossetta
in mezzo al mento, che con i suoi vagiti annunciò la nascita a suo
padre, il quale camminava, su e giù nervosamente, nel suo studio.
Il suo nome, deciso già da subito, era: Carlo Osvaldo Goldoni.
Il temperamento si mostrò mansueto e pacifico sin dal primo
istante e mai fu smentito nella sua vita futura, col suo carattere
savio e tranquillo. Egli nasceva dunque, in una città vestita a festa,
nel culmine di un Carnevale giubilante e il clima che si respirava
nella sua casa natale non si presentava differente da questo.
1
Vedi GOLDONI, Mémoires, parte I, cap. I, p. 9 (trad. ital.: “Mia madre mi mise al mondo quasi senza
dolore: per questo mi amò ancora di più”).
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I genitori di Carlo erano Margherita Savioni e Giulio Goldoni, figlio
di Carlo Alessandro Goldoni, originario di Modena, trasferitosi a
Venezia con la maggiore età. Il nonno Carlo, morto qualche anno
prima della sua nascita, amava i piaceri della vita, amava la musica
e fare baldoria; gustava moltissimo la spensieratezza veneziana
con le allegre brigate, coltivava la passione per il gioco e le danze,
per la caccia e il teatro, senza far mistero del suo interesse per le
attrici e le cantanti. Alla sua corte ospitava una folla di invitati,
amici e commedianti in occasione di banchetti, balli, spettacoli,
concerti e rappresentazioni teatrali. Per sostenere le spese di un
lusso smodato ed allestire spettacoli così straordinari, Carlo
Alessandro Goldoni finì per indebitarsi e dovette vendere gran parte
dei suoi possedimenti di Modena e Venezia. Morì improvvisamente
all‟età di cinquantotto anni, nel 1703, lasciando la famiglia in
ristrettezze economiche ed il figlio Giulio, ventenne, senza una
posizione lavorativa certa. Giulio si era sposato
contemporaneamente al terzo matrimonio del padre, con
Margherita Savioni: una graziosa brunetta che aveva sette anni più
di lui ed un piccolo difetto alla gamba, che la faceva zoppicare; ma
il suo carattere brioso faceva presto dimenticare questo particolare.
Alla nascita di Carlo, il nonno era morto già da quattro anni. Ma
nonostante la sua assenza, egli stesso dirà che, il nonno era stato
per lui una presenza viva, come se “le muse del teatro si fossero
affacciate alla sua culla”, trasmettendogli quell‟eredità che scorreva
nelle sue vene: il suo sangue ed il suo spirito erano come quelli del
vecchio Goldoni, che aveva gustato, fino alla fine dei suoi giorni, le
gioie di una vita gaudente.
Carlo ebbe un‟infanzia tranquilla; la madre, che lo aveva messo al
mondo senza soffrire, se lo contendeva con la balia, dedicandogli
quasi tutto il suo tempo. Il padre, invece, si occupava di divertirlo e
per lui, fece costruire un teatrino di marionette in salotto, che
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manovrava da sé, inventando storie e sceneggiando spettacoli per
tutta la famiglia. Nel frattempo nacque e morì un altro fratellino
prima del 10 gennaio 1712, quando ne arrivò un altro, destinato a
vivere: Gian Paolo, di cui non parlerà quasi mai. Fu grande festa di
nuovo, ma ciò comportò che, il padre di famiglia, si mettesse a
cercare un lavoro che garantisse un dignitoso tenore di vita.
Così, quando Carlo aveva solo cinque anni, il padre partì per Roma,
in cerca di un‟occupazione e la mamma Margherita restò da sola a
prendersi cura dei due figli, aiutata dalla sorella Maria. Con loro
una devota governante, alla quale all‟età di soli otto anni, Goldoni
sottopose a giudizio la sua prima commedia
2
. Ella la trovò una
composizione deliziosa, mentre la zia e la madre ebbero reazioni
meno clementi:
“ma tante se moque de moi, ma mere me gronda et
m’embrassa en meme temps”
3
.
Carlo aveva una grande facilità ad imparare e a ricordare le poesie
e le storielle a memoria, accanto alle formule del catechismo. Prima
dei cinque anni sapeva già leggere e scrivere ed attraverso i libri
che sfogliava e leggeva veniva catturato ed incantato dal sapere.
Ciò che più gli piacevano erano i testi teatrali, specialmente di
autori comici, che trovava nella piccola biblioteca del padre e che
leggeva nei momenti di libertà, quando non era costretto dal
precettore a studiare i principi della grammatica e dell‟aritmetica.
La madre non controllava le sue letture e Carlo passava ore sulle
pagine del suo commediografo preferito, il fiorentino Giacinto
Andrea Cicognini, autore di commedie di “intreccio”, un po‟
spagnoleggianti, miste di commozione patetica e di comicità triviale
come: Adamira ovvero la statua dell’onore, Don Gastone di
2
Cfr. GOLDONI, Mémoires, parte I, cap. I, p. 12.
3
Ibidem (trad. Ital.: “mia zia si burlò di me; mia madre mi rimproverò e mi abbracciò nello stesso
tempo”).
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Moncada, Le glorie e gli amori di Alessandro Magno e di Rossane.
Egli leggeva e ricopiava su di un quadernetto i passi che più gli
piacevano e che colpivano la sua fantasia. Era tale la sua
consuetudine col teatro, che ad appena otto anni, come abbiamo
già detto, abbozzò la sua prima commedia. La lesse per prova alla
sua balia che ne svelò l‟esistenza ai familiari. La zia non prese la
cosa sul serio, sua madre lo sgridò e allo stesso tempo lo abbracciò
con le lacrime agli occhi, mentre il padrino non volle credere che
fosse opera sua ed insinuò che l‟avesse corretta il suo precettore.
Un amico di famiglia, segreto testimone delle stesura della
commedia rese giustizia ai meriti del ragazzo, lasciando senza
parole il padrino incredulo. La mamma Margherita, a quel punto,
fiera e contenta, né mandò subito una copia al marito a Roma.
Da qui si inizia a scorgere la genialità e l‟estro di quel giovinetto,
intellettualmente precoce con una vocazione e predisposizione
naturale per l‟arte comica, potente ed irresistibile, che diverrà un
grande commediografo e riformatore della Commedia dell‟Arte.
Il piccolo Carlo trascorse i suoi primi anni di vita in mancanza di
una qualsiasi autorità maschile, a causa dell‟allontanamento forzato
del padre per motivi di lavoro. Crebbe quindi, da bambino viziato,
in un ambiente ovattato, superprotetto dalla madre e dalla zia,
allevato quasi da figlio unico, essendo rimasto lui solo a casa, dopo
che il fratello minore fu messo in pensione con una balia. In questo
modo, iniziò a sviluppare tendenze narcisistiche ed a considerarsi il
centro del mondo: crebbe in lui il desiderio d‟essere amato sopra
ogni cosa e soprattutto di essere preferito agli altri, in un bisogno
di mettersi in mostra davanti a tanta gente, che fu sublimato nel
piacere per il teatro ed infine, una fragilità affettiva, che presto
avrebbe assunto la forma di una nevrosi. Nel VII capitolo dei
Mémoires, egli confessa i suoi stati d‟animo fanciulleschi:
14
“Ero naturalmente allegro, ma già da bambino soggetto a
vapori ipocondriaci e melanconici, che mi ottembravano lo
spirito”
4
.
Senza l‟esistenza fin dall‟infanzia di questo disturbo patologico,
quale il narcisismo infantile, sarebbe sfuggita alla nostra
comprensione tutta una parte del comportamento da adulto, di
Goldoni, che oscillava costantemente tra l‟allegria e la tristezza.
Tutta questa malinconia che nutriva nel suo animo sensibile si può
far risalire al precoce distacco dal padre che, partito per qualche
giorno, tornò solo dopo quattro anni. Non si può risalire al quando
fu, la prima volta che sperimentò questi attacchi di malessere
interiore ma ne sarebbe guarito molto più tardi, forse quando il
padre lo chiamò a sé a Perugia, dove aveva iniziato ad esercitare la
professione di medico. Il distacco dall‟amore materno fu brusco non
solo per Carlo ma anche per sua madre, che se pure a malincuore,
lo lasciò partire pensando all‟educazione che avrebbe ricevuto.
Nemmeno col padre rimase a lungo, infatti, dopo pochi giorni dal
suo arrivo a Perugia fu mandato al Collegio dei Gesuiti. Fu iscritto
in ritardo, nel maggio 1719, poco più che dodicenne, alla classe
inferiore, dove fu ricoperto di umiliazioni, scherni e derisioni perché
considerato ignorante. In grammatica non eccelleva, studiava poco
ed era facile alle distrazioni. I risultati scolastici apparivano
sconfortanti e Carlo stordito e mortificato rischiava di perdere
l‟anno; ma all‟esame finale di latino, col quale si sarebbe deciso il
passaggio o meno alla classe superiore, il giovane studente fece
appello a tutte le sue risorse e all‟amor proprio per smentire tutte
le previsioni ed ottenere una buona valutazione. Ottenne degli
ottimi risultati tanto che il rettore, chiamatolo nel suo studio per
complimentarsi e per comunicargli che nell‟autunno successivo
sarebbe passato alla classe superiore, gli espresse il dubbio,
4
Vedi N. JONARD, Introduzione a Goldoni, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 11.