VII
In seguito Enrico Peruzzi compilò un catalogo dei mss. filosofici e
scientifici della biblioteca
5
: lavoro che ha il pregio di non demandare allo
Spagnolo la descrizione esterna dei codici e anzi di offrirne una
accurata, ma che trova una limitazione nella mancanza di notizie sulla
storia dei manoscritti.
Da ultimo Fulvio Calabrese presentò nel 1993 come tesi di laurea un
catalogo dei cod. capitolari contenenti autori latini classici
6
: il suo
contributo mi è stato utile per individuare le opere che documentano i
passaggi di mano dei codici che ho schedato.
Nel catalogo che ho compilato si esaminano i manoscritti umanistici di
ambito veronese: codici scritti tra la fine del XIV secolo e la fine del XVI
che tramandano opere in lingua latina di umanisti veronesi. Per
individuare questi codici mi sono basato su Iter Italicum, che mi ha
portato alla schedatura di quaranta codici, ma ho poi allargato le maglie
assai fitte di Kristeller
7
consultando il catalogo dello Spagnolo (sia il
manoscritto sia l’edizione a stampa) e giungendo così alla catalogazione
di cinquantaquattro codici: ho giudicato inopportuno ad esempio
schedare tre ms. di mano di Pellegrino Pellegrini (codd. CCXXVII,
CCXXVIII e CCXCIV) come fa Kristeller, attenendosi a rigidi criteri
contenutistici ed eliminando di conseguenza gli altri due codici
autografi custoditi alla Capitolare (codd. XLIX, CXIII) perché contengono
in massima parte o in toto (il XLIX) scritti religiosi.
A mio parere questi codici, pur riportando soprattutto brani di
patrologia , testimoniano se non altro i sentimenti e gli interessi di un
aristocratico veronese di cui si conosce assai poco, ma che grazie ad
5
Manoscritti filosofici e scientifici della Biblioteca Capitolare di Verona dal Medioevo al
Rinascimento, a cura di E. PERUZZI, Verona 1992.
6
F. CALABRESE, Per una catalogo dei Manoscritti Classici della Biblioteca Capitolare di Verona,
tesi di laurea, a.a. 1991/92.
7
P.O. KISTELLER, Iter …, op. cit., vol. II, Italy, Orvieto to Volterra, Vatican City, London, The Warburgh
Institute, 1967.
VIII
essi rivela anche un certo interesse per temi tipicamente umanistici
come la trascrizione di epigrafi latine
8
, di brani tratti dai classici
(Virgilio, Seneca, Giovenale, Aulo Gellio)
9
, dall’ Historia augusta
10
, dal De
remediis del Petrarca
11
e dall’ Elogio della follia di Erasmo da
Rotterdam
12
; il fatto poi che abbia scritto tutti i suoi codici in
umanistica corsiva è un altro elemento che ci consente di inserirlo nella
cerchia di quegli amanti delle lettere che apprezzarono le novità
introdotte dall’Umanesimo anche se non ne furono mai protagonisti, e
come lui si limitarono a coglierne il carattere erudito che per i
capiscuola era invece un mero punto di partenza.
Per la descrizione dei manoscritti ho seguito il modello che E. Pellegrin
ha adottato per illustrare i codici classici latini della biblioteca
vaticana
13
; in alcuni casi me ne sono allontanato e ho preferito la
procedura consigliata da A. Petrucci per quello che egli definisce
catalogo sommario
14
: la suddivisione dell’analisi del ms. è per entrambi
la stessa (descrizione esterna, descrizione interna, origine, storia,
bibliografia) ma mi è sembrato più corretto inserire l’analisi della
scrittura nella descrizione esterna come indica Petrucci (mentre la
Pellegrin la colloca nel paragrafo dedicato all’origine del manoscritto), e
viceversa esaminare le filigrane eventualmente presenti proprio nella
sezione dedicata all’origine e non nella descrizione esterna; dare una
minima descrizione della legatura e annotare le segnature e altre
scritture in essa presenti mi è parso inoltre indispensabile.
8
Si veda il cod. CCXXVIII (355), f. 62r.
9
Cod. CCXXVII (354), ff. 39v-42v, 43v-44r, 45, 60.
10
Cod. CXIII (214), ff. 105v-107v, 155r-164v.
11
Cod. CCXXVII (354), ff. 45v-53r.
12
Ivi, ff. 55v-56v.
13
Les manuscrits classiques latins de la bibliothèque Vaticane, Catalogue établi par Elisabeth
PELLEGRIN et Jeannine FOHLEN, Colette JEUDY, Yves-François RIOU, avec la collaboration
d’Adriana MARUCCHI et de Paola SCARCIA PIACENTINI, Paris, 1982.
14
A. PETRUCCI, La descrizione del manoscritto, studi, problemi, modelli, Roma, 1984, pp. 87-8.
IX
Per quanto riguarda la scrittura non mi sono limitato alla sua
definizione nominale, ma ne ho descritto brevemente il modulo,
l’inchiostro, e se necessario alcune particolarità di disegno e la presenza
di nessi particolari.
Del contenuto ho fornito il titolo e l’autore nella forma conosciuta
(quando è stato possibile), incipit, explicit e l’eventuale datazione
sottoscritta; per le opere pubblicate in epoca moderna in edizione critica
(ad esempio opere classiche latine) ho segnalato i capitoli presenti nel
manoscritto.
L’origine dei codici che ho esaminato è controversa, ma alcuni di essi
sono sicuramente opera di letterati e copisti veronesi, che hanno
lasciato in qualche angolo del loro lavoro un colophon che li identifica:
Felice Feliciano ha lasciato la sua firma sul cod. CCCXVII
15
; un frate
Antonio si dice copista del cod. CCLIII (225)
16
; l’ignoto Nicola del Giudice
esemplò il cod. CCXLI (202)
17
; Pietro Donato Avogaro ci ha trasmesso il
cod. DCXCV (DCCV)
18
; il calderaio Giampiero della Coltre trasse
probabilmente dall’originale una copia del Fioretto di Francesco Corna
che è ora custodita nella biblioteca Capitolare sotto la segnatura
CCCCLIV (297)
19
; Jacopo Conte Giuliari esemplò il cod. CCLXI (233)
20
;
infine il cod. CXLVI (134) assieme al nome del copista ci lascia anche
qualche dubbio sulla sua identità: chi si nasconde dietro il
15
f. 1r: “Questo presente libretto è di me Felice Feliciano da Verona scritto delanno 1458”. Per
la biografia di Feliciano si veda G. MARDERSTEIG, Felice Feliciano veronese, Milano 1986, pp.
7-15; per la sua attività cfr. L’”Antiquario” Felice Feliciano veronese, Atti del Convegno di Studi –
Verona, 3-4 giugno 1993, a cura di A. CONTO’ e L. QUAQUARELLI, Padova 1995.
16
f. 152r: “Anno Domini nostri Yhesus Christi millesimo quatercentesimo septimo mensis iunii
per me fratrem Antonium ordinis minoris contemplatione magnifici ac generosi domini Ludovici
Comitis Verone domini mei”.
17
f. 135r: “Codes Nicholai de Iudicibus. Ego Nicholaus perfeci die XX novembris 1456”.
18
f. : “Sermonum liber explicit per me Petrum Donatum Avogarium excriptus XII maii 1473”.
19
f. 56: “…descripta per mi Zuampero de la Coltre anno Domini 1549 de mese de magio die
duodecimo”.
20
f. 110r: “Explicit thorica planetarum per me Iacobum Comitem filium domini Antonii Iuliarii
scripta”.
X
“Bernardinum C.”
21
che si dichiara trascrittore del ms.? Si potrebbe
pensare a Bernardino Cillenio, dotto umanista di Peschiera del Garda,
come fa Giuliari senza avanzare dubbi
22
, e in effetti la datazione del
codice (1477) coinciderebbe colla maturità del Cillenio, ma già lo
Spagnolo è insicuro e scrive a p. 224 del suo catalogo: “Che sia il nostro
Bernardino Cillenio?”, consapevole che non si possono attuare confronti
tra la scrittura del cod. Capitolare e un qualche suo documento
autografo (e in fondo è proprio questa la ragione che ci farebbe sperare
che il copista sia proprio lui). Negli anni ’80 Banterle
23
ha definito
“piuttosto ardita” l’identidificazione e Avesani
24
ha ricordato che in
quegli anni non visse solo un Bernardino col cognome che iniziasse con
C, ma che “tra i letterati veronesi coevi si può ricordare Bernardino
Campagna”.
L’ errata concordanza che si riscontra nella seconda sottoscrizione del
copista (Hos opus completus fuit per me Bernardinum die VI martii 1477)
è in più un segnale che dovrebbe fare riflettere: possibile che un dotto e
raffinato umanista come Cillenio compia un errore così grossolano? Si
potrebbe pensare a una svista, ma questo genere di infortunio
grammaticale è un esempio da manuale di “errore del copista”, perciò
l’attribuzione non solo non è suffragata da autografi, ma alla luce
dell’errore menzionato risulta molto improbabile.
Devo segnalare inoltre che anche il cod. CXII (105) non è attribuibile
con sicurezza a Maggio Maggi, come afferma invece R. Avesani
25
: la base
su cui poggia la supposta autografia è una postilla della stessa mano
del testo presente al f. 16v del ms., in cui il notaio veronese afferma di
21
f. 83v:" Oratii Flacci poetriae artis liber foeliciter explicit per me Bernardinum C. die XIIJ martij 1477”.
22
Si veda G. B. C. GIULIARI, Della letteratura veronese al cadere del secolo XV, Bologna 1876, p.
59.
23
G. BANTERLE, Bernardino Cillenio e la sua opera poetica, in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura,
scienze e lettere di Verona, s. VI, 33 (1981-82), p. 402.
24
AVESANI 84, p. 201 (nota).
25
Ivi, p 12.
XI
aver visto la spada di s. Martino in casa Bevilacqua a Verona
26
; questa
nota da sola non può confermare l’autografia del codice, che dovrebbe
essere corroborata da un colophon e da riscontri con altri documenti di
certa attribuzione
27
; il fatto che la stessa mano abbia trascritto il testo e
la postilla fa pensare a un ignoto copista che mentre compila il ms.
s’imbatte in una nota curiosa e decide di riportare anche quella. La
stessa postilla è inoltre trascritta da Pellegrino Pellegrini nel suo cod.
CCXCIV (411) al f. 128r
28
, in cui specifica di averla trovata in un ms.
membranaceo probabilmente in minuscola carolina: la nota autografa di
Maggio si trova quindi in un codice del tutto estraneo al nostro CXII,
che è cartaceo e esemplato nel XV secolo.
Certo sette codici sicuramente attribuiti sui cinquantaquattro esaminati
sono un numero esiguo, ma molti altri sono attribuibili grazie a raffronti
con autografi certi o note di letterati coevi che hanno posseduto il ms. e
annotato il nome del copista. Questo è il caso del cod. CCLXXXI (351),
su cui Giambattista Peretti scrive il nome del trascrittore
29
, Bartolomeo
Arduini da Reggio, un ecclesiastico che nonostante le ricerche da me
effettuate anche in Archivio resta semisconosciuto, ma che sembra sia
stato un appassionato lettore di classici e abbia posseduto una
biblioteca piuttosto ricca: Peretti scrive che egli fu precettore di Gregorio
Bevilacqua, figlio di Giovanni, e che in seguito studiò giurisprudenza a
Padova assieme al suo allievo; fu inoltre arciprete della chiesa di S.
Zenone a Minerbe, allora villaggio che faceva parte del territorio
amministrato dai Bevilacqua, e morì nel 1510. Fin qui possiamo
26
F. 16v: “Hoc ferrum quod gladium vel ensem appellamus vidi et tetigi ego Madius de Madiis in
ciuitate Verona in domo spectabilium de Biuilaquis, die sabati iiii° augusti de MCCCCXXV°”.
27
Una breve ricerca all’Archivio di Stato veronese mi ha confermato l’inesistenza o meglio la
irreperibilità di atti notarili autografi di Maggio.
28
“Liber in manus mea Peregrini carta pergamena scriptus de vetusto, in quo inter coetera
laude digna scripta erat vita sanctissimi praesulis Martini. In quo hac verba de ense ipsius
sancti Martini dum militiam gereret que portabat, et cum quo clamidem militarem divisu
pauperi mendicantj, scripta manu clarissimo iuris Caesari domini Madij qui clarissimi iuris
civilis domini Joannis de Madijs in hunc modum”.
29
f. 66r: “Commentarius iste scriptus fuit manu Bartholomaei Arduini Regiensis…”.
XII
immaginare che i Bevilacqua, famiglia letteratissima come dimostra
l’inventario della loro biblioteca compilato dall’Alecchi
30
, non avrebbe
scelto come precettore per uno dei suoi discendenti un ecclesiastico
troppo legato alla vecchia scuola tomistico-aristotelica, e che
Bartolomeo non lo fosse lo dimostra il contenuto del cod. che ha
compilato: un commento anonimo (forse suo?) alle Bucoliche di Virgilio.
Si potrebbe pensare che la sua inclinazione per i classici fosse
soddisfatta dai codici di casa Bevilacqua, ma due note appartenenti a
mss. diversi ci informano che lui stesso possedeva una biblioteca di
opere latine e greche: nel cod. Cap. CCLXXIX (365) si trova un foglietto
volante in cui Mario Bevilacqua scrisse a Bartolomeo per avere una
copia del De Officiis di Cicerone e del Timone di Luciano; nel cod.
membr. del XIV secolo n. 8 del seminario vescovile di Verona,
contenente il De coniuratione Catilinae e il Bellum Iughurtinum di
Sallustio, si legge una nota di possesso in cui Martino Rizzoni afferma
di aver acquistato il ms. da “Bartholomeo de Regio capellano Sancti
Zenonis de Fumanis Vallis Pullicelle agri Veronensis die quinto octobris
MCCCCXLII”
31
. Queste notizie non rendono Bartolomeo Arduini un
insigne umanista, ma ne fanno un uomo attratto dal nuovo modo di
concepire il rapporto coll’ Antichità proprio degli umanisti, e capace di
formare una collezione che lo rese un punto di riferimento per altri
collezionisti e letterati veronesi a noi meglio conosciuti.
Altri manoscritti attribuiti indirettamente a letterati veronesi grazie al
confronto con autografi certi sono i cod. Cap. CCLIV a (226), CCLIVb
(226) e parte del CCXCV (369), esemplati da Giambattista Peretti; il cod.
30
L’inventario della biblioteca di Mario Bevilacqua è stato stilato da Ottavio Alecchi nel 1704 ed
è contenuto nelle sue Memorie istoriche de’ letterati veronesi, ora custodito alla biblioteca
Marciana (mss. italiani, Cl. X, cod. 101, ff. 233-317); essa era formata da cinquanta manoscritti.
Sono grato al prof. Parente per avermi permesso di visionare le bozze del suo studio sull’
Alecchi, in cui ha inserito anche questo inventario.
31
Si veda la scheda a p.
XIII
CCLXXV fascc. I e III, autografo di Girolamo Fracastoro; i codd.
CCLXXIV (246) e CCCCXLII, scritti da Adamo Fumano; i codd. già citati
del Pellegrini ; i codd. CCLXIX (240) e CCCCLVII (300) composti da
Felice Feliciano
32
e due codici recentemente attribuitigli: il CCCCXLVII
(290)
33
e il CCXXVI (353)
34
. Sappiamo inoltre che il cod. CCV (194) fu
postillato dal Marzagaia, che poi se ne servì per scrivere il ms. n.° 507
della biblioteca Comunale di Treviso.
Molti sono i codici miscellanei che contengono anche opere di Guarino,
l’autore che compare più spesso nei manoscritti capitolari, e che
testimoniano quindi il primato del maestro veronese e la sua influenza
nella vita culturale della città.
Il codice guariniano più rilevante è il CCXCV (369) di cui ho scritto in
precedenza per segnalarne la parziale autografia del Peretti: esso
raccoglie diciassette lettere di Guarino a Francesco Barbaro e Biondo
Flavio, scritte nel periodo in cui il primo era podestà di Vicenza e il
secondo gli faceva da segretario; è l’unico manoscritto che le conservi
35
e
risulta perciò di valore filologico indiscutibile.
Altri codici della Capitolare che comprendono opere guariniane sono il
CCLVI (228), in cui si leggono molte lettere di Isotta e Ginevra Nogarola
e altre ad esse indirizzate: tra queste se ne trova una di Guarino (ff. 4r-
6r) in cui egli si scusa per non avere risposto a una lettera precedente e
loda la passione di Isotta per gli studi letterari
36
; i codd. CCLIVa e il
CCLIVb sopra citati come autografi del Peretti: in essi troviamo la
32
Per una visione d’ insieme sui molteplici interessi del grande umanista veronese si veda Lo
Antiquario Felice Feliciano veronese, Atti del convegno di studi, Verona 3-4 giugno 1993, a cura
di A. Contò e L. Quaquarelli, Padova 1995.
33
L’attribuzione è dovuta ad A. Contò; si veda A. CONTO’, Il Petrarca di Feliciano, in Per Alberto
Piazzi, scritti offerti nel 50° di sacerdozio, a cura di C. Albarello e G. Zivelonghi, Verona 1998, p.
111-115.
34
La scoperta è di Daniela FATTORI, che ne dà conto in un articolo che verrà pubblicato sul
numero 3 (1997) del “Bollettino della Biblioteca Civica di Verona”, in corso di stampa (cfr. A.
Contò, Il Petrarca …, op. cit., p. 111, in nota).
35
Si veda SABBADINI, I, p. XIII.
36
Per la corrispondenza tra Guarino e Isotta Nogarola si veda AVESANI 84 pp. 61-2.
XIV
traduzione latina degli Erotemata del Crisolora, mentre nel cod.
DCCXLV si leggono le Regulae grammaticales, manuale che tra Quattro
e Cinquecento ha avuto un’enorme diffusione; il cod. CCLV (227)
contiene l’orazione funebre per l’umanista veronese Giovanni Nicola
Salerno
37
, suo allievo, il cod. CCXLI (202) accoglie quattro orazioni e le
traduzioni latine del Temistocle e del De liberis educandis di Plutarco
(quest’ultima si trova anche nel cod. CCXLIII), con dediche a Francesco
Barbaro e Angelo Corbinelli.
Il cod. CCLXVI (242) raccoglie ai ff. 121v-136v la lettera di Guarino a
Giovanni Lamola coll’elogio dell’Hermaphroditus del Panormita
(contenuto anch’esso nel ms.) e dieci lettere indirizzate a Leonello
d’Este; questo manoscritto accoglie inoltre lavori di allievi di Guarino:
del già menzionato Gian Nicola Salerno troviamo due orazioni e una
lettera (ff. 92v-102v); di Andrea Giuliani è presente ai ff. 103r-117v
l’orazione funebre per Manuele Crisolora, il maestro che insegnò a
Guarino e ai grandi umanisti del primo Quattrocento la lingua greca; al
f. 61r possiamo leggere ancora un epigramma in morte di Nicolò d’Este
del misterioso Tommaso Turchi veronese, un personaggio di cui
conosciamo solo questo epitafio.
Altre due orazioni del Salerno per l’assunzione a pretore di Bologna si
leggono ai ff. 88v-92r del cod. CCXLI (202). Il cod CLIII (141) ci
tramanda invece una lettera di Guarino ad Alberto della Sale (ff. 28r-
30r) e un’orazione di Maggio Maggi, suo discepolo affezionato, a
Francesco Sforza (ff. 45r-46v). Del resto schedando codici umanistici di
ambiente veronese non potevo non imbattermi in scritti di allievi di
37
Giovanni Nicola Salerno (Verona, 1379-1426) fu allievo di Guarino e podestà a Mantova
(1416), Firenze (1418), Bologna (1419) e Siena (1421). Nel 1421 diventò inoltre senatore di
Roma. E’ ora sepolto nella chiesa veronese di s. Anastasia. Si vedano R. SABBADINI, Vita di
Guarino Veronese, Genova 1891 e AVESANI 84, pp. 20-23.
XV
Guarino: tutti i letterati della città nella prima metà del Quattrocento
formarono grazie a lui le basi della loro cultura.
Ultimo ms. con opere guariniane è il CCLXIII (235): vi si trovano una
prefazione alle lezioni di retorica tenute a Ferrara (l’anno non è
specificato) ai ff. 120r-124r e altre quattro orazioni (ff. 124v-132v) tra
cui una sul De officiis di Cicerone e un’altra su Valerio Massimo, autore
la cui comune predilezione ha fatto pensare che Guarino fosse stato
allievo di Marzagaia
38
.
Sullo stesso codice si ritrovano opere di un altro importante umanista
veronese: Domizio Calderini. La sua epistola sui loca difficiliora di
Properzio si legge ai ff. 1r-20r del ms., ma in esso si incontrano anche
due suoi componimenti in distici (f. 22v) e tre orazioni. Un codice tutto
calderiniano, notevole sia per il contenuto sia per la storia che lo
caratterizza, è il CCLVII (229): esso apparteneva a Domizio Calderini e
alla sua morte, avvenuta a Roma nel 1478, fu portato al padre Antonio
nella casa di Torri del Benaco. In origine esso conteneva probabilmente
il solo commento a Svetonio di Calderini, riportato ai ff. 126r-249v in
una umanistica corsiva molto disordinata che farebbe pensare a una
stesura di getto approntata dall’autore, ma quando giunse a Torri si
arricchì di altre opere e divenne un manoscritto in memoriam, come ben
lo definì Robert Weiss in un suo contributo
39
.
38
Marzagaia da Lavagno (1372-1430 ca.) fu il precettore di Antonio della Scala, ultimo Signore
di Verona, e sembra che abbia seguito il suo ex allievo nell’esilio e fosse assieme a lui il giorno in
cui morì (7 agosto 1388). Alla fine del XIV sec. ritornò a Verona e riprese l’insegnamento, tanto
bene che nel 1406 il Comune decise di stipendiarlo perché preparasse tre studenti agli studi
universitari. Tra il 1415 e il 1425 scrisse la sua opera più significativa: il De modernis gestis,
una raccolta di fatti accaduti durante il crepuscolo della signoria scaligera, ordinati secondo
criteri moralistici come aveva fatto a suo tempo il suo ispiratore Valerio Massimo. Due sono i
codici Capitolari che tramandano quest’opera: il CCV (194), di cui ho scritto sopra a proposito
delle postille autografe dell’autore, e il CCVI (194), esemplato da uno dei postillatori del CCV. Si
veda inoltre AVESANI 76, pp. 137-38.
39
R. WEISS, In memoriam Domitii Calderini, IMU, III (1960), pp. 310-315.
XVI
Fu Bernardino Messanello, nipote di Domizio, a volere che il codice
raccogliesse altre opere del filologo benacense
40
e oltre ad esse i
componimenti degli umanisti che lo conoscevano e stimavano, primo fra
tutti il Poliziano, che scrisse per Calderini dei trimetri che compaiono
sia sul ms. (f. 2r) sia su un cippo marmoreo di Torri del Benaco. In esso
sono presenti alcuni studi di Calderini ancora inediti: oltre al commento
a Svetonio di cui ho scritto sopra si trova la prolusione per il corso di
studi tenuto a Roma nel 1474 (ff. 17r-21r), un altro commento alle Vitae
Caesarum di Svetonio (ff. 94r-125v), tramandatoci solo dal cod.
Capitolare
41
, e un’introduzione al De officiis di Cicerone (ff. 266r-269v),
che sarebbe interessante confrontare coll’orazione guariniana sullo
stesso argomento che ho menzionato in precedenza (anch’essa inedita).
Tengo a precisare che il contributo di R. Weiss sopra citato, che più
diffusamente descrive la vicenda del ms. e si sofferma in particolare
sulla stesura dei componimenti in onore di Calderini, manca di una
puntualizzazione a mio avviso significativa: molte delle opere sono
trascritte dalla stessa mano che esemplò i componimenti in suo onore,
non tutti gli studi e i commenti di Calderini furono perciò trascritti su
questo codice a Roma, come sembrerebbe lasciar intendere il Weiss, che
parla semplicemente di un manoscritto giunto a Torri con alcune opere
di Calderini già presenti (senza specificare quante e quali) e di una
successiva scrittura in terra veronese di componimenti alla memoria;
anzi, dall’analisi delle scritture sembrerebbe che come ho scritto sopra il
codice sia giunto a Verona recando solo il commento a Svetonio.
Codici che raccolgono opere di umanisti veronesi ma non furono
prodotti a Verona sono certamente i codd. miscellanei CCXLI (202) e
40
R. WEISS, op. cit. p. 315, ritiene che la paternità di questa iniziativa sia più probabilmente
del Messanello, ma non esclude che possa essere del padre di Domizio; la ritenengo senza
dubbio del primo perché nel ms. si trova la trascrizione di una lettera di Calderini al nipote (ff.
25r-26v) e il disegno di uno stemma gentilizio ai cui lati si trovano le iniziali B e M (f. 31r).
41
Si veda J. DUNSTON, Studies in Domitio Calderini, IMU, XI (1968), pp. 139-142.
XVII
CCLXVI (242): come ho sopra chiarito entrambi accolgono orazioni o
lettere di Guarino, ma oltre ad esse vi si trovano traduzioni di Leonardo
Bruni
42
, Poggio Bracciolini
43
, Coluccio Salutati
44
, Panormita
45
, e altri
umanisti che non hanno avuto relazioni con Verona e i suoi letterati,
ma che hanno certo intrattenuto rapporti con Guarino; ciò mi fa
propendere per una produzione ferrarese del primo (tenuto conto che
anche le orazioni di Giovanni Nicola Salerno in esso presenti non sono
state composte per un uditorio veronese ma sono un ringraziamento per
la carica di prefetto di Bologna), e veneta del secondo, che oltre
all’Hermaphroditus del Panormita contiene un trattato ancora inedito di
Albertino Mussato
46
anche una lettera di Nicolò Loschi e il suo carme
bucolico Aulites per Isotta Nogarola
47
, un’orazione del patrizio veneto
Andrea Duodo
48
e una del vicentino Matteo Bissario
49
, una lettera di
Ambrogio Traversari a Francesco Barbaro per congratularsi della sua
elezione a pretore di Vicenza
50
e l’orazione funebre per Crisolora del
veneziano Andrea Giuliani
51
: come si può notare gli autori e gli
argomenti presenti nel codice interessano soprattutto Venezia e
Vicenza.
Il ms. CCXLIII (212) è invece di probabile fattura veronese : vi troviamo ,
oltre al De liberis educandis di Plutarco tradotto da Guarino, il De
studiis di Basilio tradotto dal Bruni e il De ingenuis moribus di Vergerio;
la traduzione di Guarino e lo studio di Vergerio sono ricorrenti nelle
42
Cod. CCXLI (202), ff. 5r-25v; 28v-36r; 44r-47v; 130r-154v; cod. CCLV (227), ff. 64v-65r.
43
Cod. CCXLI (202), ff. 97v-108r.
44
Ivi, ff. 25v-28v.
45
Cod. CCLXVI (242), ff. 1r-19r.
46
ff. 33r-36r: Quaestio composita per Musatum de Musatis de Padua inter ipsum et dominum
Lovatum de Padua et comissa fuit domino Bovi de Padua qui erat judex inter eos utrum sit bonum
habere filios an non. Si veda G. Billanovich, il preumanesimo padovano, in Storia della Cultura
Veneta, II ,Vicenza 1976, p. 46.
47
ff. 43r-49v.
48
ff. 118r-121r.
49
ff. 63r-69v.
50
ff. 88r-90r.
51
ff. 103r-117v.
XVIII
raccolte manoscritte veronesi, a giudicare da quelle che possiamo
ancora documentare: il conte Antonio da Marsciano nel suo testamento
scrive di un cod. col De ingenuis moribus e il De liberis educandis
52
, e le
stesse opere vengono lasciate in eredità anche dal notaio Lorenzo
Stagnolo
53
, quindi non è azzardato arguire la fattura veronese di questo
ms. che tramanda opere piuttosto diffuse nelle collezioni cittadine del
tempo.
Un manoscritto sicuramente veronese è il CCIV (189) colle Historiae
imperiales di Giovanni Mansionario
54
, esemplato probabilmente nello
scriptorium della Capitolare e finito nelle mani degli Scaligeri verso la
fine del XIV secolo, quando fu vescovo di Verona Pietro della Scala
(1350-1387) e dalla Capitolare sparirono molti e preziosi codici classici:
in esso infatti troviamo una nota coeva del giudice veronese Leonardo
da Quinto
55
, fraintesa da tutti gli studiosi che ne danno notizia
interpretandola come una nota di possesso: in realtà nella postilla
Leonardo si guarda bene dal dichiararsi possessore di un ms. allora in
mano scaligera, afferma semplicemente di possedere i codici elencati da
Mansionario sul foglio in cui egli appone il suo commento. Stupisce che
nessuno abbia pensato di leggerla direttamente sul cod. (rendendosi
conto in questo modo che il testo delle Historiae in quel punto riporta
una lista di manoscritti) per tradurla poi letteralmente; Carlo Cipolla a
dire il vero ci ha pensato ed è giunto alla conclusione che se su questo
codice si trova una postilla di Leonardo da Quinto è naturale che esso
52
Si veda AVESANI 84, p. 254.
53
Cfr. M. CARRARA, Opere di classici in librerie veronesi del secolo XV. La biblioteca di Lorenzo
Stagnolo, in Atti e Memorie dell’ Acc. di agr., sc. e lettere di Verona, VI (1954-55), p. 118.
54
Per Giovanni Mansionario si vedano AVESANI 76, pp. 119-121; G. DA PASTRENGO, De viris
illustribus et de originibus, a cura di G. BOTTARI, pp. XIV-XVI.
55
f. 32r: “Hos omnes suprascriptos libros, ego Leonardus iudex de Quinto de Verona habeo, qui
sunt ellegantissimo stilo”.
XIX
gli appartenesse
56
: non avrebbe però alcun senso vantare la propria
biblioteca su un codice di proprietà, e sappiamo inoltre che il giudice
veronese avrebbe avuto modo di sfogliarlo a Castelvecchio, data la sua
famigliarità cogli Scaligeri e forse anche in un’altra occasione: quando
cadde la signoria (1388) e Antonio della Scala lo incaricò di portare in
salvo a Venezia i codici e i gioielli di famiglia
57
: egli decise di portare in
salvo anche la sua biblioteca
58
, e forse fu allora che il ms. passò dalle
sue mani e subito dopo sparì, per ricomparire solo nel XVIII sec. nel
Roveretano grazie a Girolamo Tartarotti. Pensare in ogni caso che la
sola postilla di Leonardo da Quinto possa confermare questo iter è
illusorio: le vie seguite da questo codice sono e restano senza nome.
Anche il cod. CCCXXVII è di sicura origine veronese: esso è infatti
l’apografo del cod. 2007 della biblioteca Civica di Verona, fatto
trascrivere nel 1459 dall’allora vescovo di Verona Ermolao Barbaro per
Alessandro Gonzaga, marchese di Mantova, in una bella scrittura
umanistica ornata da grandi iniziali dorate a bianchi girari e eleganti
capilettera anch’essi dorati o di colore azzurro
59
.
L’individuazione del luogo d’origine dei mss. in assenza di colophon
risulta comunque ardua, e finisce per essere arbitraria quando non è
mai stato chiarito se esista o meno a Verona qualche particolarità
grafica o rilegatoria distintiva
60
; anche per questo ho preferito schedare
tutti i mss. che riportino opere di autori e di interesse veronesi e
56
Si veda Marzagaiae Veronensis, De modernis gestis, a cura di F. e C. CIPOLLA, in Antiche
cronache veronesi, I, Venezia, 1890,p. 256 (in nota).
57
Si veda M. CARRARA, Le biblioteche dalle origini ai primi dell’Ottocento, in Cultura e vita civile
a Verona, Verona 1979, pp. 143-44.
58
Marzagaia scrive infatti che Leonardo “Venetias missus ... universum bibliotece studium,
quod Verone numerosum habuerat, Venetias transtulit” (si veda Marzagaiae Veronensis ..., op.
cit., lib. III, cap. IX, 4, p. 256).
59
Si veda la Tav. VII.
60
A questo proposito si veda M. CARRARA, Scritture veronesi del secolo XV, in Atti e mem.
Dell’Accademia di agr., scienze e lett. di Verona, s. VI, vol. VIII (1956-57), pp. 77-105
XX
chiarire già nel titolo che non li si ritiene per questo tutti esemplati a
Verona.
Si può affermare in ogni modo che i mss. di sicura produzione
veronese
61
da me esaminati confermano la visione d’insieme sulla
manifattura libraria cittadina che ne dette M. Carrara
62
: “Le condizioni
politiche, economiche e culturali di Verona nel secolo XV, se non furono
propizie allo sviluppo di una produzione libraria locale con intendimenti
artistici, non impedirono tuttavia il manifestarsi di una tendenza
estetica nel campo scrittorio, la quale portò abbastanza rapidamente al
successo del nuovo tipo di scrittura, detta umanistica”. Pochi sono
infatti i codici particolarmente curati nell’ornamentazione e nella
struttura della pagina: il cod. CCIV (189), il CCCCXLIV (287) e il CCLIII
(225) che hanno però un’impostazione ancora gotica, il CCXLIII (212),
che possiede delle belle iniziali decorate, il CCLV (227), il CCLXXXVI
(357), il CCCXXVII, i codici di Feliciano (tranne il CCLXIX ) e la raccolta
epigrafica di Frà Giocondo (cod. CCLXX)
63
.
Per la ricostruzione dei passaggi di mano dei codici qui schedati mi sono
servito di tre inventari: l’indice scritto dal canonico Agostino Rezzani nel
1625, l’indice dei codici della famiglia Bevilacqua steso da Ottavio
Alecchi
64
e quello compilato dal Dionisi riguardante i mss. donati alla
Capitolare da Giovan Francesco Muselli, arciprete della cattedrale di
Verona nella prima metà del XVIII secolo
65
. Per i codici donati da
Scipione Maffei ho consultato la sua Verona Illustrata
66
. Il contributo di
61
E cioè i codici attribuiti a copisti veronesi grazie al colophon e quelli attribuiti grazie a
confronti di cui si è detto sopra.
62
Si veda M. CARRARA, Scritture..., op. cit., p. 84.
63
Si veda R. WEISS, p. 310 in nota (cfr. bibl.).
64
Vedi nota n. 24 a p. VI.
65
Si veda DIONISI in Abbreviazioni bibliografiche.
66
Si tenga presente che nei mss. appartenutigli il Maffei annota a matita la sigla “S.M.D.D.”,
cioè Scipio Maffeius Dono Dedit. Per S. Maffei si veda anche G. ZIVELONGHI, I manoscritti di S.
Maffei, in Scipione Maffei nell’Europa del Settecento, a cura di G. P. ROMAGNANI, Verona, 1998,
pp. 470-472.
XXI
gran lunga più utile è stato la lista del Dionisi, in quanto Muselli donò
alla biblioteca Capitolare di Verona più di trecento codici, e la
maggioranza dei mss. da me presi in considerazione passò per le sue
mani
67
.
Il Muselli è stato quindi l’ultimo possessore privato di molti codici prima
che essi finissero di vagabondare da una famiglia all’altra e fossero
collocati in Capitolare, per questo è agevole assegnargli il possesso dei
manoscritti, ma tornare più indietro nel tempo e riuscire a documentare
l’iter completo che ciascuno di essi ha compiuto si è rivelato più arduo,
e tranne rari casi impossibile, almeno per ora.
L’unico fondo manoscritto antico presente in Capitolare quasi nella sua
totalità è la collezione di Mario Bevilacqua: dei cinquanta codici che ne
facevano parte quarantadue sono ora custoditi qui, e vi sono giunti
grazie alla donazione Muselli; undici di questi mss. fanno parte del mio
catalogo
68
.
Alla fine di ogni scheda ho segnalato tutti i saggi e gli articoli in cui il
codice è stato descritto, discusso o citato; ho invece collocato in nota la
bibliografia che riferisce sulle opere veronesi presenti nei mss. ma che
non li nomina, e anche quella sulla vita degli umanisti veronesi o su
questioni filologiche. All’inizio di questo studio ho posto una tavola delle
abbreviazioni bibliografiche: essa riporta le opere da me consultate con
più frequenza.
67
Si veda l’indice dei possessori.
68
Grazie all’esame dell’inventario Alecchi e successivamente dei codd. Bevilacqua, ho potuto
notare un particolare distintivo di questi mss.: la segnatura che essi avevano in casa Bevilacqua
è riportata su un ritaglio cartaceo rettangolare in cui, oltre al numero arabo che
contraddistingue il codice, è disegnata una cornicetta vergata a penna, dello stesso inch. della
segnatura; questo ritaglio è incollato di solito su entrambi i piatti della coperta. Ciò mi ha
permesso di attribuire a questa biblioteca anche il cod. CCI (190), contenente gli statuti veronesi
del 1450, che riporta questa segnatura sul piatto ant. della coperta e non è segnalato da Alecchi
nell’inventario.
XXII
Non ho ritenuto necessario stendere un indice bibliografico generale in
quanto gli studi omessi dalla tavola delle abbreviazioni riguardano
esclusivamente la bibliografia del ms. sulla cui scheda vengono citati.
In chiusura ho collocato quattro indici
69
, consapevole che “un catalogo
di manoscritti senza indici è come una casa senza né porte né finestre,
in cui è impossibile entrare e da cui è impossibile uscire”
70
.
Desidero infine ringraziare la dott.ssa Claudia Adami per il
fondamentale aiuto prestatomi nella trascrizione di incipit e explicit e
per la datazione delle legature dei mss.; sono grato inoltre a don
Giuseppe Zivelonghi, vicedirettore della biblioteca Capitolare, che
spesso mi ha suggerito utili indicazioni bibliografiche e mi ha segnalato
le scritture che i bibliotecari via via succedutisi hanno lasciato sui
codici.
69
Indice dei codd. schedati, per secolo, degli autori e delle opere umanistiche, dei possessori.
70
A. PETRUCCI, La descrizione …, op. cit., p. 113.