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Prefazione
“(...) la base di tutta la musica elettronica
analogica è l'oscillatore, ovvero un circuito che,
al passaggio di una corrente, genera tensione
alternata. Oscillatori accordati su frequenze
diverse permettono di costruire strumenti che
generano suoni. I suoni di sintesi, generati
invece da strumenti digitali, sono quelli prodotti
dai sintetizzatori, nati negli anni Cinquanta”.
1
In questa tesi di laurea focalizzerò la mia
attenzione su quello che fu uno strumento di
enorme importanza per molta della rock music
che si sviluppò a partire dagli ultimi anni
Sessanta e che proseguì per tutti i Settanta. Nel
fare ciò passerò in disamina fenomeni musicali,
spesso molto lontani fra loro per genere e stile di
produzione, che nel suddetto periodo, denso di
scontri sociali, culturali e generazionali, furono
spesso accomunati, oltre che da una sorta di
liberazione dagli schemi della canzone tout
court , anche dall'utilizzo del nuovo strumento
musicale: il sintetizzatore.
Mentre però alcuni fra questi fenomeni musicali
si avvalsero del sintetizzatore per aggiungere
marginalmente sonorità nuove ed inaudite al
1 E. Assante e G. Castaldo, Blues, Jazz, Rock, Pop – Il novecento
americano , Torino, Ediz. Einaudi, 2004, pag. 639
6
proprio tessuto musicale (e questo
principalmente nel rock progressive), altre
formazioni o singoli autori fecero del
sintetizzatore il perno centrale di alcune delle
proprie produzioni (alcuni dischi dei gruppi della
cosiddetta Kosmische Musik e i primi lavori di
F.Battiato).
Inizierò il discorso occupandomi innanzitutto
della genesi del sintetizzatore, considerando
dapprima alcuni punti di vista importanti circa la
possibilità di considerare lo stesso un vero e
proprio strumento musicale, e percorrendo
storicamente poi le tappe principali che
portarono alla sua nascita.
A questo seguirà una breve analisi dello
strumento, utile ad avere cognizione dei suoi
elementi costitutivi principali, per poi passare a
trattare quei fenomeni che, in modi e con finalità
differenti, hanno inserito questo strumento
all'interno della propria kermesse strumentale, al
fine di illustrare nel dettaglio alcuni tipi di
utilizzo dello stesso.
Appartenendo i fenomeni musicali trattati
all'ambito della popular music, approfitterò poi
per prendere in considerazione alcune
affermazioni di T.W. Adorno riguardanti la
musica leggera, di modo da condurre nel merito
alcune riflessioni e avanzare determinate ipotesi
7
circa il rapporto tra due ambiti apparentemente
non comunicanti, quello della popular music e
quello della musica colta, al fine di gettare un
ponte tra quelli che sembrano essere, a tutta
prima, compartimenti stagni.
Tutta la seconda parte di questo lavoro sarà
invece focalizzata sulla prima parte della
produzione sperimentale di F.Battiato (detta in
questa sede sperimentale-elettronica), fortemente
influenzata e connotata dall'uso dei sintetizzatori.
Sia per il “fenomeno” Battiato che per le correnti
del rock progressive e della Kosmische Musik
non esistono ad oggi pubblicazioni comprendenti
analisi dettagliate dei brani (specie alla luce
dell'uso particolare del sintetizzatore all'interno
di queste produzioni), mentre a spopolare sono i
libri descrittivi dei fenomeni stessi da un punto di
vista divulgativo ma non certo tecnico musicale.
Pur essendo a conoscenza dunque delle varie
pubblicazioni d'ordine divulgativo e/o
giornalistico, non è stato possibile avvalersene in
questa sede per gli scopi specifici del lavoro,
tranne in pochi casi eccezionali.
L'analisi che viene condotta del resto non ha
come scopo quello di essere esaustiva di ogni
fenomeno musicale, produzione, formazione o
singolo autore relativi all'uso del sintetizzatore,
bensì quello di passare in disamina, più o meno
8
dettagliatamente (la profondità analitica riservata
alla produzione di Battiato non trova in questa
sede paragoni con nessun altro fenomeno
musicale trattato, e questo non solo per la
centralità e l'importanza dell'uso del
sintetizzatore nella sua prima produzione
sperimentale, ma anche per l'originalità del tipo
di produzione stessa, che non trova grosse
affinità con nessun'altra produzione del periodo),
alcuni di quei fenomeni accomunati fra loro sia
per l'indirizzo musicale (concernente il
superamento della forma-canzone) che per aver
inquadrato il sintetizzatore come un vero e
proprio strumento musicale e non come un mero
produttore di suoni, rumori ed effetti di tipo
sensazionale.
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1) Il Sintetizzatore e la svolta
della musica elettronica
1.1) Introduzione Si giunse così all'idea di
abbandonare i suoni strumentali
preformati e di comporre di volta
in volta i suoni necessari per una
determinata composizione (…)
Analisi e studi concreti ci hanno
fatto venire questa idea: se è
possibile analizzare i suoni, sarà
forse anche possibile produrli
sinteticamente.
2
Karlheinz Stockhausen
Perché mai uno strumento come il sintetizzatore
dovrebbe essere il punto di partenza di una svolta
della musica elettronica? Perché, in altri termini,
la musica elettronica, prima dell'avvento del
sintetizzatore, non avrebbe potuto godere di
quella autonomia che solo il sintetizzatore prima
e i computers poi le diedero? Quanti musicisti,
appartenenti a generi e ambiti musicali diversi, si
appropriarono di queste nuove macchine? Quali
altri le rifiutarono come fossero dei giocattoli
2 H. Pousseur, La musica elettronica , Milano, Ediz. Feltrinelli
1976, pag. 47
10
dotati di tutto fuorché di una reale
determinazione rispetto al controllo del suono?
Sono queste domande legate ad una svolta
decisiva che, a partire dalla fine degli anni '60,
interessò tutta la musica occidentale, colta da una
parte e popular dall'altra. Occorre precisare fin
d'ora che la distinzione fra i due ambiti, colto e
popular, è distinzione di puro comodo, e questo
in quanto, come avremo modo di vedere, tante
produzioni d'ambito cosiddetto leggero perdono
oggigiorno e persero soprattutto negli anni '70
(momento storico particolare per la produzione
di popular music, parte della quale reagì alla
forma canzone tout court per esplorare nuove
forme all'insegna della maggiore complessità
d'impianto) le loro connotazioni originali per
trasformarsi in prodotti musicali a cavallo tra
musica leggera e musica di ricerca e/o
sperimentale.
Viceversa, alcune grandi produzioni
d'avanguardia (pensiamo per es. ad Hymnen del
1966 di Karlheinz Stockhausen, per non parlare
di composizioni minimaliste come Einstein on
the beach di Philipp Glass o Music for 18
musicians di Steve Reich) furono innanzitutto
retaggio di una generazione di giovani rocker che
ad esse si ispirarono al fine di stimolare le
proprie vedute e sviluppare delle correnti
11
musicali che nel corso degli anni avrebbero
avuto molto da dire nell' “habitat” musicale
europeo e americano.
Le tante riserve avanzate circa la possibilità di un
uso “serio” dei sintetizzatori, fin dalla loro
comparsa, si sono spesso incentrate sul
parametro della determinazione. Per dirla con L.
Berio, il sospetto verso quegli “orribili aggeggi”,
come egli stesso ebbe a definirli nel corso della
celebre intervista con R. Dalmonte del 1981, si
incentrava sul fatto che “Un compositore (…)
non può pensare musicalmente con quelle
macchine e finisce in un modo o nell'altro per
essere pensato e impoverito da loro”.
3
In
conclusione poi della risposta data a R.
Dalmonte, risposta nella quale è contenuto tutto
lo scetticismo di Berio verso questi strumenti
musicali moderni (che lui dice non essere veri
strumenti musicali), spiega: “Stockhausen ha
cercato di usare un sintetizzatore per il suo
“Sirius”, ma ne è quasi impazzito e ha finito per
usarlo come generatore di strutture sonore (…)
Uno degli aspetti più drammatici dei
sintetizzatori è che non sono precisi. Uno dei più
interessanti è che sono costruiti con criteri
modulari, sono cioè aperti, nel bene e nel male.
3 R. Dalmonte, Luciano Berio - Intervista sulla musica, Bari, Ediz.
Laterza, 2007, pag.40
12
Ma non sono strumenti musicali”.
4
Ponendo subito attenzione sulla parte finale della
sua spiegazione, suona abbastanza categorica
l'affermazione “non sono strumenti musicali”. E'
chiaro che tale asserzione va contestualizzata
(specie in riferimento ai trascorsi del
compositore presso lo studio fonologico Rai di
Milano in compagnia di Bruno Maderna) e
necessariamente affiancata all'analisi, più o meno
esaustiva, più o meno “sul campo” (sembra forse
quello del compositore un giudizio un po'
frettoloso), che Berio fa del possibile uso dei
sintetizzatori. La terribile pecca che il
compositore attribuisce a tali strumenti musicali,
ossia la loro mancanza di precisione, trova
un'ottima difesa nella spiegazione di Enore
Zaffiri circa l'uso dei sintetizzatori nel suo “La
musica elettronica, al di là del laboratorio” del
1976.
Qui infatti Zaffiri, partendo dai primi laboratori
di musica elettronica, spiega come fossero vere e
proprie fabbriche di suoni, dove il tecnico era
quasi un “mago”
5
, in quanto solo lui poteva
conoscere i segreti di quel “misterioso mondo
dei suoni” , e il compositore si trovava a vestire i
4 R. Dalmonte, Luciano Berio - Intervista sulla musica, pag.40
5 E. Zaffiri, La musica elettronica, al di là del laboratorio , Padova,
Ediz. G.Zanibon, 1976, pag.7
13
panni della figura di “musicista-scienziato” .
Questo stato di cose ovviamente relegava la
produzione di musica elettronica ad un
circoscritto ambiente fatto di soli addetti ai
lavori. Una volta compiuta l'esperienza
pionieristica del laboratorio, questi compositori
tornarono agli strumenti tradizionali lasciandosi
alle spalle le sperimentazioni elettroniche.
Anni dopo, l'avvento del sintetizzatore significò
la fuoriuscita della musica elettronica dai
laboratori e il conseguente ingresso nelle sale da
concerto per le esecuzioni dal vivo, in un
rapporto musicista-pubblico che era sembrato
impossibile nella produzione di musica
elettronica del primo periodo. Questo però,
almeno apparentemente, a prezzo della suddetta
totale determinazione dei parametri del suono.
Zaffiri a questo punto solleva la questione
mettendo a confronto gli oscillatori di un
normale sintetizzatore, il cui prezzo, al tempo, si
aggirava intorno al milione di lire, con quello
ben più complesso del laboratorio di musica
elettronica. Facendo ciò il nostro sottolinea
subito come quest'ultimo potesse offrire una
stabilità di frequenza che non si sarebbe mai e
poi mai potuta richiedere ad un oscillatore
inserito in un sintetizzatore, anche se di grande
qualità. Giunto al nocciolo della questione,
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l'autore si chiede: “Ma ai fini pratici musicali è
proprio necessaria questa grande precisione?”.
6
E' proprio necessaria dunque questa iper-
determinazione che, come avremo modo di
vedere più avanti, va ad interessare solo la parte
progettuale e non certo quella esecutiva?
Zaffiri proseguendo spiega: “L'ideologia della
progettazione totale del tessuto sonoro dovrebbe
evolversi di pari passo con l'evoluzione dei
mezzi. Di qui la crisi di alcuni musicisti
elettronici di vecchia data i quali non riescono a
stare al passo con lo sviluppo tecnologico. I
nuovi mezzi li costringono a rivedere tutta la
loro ideologia e la loro prassi compositiva.
Smarrimento e rifiuto in fede a dei principi
etico-estetici ritenuti validi e difficilmente
sostituibili”.
7
Continuando poi a scrivere intorno alla più o
meno effettiva possibilità del controllo totale di
un sintetizzatore, Zaffiri scrive: “Il sintetizzatore
si può controllare in modo pressoché totale
sempre con estrema semplicità. Mi chiedo se non
sia assurdo rimpiangere la vecchia pratica
compositiva di costruzione suono su suono,
quando lo strumento è in grado di fornire
all'istante un tessuto ricchissimo che si può a
6 E. Zaffiri, La musica elettronica, al di là del laboratorio , pag. 10
7 E. Zaffiri, Ibid., pag. 10
15
volontà scegliere, variare e ricostruire a
piacere”.
8
Zaffiri dal canto suo definisce il modo di
comporre col sintetizzatore un susseguirsi di
immagini sonore, di gesti sonori: “Così, da
un'immagine all'altra si creano degli slanci che
danno corpo e vita al discorso musicale”.
9
In
sede didattica poi, confrontando le esecuzioni di
uno stesso brano da parte di alunni diversi,
osserva quanto il risultato sia estremamente
vario, anche se tutti avevano suonato
precisamente quello che era scritto sulla carta.
Questo dato però non dipendeva certo dalla
mancanza di determinazione dello strumento
stesso, cosa che avrebbe confermato gli
scetticismi di molti e le perplessità di Berio,
bensì dal fatto che prima che l'alunno potesse
prendere conoscenza dello strumento e prima che
potesse trasferire quella conoscenza alla sua
sensibilità musicale, occorrevano tanti e tanti
mesi di approfondimento e pratica.
In merito alle difficoltà d'apprendimento sullo
strumento nella pratica esecutiva Zaffiri scrive:
“Non è assolutamente vero che il sintetizzatore
sia uno strumento facile. Mettere insieme
qualcosa che non sia solo un giuochetto di effetti
8 E. Zaffiri, La musica elettronica, al di là del laboratorio , pag. 10
9 E. Zaffiri, Ibid., pag. 26
16
è molto difficile”.
10
Poco sopra infatti spiegava:
“Occorre sapere cosa provoca una certa
metamorfosi, dove bisogna agire per modificare
in un certo modo il materiale sonoro. Quindi è
importante una conoscenza pratica e non solo
teorica dello strumento”.
11
Nonostante le riserve avanzate circa l'utilizzo del
sintetizzatore, Berio tuttavia esprime, in merito al
problema sulla mediazione della musica
elettronica, un concetto abbastanza lucido “(...)
un musicista di oggi che non si pone il problema
della mediazione della musica elettronica è
necessariamente incompleto, così come può
essere incompleto il musicista che ignora voci e
strumenti e si interessa solo ai suoni prodotti e
trasformati elettronicamente. Ed è per questo,
anche, che le opere «elettroniche» più
significative di questi ultimi venticinque anni
sono proprio quelle che hanno cercato, appunto,
una mediazione fra dimensioni acustiche e
comportamenti diversi, che hanno approfondito
una continuità reale fra suoni «elettronici» e
suoni naturali, controllandone i diversi gradi di
reciproca trasformazione”.
12
Andando adesso
oltre le disquisizioni teoriche in materia,
10 E. Zaffiri, La musica elettronica, al di là del laboratorio , pag. 27
11 E. Zaffiri, Ibid., pag. 27
12H. Pousseur, La musica elettronica, prefazione
17
passiamo ad una breve storia della nascita e dei
primi sviluppi del sintetizzatore ad opera
pressoché esclusiva di Robert Mood e Peter
Zinovieff.
18
1.2) Cenni storici Sul finire degli anni Cinquanta e l'inizio dei
Sessanta, stimolato dalle ricerche pionieristiche
dei vari compositori europei e americani e
dunque dall'esito tutt'altro che marginale degli
studi di fonologia, lo studente Robert Moog ,
dopo aver già costruito il suo Teremin personale
ed essersi mantenuto gli studi vendendone
modelli componibili, si accinse alla
fabbricazione di uno strumento elettronico a
tastiera.
Contemporaneamente a Robert Moog, in
Inghilterra l'ingegnere d'origine russa Peter
Zinovieff stava anche lui lavorando nel suo
studio sperimentale di Londra alla costruzione di
uno strumento musicale elettronico. La necessità
della costruzione dello strumento nasceva al fine
di ovviare alla mancanza di fondi economici utili
a mandare avanti gli studi sull'elettronica
applicata al campo della musica che Zinovieff
andava sviluppando nel suo studio londinese,
negli ultimi tempi anche col supporto di alcuni
compositori.
E' all'ingegno di Robert Moog e Peter Zinovieff
che dobbiamo la divulgazione e la
commercializzazione (inizialmente abbastanza
limitata ma poi progressivamente sempre più
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estesa) delle conquiste, in termini di nuove
frontiere, che la musica elettronica aveva
raggiunto intorno alla metà del Novecento.
La loro fu di certo un'abilità particolare, propria
di chi ha una visione empirica, pratica, delle
cose. Senza loro, con ogni buona probabilità, le
ricerche dei pionieri della musica elettronica e le
loro relative conquiste sarebbero rimaste relegate
a pochi intenditori, a pochi appassionati pronti a
modellare e “modulare” il proprio gusto, il
proprio orecchio, pur di sentirsi parte di qualcosa
di assolutamente nuovo nonché incredibilmente
rivoluzionario.
Rivoluzionario proprio in quanto ciò che le
sonorità elettroniche hanno permesso di fare in
musica, non sarebbe probabilmente stato
possibile in nessun altro modo.
Dapprima infatti in ambito televisivo e
cinematografico (dove già i Theremin e le Onde
Martenot avevano fatto il loro) nonché
pubblicitario (jingle e musichette di vario
genere), poi nel calderone della grande musica di
più o meno ampio consumo, il sintetizzatore
consentì di accedere a nuove e sempre nuove
forme espressive, sicuramente più adatte alle
necessità dei tempi e, perché no, alle stesse mode
musicali. E proprio come le mode anche il
sintetizzatore analogico (di prima generazione),