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Introduzione
I disturbi di personalità (DP) nell’età adulta hanno un profondo e prolungato
impatto sull’individuo, sulla famiglia e sulla società. In questi ultimi anni la ricerca
epidemiologica indica un’alta prevalenza di DP anche nei bambini e giovani, soprattutto
nella fascia d’età tra i nove e i diciannove anni (Bernstein et al., 1993), tuttavia lo
sviluppo dei DP nei giovani non ha ricevuto l’attenzione che merita.
Il tema dei disturbi di personalità nei bambini e adolescenti, infatti, è innovativo
e di grande attualità, ma è ancora estremamente dibattuto e, attualmente, non gode nØ di
una vivace letteratura nØ di un consenso unanime.
Lo scopo di questa tesi è di presentare i DP nei bambini e adolescenti, in modo
tale che possano essere piø rapidamente riconosciuti e trattati.
L’esistenza dei DP già nei bambini ha iniziato ad essere presa in considerazione
dagli anni Novanta, ma è sempre stata molto criticata. Nel 2000, invece, grazie a
Paulina Kernberg, Alan Weiner e Karen Bardestein, si apre un nuovo capitolo nello
studio dei disturbi della personalità: gli autori sostengono che questi possono essere
diagnosticati e trattati anche nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza.
Tali autori ritengono che i DP nel bambino, così come nell’adulto, siano
identificabili in modo affidabile, che si correlino con altri disturbi sull’Asse I e
sull’Asse II e che mostrino il pattern di persistenza che rende il loro impatto pervasivo e
grave.
Si ritiene, infatti, che sia discutibile non poter fare diagnosi di DP prima della
maggiore età, come se per questa area della psicopatologia, a differenza di quanto
emerge sempre piø dalla letteratura, esistesse una grande discontinuità psicopatologica.
P. Kernberg (2000) considera la continuità psicopatologica anche nell’area dei disturbi
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di personalità: una continuità che non riguarda solo il passaggio dall’adolescenza all’età
adulta, ma anche il passaggio dall’infanzia alla fanciullezza e all’adolescenza, il cui
caso piø noto è rappresentato dal Disturbo Antisociale di Personalità, preceduto dal
Disturbo della Condotta.
Tuttavia, oggi, non c’è ancora consenso unanime tra i clinici e tuttora l’esistenza
dei DP nei bambini è considerata dubbia. Infatti, nonostante gli studi clinici e di ricerca
sui DP nell’adulto sottolineino i loro precursori precoci legati allo sviluppo, continua a
persistere una forte resistenza a parlare di disturbo di personalità nel bambino, un po’
meno invece nell’adolescente.
Nel corso della tesi tutto questo verrà ampliamente trattato, attingendo dalla
letteratura internazionale specializzata piø recente.
In particolare, nel primo capitolo verrà innanzitutto presentata una breve
introduzione sulla personalità e sui suoi disturbi, ponendo l’accento soprattutto
sull’esordio dei DP, che, nei principali manuali diagnostici, viene fatto risalire
all’adolescenza o alla prima età adulta, se non in casi assai rari ed insoliti, in cui la
valutazione psichiatrica prolungata assicura la persistenza e l’inflessibilià dei tratti
patologici.
Vengono poi presentati alcuni autori che spiegano la reticenza degli psichiatri
nel diagnosticare i DP nell’infanzia. Alla base ci sono sia problemi teorici che resistenze
di tipo emotivo.
Seguirà poi la presentazione del contributo innovativo di P. Kernberg e colleghi
(2000) sui disturbi di personalità nei bambini e adolescenti e di ulteriori studi ed
evidenze empiriche a sostegno di tale tesi, pubblicati in questi ultimi anni in diverse
riviste psichiatriche americane.
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Secondo questi autori, si può parlare di disturbi della personalità nei bambini e
negli adolescenti, e, in generale, a prescindere dall’età, quando i tratti e i modelli
caratteristici di percezione, relazione e pensiero, inclusi i tratti quali l’impulsività,
l’introversione, l’egocentrismo, la ricerca di novità, l’inibizione, la socievolezza,
l’attività, ecc., diventano disadattivi e causano un notevole deficit funzionale e
producono grave difficoltà soggettiva. Oggi si ritiene che il confine tra una personalità
adattiva e una disadattiva sia rappresentato dalla presenza, nel secondo caso, di aspetti
caratterizzati da rigidità, invasività e persistenza, tali da mettere in difficoltà il soggetto
rispetto alle esigenze di adattamento richieste dall’ambiente. Quindi, un tratto diventa
disadattivo quando è poco o per nulla modulabile, quando invade eccessivamente la vita
dell’individuo e quando persiste immodificato.
Verrà, poi, messo a confronto il modello di P. Kernberg con quello di Efrain
Bleiberg (2001), secondo il quale i disturbi gravi della personalità (ossia i DP del cluster
impulsivo) sono accomunati dal deficit della funzione riflessiva, il cui sviluppo appare
strettamente collegato a quello dell’attaccamento. Sarebbe in particolar modo questa
scarsa capacità di mentalizzare, che renderebbe i bambini piø vulnerabili agli eventi
traumatici e piø probabile la successiva insorgenza di quadri psicopatologici di vario
tipo, disturbi di personalità compresi, già a partire dall’infanzia.
Si tratta di un altro punto di vista, che si è scelto di citare per completezza,
tenendo però sempre come riferimento principale il contributo di Paulina Kernberg e
colleghi.
Nel secondo capitolo verrà invece presentato l’assessment dei disturbi di
personalità nei bambini e adolescenti. Infatti, dato che in questi ultimi anni si è
accumulato un numero crescente di prove che dimostrano come i DP clinicamente
significativi siano presenti già in età precoce, si ritiene che sia importante conoscere le
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diverse procedure diagnostiche con cui è possibile valutarne la presenza: in questo
modo è possibile diagnosticarli e intervenire in tempo. Vi è, infatti, un accordo
pressochØ generale sul fatto che la prevenzione dei disturbi mentali dia risultati migliori
con soggetti di giovane età (Cohen e Crawford, 2005). Questi bambini con sintomi
rilevanti o con i loro precursori, devono quindi essere i bersagli prioritari di un’indagine
diagnostica repentina e di una prevenzione secondaria. Sembra, quindi, opportuno e
auspicabile prevedere interventi che allevino i disturbi dell’Asse II quando si
manifestano in età giovanile.
In primis, vengono presentati i problemi nella valutazione dei DP nei bambini e
adolescenti e poi i principali strumenti che possono essere utilizzati a tal fine. Tra questi
verranno maggiormente approfonditi il PAI, la CBCL e la SWAP-200-A.
Nel terzo capitolo si arriverà invece al cuore della tesi: verranno qui trattati in
dettaglio i dieci disturbi di personalità nei bambini e adolescenti, tenendo come
classificazione di riferimento quella del DSM-IV-TR: i loro tratti, le relazioni
oggettuali, gli affetti, le difese, le dinamiche familiari, nonchØ l’eziologia, la prognosi e
la diagnosi differenziale.
Infine, nel quarto capitolo verrà presentato il trattamento, partendo dal
presupposto che, attualmente, in letteratura esistono pochissimi riferimenti al
trattamento dei DP nei bambini e adolescenti, dal momento che la loro stessa esistenza è
dubbia. Tuttavia, in questi ultimi anni, i principali autori che hanno studiato i DP nei
bambini – P. Kernberg, Weiner, Bardestein e Bleiberg – hanno iniziato ad occuparsene.
I trattamenti piø studiati sono quelli dei DP del cluster impulsivo, mentre si trova poco
materiale sia per quelli del cluster A che del cluster C.
In ogni caso, bisogna tener presente quanto sia importante l’intervento
immediato con i bambini e con gli adolescenti e che il non diagnosticare e trattare
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repentinamente un DP nel bambino renderà difficile, se non impossibile, il trattamento
nell’età adulta.
Per i DP si privilegia un trattamento integrato: una psicoterapia individuale, una
psicoterapia familiare, una terapia di gruppo e un trattamento psicofarmacologico.
Tuttavia ogni DP ha le sue peculiarità e richiede dei trattamenti particolari.
Verrà poi presentato l’approccio relazionale di Bleiberg (2001) per il trattamento
dei disturbi gravi della personalità nei bambini e negli adolescenti. Si tratta di un
modello particolarmente adatto per i bambini che hanno sviluppato un DP del cluster
impulsivo, che mira a ristabilire la funzione riflessiva, promovendo sia un cambiamento
intrapsichico nel bambino sia dei cambiamenti nel suo contesto interpersonale. Richiede
perciò un approccio multimodale e un impegno terapeutico intensivo e prolungato.
Invece, per quei casi che sono così sconvolgenti da precludere il trattamento
ambulatoriale, in cui la situazione a casa è cronicamente difficile, in cui il
comportamento dei bambini è un pericolo sia per loro che per gli altri ed in cui si
manifesta un progressivo peggioramento psicosociale, si prevede anche un trattamento
residenziale, in cui avrà luogo un trattamento psicoterapeutico sia individuale che
familiare, una terapia farmacologia, una terapia di gruppo, programmi scolastici e
professionali particolari, programmi ricreativi e, infine, programmi specifici per l’abuso
di sostante stupefacenti o per i disturbi alimentari.
Infine, verrà affrontata la questione del trattamento psicofarmacologico. Sia
secondo Bleiberg (2001) che secondo P. Kernberg (2000) – mentre per molti altri è
discutibile la somministrazione di psicofarmaci ai bambini – i farmaci migliorano
sintomi specifici. In particolare, Bleiberg ritiene che, sebbene il trattamento
psicofarmacologico non cambi la personalità nØ da solo modifichi la traiettoria
evolutiva dei bambini, esso agisce in sinergia con il trattamento individuale e con quello
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familiare per favorire nuove forme di esperienza e di apprendimento e per facilitare la
creazione di un contesto interpersonale diverso.
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Capitolo primo
I disturbi di personalità nell’infanzia e nell’adolescenza:
uno sguardo generale
1.1 Cenni sulla personalità e i suoi disturbi
In linea generale, oggi, con il termine personalità, si indica una modalità
strutturata di pensiero, sentimento e comportamento, che caratterizza il tipo di
adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori temperamentali, dello
sviluppo e dell’esperienza sociale (OMS, 1992).
Durante i primi anni di vita, il bambino mostra una vasta gamma di
comportamenti e, anche se orientati dalla disposizione costituzionale, i modi con cui un
bambino piccolo entra in contatto con l’ambiente, manifesta i propri bisogni ed esprime
i propri affetti, sono piuttosto imprevedibili e mutevoli. Poi, con il passare del tempo e
grazie all’influenza esercitata dalle risposte ambientali, tali modi diventano sempre piø
strutturati, specifici e selettivi. Lo sviluppo psico-biologico, il contesto psico-affettivo e
l’ambiente socio-culturale concorrono a formare una serie di tratti profondamente
impressi e tendenzialmente stabili. Tali tratti andranno a costituire lo stile individuale
(Lingiardi, 2004).
I tratti di personalità sono dei modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare
nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di
contesti sociali e personali. Anche se notevolmente influenzati dalle variazioni
temperamentali, sono un costrutto diverso da quello di temperamento. Quest’ultimo,
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infatti, si riferisce a caratteristiche presenti sin dalla nascita, mentre i tratti di personalità
sono una miscela di temperamento ed esperienza (Paris, 1996). Essi si organizzano in
modi piø o meno costanti e formano tipi o stili di personalità. Solo quando tali tratti
sono rigidi e non adattivi e causano una significativa compromissione del
funzionamento sociale o lavorativo, oppure una sofferenza soggettiva, essi costituiscono
i Disturbi di Personalità (APA, 1994).
Un disturbo di personalità (DP) viene diagnosticato solo quando lo stile della
personalità di un individuo interferisce con il suo funzionamento affettivo, lavorativo e
relazionale (Lingiardi, 2004).
A partire dal DSM-III (APA, 1980), vi è stata un’attenzione sempre piø costante
su questi tipi di disturbi, collocati su un asse separato – l’Asse II – rispetto ai classici
quadri sintomatologici, che il DSM considera sull’Asse I.
Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2000) si definisce disturbo di personalità una
modalità di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto a
quanto ci si potrebbe aspettare dal livello culturale dell’individuo. Tale modalità è
patologica in quando pervasiva – cioè si manifesta frequentemente e non solo in risposta
a particolari stimoli o situazioni scatenanti – e inflessibile; ha esordio nell’adolescenza o
nella prima età adulta; è stabile nel tempo e determina disagio e compromissione
funzionale. La deviazione dalla norma deve essere marcata e riguardare almeno due
delle seguenti aree: cognitività, affettività, funzionamento interpersonale, controllo degli
impulsi.
I DP sono raccolti in tre gruppi – il cluster A, il cluster B e il cluster C – in base
ad analogie descrittive, come illustrato nella seguente tabella:
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Tabella 1. Classificazione dei disturbi di personalità secondo il DSM-IV-TR
Cluster A - eccentrico Disturbo Paranoide di Personalità
Disturbo Schizoide di Personalità
Disturbo Schizotipico di Personalità
Cluster B - drammatico, impulsivo Disturbo Antisociale di Personalità
Disturbo Borderline di Personalità
Disturbo Istrionico di Personalità
Disturbo Narcisistico di Personalità
Cluster C - ansioso Disturbo Evitante di Personalità
Disturbo Dipendente di Personalità
Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità
Disturbo di Personalità NAS
Fonte: Lingiardi, 2004, p. 374.
1.1.1 Esordio e decorso dei disturbi di personalità
Nel DSM-IV-TR vengono presentati i criteri diagnostici dei disturbi di
personalità. Tra questi ce n’è uno, il criterio D, relativo alla durata e all’esordio:
il quadro è stabile e di lunga durata e l’esordio si può far risalire almeno
all’adolescenza o alla prima età adulta (APA, 2000, p. 730).
La diagnosi di DP richiede, quindi, una valutazione del modello di
funzionamento a lungo termine dell’individuo e le particolari caratteristiche di
personalità devono essere evidenti fin dalla prima età adulta. Il clinico dovrebbe
valutare la stabilità dei tratti di personalità nel tempo e in diverse situazioni (APA,
2000).
Quindi, nel DSM, nella presentazione dei criteri, non viene fatto riferimento
all’esordio dei DP già nell’infanzia. Si possono, però, trovare alcune informazioni a
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riguardo nel paragrafo dedicato alle caratteristiche collegate alla cultura, all’età e al
genere: qui viene chiarito che le categorie dei DP possono essere applicate a bambini e
adolescenti in quei casi relativamente insoliti in cui i particolari tratti di personalità non
adattivi dell’individuo sembrano essere pervasivi, persistenti e non limitati ad un
particolare stadio dello sviluppo o ad un episodio di un disturbo dell’Asse I. Tuttavia, il
DSM “avvisa” che i tratti di un DP che compaiono nell’infanzia spesso non persistono
immodificati fino alla vita adulta. L’unica eccezione è rappresentata dal Disturbo
Antisociale di Personalità, che può essere diagnosticato in individui al di sotto dei
diciotto anni.
Infine, per quanto riguarda il decorso, nel DSM viene chiarito che le
caratteristiche di un DP di solito diventano riconoscibili durante l’adolescenza o nella
prima età adulta e che alcuni tipi di disturbi tendono a rendersi meno evidenti o ad
andare incontro a remissione con l’età (in particolare i DP borderline e antisociali),
mentre questo sembra meno vero per alcuni altri tipi (per esempio i DP ossessivo-
compulsivo e schizotipico).
Per quanto riguarda l’ICD-10, i criteri diagnostici per i DP sono essenzialmente
gli stessi del DSM, ma con una differenza relativa all’esordio:
emergono precocemente nel corso dello sviluppo dell’individuo, come risultato
sia di fattori costituzionali che di esperienze sociali, mentre altri vengono acquisite piø
tardi nel corso della vita (OMS, 1992, p. 192).
Bonnet, Chabrol e Moron (1995), esaminando le definizioni dei disturbi di
personalità nei manuali diagnostici, in particolare nel DSM-III, nel DSM-III-R, nel
DSM-IV, nell’ICD-10 e nella Classification francaise des trobles mentaux de l’enfant
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ed de l’adolescent, hanno potuto constatare la reticenza degli psichiatri nel
diagnosticare i DP nell’infanzia. Questi ultimi possono essere diagnosticati nei bambini
solo se una valutazione psichiatrica prolungata assicura la persistenza e l’inflessibilià
dei tratti patologici.
I disturbi di personalità necessitano, quindi, di una piø chiara
concettualizzazione e di una piø accurata descrizione, che tengano conto della loro
insorgenza precoce. Infatti, la diagnosi di DP, in progressivo aumento, può essere
associata ad alto rischio suicidiario, delinquenza, fallimento scolastico, impossibilità di
mantenere stabilmente un lavoro o comunque basso rendimento professionale, relazioni
altamente disturbate, difficoltà (se non vera e propria impossibilità) a raggiungere
l’intimità emotiva, abuso e dipendenza da sostanze, maggiore frequenza di incidenti,
episodi di violenza e omicidi, e dato che peggiora la prognosi di altri disturbi dell’Asse
I, come i disturbi d’ansia, i disturbi alimentari e i disturbi affettivi (P. Kernberg et al.,
2000). Ciò premesso, va da sØ che individuare i pattern emotivi, affettivi e
comportamentali predittivi e i fattori predisponesti dei DP sia di cruciale importanza,
anche se tale intento implica il sollevare la questione, estremamente dibattuta, della
possibilità di prevedere la psicopatologia dell’adulto a partire dall’infanzia e
dall’adolescenza.
Grilo e McGlashan (2005) sostengono che, se fosse possibile identificare dei
precursori dei disturbi di personalità nell’infanzia, come nel caso del Disturbo della
Condotta per il Disturbo Antisociale di Personalità, essi potrebbero essere inseriti
all’interno dei criteri diagnostici, creando, così, un certo grado di continuità
longitudinale. Inoltre permetterebbero di rendere le diagnosi di DP meno nefaste.
Infatti, diagnosticandoli e trattandoli già nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, si
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potrebbe evitare una loro “cristallizzazione”, mentre la mancanza di una formulazione
diagnostica tempestiva è senz’altro dannosa.
1.2 Una nuova proposta: i disturbi della personalità nei bambini e negli adolescenti
Segue ora la presentazione del contributo innovativo di Paulina Kernberg e
colleghi sui disturbi di personalità nei bambini e adolescenti e di ulteriori studi ed
evidenze empiriche a sostegno di tale tesi, pubblicati in questi ultimi anni in diverse
riviste psichiatriche americane. Verrà, poi, messo a confronto il modello di P. Kernberg
con quello, piø recente, di Efrain Bleiberg, il quale sostiene la fondatezza della diagnosi
di DP già nei bambini, ma rifacendosi soprattutto agli studi di Peter Fonagy e alla teoria
dell’attaccamento. Nell’ultimo paragrafo verrà trattata proprio quest'ultima, in quanto
alcuni autori – Beck, Freeman, Lorenzini, Sassaroli e Page – hanno messo in relazione
gli stili di attaccamento con i disturbi di personalità.
Tutti questi ultimi contributi vengono presentati al fine di offrire una visione piø
esaustiva sull’argomento, ma nel corso dell’intera trattazione si continuerà a mantenere
l’ottica della Kernberg e ad utilizzare come classificazione di riferimento dei DP quella
dell’Asse II del DSM-IV-TR.
A New York, nel 2000, Paulina Kernberg (vedi Riquadro 1), Alan Weiner e
Karen Bardestein pubblicano Personality Disorders in Children and Adolescents, con
cui si apre un nuovo capitolo nello studio dei disturbi della personalità. In questo lavoro,
infatti, gli autori sostengono che i DP possono essere diagnosticati e trattati anche nel
corso dell’infanzia e dell’adolescenza.
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Riquadro 1. Paulina Kernberg.
Paulina F. Kernberg (1935 - 2006), psichiatra di fama internazionale, moglie del celebre Otto
Kernberg e insegnante alla Columbia University, nel Center for Psychoanalytic Training and
Research, è stata un’autorità nello studio dei disturbi di personalità.
¨ inoltre ricordata per i suoi studi sulle conseguenze del divorzio sui bambini al New York
Presbyterian Hospital, dove dirigeva il Residency Program in Child and Adolescent Psychiatry.
P. Kernberg ha rappresentato uno dei primi contatti che la psichiatria infantile italiana ha
stabilito con la psichiatria infantile d’oltre oceano: la sua prima tappa in Italia risale al 1991,
quando, ancora relativamente sconosciuta in Italia, venne invitata a partecipare al convegno
annuale sull’approccio relazionale della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile, sul tema
Il bambino borderline. Da allora ha onorato con le sue annuali visite l’Istituto Scientifico Stella
Maris di Pisa.
Lo scopo di I disturbi della personalità nei bambini e negli adolescenti è quello
di presentare prove crescenti e stringenti della presenza di disturbi di personalità nei
bambini e negli adolescenti in modo che possano essere piø rapidamente riconosciuti e
trattati.
A sostegno di questa nuova prospettiva, P. Kernberg e i suoi colleghi mostrano
prove presenti in letteratura e materiale tratto dalla propria attività clinica e di ricerca,
proponendo così una revisione dei metodi di valutazione dei tratti di personalità e dei
pattern comportamentali.
Tuttora il dibattito sull’esistenza o meno dei disturbi di personalità già
nell’infanzia è aperto, tuttavia sembra che il ritratto coerente di ciascun disturbo –
Istrionico, Evitante, Ossessivo-compulsivo, Borderline, Narcisistico, Antisociale,
Schizotipico, Paranoide – nei bambini e negli adolescenti, tratteggiato da P. Kernberg e
colleghi, metta fine al dibattito in corso. Ritengono, infatti, che i DP nel bambino, così
come nell’adulto, siano identificabili in modo affidabile, che si correlino con altri
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disturbi sull’Asse I e sull’Asse II e mostrino il pattern di persistenza che rende il loro
impatto pervasivo e grave.
Questo è ciò che si cercherà di analizzare nel corso di tale trattazione.
Innanzitutto l’idea di base di P. Kernberg e colleghi è che ciascun disturbo
psichiatrico rappresenti il punto finale di un complicato percorso biopsicosociale (Paris,
1996; vedi Riquadro 2) e che è compito del clinico, al fine di pianificare un trattamento
efficace, prendere in esame le componenti biologiche, psicologiche e sociali dei disturbi
mentali, considerando le loro interazioni. Nel lavoro di P. Kernberg e colleghi, la
classificazione di riferimento è quella del DSM-IV.
Riquadro 2. Modello bio-psico-sociale di Joel Paris
Paris (1996; 2003), nel suo modello bio-psico-sociale, sostiene che i tratti di personalità sono
un’amalgama di temperamento ed esperienza e che i disturbi di personalità sono esiti
disfunzionali che si presentano quando tali tratti sono amplificati e utilizzati con modalità rigide
e disadattive. Nello specifico, i fattori biologici modellano le differenze individuali nei tratti di
personalità e determinano la specifica forma che prenderà la patologia della personalità
Il modello interpretativo che Paris utilizza è la teoria diatesi-stress: la diatesi è ciò che
determina il tipo di patologia che il paziente svilupperà, mentre lo stress, o meglio, i fattori
stressanti, sono ciò che attiveranno questo potenziale. Secondo Paris, i fattori di rischio
biologici (come l’impulsività, l’instabilità affettiva…) rappresentano la diatesi per i DP. Da soli,
infatti, non spiegano la loro eziologia: è necessario che con essi si combinino dei fattori
precipitanti di tipo psicologico (come ad esempio le esperienze di perdita, l’abuso…) e di tipo
sociale (ad esempio la disgregazione sociale). Quindi, sia i fattori genetico-temperamentali, sia
quelli psicosociali sono condizioni necessarie, ma non sufficienti da sole, per lo sviluppo dei
DP, è infatti necessaria una combinazione di rischi. Gli effetti cumulativi di piø fattori di rischio
saranno determinanti per lo sviluppo di una patologia. Gli effetti delle avversità psicosociali
saranno piø forti in individui piø predisposti per temperamento ad una psicopatologia. Infine,
l’emergere di uno specifico disturbo dipende dal profilo temperamentale tipico di un individuo.
Paris, in linea con P. Kernberg e colleghi, parlerà anche di antecedenti infantili dei disturbi di
personalità. Come scriverà nel 2003 in un testo dedicato al loro decorso, un esordio precoce
probabilmente tende a riflettere un temperamento fuori dalla norma. Il Disturbo Antisociale di
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Personalità è un buon esempio: anche prima dei tre anni, i disturbi comportamentali sono
predittivi di un suo sviluppo in età adulta. Tuttavia, lo sviluppo dei sintomi del Disturbo della
Condotta nell’infanzia è chiaramente in relazione con patologie familiari.
Muratori (2001), in P. Kernberg (2000), si è occupato dell’introduzione italiana
a Personality Disorders in Children and Adolescents, dove ha sostenuto che l’Asse II
del DSM-IV non è di grande aiuto a chi vuole intraprendere lo studio dei disturbi di
personalità nei bambini e negli adolescenti, in quanto in tale sistema la diagnosi di
disturbo di personalità può essere fatta solo dopo il diciottesimo anno di vita e non viene
suggerito alcun criterio legato allo sviluppo per poter orientare la diagnosi, come ad
esempio viene fatto per alcune sindromi dell’Asse I. Muratori ritiene che sia paradossale
non potere fare diagnosi di DP prima della maggiore età, come se per questa area della
psicopatologia, a differenza di quanto emerge sempre piø dalla letteratura, esistesse una
grande discontinuità psicopatologica. P. Kernberg (2000), infatti, sostiene sia la
continuità psicopatologica nell’area dei disturbi di personalità – una continuità che non
riguarda solo il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ma anche il passaggio
dall’infanzia alla fanciullezza e all’adolescenza, il cui caso piø noto è rappresentato dal
Disturbo Antisociale di Personalità, preceduto dal Disturbo della Condotta – sia la
continuità psicopatologica tra i disturbi dell’Asse I e i disturbi dell’Asse II. Infatti,
bambini con disturbi dell’Asse I tendono piø facilmente a sviluppare un disturbo
dell’Asse II in adolescenza e ciò è particolarmente vero quando c’è una comorbilità, in
quanto ogni seconda diagnosi di Asse I in età infantile raddoppia la possibilità di un
disturbo di Asse II successivamente. La gamma di disturbi di Asse I ad insorgenza
infantile che sono connessi a disturbi della personalità nell’età adulta è ampia: Disturbi
della Condotta, Disturbi d’Ansia, Disturbi Oppositivi, Disturbi depressivi, Fobia
Sociale… (P. Kernberg et al., 2000).