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CAPITOLO PRIMO
L’EVOLUZIONE DELLE STRUTTURE ORGANIZZATIVE
AZIENDALI: DALL’INTEGRAZIONE VERTICALE ALL’
ESTERNALIZZAZIONE
1.1. INTEGRAZIONE VERTICALE
Fino agli anni ’70 ha dominato un modello di organizzazione d’impresa
integrata verticalmente e articolata funzionalmente ovvero gli input di un
processo produttivo e/o gli output per una ulteriore lavorazione o per la
commercializzazione vengono realizzati internamente. Con l’espressione
integrazione verticale ci riferiamo all’internalizzazione di una serie di attività
verticalmente correlate al fine di “controllare” tutte le fasi della produzione e
di limitare al minimo il ricorso al mercato per gli approvvigionamenti: tanto
maggiori sono il controllo e la proprietà di un’impresa, tanto maggiore è il
grado di integrazione verticale dell’impresa stessa, rappresentato dal rapporto
tra il valore aggiunto creato dall’impresa e i suoi ricavi di vendita
1
.
L’integrazione verticale si può classificare in due modi:
integrazione a monte: l’impresa assume il controllo e la proprietà della
produzione degli input o meglio si estende l’attività d’impresa verso
stadi di produzione antecedenti;
integrazione a valle: l’impresa assume il controllo e la proprietà dei
suoi clienti o meglio si estende l’attività d’impresa verso i mercati dei
prodotti finiti.
La scelta di produrre all’interno dipende in primo luogo da motivazioni di
carattere economico.
Dal lato dei ricavi si determina essenzialmente un aumento del valore
aggiunto, dal lato dei costi invece gli effetti dell’integrazione verticale
riguardano sia quelli di transazione sia quelli di produzione. Limitatamente ai
primi, le attività vengono verticalmente integrate quando i costi necessari per
1
M.GRANT (2004), L’analisi strategica per le decisioni aziendali, pag 390
7
organizzarle sono inferiori ai “ marketing costs”, sostenuti dall’impresa
quando si rivolge al mercato; infatti,se i costi di transazione del coordinamento
operato dal mercato sono maggiori dei costi amministrativi del coordinamento
interno all’impresa vi è la possibilità che venga realizzato un processo di
integrazione delle attività all’interno dell’impresa stessa. Tuttavia, poiché
l’organizzazione interna e la supervisione gerarchica delle attività
garantiscono il risparmio dei costi di negoziazione dei contratti con i fornitori
esterni e risolvono i problemi connessi alla ricerca dei fornitori e al rischio di
frodi e comportamenti sleali, la scelta dovrebbe ricadere sulla gestione interna.
Secondo Williams
2
, il quale configura l’impresa come un’organizzazione
complessa fatta di relazioni di mercato e rapporti gerarchici, in situazioni di
bassa specificità degli investimenti e di ridotta frequenza delle transazioni
risulta più efficiente la gestione secondo le modalità di mercato: le relazioni
non presentano livelli di complessità tali da richiedere sforzi per sviluppare la
fiducia reciproca. Viceversa, in condizioni di incertezza, di investimenti
specializzati e di transazioni ricorrenti, l’organizzazione gerarchica
risulterebbe più efficace per ridurre i comportamenti opportunistici che ne
deriverebbero. In contesti caratterizzati da investimenti specifici e condizioni
di incertezza, l’integrazione verticale risulterebbe, quindi, la modalità di
gestione più efficace
3
poiché, grazie all’accesso immediato alle informazioni
richieste e all’applicazioni di regole interne, si riuscirebbe a risolvere eventuali
conflitti più velocemente, senza eccessive contestazioni e, conseguentemente,
a minori costi.
Per quanto riguarda i costi di produzione, la convenienza economica ad
integrare a monte e/o a vale dipende fondamentalmente dagli effetti delle
economie di scala e, quindi, dall’aumento dei profitti derivabili dai minori
costi di produzione interna. Affinché ci sia convenienza economica è
necessario che si verifichino tre condizioni:
2
Cfr. Williamson O.E. ( 1975),” Market and hierarchies”, Analysis and antitrust implications, The
Free Press, New York
3
Cfr. G. Frova ( 1980), L’integrazione verticale nell’economia delle imprese italiane, Giuffrè Editore,
Milano
8
il costo di produzione interna sia inferiore al prezzo di acquisto sul
mercato;
il fabbisogno interno del semilavorato sia compatibile con la capacità
produttiva “ ottima” dell’impianto integrato;
l’incremento dei profitti derivanti dall’integrazione sia superiore a
quello ottenibile investendo le stesse risorse in attività alternative.
Esaminando le prime due condizioni emerge come la scelta ad integrare fasi
del processo produttivo dipende non solo dal confronto tra il costo d’acquisto
ed il costo di produzione, ma anche dalla compatibilità del fabbisogno interno
di mezzi di produzione del nuovo semilavorato con la capacità di produrre al
minor costo interno. Il costo unitario di produzione inferiore al prezzo unitario
di acquisto è una condizione necessaria ma non sufficiente per stabilire la
convenienza economica della scelta strategica di integrazione verticale.
La scelta di procedere ad una integrazione verticale può essere
motivata, oltre che da fattori economici, anche dal conseguimento di vantaggi
competitivi. Un’impresa integrata, oltre agli evidenti vantaggi di potersi
garantire la fornitura di quel bene nella qualità, quantità e tempi richiesti, può
venderlo ad un prezzo sufficientemente alto da mettere i potenziali concorrenti
in condizioni di svantaggio oppure può rinunciare a vendere. Una struttura
verticalmente integrata gode di alcuni vantaggi informativi che riducono i
livelli di incertezza dei mercati: in presenza di asimmetrie informative fra
imprese a monte e a valle relativamente alla quantità di bene prodotto e,
quindi, al suo prezzo, l’integrazione diventa uno strumento adeguato per
acquisire in anticipo le informazioni relative alle quantità prodotte e, quindi, ai
prezzi degli input. In tal modo non solo si riducono i sprechi di risorse ma, in
presenza di domanda instabile dei beni immessi sul mercato, è possibile
ricorrere tempestivamente a soluzioni alternative (per esempio, alla sub-
fornitura)
4
per soddisfare la componente fluttuante della domanda. Infine,
4
In presenza di aziende integrate verticalmente si ricorre alla sub-fornitura quando il livello della
domanda raggiunge punte particolarmente elevate. Le imprese adattano la capacità produttiva alla
componente stabile della domanda. Tanto maggiore sarà l’integrazione, tanto più efficaci saranno le
informazioni che permetteranno di prevedere le fluttuazioni della domanda e tanto minore sarà il
decentramento della produzione.
9
attraverso l’integrazione è possibile superare alcuni ostacoli determinati dalle
scelte della pubblica amministrazione: si fa riferimento alla legislazione e alle
scelte di politica economica che in molti casi rappresentano un vincolo per lo
sviluppo delle aziende. In particolare, un sistema di controllo dei prezzi può
provocare la riduzione della quantità offerta dei beni, per cui le imprese a valle
saranno indotte a integrarsi a monte, mentre politiche fiscali differenziate per
aree geografiche possono favorire sviluppi verticali per scelte di
localizzazione fisicamente convenienti.
L’integrazione verticale genera risparmi di costo (di trasporto,energia
ecc.), le cosiddette economie tecniche, prodotte dall’integrazione fisica dei
processi, ma per trovare una giustificazione alla verticalizzazione occorre
guardare oltre le semplici economie tecniche e rivolgere la nostra attenzione
all’impatto di tali economie sui costi di transazione nel caso di processi
integrati. La presenza di costi di transazione nei mercati intermedi non è
condizione sufficiente per giustificare l’integrazione verticale. L’integrazione
permette di evitare i costi connessi al mercato, ma l’internalizzazione delle
attività comporta un aumento dei costi amministrativi. L’efficienza del
processo di gestione interna delle relazioni dipende da diversi fattori:
a) differenze nella scala minima efficiente delle varie fasi della
produzione, cioè occorre confrontare i costi di transazione con la scala
minima efficiente degli impianti produttivi. Il rischio, quindi, è
rappresentato dalla possibilità che un’integrazione verticale si traduca
in alti costi per le attività la cui dimensione ottimale minima è
particolarmente elevata;
b) gestione strategica di attività differenti ovvero se le varie attività
hanno caratteristiche strategiche differenti ci sono problemi nel gestire
un’impresa verticalmente integrata. Le competenze organizzative, i
sistemi di pianificazione strategica, gli approcci alla gestione delle
risorse umane e i sistemi gestionali richiesti per una determinata attività
possono essere molto diversi da quelli necessari per un’altra attività;
infatti, produzione e vendita sono due tipi di business molto diversi: la
10
prima richiede competenze tecnologiche, di processo e di sviluppo di
nuovi prodotti, la seconda richiede invece rapidità di risposta al
mercato, un’astuta gestione degli acquisti e una costante attenzione alla
gestione dell’interfaccia con i clienti. Tale considerazione spiega
perché è raro trovare integrazione tra aziende di produzione e di
distribuzione: queste richiedono competenze organizzative e stili
gestionali differenti. Le differenze strategiche tra attività diverse, di
conseguenza, hanno spinto molte imprese ad attuare politiche di de-
integrazione verticale;
c) sviluppo di competenze distintive cioè l’integrazione verticale unisce
attività che richiedono differenti competenze organizzative. La
mancanza di specializzazione potrebbe quindi tradursi in un ostacolo
allo sviluppo delle competenze individuali. Nel caso esista una
relazione tra competenze di diverse attività, l’integrazione verticale può
favorire lo sviluppo di competenze distintive infatti quest’ultima è
maggiormente efficace se esistono complementarietà tra le competenze
di progettazione e quelle di produzione;
d) gli effetti competitivi dell’integrazione verticale, ovvero quest’ultima
viene utilizzata da alcune imprese come strumento per trasferire la loro
posizione da uno stadio di filiera ad un altro. Una volta che un’impresa
ha monopolizzato uno stadio della catena del valore di un settore, non è
possibile ricavare ulteriori extra profitti estendendo la posizione di
monopolio ad uno stadio adiacente o meglio quando si integra
un’attività che precedentemente veniva svolta da fornitori o clienti, c’è
il rischio di ottenere una minore disponibilità da parte di questi ultimi a
collaborare con l’impresa, dato che l’azienda integrata verticalmente
viene ora percepita come un concorrente piuttosto che come cliente o
fornitore;
e) flessibilità. Né l’integrazione verticale né le transazioni di libero
mercato possono garantire vantaggi univoci in termini di flessibilità. Ad
ogni modo, quando è richiesta una flessibilità diffusa a livello di
11
sistema, un complesso di attività verticalmente integrate può riuscire
più efficacemente a effettuare adattamenti simultanei su tutti i livelli.
L’integrazione verticale lega saldamente l’impresa ai suoi fornitori; ma
questo genera anche una commistione di rischi, dato che un qualsiasi
problema a monte si ripercuote su tutti gli stadi successivi.
f) i rischi dell’integrazione. L’integrazione verticale lega saldamente
l’impresa ai suoi fornitori ma questo genera anche una commistione di
rischi, dato che un qualsiasi problema a monte si ripercuote su tutti gli
stadi successivi. Questi problemi diventano particolarmente gravi
quando la tecnologia o le preferenze dei consumatori cambiano
rapidamente
5
.
Considerati i vantaggi che comporta la scelta strategica dell’integrazione
verticale è opportuno verificarne i corrispondenti rischi. Nell’azienda integrata
i costi fissi tendono ad aumentare determinando, quindi, un innalzamento del
punto di pareggio e conseguentemente la vulnerabilità alle fluttuazioni
cicliche. Inoltre, il fabbisogno finanziario necessario per realizzare
l’integrazione è molto consistente e generalmente non è possibile coprirlo con
fonti di finanziamento interne. È necessario pertanto ricorrere a finanziamenti
esterni che potrebbero rendere oltremodo onerosa e, conseguentemente,
rischiosa l’operazione. Ulteriore inconveniente può verificarsi se i prezzi
interni di trasferimento non riflettono i valori di mercato, per cui si rischia di
ridimensionare le capacità concorrenziali delle singole unità operative
compromettendo la stessa competitività dell’azienda. Infine, l’organizzazione
gerarchica, che comporta dei costi di coordinamento, può entrare in crisi per
fenomeni di eccessiva formalizzazione e burocratizzazione e determinare
scarsa identificazione negli obiettivi aziendali, se non addirittura ostracismo da
parte di quei dipendenti che si ritengono penalizzati nelle loro funzioni a causa
dell’integrazione.
Negli ultimi anni si è sempre più fatto ricorso a relazioni verticali,
cercando di conciliare la flessibilità e gli incentivi delle transazioni di mercato
5
M.GRANT (2004), L’analisi strategica per le decisioni aziendali, pag 393
12
con la stretta collaborazione tipica dell’integrazione verticale. Sempre più
imprese hanno abbandonato i rapporti di fornitura occasionali per stabilire
strette relazioni verticali con un ristretto numero di fornitori. Tuttavia non
mancano tendenze in senso opposto: l’evoluzione dell’ambiente esterno,
caratterizzata da diffusione di nuove tecnologie e dalla globalizzazione dei
mercati, ha indotto imprese ad esternalizzare ed a specializzarsi in poche
attività della propria catena del valore.
1.2. IL RICORSO A STRATEGIE DI ESTERNALIZZAZIONE
Negli ultimi anni si sta assistendo ad una graduale ma profonda
trasformazione della struttura organizzativa dell’impresa, trasformazione che
comporta un abbandono del modello di tipo gerarchico a favore di strutture più
flessibili ed aperte all’ambiente esterno. Il modello d'impresa verticalmente
integrato è risultato efficace fino a quando il mercato ha richiesto prodotti
standardizzati e il prezzo ha rappresentato la variabile chiave nella
competizione tra le imprese, ma l’evoluzione dell’ambiente esterno,
caratterizzata dalla diffusione di nuove tecnologie e dalla globalizzazione dei
mercati, ha indotto le aziende a ridisegnare gli assetti organizzativi per
affrontare adeguatamente la maggiore competitività dei mercati. In questo
scenario, le organizzazioni verticali, funzionalmente, gerarchizzate, si sono
rivelate in alcuni casi inefficaci mentre strutture più flessibili, caratterizzate da
legami orizzontali e interazioni tra aziende, hanno garantito performance più
soddisfacenti; si viene dunque a creare l’esigenza ad istaurare relazioni di
cooperazione tra imprese, basate sul possesso di competenze distintive e su
una gestione strategica del tessuto relazionale. Queste tipologie di
aggregazioni, generalmente di lungo periodo, formalizzate contrattualmente o
informali, prevedono accordi tra due o più aziende che implicano una sere di
prestazioni congiunte in una o più aree di attività e che in determinate
situazioni sono in grado di ottimizzare il “trade off “ tra i costi di produzione e
i costi di transazione.
13
Le relazioni interaziendali sono, secondo Hakansoon
6
, «le risorse di
maggiore valore dell’impresa sia per il contributo che da esse perviene
all’innalzamento dei livelli di produttività e di efficienza, sia in considerazione
della loro funzionalità ai fini della circolazione delle informazioni tra le
imprese»,rappresentano, dunque, un valido strumento strategico con cui
l’impresa affronta i propri limiti di competenze e conoscenze.
L’accumulazione di conoscenza costituisce una delle principali fonti
strategiche di vantaggio competitivo; sotto questo profilo, quindi, le
cooperazioni creano circuiti di comunicazione tali da favorire una reciproca
specializzazione e accesso a conoscenze esterne. Oltre all’accumulo di
conoscenze e competenze, tra i vantaggi della cooperazione rientrano quelli
economici: in alcune forme di cooperazione tra imprese, come l’outsourcing e
la subfornitura, si verifica un sorta di reengineering della struttura di costo
aziendale attraverso l’abbattimento di taluni costi fissi, quali gli investimenti
in impianti e tecnologie, in know-how e in personale qualificato ovvero il
passaggio dal produrre all’acquistare fa sì che ciò che in precedenza era un
investimento e un costo fisso diventi un costo di esercizio di natura variabile.
Questo tipo di accordi rappresentano una forma di governo delle relazioni
alternativa al mercato e alla gerarchia; infatti, da un lato, i partner coinvolti
nell’iniziativa mantengono la propria indipendenza gestionale, evitando in tal
modo gli elevati costi di irrigidimento della struttura gerarchica, e, dall’altro
lato, gli accordi vengono stipulati con modalità tali da limitare incompletezze
contrattuali e asimmetrie informative al fine di ridurre i costi di transazione.
Inoltre, attraverso la realizzazione di accordi di cooperazione, le aziende
partecipanti non solo hanno il vantaggio di ridurre l’entità, i tempi e i rischi
degli investimenti necessari per la realizzazione di nuove iniziative, ma hanno
la possibilità di scambiare esperienze su metodi di lavoro, accedere a nuovi
modelli organizzativi, apprendere processi di innovazione tecnologica. In
definitiva, ricorrere alla collaborazione con altre imprese, soprattutto quando
6
Cfr Hakansoon H. (1987), Industrial technological development. A network approach, Croom Helm,
New York
14
comportano l’esternalizzazione di processi produttivi, riduce la variabilità dei
risultati reddituali e, quindi, il rischio operativo di gestione.
Il ricorso a forme di collaborazione, tuttavia, non sempre risulta
opportuno e in alcuni contesti può determinare alcuni inconvenienti e può
comportare una serie di rischi. Al riguardo occorre considerare, in primo
luogo, che la condivisione di funzioni produttive sempre più complesse può
determinare, tra l’altro, la perdita del dominio della tecnologia. In secondo
luogo, le performance tipiche del sistema produttivo (qualità, puntualità,
rapidità, flessibilità) e la stessa offerta commerciale (in termini di
assortimento, immagine e livello di servizio) risultano pesantemente
condizionate dalle prestazioni dei partner. In terzo luogo, le aziende, che nel
corso della loro storia hanno maturato capacità organizzative relative alla
gestione internalizzata di una quota consistente del processo produttivo,
riscontrerebbero notevoli difficoltà ad abbandonare routine organizzative per
passare a strutture completamente differenti che richiedono nuove capacità per
governarle. Allo stesso modo, in settori ad alta intensità di capitale, le imprese
hanno bisogno di effettuare investimenti significativi e necessitano di capacità
di coordinamento e di integrazione per le attività di ricerca e di
commercializzazione difficilmente riscontrabili in strutture basate su accordi e
alleanze. Infine, gli stessi partner, grazie all'apprendimento di processi e
tecniche di produzione gestite in comune, possono diventare temibili
concorrenti: negli stessi settori ad alta tecnologia, dove si rilevano più intensi
rapporti di collaborazione tra imprese, é più alta la probabilità che si
verifichino comportamenti opportunistici, tali da rendere inefficienti i rapporti
di collaborazione per gli elevati costi di transazione
7
.
Dall’analisi appena fatta si rileva una decisa tendenza al
coinvolgimento di attori esterni in una logica di specializzazione e
complementarietà per lo svolgimento di attività un tempo considerate di
pertinenza dell’impresa. Tale modalità di strutturazione dei compiti
manifatturieri ed innovativi consente all’impresa di ottenere vantaggi in
7
A.RICCIARDI (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, pag 35
15
termini di minori costi e di minori tempi di sviluppo di nuovi prodotti, mentre
la responsabilizzazione ed il coinvolgimento anticipato di attori esterni
conduce a consistenti benefici in termini qualitativi. Il ricorso a strategie di
esternalizzazione che implicano il coinvolgimento di operatori esterni per lo
svolgimento di attività gestite precedentemente all’interno dell’azienda, è un
fenomeno oramai consolidato e riguarda sia, aziende ad alta intensità di
capitale sia piccole imprese ad alta capacità innovativa. È opportuno pertanto
verificare le caratteristiche tecniche e le modalità operative delle forme di
collaborazione tra imprese più diffuse in questi ultimi anni, senza tuttavia
trascurare i relativi rischi e i problemi che eventualmente potrebbero insorgere
nella loro applicazione.
Le strategie proposte (sub-fornitura, reti d’imprese, consorzi, spin-off
industriali, joint venture, outsourcing) si caratterizzano per i fattori che le
accomunano ma anche per le notevoli differenze nella gestione operativa. In
tutte le forme di collaborazione citate di seguito, le singole imprese
partecipanti perseguono comunque specifici obiettivi strategici ed economici.
Il grado di identità degli obiettivi perseguiti dalle singole imprese con quelli
delle rispettive "reti di collaborazioni" dipende non tanto dalle forme di
cooperazione, quanto piuttosto dall’orizzonte temporale sottostante alle
relazioni e, soprattutto, dal coinvolgimento di ciascuna azienda nei processi di
investimento e decisionali.
1.2.1. SUB-FORNITURA
La sub-fornitura, tra tutte le modalità di accordi tra imprese, rappresenta
il primo livello di cooperazione; consiste in una relazione contrattuale
mediante la quale il sub-fornitore si sostituisce al committente per
l’esecuzione di una determinata produzione o fase di lavorazione, rispettando
le direttive tecniche. Dunque è il committente a predeterminare il contenuto
della prestazione, ovvero le caratteristiche tecniche, ed assume i rischi di
mercato mentre l’azienda fornitrice si incarica della realizzazione di una parte
o dell’intera commessa. Ne consegue come il subfornitore si sostituisca al
16
committente in una fase produttiva, in base ad un rapporto di subordinazione,
derivante dall’obbligo imperativo da parte del primo di conformità alle
direttive impartite dall’impresa committente. Il ruolo del sub-fornitore si
configura, pertanto, con caratteri di ausiliarietà, complementarietà e
subordinazione che distinguono tale forma di esternalizzazione dalle reti di
imprese o dall’outsourcing che comportano l’instaurarsi di relazioni impostate
su pratiche collaborative e rapporti più equilibrati e paritari. La sub-fornitura si
differenzia, infatti, dall’approvvigionamento mediante rapporti di fornitura: il
fornitore realizza e produce prodotti standardizzati, da listino, come nel caso
di acquisti di materie prime, beni strumentali, materiali di uso generale che
vengono destinati ad una pluralità di imprese acquirenti, mentre il sub-
fornitore realizza prodotti, lavorazioni e servizi per conto esclusivo di una o
poche imprese; ciò che caratterizza la sub-fornitura è la specialità
dell’oggetto dell’ordine, per cui il fornitore specializzerà in qualche misura le
proprie risorse per soddisfare il fabbisogno del committente. In questi ultimi
anni la quota relativa alla voce sub-fornitori è aumentata progressivamente e si
è assistito ad un’evoluzione del ruolo del sub-fornitore: non più semplice
erogatore esterno di prodotti e/o servizi ma membro di un sistema produttivo
al quale fornisce contributi nella progettazione, nell’innovazione ed,
eventualmente, anche nelle scelte strategiche del committente.
Il passaggio da sub-fornitore normale a partner, presuppone
l’evoluzione da relazioni squisitamente commerciali, basate sul prezzo, verso
relazioni partecipative di natura industriale, improntate alla progressiva
integrazione informativa e produttiva fino al mutuo coinvolgimento nella
pianificazione strategica, in un’ottica di creazione congiunta di valore. Si
delineano, pertanto, in base all’importanza che la subfornitura assume per il
committente, due tipologie di subfornitori:
subfornitori tattici o di capacità, con cui si esternalizza solo l’esecuzione;
subfornitori strategici o di specialità, con cui si esternalizza non solo
l’esecuzione ma anche i materiali di lavoro.
17
I primi sono generalmente fornitori di componenti di minore importanza, con i
quali si intrattengono rapporti contrattuali di tipo tradizionale; sono sempre
sostituibili sia con una produzione interna dell’azienda sia con altri sub-
fornitori. I secondi, invece, sono fornitori primari: il livello tecnologico e
qualitativo delle loro prestazioni qualifica il prodotto e l’immagine del
committente; rivestono un ruolo strategico non solo per ciò che riguarda
l’efficienza del processo produttivo, ma anche per ciò che concerne qualità e
innovazione; operano alla stregua di veri e propri capi commessa e,
solitamente, coordinano l’attività di sub-fornitura di secondo e terzo livello. In
quest’ultimo caso, il committente ricerca partner con competenze
specialistiche diverse dalle proprie, con i quali sviluppare rapporti di
collaborazione duraturi. In tale direzione, lo stesso processo di selezione è
improntato su considerazioni a valenza strategica (il livello tecnologico, gli
standard di qualità, la flessibilità, l’elasticità produttiva, i tempi e la regolarità
delle consegne) ed i rapporti di collaborazione tra sub-fornitori e committenti
si orientano all’interscambio continuo di informazioni, tecnologia ed
esperienze fino ad arrivare alla progettazione congiunta di processi e prodotti.
L’utilizzo di un sistema a rete di sub-fornitori tattici e strategici si concentra
frequentemente in settori fortemente innovativi come quello aeronautico, un
caso emblematico, per l’appunto, è rappresentato dalla Fiat, che fin dagli anni
Novanta, ha creato una complessa trama di relazioni contrattuali con pochi e
selezionati fornitori, in base alla quale nel processo produttivo globale è
coinvolto un network di imprese che prevede relazioni di partnership
strategico-operativa e di condivisione degli obiettivi produttivi con i fornitori
primari
8
.
A seconda del tipo di relazione (tradizionale o partecipativa) o delle
aree di collaborazione (operative o strategiche) si profilano tre diverse
categorie di sub-fornitori:
Normali
Integrati
8
A.RICCIARDI (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, pag 92
18
Partner
I sub-fornitori ″normali″, quelli più diffusi nella realtà operativa, instaurano
rapporti basati sul prezzo e sul rispetto delle direttive tecniche del
committente. I contratti vengono stipulati sulla base di singoli ordini e non
prevedono impegni nel medio periodo. Generalmente queste imprese
completano al loro interno l'intero ciclo produttivo della commessa assegnata e
non sviluppano rapporti con altri sub-fornitori. In questo caso i rapporti tra
l’azienda e i suoi sub-fornitori sono molto spesso di tipo informale, non esiste
solitamente un progetto comune di crescita nel medio-lungo periodo e, di
fatto, non si riscontra una netta interdipendenza reciproca.
I sub-fornitori ″integrati″ prevedono la stipula di accordi di medio-
lungo termine, si caratterizzano per un forte interscambio sui programmi
operativi e, da un punto di vista logistico, per forniture frequenti e in piccoli
lotti regolate nell’ambito di ordini aperti. Questi fornitori instaurano con il
committente relazioni che offrono un contributo continuo e sistematico per il
miglioramento dei livelli di efficienza della produzione e di qualità del
prodotto: efficienza e qualità della performance accrescono la probabilità che
il fornitore sia confermato in occasione di ulteriori e successive scommesse.
Queste aziende generalmente hanno rapporti di scambio con altri subfornitori
ed esternalizzano verso altre imprese fasi più o meno rilevanti del ciclo
produttivo. Secondo tale approccio il prezzo diventa solo una delle variabili
del rapporto mentre il valore aggiunto generato dalle relazioni tra imprese è
configurabile in ulteriori variabili, quali l’incremento di capacità produttiva, il
miglioramento delle performance tecnico-operative, una maggiore flessibilità
ed efficienza economico-organizzativa, la rapidità nell’esecuzione degli ordini
e nell’introduzione e/o applicazione di innovazioni di prodotto e di processo.
In questo stadio, certamente il più evoluto e pertanto meno frequente nella
realtà operativa, il sub-fornitore assume il ruolo del partner e il profilo
competitivo del committente dipende anche dal profilo competitivo del sub-
fornitore. Le aziende di questo tipo sono solitamente di medie-grandi
19
dimensioni e tendenzialmente sviluppano accordi di cooperazione più o meno
formali con altre imprese sub-fornitrici.
I subfornitori ″partner″ sviluppano con l’impresa committente rapporti
stabili e di lungo periodo, che si estendono anche alle attività chiave
dell’impresa committente, sia quelle a contenuto progettuale, sia quelle che
prevedono investimenti specifici (tipico del settore automobilistico). La
finalità di questo tipo di relazione non riguarda soltanto ed esclusivamente il
perseguimento dell’efficienza economico-produttiva ma, soprattutto, la
condivisione ed il trasferimento di capacità e conoscenza e la crescita
imprenditoriale delle singole imprese all’interno della relazione cooperativa.
Nella misura in cui tra committente e subfornitori si sviluppa un mutuo
coinvolgimento sin dalle prime fasi di sviluppo del prodotto, è probabile che
relazioni di natura meramente commerciale si trasformino in relazioni basate
sulla collaborazione e l’obiettivo del rapporto diventi la creazione congiunta
di valore. In quest’ottica, i criteri di selezione e valutazione dei sub-fornitori
da parte del committente devono basarsi su:
- condizioni economico-finanziarie, per verificare la capacità di sopravvivenza
o di sviluppo del partner;
- organizzazione produttiva, par valutare il rispetto dei tempi delle modalità di
consegna nonché l’affidabilità qualitativa;
- elasticità produttiva, per fronteggiare tempestivamente variazioni di richieste
da parte del committente;
- livello tecnologico della struttura, per valutare la capacità di adattamento
all’innovazione.
Tuttavia, nel processo di selezione dei fornitori, é opportuno non limitarsi alla
verifica dei soli “technical skill” ma è necessario un’ulteriore competenza,
definita “relational skill”, che consiste nella capacità di intessere con l’impresa
committente e con gli altri sub-fornitori una rete di relazioni idonea a fare
circolare informazioni e a diffondere applicazioni tecnologiche.
Generalmente le imprese sub-fornitrici dispongono di un patrimonio
logico che non é capace di garantire la realizzazione intera di tutte le fasi
20
produttive previste dalla commessa. Queste imprese, quindi, sono indotte ad
istaurare rapporti di collaborazione con altre imprese sub-fornitrici finalizzati
allo sfruttamento delle reciproche complementarietà
9
.
1.2.2. RETI D’IMPRESA
Indipendentemente dal contesto da cui è stato mutato il concetto di rete
nel corso degli anni, l’organizzazione reticolare appare oggi come un
fenomeno diffuso nelle economie industriali, soprattutto in quei settori
caratterizzati da forte dinamismo e notevoli investimenti in capitali intangibili
(conoscenze, informazioni, competenze). Il concetto di organizzazione a rete è
stato utilizzato per individuare fenomeni diversi, che hanno come
denominatore comune una generica relazionalità fra persone, unità
organizzative, imprese. Una rete di imprese, le cui relazioni si basano su un
sistema di accordi, può essere definita come un «insieme di aziende
giuridicamente autonome, che attraverso reciproci impegni di cooperazione
realizzano in modo consapevole e finalizzato una coordinazione produttiva,
sfruttando gli aspetti di complementarietà tecnica ed economica delle
rispettive gestioni in vista del conseguimento di obiettivi economici congiunti,
da cui ritrarre indirettamente dei vantaggi individuali».
Le relazioni che legano le imprese di una rete non sono occasionali ma
basate generalmente su rapporti duraturi e, quindi, non gerarchici. Pur essendo
durature le relazioni, tuttavia, non sono esclusive e pertanto ciascuna azienda
partecipante ad una rete può svolgere contemporaneamente la stessa attività
economica per proprio conto, in collaborazione con i partner della rete,
insieme a partner di altri aggregati di azienda. La rete è dinamica, nel senso
che si modifica nel tempo per l’esclusione di nuovi partner o l’esclusione di
altri in base a scelte di convenienza individuali e di gruppo, ed elastica, nel
senso che i singoli partner possono scomparire senza mettere a rischio il
funzionamento della rete stessa. L’efficienza di tale rete dipende dalla sua
stabilità i cui fattori che ne garantiscono la sopravvivenza nel tempo sono
9
A.RICCIARDI (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, pag 98