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CAPITOLO I
La “Lunga Marcia” della Cina verso la WTO
1. Introduzione: dalla Cina di ieri alla Cina di oggi.
Per comprendere il ruolo della Cina nel sistema globale degli scambi e la
rilevanza economico-giuridico-politica del suo ingresso all‘interno della WTO
appare opportuno lanciare un‘occhiata a quella che è stata la sua fisiologica re-
azione alla crisi che nel ‘97 - lasciando di stucco osservatori economici e istitu-
zioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), colpì la
regione asiatica
1
. Mentre le figlie del ―miracolo asiatico‖ soggiacevano ai duri
colpi della speculazione finanziaria e, conseguentemente, della svalutazione
della moneta, la ― Grande muraglia‖ è riuscita, come una diga, a contenere la
piena della recessione economica.
Più che una ―tigre‖, Pechino, uno cheval breton
2
. Con il suo prodotto in-
1
Per una visione più approfondita della questione, vedi: G. Corsetti, P. Presenti, N. Rubini,
―What Caused the Asian Currency and Financial Crisis? - Part I: A Macroeconomic Overview;
Part II: The Policy Debate‖, in National Bureau of Economic Research (NEBER), Working Pa-
per No. 6833, December 1998, in http://www.nber.org/papers/w6833; pubblicato come "What
Caused the Asian Currency and Financial Crisis?", in Japan and the World Economy, Vol. 11
(1999): 305-373.Vedi anche: S. Fischer, ―The IMF and the Asian Crisis, Forum Funds Lecture
at UCLA‖, Los Angeles, March 20, 1998; in http:// www.imf.org/external/np/speeches/1998/
032098.HTM; e M. Dassù, Oriente Rosso. La Cina e la crisi asiatica, Guerrini e Associati,
1999.
2
L‘immagine che intendo dare con l‘analogia Pechino/cheval breton è quella di un Paese pos-
sente, ma al contempo veloce nelle proprie manovre di assestamento.. Un paese che di fronte
alla crisi, che nel ‗97 dilagava nella regione asiatica è riuscito a farsi forza, quasi fosse un ani-
male da soma e nello specifico uno cheval breton, mantenendo alto il suo livello di guardia e di
efficienza nel lungo periodo. Ma non solo è riuscita a trainare le sorti del paese verso
l‘affermazione a livello internazionale, ma lo ha fatto anche con una velocità sorprendente. E di
7
terno lordo (PIL) che ha continuato a crescere
3
supportato dalla resistenza alla
svalutazione dello yuan renminbi
4
, che se avesse permesso la realizzazione di
un utile vantaggio nel breve termine, dando maggiore competitività alle espor-
tazioni cinesi, avrebbe al contempo portato a rinunciare alla macrostabilità ci-
nese nel lungo temine. Delle due l‘una. All‘epoca, l‘economia cinese era votata
all‘export, più che altro, di prodotti low-tech, posizionati nei mercati dei paesi
confinanti, imbrigliati in un processo di svalutazione delle rispettive monete.
Per ottenere maggiore competitività il Dragone avrebbe potuto svalutare lo
yuan costringendo i suoi compratori, in effetto domino, alla bancarotta, ma non
fu questa la scelta dell‘alta dirigenza cinese, in fortuita (o forse no) coincidenza
con gli obbiettivi di Washington, che temeva una crisi politica nonché econo-
mica di tutta l‘area. Forse possiamo addirittura anticipare che, molto probabil-
mente, l‘immagine che diede di sé la Cina,a livello internazionale, nel reagire
così elegantemente alla crisi, ha contribuito al raggiungimento dell‘accordo con
gli Stati Uniti d‘America relativo all‘ammissione della stessa all‘Organizzazio-
ne Mondiale del Commercio.
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Accordo raggiunto nel novembre 1999 e una
delle pietre miliari di tutto il processo di adesione.
La volontà del partito fu quella di dare credibilità e stabilità al Paese, indi-
viduando in Zhu Ronji l‘uomo della svolta. In qualità di primo ministro, dal
1998, attuò (rectius: proseguì con varianti) una politica di ridimensionamento
del sistema economico socialista cinese, improntato alla liberalizzazione eco-
qui, ancora, l‘analogia che si richiama nel testo. Non c‘è da stupirsi di questa reazione.
D‘altra parte, se da noi, la parola crisi è formata da cinque lettere ed ha solo un‘accezione ne-
gativa, così non è in cinese, dove essa è formata da due ideogrammi, wei e ji, che significano
pericolo ed opportunità. E proprio questo è stata la crisi del ‘97 per il ―Paese di Centro‖. Un
pericolo nel breve termine, una opportunità per l‘avvenire.
3
Per esigenze di precisione, dovremmo specificare che, a causa della crisi finanziaria che nel
luglio 1997 colpì la regione asiatica, ci fu una riduzione del tasso di crescita del PIL cinese dal
1996 al 2000, ma esso si mantenne sempre nel limite del 7%. Tetto minimo, appunto toccato
nel 2000, dopo che per quattro anni aveva veleggiato intorno al 9.6%.
4
―Il renmimbi non ha infatti seguito gran parte delle valute della regione nella svalutazione: il
tasso di cambio rispetto al dollaro è rimasto vicino al 8.27 renmimbi per dollaro e dal momento
che la valuta cinese non è direttamente convertibile, il paese non ha sperimentato quelle fughe
di capitale che hanno prodotto degli effetti devastanti nei paesi vicini‖. M. Weber, Il miracolo
Cinese. Perché bisogna prendere la Cina sul serio, Il Mulino, 2003, p. 123.
5
―Nonostante le difficoltà, le autorità cinesi hanno mantenuto il proprio impegno, più volte di-
chiarato, di non svalutare il renminbi‖. M. Weber, Il miracolo Cinese. … Op. cit., p. 124.
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nomica, ma nella coscienza della conservazione politica e sociale e fu lui a
condurre i negoziati che hanno aperto alla Cina le porte dell‘organizzazione
Mondiale del Commercio.
Prime, acerbe, aperture verso l‘economia di mercato si erano mostrate già
venti anni prima ad opera di Deng Xiaoping il quale traghettò il paese
dall‘autodistruttivo ―Great Leap Forward‖, la rivoluzione culturale di Mao del
1969, al socialismo di mercato tramite la sua ―Open Door Policy‖ che univa il
vecchio socialismo al libero mercato. Così, mettendo il basso costo del lavoro e
il deprezzamento dello yuan in funzione dell‘importazione di materie prime, la
risultante è stata uno sviluppo senza precedenti bipartito tra esportazioni parti-
colarmente convenienti e creazione di ricchezza domestica e risparmi. Il PIL
della Cina si è gonfiato a tassi superiori al 9% all‘anno per oltre 20 anni e ve-
diamo come il reddito pro-capite dal 1981 al 2000 si è praticamente quadrupli-
cato.
Altra faccia di questa effervescenza economica, era però la rigidità del si-
stema giuridico-economico interno, figlio di trent‘anni di maoismo. C‘erano
state delle ristrutturazioni, ma ad hoc, nei confronti di alcuni settori industriali
e determinate tipologie di investitori, quelli esteri. Nei confronti di alcune re-
gioni, come quella del Guandong per Shenzen, Zhuhai e Shantou, prime Zone
Economiche Speciali (SEZ), dotate di peculiari agevolazioni fiscali per gli in-
vestimenti stranieri, più ampia autonomia nella gestione del commercio inter-
nazionale e improntate nella conduzione delle attività economiche al sistema di
mercato.
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Questa la strategia fino a qui seguita e, di fronte all‘inefficienza strutturale,
si è puntato su una espansione economica caratterizzata da esportazioni soste-
nute da un elevato tasso di cambio. Ma se questo modello si adattava ad una
economia a basso reddito, quale quella precedente, mal si conciliava con un
Paese in pieno sviluppo come la Cina nipote di Xiaoping e figlia di Ronji, dove
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Per dovere di completezza e chiarezza dovremmo sottolineare come quelle elencate nel testo
furono le prime tre Zone Economiche Speciali delle Repubblica Popolare Cinese, nella provin-
cia del Guadong, a cui seguirono poi Xiamen nella provincia del Fujian e l‘intera provincia
dell‘Hainan.Per ulteriori approfondimenti, vedi: Istituto Nazionale per il Commercio Estero,
―Cina – le zone economiche speciali di Shenzhen, Xiamen e Zhuhai‖, http://www.ice.it.
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si sentiva l‘esigenza di rivitalizzare gli investimenti privati e soprattutto dove
non era più accettabile che un‘ economia di quelle dimensioni fosse sostenuta
esclusivamente da una valuta deprezzata.
Ecco, dunque, che in questo quadro generale si inserisce la problematica
dell‘adesione o resumption - poi vedremo la differenza tra le due - della Cina
alla Organizzazione Mondiale del Commercio, nel dicembre 2001. Adesione
raggiunta dopo due anni dall‘accordo con USA e dopo quindici anni dall‘avvio
dei negoziati con il GATT, che rappresenta l‘apertura di una partita che vede la
Cina scontrarsi con le regole della globalizzazione e le cogenti riforme del pro-
prio sistema economico e finanziario.
Possiamo dire che le leve motrici di questa mutazione sono state e sono a
tutt‘ora:
basso costo del lavoro: in un contesto sempre più basato sul meltin’ pot eco-
nomico un ridotto costo del lavoro contribuisce all‘ingresso di capitale stra-
niero;
enormi dimensioni della propria economia: ad una economia over size deve
per forza affiancarsi un impianto di infrastrutture particolarmente efficiente
e soprattutto omogeneo a livello nazionale, abbandonando il vecchio model-
lo a zone o per soggetti;
elevato tasso di risparmio privato:come sopra accennato fino a che ci si tro-
va di fronte ad una economia a basso reddito la ricchezza domestica è molto
limitata, ma la situazione della Cina a tutt‘oggi, così come all‘alba
dell‘ingresso nella WTO, è ben diversa. Grazie alla politica del figlio unico
e alla tendenza a far provvista delle famiglie essa è aumentata in maniera
esponenziale, con una primaria conseguenza: il costo del capitale si riduce e
ne aumenta la disponibilità;
rivalutazione dello yuan renminbi: in ultimo, ma non per importanza, c‘è da
segnalare come, a braccetto con la ristrutturazione, dovrebbe andare un ap-
prezzamento progressivo della moneta - sottolineo progressivo – buttando,
sempre, un occhio alle maree dell‘inflazione. Et id est.
Ad oggi, non si può ancora parlare di ―seria rivalutazione‖, ma ―la Cina è
sulla strada giusta‖, come non ha mancato di sottolineare John Snow, Segreta-
10
rio del tesoro USA ed in altri termini, ma sempre compiaciuti, Alan Greespan,
presidente della Riserva Federale USA, di fronte ai primi passi fatti, in tal sen-
so, dal Governo cinese nel, 2005.
7
Il 21 luglio 2005, la Banca Popolare della Cina aveva dichiarato di aver ri-
valutato la propria moneta del 2,1% - svincolandola dal dollaro USA - preci-
sando che da quel momento in poi, il tasso di cambio, ‖ragionevole e bilancia-
to‖, sarebbe stato determinato ―da un sistema fondato sulla domanda e l‘offerta
del mercato in riferimento ad un sistema di valute‖.
8
Conseguenza di questa rivalutazione è stata nel rapporto Yuan/Dollaro: per
10 anni fisso a 8.28 yuan per dollaro,è sceso a 8.11. Questa decisione era stata
presa anche in forza di una serie di pressioni da parte della comunità interna-
zionale e soprattutto degli Stati Uniti che accusavano la Cina di mantenere vo-
lutamente il cambio inferiore, rispetto al reale valore al fine di guadagnare
sull‘export.
Le preoccupazioni del Dragone, relative alla manovra rivalutativa, risiede-
vano proprio nelle sorti dell‘export, con conseguenze preoccupanti sulla stabili-
tà dell‘imprenditoria interna, ma vi erano delle esigenze contenitive dell‘infla-
zione, data la crescita del PIL che nei primi sei mesi del 2005 risultava del 9,5
%, rispetto ad un anno prima.
9
Questa, la prima mossa della Cina verso la rivalutazione dello yuan. In se-
guito, a distanza di tre anni, nel 2008 abbiamo assistito ad una ulteriore ―mini-
rivalutazione della moneta orientale‖, dove lo yuan ha toccato il top di 7,2948
dollari.
10
Ad oggi, dunque, l‘addio al peg,del 2005, ha portato lo yuan a rivalu-
tarsi di più del 20% contro il dollaro.
11
Ancora poco per l‘America, che continua a chiedere un aumento del trend,
anche a tassi più rapidi, e anche se il premier cinese, Wen Jiabao, alla confe-
7
―Cina. Esperti commentano lo Yuan rivalutato (di poco)‖, http://www.asianews.it, articolo del
22/07/2005.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
10
―Mini rivalutazione della moneta orientale‖, Corriere della Sera del 03/01/2008, pp. 33, in
http://archiviostorico.corriere.it.
11
―La Cina fa i conti con l‘inflazione‖, http://www.laRepubblica.it, Archivio, sezione finanza,
articolo del 21/07/2008, pp. 24.
11
renza stampa, di chiusura della Assemblea Nazionale del Popolo, del 13 marzo
2009, ha dichiarato l‘esigenza di mantenere lo ―yuan stabile‖
12
, nulla toglie che
nei prossimi anni si palesi una effettiva rivalutazione della divisa cinese, ma
solo se sarà accompagnata da una adeguata ristrutturazione interna.
13
Chiusa la parentesi sul problema attuale della rivalutazione/svalutazione
dello yuan, riportiamo l‘attenzione sul nostro preambolo, relativo all‘ingresso
della Cina all‘interno della WTO. Abbiamo visto, dunque, lo scenario su cui ci
affacciavamo agli albori del ventunesimo secolo.
12
L‘esigenza di stabilità della divisa cinese trovava giustificazione nel calo delle esportazioni ,
che a febbraio risultava del 25% rispetto al 2008. Vedi: Bernardo Cervellera, ―Cina.Wen Jiabao
preoccupato per il debito USA, tranquillo su Cina e Tibet‖, http://www. asianews.it, articolo
del 13/03/2009.
13
.Una considerazione.
Come anticipato, solo alla ristrutturazione interna potrà seguire una rivalutazione della moneta
e, ad oggi, tale ristrutturazione non è affatto completa.
Siamo ancora di fronte ad un paese che punta tanto della sua economia sull‘export,anche se di
fatto molto più qualificata di quella di un tempo, dove imperava il low-tech.
Così , se operando una riduzione dell‘export a causa della rivalutazione, in combinato con la
mancanza di una‖ equa politica sociale e dei salari‖ , una conseguenza potrebbe essere l‘am-
pliamento delle divergenze tra ricchi e poveri, in quanto un minor costo delle merci importate
andrebbe a vantaggio, soprattutto,di settori come quello dell‘acciaio e immobiliare che interes-
sano le fasce con maggior reddito; se una rivalutazione comporterebbe una diminuzione degli
investimenti stranieri rivolti alla creazione di JV (Joint Venture) a capitale misto che puntano
sul basso costo del lavoro( vedi articolo in nota 7),dovremmo dedurne che la soluzione, anche
di fronte ad una inflazione in salita, non è tanto la rivalutazione monetaria, quanto un lungimi-
rante ed effettivo pacchetto di riforme interne. Questo tema verrà trattato nel capitolo quarto,
relativo alla liberalizzazione post-adesione.
Interessante, attualmente, in relazione al rapporto Yuan/Dollaro, è anche la questione relativa
allo ―Special Drawing Right‖ ( SDR - Diritto Speciale di Prelievo).
E‘ una unità di conto introdotta nel 1969 dal Fondo Monetario Internazionale per rimpiazzare
l‘oro nelle transazioni internazionali all‘interno dei rapporti di cambio fissi di Bretton Woods.
Essa cadde in disuso negli anni settanta, quando il sistema fisso collassò e si optò per la flut-
tuazione dei cambi. L‘SDR si basa su di un paniere di valute nazionali che comprende il dolla-
ro, l‘euro, lo yen giapponese e la sterlina inglese. La Cina, ne ha richiesto un uso più ampio,
data la sua preoccupazione relativamente all‘inflazione americana. Vista la politica anticrisi
dell‘amministrazione Obama si potrebbe arrivare ad una ulteriore svalutazione del dollaro con
la conseguente triste prospettiva, per la Cina, di vedere le proprie casse ricolme di carta strac-
cia, visto che essa è la prima compratrice mondiale di Titoli di Stato USA.
L‘idea del Dragone, nella persona di Zhou Xiaochuan, Governatore della Banca Centrale Cine-
se, è quella di allargare il paniere delle monete che compongono il SDR, secondo quote pro-
porzionali al Pil di ogni singolo paese, inserendo dunque anche il renmimbi.
In seguito poi gli Stati dovrebbero affidare parte delle proprie riserve monetarie al FMI.
E‘ una proposta interessante questa (che dovrebbe andare di pari passo con una riforma del
Fondo Monetario Internazionale), se non fosse che lo yuan non è ancora pronto per essere inse-
rito nel paniere SDR in quanto non del tutto convertibile, in più lo stesso SDR non appare an-
cora pronto a sostituire il dollaro per problemi di liquidità disponibile. Vedi: Strauss-Kahn apre
alla Cina: ―Sì, alla moneta globale‖, htt://www.ilsole24ore.com, 25/03/2009.
12
La Cina, come membro a tutti gli effetti della Organizzazione Mondiale del
Commercio, ci porta a dover analizzare tutti quegli aspetti che venivano alla
luce come progenie della sua adesione. Ci si chiedeva, in che misura essa sarà
in grado di adempiere alle richieste di Ginevra? E vedremo in che misura, già
lo è stata. Fino a che punto la Cina, sarà in grado di tenere in piedi un sistema
bipartitico basato sulla libertà economica, sempre più accentuata dopo
l‘ingresso nella WTO, e l‘assenza di libertà politica?
Forse che il primo non vada a intaccare il secondo ripetendo anche per la
Cina ciò che è stata la storia di Taiwan, dove abbiamo assistito al passaggio da
un sistema autoritario, sia da un punto di vista economico che politico, a uno in
cui la tendenziale liberalizzazione economica ha donato lineamenti democratici
anche alle istituzioni politiche.
Ed il crollo, alle elezioni presidenziali del 2000, di cinquantacinque anni di
Guomindang con la vittoria del liberale Chen Shuibian, diventa simbolo di
questa trasformazione. Così poco importa che a distanza di otto anni il nuovo
presidente sia Ma Ying-Jeou esponente del partito nazionalista, in quanto co-
munque, le precedenti due consultazioni elettorali hanno dimostrato un‘ esi-
genza di dinamismo poco conosciuta alla Cina continentale e lo stesso Ma,
seppur parli di eventuale riunificazione, si limita alla prospettiva di una tra-
sformazione della Repubblica Popolare Cinese in democrazia.
E chissà se per la Cina potremmo mai effettivamente parlare di democrazi-
a, seppure nella forma di una sovranità popolare firmata Asian Style che altro
non è se non il passaggio da un autoritarismo verticale ad uno orizzontale che
forse andandosi a consolidare come modello politico potrà ampliare la base de-
cisionale. E d‘altra parte è la stessa Costituzione cinese che recita, nel pream-
bolo: ―il sistema della cooperazione multi-partitica e della consultazione sotto
la guida del partito comunista esisterà e si svilupperà nel tempo a venire‖.
Alcuni autori ritengono che, pur essendo l‘autoritarismo orizzontale, sem-
pre e comunque, un sistema di matrice autoritaria, esso sia più istituzionalizza-
to rispetto all‘autoritarismo di tipo verticale e dunque vada meglio ad adattarsi
alle esigenze che compongono i tratti fisiognomici di un paese che si sta muo-
vendo lungo la strada della modernizzazione economica. In un sistema di que-
13
sto tipo, non troveremo più uno ed un solo primus super partes da cui proma-
nano, come una pioggia monsonica, ordini cogenti (Mao Zedong per la Cina e
Stalin per l‘Unione Sovietica), ma una realtà fatta di procedimenti decisionali
sempre ―centralizzati e autoritari‖, ma polipartitici a livello di struttura, dotata
cioè di ―più di un centro di potere che coordina interessi e opinioni diver-
se‖.Questo è il sistema che si sta, all‘apparenza, palesando in Cina, in questi
ultimi vent‘anni ed i motivi di questa potenziale metamorfosi, devono essere
rintracciati nella riforma della struttura politica e amministrativa interna, avvia-
ta da Deng Xiaoping, nel 1982, e rivolta ad uno snellimento dell‘apparato stata-
le
14
e a dare più autonomia decisionale a strutture, quali ad esempio, l‘Assem-
blea nazionale. Nei sistemi di matrice autoritaria ritroviamo sempre una grande
influenza del ―Partito‖ nell‘ambito decisionale, ma nel passaggio dagli anni di
Mao a quelli di Deng e poi di Jiang Zemin ci accorgiamo di come si sia amplia-
ta la scrivania della dirigenza Cinese. Con Mao abbiamo quasi un monarca,
mentre da Deng a Zemin l‘impianto diventa quasi oligarchico, contemperando
esigenze di ―conservatori e riformisti‖ e dunque anche di ―stabilità politica‖.
15
Ovviamente quello che cercheremo di verificare con questo studio è pro-
prio l‘effettività di tale nuova impostazione più liberale, attraverso l‘analisi di
quello che abbiamo chiamato ―compromesso Cina/WTO‖. Andremo a indivi-
duare i tratti fisiognomici dell‘adesione della Cina alla WTO, osservando le ra-
gioni storiche, tout court, per cui, da entrambe le parti, si è sentita l‘esigenza di
un (ri)avvicinamento e sollevando questioni di diritto ed economiche diretta-
mente discendenti dal compromesso. E in ultimo, non mancheremo di motivare
il perché della scelta, proprio, di questo appellativo, ―compromesso‖, per quali-
ficare il rapporto strategico Cina/WTO.
14
Cosa che non si raggiunse in effetti, se non dopo l‘ascesa di Zhu Rongji a premier, sotto il
mandato di Jiang Zemin, insieme presidente della RPC, segretario generale del Partito comuni-
sta e presidente della Commissione politica di controllo delle forze armate, nel 1997.
15
M. Weber, Il miracolo cinese. … Op. Cit., pp. 63-69.
Vedi anche: Renzo Cavalieri, Maria Weber, ―L’era delle riforme di Deng‖, in M. Weber, Vele
verso la Cina, Milano, Edizioni Olivares, 1996, pp. 36-53.
14
2. Cina e commercio mondiale: prospettive pre-adesione alla WTO
Agli albori della adesione della Cina alla Organizzazione Mondiale del
Commercio la prospettiva di una nuova legittimazione ufficiale della stessa
all‘interno del commercio internazionale faceva riflettere le istituzioni interna-
zionali, come mai prima, su pro e contro di questo futuro idillio economico-
giuridico.
Certo è che la rilevanza di questo evento poteva essere individuata su una
miriade di fronti. In primis il momento storico, in cui era palese oramai il pro-
cesso di trasformazione da una economia prettamente pianificata, tipica dei re-
gimi comunisti, a quell‘ ―ibrido ideologico‖
16
denominato socialismo di merca-
to partorito dalla mente di Deng Xiaoping ed entrato nel preambolo della Costi-
tuzione Cinese, con un emendamento del 1993 laddove ―la Cina non praticherà
più il modello di economia pianificata, bensì seguirà quello di economia socia-
lista di libero mercato‖.Ma non si dimentichi socialista. E ricordiamo che sia-
mo ad una manciata di anni dal 1989, anno della caduta del muro di Berlino,
che ci riporta alla memoria l‘antesignano caso sovietico dell‘abbandono
dell‘economia dirigista. Dunque, sì, un fenomeno particolare, quello cinese, ma
non di certo isolato nelle linee direttrici del mutamento.
In seconda battuta rilevante, l‘adesione, per quelli che erano i nuovi tratti
identificativi della Organizzazione di Ginevra che la distinguevano dal vecchio
GATT, in quanto organizzazione economica internazionale basata su regole di
diritto.
Un accenno di natura storica, mi pare doveroso.
Siamo nel 1948, quando viene alla luce il GATT, acronimo di General A-
greement on Tariffs and Trade, ma non solo. La sigla in questione stava pure
ad indicare, oltre all‘accordo, anche una organizzazione internazionale che si
sarebbe dovuta creare successivamente per coordinare e far progredire
l‘accordo. Tra i vari negoziati, denominati round, quello che sicuramente meri-
ta di essere citato, ai nostri fini, è l‘Uruguay Round, sviluppatosi tra il 1986 e il
1994 e culminato nella creazione della Organizzazione Mondiale del Commer-
16
Maria Weber, Il miracolo cinese. … Op. cit., pp 42-44.
15
cio (WTO), in vita dal 1 gennaio 1995, come predisposto nel ―Final Act‖, fir-
mato nell‘aprile del 1994 alla conferenza ministeriale di Marrakesh.
Le differenze, visibili ad occhio nudo, tra GATT e WTO sono in primo
luogo relative ai tipi di settori coperti dagli accordi: il GATT, solo il settore del
commercio dei beni, il WTO, anche il settore dei servizi e della proprietà intel-
lettuale.
In secondo luogo, mentre il GATT era un accordo provvisorio, quasi un
preambolo, mai ratificato dai parlamenti degli stati membri che infatti venivano
semplicemente denominati contracting parties, il WTO è una salda organizza-
zione internazionale; i suoi accordi sono permanenti e si fonda su un
background di legalità derivante dalla ratificazione dei suoi accordi da parte
dei paesi membri. Infine esso sfrutta un sistema di risoluzione delle controver-
sie di tipo arbitrale molto più efficiente di quello previsto dal vecchio GATT.
Ora, individuate nello spazio e nel tempo le coordinate di adesione, non
possiamo non notare come una paese come la Cina, con il suo miliardo e mez-
zo di abitanti, il suo PIL incrementato del 470% dall‘81 al 2000 e la sua posi-
zione di partner commerciale di primo piano, rappresentasse l‘anello necessario
per la successiva crescita e stabilizzazione dell‘economia mondiale, in nome
della globalizzazione.
Dunque l‘importanza di questa integrazione può sicuramente spiegarci il
perché della lentezza e delle difficoltà con cui sono state condotte le negozia-
zioni. Come anche il fatto che il principale interlocutore della Cina nei nego-
ziati è stato rappresentato proprio dagli Stati Uniti d‘America, i quali non han-
no mai visto di buon occhio la Cina, soprattutto in un momento storico che ri-
sentiva ancora pesantemente degli strascichi della ―Guerra Fredda‖.
Detto ciò appare del tutto ovvia una sorta di diffidenza su entrambi i fronti
del dialogo accompagnata dalla preoccupazione statunitense circa le strategie a
medio-lungo termine del governo cinese nell‘area Asia-Pacifico
17
. Diffidenza
che si è diradata una volta visti i benefici che sarebbero derivati dall‘inte-
17
Rapporto della Commissione, United States-Pacific Trade and Investment Policy, ―Building
American Prosperity in the 21st Century‖, Washington, D.C. , Aprile 1997, raccomandazione 1
relativa alla Cina.
16
grazione della Cina all‘interno della WTO
18
.
A riguardo, un problema di primo rilievo, nelle relazioni economiche con
la Cina era indubbiamente la chiusura del mercato cinese nei confronti dei pro-
dotti stranieri. L‘adesione della Cina all‘Organizzazione di Ginevra avrebbe
comportato la tanto agognata apertura di tale mercato nel lite motif della parità
di trattamento tra produttori interni ed esteri
19
, oltre che di tutte le altre regole
di diritto che avrebbero condizionato le politiche commerciali del Dragone.
Ma se di vantaggi si poteva parlare, in capo alla WTO e ai burattinai
dell‘economia internazionale, come direttamente discendenti da un eventuale
ingresso della Cina nella Organizzazione, sicuramente anche essa ne avrebbe
ottenuto dei benefici
20
. Non di poco conto e soprattutto non solo di natura eco-
nomica. L‘economia della Cina si stava sempre più rafforzando e specializzan-
do. Non eravamo più di fronte ad un paese che guardava all‘esportazione, e-
sclusivamente, di prodotti low-tech come in passato e dunque per affermare la
sua competitività e minimizzare il rischio di una esclusione dal mercato delle
esportazioni necessitava del WTO e del suo impianto di regolamentazione.
Ancora, entrando all‘interno del sistema WTO essa avrebbe potuto evitare
decisioni ad hoc che, in mancanza, l‘avrebbero esclusa dal giovarsi di tutti i
benefici del commercio internazionale, limitando il suo accesso al mercato dei
capitali. In più, dopo l‘adesione, essa sarebbe stata assoggettata al Dispute Set-
tlement Understandig (DSU), un sistema di arbitrato risolutivo delle controver-
18
Ibidem.
19
Dal sito ufficiale della WTO: http://www.WTO.org.
―The trading system should be:
1) without discrimination (...);
2) free - barriers coming down through negotiation;
3) predictable - foreign companies, investors and governments should be confident that trade
barriers (including tariffs and non-tariff barriers) sould not be raised arbitrarly; tariff rates and
market-opening commitments are ―bound‖ in the WTO;
4) more competitive;
5) more beneficial for less developed countries – giving them more time to adjust, grater flex-
ibility, and special privileges.‖
20
East-Asia Analytical Unit, Australian Department of Foreign Affairs and Trade: China em-
braces the Market. Achievements, Constraints and Opportunities,1997, pp 165-169, in http://
www.dfat.gov.au/publications/pdf/china.pdf.Vedi anche: Wto Daily Report, Singapore Minis-
terial Conference, statement by Mr. Long Yongtu, 12 dicembre 1996, in http://www.wto.org/
english/thewto_e/minist_e/min96_e/st117.htm.
17
sie, di carattere neutrale
21
. Organo principe del DSU è il Dispute Settlement
Body, da cui viene individuato il panel, la giuria che deciderà della controver-
sia, normalmente composta da tre arbitri, scelti con il placet delle parti e nomi-
nati dal Direttore Generale. I tempi di questa procedura sono decisamente velo-
ci. Pensiamo che il tutto si mantiene nell‘arco di un anno e se c‘è appello lo
slittamento temporale è appena di tre mesi. Il DSU è indubbiamente ―uno dei
grandi successi del WTO‖ come non ha mancato di sottolineare anche Renato
Ruggero, Direttore generale WTO dal 1995 al 1999
22
.
Certi nell‘individuare in questi, appena elencati, i vantaggi di natura eco-
nomica, di una eventuale adesione della Cina alla WTO, da non dimenticare
erano anche gli strascichi positivi da un punto di vista politico. Infatti,
l‘ingresso della Cina all‘interno del sistema commerciale mondiale andava ben
oltre il mero aspetto commerciale, ma tacciava lo stesso futuro del Paese e la
sua possibilità di giocare un ruolo fondamentale negli equilibri economici e po-
21
E‘ da sottolineare, che lo strumento arbitrale per la risoluzione delle controversie, in materia
di commercio, tra Stati , non è uno strumento chissà poi quanto recente. Per lo meno a livello
di previsione, se non di applicazione. Infatti, una disciplina di contemperamento delle contro-
versie, di tal fatta, veniva prevista anche all‘interno dell‘art. 93 dell‘ ―Havana Charter‖, rubri-
cato:‖Consultation and Arbitration‖.
A proposito, vedi: Final Act of the United Nations Conference on Trade and Employment
(March 24, 1948, UN Doc. E/Conf.2/78), , Chapter VII, ―Settlement of Differences‖.
Sappiamo che la Carta non divenne mai effettiva e quindi l‘art.93 non venne mai applicato. C‘è
chi sostiene però che, essendo confluita nell‘Accordo GATT (1947) gran parte della ―disciplina
commerciale‖ prevista nella Carta dell‘Avana, si potesse utilizzare lo strumento arbitrale di ri-
soluzione delle controversie, anche se lo stesso Accordo non lo prevedeva.
Esso non venne considerato esplicitamente neppure durante le ―Tokyo Round Negotia-
tions‖(1973-1979), ma solo successivamente, durante le ―Uruguay Round negotiations‖(1986),
attraverso vari ―improvements‖(1989 Improvements) a riguardo, che hanno portato alla reda-
zione degli Articoli 25 e 21.3(c) del DSU. In proposito, vedi: Valerie Hughes, ―Arbitration
within the WTO‖, in The WTO Dispute Settlement System 1995-2003, edited by Federico Or-
tino and Ernst-Ulrich Petersmann, Kluwer Law International, 2004, pp. 75-86. Vedi anche: Di-
stefano Marcella, Soluzione delle controversie nell’OMC e diritto internazionale, CEDAM,
Padova 2001; Petersmann, Ernst-Ulrich, The GATT/WTO Dispute Settlement System: Interna-
tional Trade Law, International Organizations and Dispute Settlement, Kluwer, London 1997;
e Venturini, Gabriella; Coscia, Giuseppe; Vellano, Michele; Le nuove sfide per l’OMC a dieci
anni dalla sua istituzione, Giuffrè Editore, Milano 2005.
22
Arthur Dunkel, Peter Sutherland, Renato Ruggiero, ―Joint statement on the multilateral trad-
ing system‖, WTO NEWS: 2001, in http://www.wto.org/english/news_e/news01_e/ jointstat-
davos_jan01_e.htm. E con l‘ulteriore ammonimento ad evitare che il DSU diventi strumento
alternativo alla negoziazione:―Dispute settlement is one of the great successes of the WTO (....)
We believe that all WTO members - but the EU and US in particular - must exercise the utmost
restraint in their recourse to the dispute settlement system. Litigation in trade matters is not,
and must not become, an automatic alternative to negotiation‖.
18
litici internazionali, influenzando la futura direzione dell‘economia mondiale
come della comunità internazionale.
23
Detto tutto ciò, pare evidente come ci si trovasse di fronte ad uno ed un so-
lo dato di fatto, che sottostava ai negoziati di adesione della Cina
all‘Organizzazione Mondiale del Commercio. La Cina era, come lo è a mag-
gior ragione oggi, una pedina dell‘economia mondiale che acquistava, giorno
dopo giorno sempre più, i caratteri dell‘interdipendenza. In prospettiva, erano
innumerevoli le sfide e le opportunità che questo paese avrebbe dovuto affron-
tare, e sicuramente, tale gigantesco potenziale di sviluppo e di crescita avrebbe
potuto esplicarsi al meglio sotto l‘ala della WTO. E se dunque la Cina abbiso-
gnava della WTO, quest‘ultima abbisognava della Cina per poter finalmente
definirsi, a tutti gli effetti, Organizzazione Mondiale del Commercio.
Come sottolineava l‘ex Direttore Generale della WTO, Renato Ruggero,
sopra citato, ―stiamo assistendo ad un progressivo orientamento da parte della
Cina verso il centro del processo di globalizzazione. Tale processo subirà ne-
cessariamente un‘accelerazione, rafforzando quell‘interdipendenza che rappre-
senta oggigiorno un elemento essenziale di cui non solo la Cina, ma tutto il
mondo, oramai necessita‖
24
. Ulteriore gradino da salire, dunque ai fini del
completamento di questa interdipendenza era sicuramente l‘ingresso della Cina
nella WTO. A causa della loro complessità e grandezza, non si poteva più la-
sciare che la Cina regolasse i suoi rapporti con il resto del mondo solo attraver-
so l‘obsoleto strumento bilaterale. E allora per contemperare efficienza e logica
di correttezza, quale miglior alveo di negoziazione dell‘Organizzazione Mon-
diale del Commercio?
All‘interno del sistema commerciale multilaterale qualsiasi rapporto sareb-
be stato concluso nel rispetto di accordi compositi e determinanti diritti e dove-
ri, assunti poi come precetti vincolanti. Da insider, dunque, molto più facile,
23
Renato Ruggero, ―China and the World Trading System‖, Beijing University, China, 21
April 1997, in WTO News: 1995-99 Speeches - Renato Ruggero, Former DG WTO, http://
www.wto.org/english/news_e/sprr_e/china_e.htm.
24
Renato Ruggero, China and the World Trading System, Beijing University, China, 21 April
1997, in WTO News: 1995-99 Speeches - Renato Ruggero, Former DG WTO, http://
www.wto.org/english/news_e/sprr_e/china_e.htm.
19
sarebbe stato, evitare ingerenze bilaterali o minacce di azioni unilaterali da par-
te di paesi terzi, come molto più rassicurante si sarebbe palesata la prospettiva
di riforme economiche interne, sostenute, a quel punto dagli altri partner
commerciali, membri, essi stessi, della WTO e sottoposti allo stesso regime di
diritti e doveri dettati dall‘Organizzazione. Abbiamo già visto sopra, come en-
trare all‘interno del sistema commerciale multilaterale avrebbe significato, per
la Cina, sottostare a obblighi vincolanti, ma al contempo anche usufruire di tut-
ti quei vantaggi che sono stati risultante dei negoziati tra i paesi membri, au-
mentando e garantendo le chances di accesso ai mercati. Chances irrobustite
dai principi base del WTO:
non discriminazione;
trattamento della nazione-più-favorita (Most Favoured Nation/MFN).
Quest‘ultima clausola è principio fondamentale del diritto commerciale in-
ternazionale e comporta che qualora due paesi abbiano accordato una reciproca
riduzione dei dazi in relazione a prodotti e beni importati/esportati, la tariffa di
favore verrà applicata anche all‘eventuale paese terzo che entrerà in rapporti
commerciali con i primi due
25
. Ma non rileva solo l‘accesso ai mercati. Di in-
dubbio vantaggio sarebbe stata anche la possibilità per la Cina di partecipare al
forum plurilaterale di discussione delle problematiche commerciali mondiali,
con la valvola di sicurezza del DSU a salvaguardia dei propri diritti, in caso di
controversia.
Forse, per esser più precisi, e indicare l‘ultimo dei vantaggi che la Cina a-
vrebbe ottenuto dall‘ingresso nella WTO, si dovrebbe sottolineare, come essa
non sarebbe stata solo ―membro‖ di discussione, ma avrebbe ricoperto (assie-
me ad altri paesi, come gli Stati Uniti d‘America) il ruolo di Cicerone nella de-
terminazione delle regole che avrebbero caratterizzato il commercio mondiale
del ventunesimo secolo. Per riportare, nuovamente, le parole dell‘ex Direttore
della WTO, Ruggiero, ―la Cina non può tenere un atteggiamento passivo, men-
tre gli altri paesi scrivono le regole del gioco‖.
25
Panico Giuseppe, ―Clausola della nazione più favorita‖, Enciclopedia giuridica Treccani, VI,
Roma 1988. Gatsios, "Preferential tariffs and the Most favoured nationprinciple", Journal of
international economics, 1990 pp. 365 e seg.
20
E così è stato. Essa non ha voluto chiamarsi fuori da gioco
26
. O forse po-
tremmo dire, non ha precauzionalmente potuto, essendo, all‘epoca ancora par-
ticolarmente dipendente dall‘estero per quanto riguardava tecnologia, teleco-
municazioni e competenza finanziaria
27
. Settori, questi, che indubbiamente
26
E questo concetto è quanto viene esplicitamente dichiarato dal Primo Ministro Cinese Li
Peng all‘allora Direttore Generale della WTO, Renato Ruggero, in un incontro avvenuto nel
1998, in occasione di una visita di quest‘ultimo presso la città di Pechino: ―Certainly, you will
ask me why a great country like China has been so patient during the long negotiation for
WTO accession. Obviusly, the reason was no our will to liberaze the Chinese economy, given
that we are already engaged in that without being a Member of WTO. The real reason is that
we have to sit at the table where all the world‘s major powers negotiate the new rules of global
trading system.‖
Per un approfondimento della questione, vedi: Renato Ruggero, ―The WTO: ten years after its
estabilishment‖, in Giorgio Sacerdoti, Alan Yanovich. Jan Bohanes (A cura di), The WTO at
Ten. The contribution of the Dispute Settlement System, , WTO - Cambridge University Press,
2006, pp 13-22.
27
Oggi, il panorama cinese sembra essere mutato, in relazione a questi settori. Ad esempio
vediamo che, nell‘ottica della ―strategia di far prosperare il Paese con ―la scienza e
l‘istruzione‖secondo stime del 2003, i fondi destinati allo sviluppo dei settori tecnico e tecno-
logico hanno superato i 150 miliardi di yuan renmimbi, pari all‘1,35 % del PIL. A riguardo,
vedi:CRI online (Radio Cina Internazionale), sezione Cina ABC, ―Situazione generale della
scienza e della tecnologia cinese‖.
Lo stesso si può notare nel settore delle telecomunicazioni e del networking, lanciando uno
sguardo alla Huawei Tecnologies: Con oltre 62.000 dipendenti (di cui il 70% impiegato in pro-
getti di ricerca in 12 centri sparsi per il mondo), un fatturato globale stimato per il 2005 in 6,8
miliardi di euro (di cui 4,9 miliardi da vendite sui mercati internazionali) e cresciuto, rispetto al
2004, del 40%, è a tutti gli effetti una delle maggiori realtà mondiali nel settore IT. Già fornito-
re di tecnologie UMTS per operatori telefonici in Asia e America latina, di recente ha chiuso
un contratto con Telecom Italia per 1200 nodi a banda larga da impiegare per il potenziamento
della rete in Calabria e Sicilia. Anche Vodafone ha optato per Huawei, addirittura lanciando
una linea di telefonini UMTS in concorrenza con le majors del settore (Nokia, Samsung, Moto-
rola, ecc.), fabbricati in Asia da Huawei e commercializzati da Vodafone col proprio brand. A
riguardo, vedi direttamente sul sito del produttore: http:// www.huawei.com.
Per concludere, dando uno sguardo al settore finanziario cinese dobbiamo obbligatoriamente
sottolineare come a 30 anni di distanza dall‘inizio della ―Open Door Policy‖ implementata dal-
lo ―step in‖ della Cina nella WTO del 2001, esso ha subito grandi modificazioni.
Oltre alla ―maturazione del mercato azionario‖, abbiamo assistito alla riforma del settore ban-
cario che si è impegnato a fornire prodotti finanziari più favorevoli, ―diversificati e personaliz-
zati‖ ed il ―livello di servizio‖ delle banche è aumentato. In più, come richiesto dall‘adesione
alla WTO, il settore bancario si è aperto verso l‘estero.
Anche il settore assicurativo ha subito delle rilevanti modificazioni: se, sul fine degli anni set-
tanta, c‘era solo una società a gestire il mercato assicurativo cinese con un reddito annuo di 460
milioni di RMB, nel 2007 le società assicurative erano 110, con un reddito di 700 miliardi di
RMB. ―Riassumendo lo sviluppo del settore finanziario cinese negli ultimi 30 anni, si può dire
che ha ottenuto risultati considerevoli. Tuttavia gli esperti affermano che di fronte ai nuovi
trend e sfide della globalizzazione del settore finanziario, l'intero settore finanziario cinese pre-
senta ancora molte carenze, per esempio l'eccessiva concentrazione dei crediti bancari è sfavo-
revole alla dispersione dei rischi; la ridotta dimensione generale delle società di titoli e l'in-
completezza della loro struttura amministrativa e del meccanismo di controllo interno; i perico-
li latenti dei rischi di fiducia, amministrazione, gravi calamità, ecc. affrontati dagli organismi di
assicurazione‖.Vedi: CRI online.(Radio Cina Internazionale), sezione Radio online, ―Cina: 30