4
1. BACKGROUND
Questa ricerca esplorativa nasce dall’intuizione che si ha passando in rassegna la
letteratura sui pregiudizi, gli stereotipi, il fenomeno della discriminazione e l’ attività
svolta dall’U.O. SISL (Servizio di Integrazione sociale e lavorativa) dell’ ASL di Taranto.
Molti studiosi (Maras, 1993; Richardons e Green, 1971; Powlishta, Serbin, Doyle e
White, 1994) attraverso diverse ricerche, rilevano che le persone esprimono dei
pregiudizi. Questi sono rivolti ad un gruppo minoritario, all’interno della società, il
quale rappresenta il gruppo dominato rispetto al gruppo dominante. I pregiudizi sono
legati a caratteristiche proprie del gruppo minoritario che subisce la discriminazione.
Questo è un presupposto sul quale si basa la nostra ricerca. Un contributo
fondamentale viene dallo studio della ricerca trattata nell’articolo “L’effet du statu du
groupe d’appartenance sur les attitudes ethniques implicite et explicites chez les
enfants” di Michael Dambrun, Juliette Gatto e Cécile Roche, Università Blaise Pascal,
Clermont-Ferrand, Francia (Les Chaiers Internationaux de Psicologie Sociale , 2005): in
questo articolo si vuole esplorare il concetto di “etnocentrismo” come atteggiamento
generale del gruppo dominante della popolazione francese e la tendenza inversa del
gruppo dominato dei magrebini. In letteratura, quindi, differenti ricerche
5
metterebbero in evidenza come la presenza di un pregiudizio influenzi gli
atteggiamenti del gruppo oggetto di discriminazione. Quest’ultimo avrebbe una
tendenza a favorire il gruppo dominante piuttosto che il proprio gruppo di
appartenenza. Questo atteggiamento è indice di un’interiorizzazione del pregiudizio? Il
pregiudizio ha influenzato negativamente l’immagine che il gruppo discriminato ha di
se stesso? Oppure si tratta di un atteggiamento che riflette una desiderabilità sociale?
Se invece il gruppo dominato mostrasse anch’esso un atteggiamento di favoritismo
verso il proprio gruppo, questo sarebbe indice di assenza di un’influenza del
pregiudizio sulla propria immagine o una tendenza a mantenere, solo in superficie,
un’immagine positiva di se stessi? Sono queste le domande che hanno guidato
differenti ricerche, in particolare la ricerca dell’articolo menzionato e che ha suscitato
in noi il desiderio di esplorare tali idee e tali teorie nel campo della disabilità e del
lavoro.
L’U.O. SISL (Servizio di Integrazione Sociale e Lavorativa) dell’ASL di Taranto si occupa
del’inserimento lavorativo mirato delle persone con disabilità, mediando tra le
richieste delle varie aziende e le domande di lavoro delle persone con disabilità e tra il
tipo di lavoro richiesto e le caratteristiche personali di queste persone, affinché ci
6
possano essere delle effettive possibilità lavorative e affinché queste persone svolgano
efficacemente la loro mansione, in quanto consona alle proprie caratteristiche.
Alla luce di quanto sopra detto, ci chiediamo come le persone con disabilità, in
particolare con ritardo mentale, vivono il pregiudizio di cui sono oggetto (J.C.Croizet &
J.P. Leyens, Mauvaises réputations : réalités et enjeux sociaux de la stigmatisation,
Parigi : Armand Colin; Jean-François Ravaud,Henri-Jacques Stiker, Les modèles de
l’inclusion et de l’exclusion à l’épreuve du handicap). In particolar modo ci siamo chiesti
come vivono il pregiudizio in riferimento al mondo del lavoro: esiste la cattiva credenza
che le persone con disabilità, quindi anche con ritardo mentale, non siano in grado di
svolgere un’attività lavorativa in maniera efficace tanto quanto una persona
normodotata? L’esistenza di questo pregiudizio è facilmente deducibile dalla cronaca
di tutti i giorni: denunce d’ingiustizie subite, difficile applicazione delle leggi che
tutelano il diritto al lavoro della persona disabile. È dunque questo un tema attuale e di
grande dibattito (Disabile trova lavoro, la commissione di pregiudizio lo boccia, News
Letter; Disabili: Sacconi, da CGIL solo pregiudizio su norme inclusione lavoro, Newstin).
Allora ci chiediamo: tale credenza negativa è solo diffusa tra le persone normodotate o
il pregiudizio influenza l’immagine che le persone con disabilità, in particolare con
ritardo mentale, hanno di se stesse? Le persone con ritardo mentale si considerano
meno capaci, rispetto alle persone normodotate, nello svolgere un’attività lavorativa?
7
Esiste una differenza tra le persone con ritardo mentale lavoratrici e quelle non
lavoratrici rispetto all’influenza che questo pregiudizio ha sull’immagine di sè? E le
persone normodotate, che hanno avuto esperienze lavorative con persone con ritardo
mentale, mantengono questo pregiudizio o assistiamo ad un cambiamento
d’atteggiamento? L’obiettivo di questa ricerca è quello di esplorare l’effetto
dell’inserimento lavorativo mirato delle persone con ritardo mentale: l’inserimento
determina un cambiamento d’atteggiamento, cioè riduce il pregiudizio esistente? Ci
aspettiamo, infatti, che le persone con ritardo mentale lavoratrici e i lavoratori
normodotati che lavorano o hanno avuto esperienze di lavoro con persone con ritardo
mentale non manifestino pregiudizi, ovvero, manifestino un minor grado di pregiudizio
verso quest’ultime (Salfi, 1986; Salfi e Lenoci, 1989; Salfi e Barbara, 1994).
Utilizzeremo dunque una popolazione campionaria formata da quattro gruppi:
1. persone disabili con ritardo mentale occupate,
2. persone disabili con ritardo mentale inoccupate,
3. lavoratori normodotati che hanno esperienza lavorativa con persone con
ritardo mentale e
4. lavoratori normodotati senza esperienza lavorativa con persone disabili con
ritardo mentale.
8
Misureremo il loro atteggiamento nei confronti di quattro oggetti d’esame:
A. lavoratori con ritardo mentale,
B. persone con ritardo mentale che non lavorano,
C. persone normodotate che non lavorano e
D. persone normodotate che non lavorano.
Le misurazioni utilizzate ci mostreranno a quale tra questi oggetti in esame è rivolto
l’atteggiamento maggiormente positivo e, quindi, di favoritismo ed a quale è rivolto
l’atteggiamento maggiormente negativo, indice dell’esistenza di un pregiudizio.
L’atteggiamento ovviamente è misurato con riferimento al lavoro. Le misurazioni
saranno di due tipi: esplicita e implicita. La necessità di usare due differenti tipi di
misurazione nasce dal voler indagare sia l’atteggiamento che volontariamente i
soggetti vogliono mostrare sia l’atteggiamento vero e proprio. Infatti, attraverso la
misurazione esplicita il soggetto può volontariamente controllare le risposte le quali
potrebbero essere date per soddisfare un’esigenza di desiderabilità sociale o per
mantenere una rappresentazione positiva dell’immagine di se stessi. Invece, attraverso
la misurazione implicita, non è possibile controllare le risposte poiché le domande
sull’oggetto in esame non sono poste direttamente. Con questa procedura è possibile
misurare ciò che i soggetti pensano veramente. Lo strumento per la misurazione
9
esplicita è rappresentato dalla categorizzazione di un insieme di immagini/stimolo all’
interno dei quattro oggetti d’esame, ottenuta attraverso domande dirette, mentre lo
strumento per la misurazione implicita è costituito dal differenziale semantico. Dal
confronto dei vari atteggiamenti dei soggetti e dal confronto incrociato con gli
atteggiamenti espliciti e impliciti potremo ottenere differenti profili.
Come già detto, il profilo ipotizzato è quello che fa emergere una differenza
significativa tra i gruppi d’individui caratterizzati dall’aver avuto esperienza di
inserimento lavorativo mirato e i gruppi che invece non hanno avuto tale esperienza.
Ci aspettiamo dunque di trovare differenze tra persone con ritardo mentale occupate
e lavoratori normodotati che hanno esperienza lavorativa con persone con ritardo
mentale da una parte e persone con ritardo mentale inoccupate e lavoratori
normodotati senza esperienza lavorativa con persone con ritardo mentale dall’ altra.
Se il nostro lavoro farà emergere il profilo ipotizzato potremo iniziare a considerare
che il processo di inserimento lavorativo mirato, oltre agli ovvi risultati occupazionali
che esso comporta, determinerebbe un cambiamento del pregiudizio, contribuendo a
generare salute.
10
2. Generare salute
L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (1948) ha definito il concetto di salute: essa
non rappresenta l’assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere fisico,
psicologico e sociale. La salute così concepita ci allontana da un modello medico e ci
avvicina ad un modello sociale: il “problema” non è più personale, legato all’individuo
e alle sue incapacità, ma diventa sociale, cioè nasce dal rapporto tra le caratteristiche
della persona e un ambiente “handicappante”, il trattamento non è più individuale, ma
diventa azione sociale, non si agisce più solo sulla persona, ma si modifica l’ambiente
in cui essa è inserita, affinché quest’ambiente non ponga più delle barriere, ma al
contrario favorisca la piena espressione delle persone. Una tale concezione mette in
risalto l’influenza ambientale e l’interazione individuo-ambiente-società (Salfi, 2005). L’
ICF (The International Classification of Functioning, Disability and Health of the WHO)
ne è piena espressione. L’handicap non è una caratteristica dell’individuo, ma nasce
nel momento in cui l’ambiente si presenta come un ostacolo rispetto alle
caratteristiche proprie della persona. Prima di tutto, diventa fondamentale l’intervento
su quest’ambiente, per eliminare le barriere che esso pone, affinché attraverso
l’apprendimento e l’educazione, la persona con disabilità possa sviluppare al massimo
le sue potenzialità e rispondere al meglio alle richieste della società. Le barriere
11
ambientali limitano l’attività delle persone con disabilità, ma trasformando tali barriere
in facilitatori possiamo, al contrario, diminuire la limitazione delle attività di queste
persone. L’apprendimento e l‘educazione da un lato, e l’intervento sulle barriere
dall’altro, permettono di ridurre la lontananza esistente tra l’attività della persona con
disabilità e le richieste dell’ambiente. Tutto questo può essere applicato alla
problematica del lavoro che investe le persone con disabilità. Abbiamo, da un lato, le
richieste delle aziende, degli imprenditori, del mondo del lavoro e, dall’altro, le abilità
delle persone con disabilità. Il mondo del lavoro e le persone con disabilità non
potranno mai incontrarsi per stipulare un contratto lavorativo se vige il pregiudizio, per
entrambe le parti, che le persone con disabilità, e in particolare con ritardo mentale
non siano in grado di lavorare efficacemente. Il pregiudizio è la barriera culturale
innalzata davanti alle persone con disabilità. Ecco la mediazione del SISL: attraverso
l’inserimento lavorativo mirato, cerca di agire sul pregiudizio, cerca dunque di
cambiare l’atteggiamento negativo, affinché si riduca quella lontananza. L’inserimento
lavorativo mirato agisce sull’ambiente handicappante in diversi modi: studia i profili di
ciascuna persona con disabilità, tenendo conto di tutte quelle dimensioni e di tutti quei
fattori di cui nell’ICF, prosegue studiando le abilità richieste per ciascun posto di
lavoro, proposto dalle varie aziende, e seleziona, prepara attraverso stage e corsi di
formazione professionale, le persone con disabilità. Tutto questo affinché queste