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CAPITOLO I
LE SOCIETA’ SPORTIVE E LA LORO CRISI
SOMMARIO: 1.1. Dalla riforma del 1966 alla legge n. 91/1981. – 1.2. Legge 23 marzo 1981, n. 91: lo
sport professionistico. – 1.3. D.L. 26 settembre 1996, n. 485: il fine di lucro. La sentenza Bosman.
Conseguenze della pronuncia nell’ordinamento giuridico italiano. – 1.4. Il decreto “Salva-calcio”. – 1.5.
La crisi economica e le sue ragioni. Il fenomeno del “doping amministrativo”. – 1.6. La quotazione in
Borsa. – 1.7. Gli sviluppi in corso della normativa. Il rapporto tra la normativa settoriale e quella
ordinaria. – 1.8. L’insolvenza dell’impresa sportiva. Il titolo sportivo. – 1.9. (Segue). Il Lodo Petrucci. –
1.10. Il caso S.S.C. Napoli S.p.A. – 1.11. Il caso Monza Calcio S.p.A. – 1.12. I debiti tributari e la
transazione dei tributi iscritti a ruolo. D.L. 138/2002 (conv. in L. 178/2002) prima della riforma con il
D.LGS. 5/2006.
1.1. Dalla riforma del 1966 alla legge n. 91/1981
Come è noto, nel nostro ordinamento l’esercizio in forma collettiva
dell’attività sportiva a livello professionistico è riservato in via esclusiva
alle società per azioni e a responsabilità limitata costituite in osservanza
della legge 23 marzo 1981, n. 91 e successive modifiche
1
.
Il processo che ha condotto all’assetto attuale, il quale ha in questa
legge di natura speciale il suo fondamentale punto di riferimento, prende
avvio verso la metà degli anni Sessanta e, in particolare, alla fine del 1966
1
La legge n. 91/1981, recante “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, è stata
successivamente modificata dal D.L. n 485/1996 (“Disposizioni urgenti per le società sportive
professionistiche”), convertito con legge n. 586/1996; dal D.L. n. 282/2002, convertito con legge n.
27/2003 e dal D.lgs. n. 37/2004.
7
attraverso l’intervento, dettato essenzialmente da preoccupazioni di ordine
contabile, della Federazione Italiana Giuoco calcio (FIGC).
Fino ad allora, la forma giuridica generalmente adottata dai club
calcistici
2
era quella dell’associazione non riconosciuta
3
la quale, se da un
lato garantiva notevole flessibilità gestionale
4
, dall’altro favoriva una
condotta amministrativa poco rigorosa che determinava situazioni
finanziarie cronicamente deficitarie.
Infatti, i club così costituiti rispondevano alle esigenze di bilancio
stilando un rendiconto finanziario che riportava le entrate e le uscite
monetarie dell’esercizio, senza tenere in alcuna considerazione la
competenza economica dei costi sostenuti. In pratica, i sodalizi sportivi
erano gestiti “per cassa”: le uscite al netto dei ricavi da cessione di
giocatori e dei contributi costituivano il deficit, che veniva assunto dai
nuovi dirigenti al momento dell’acquisto dai precedenti proprietari.
Con questo sistema di rivelazioni, non si teneva affatto conto del
patrimonio sociale e tanto meno di quello costituito dai giocatori, al quale
non era attribuito alcun valore contabile, e soprattutto, in mancanza di
2
Facevano eccezione l’ SSC Napoli e il Torino SC che si erano costituite già in forma di S.p.A.
rispettivamente nel 1959 e nel 1964.
3
L’associazione non riconosciuta è disciplinata dagli artt. 36,37 e 38 c.c.
4
L’ordinamento essenziale delle associazioni non riconosciute, prive di personalità giuridica, era per
alcuni aspetti la soluzione ottimale per i club calcistici, in quanto potevano liberamente strutturarsi
secondo le loro esigenze per la definizione dei criteri e delle modalità di gestione dell’attività. In tale
fattispecie giuridica, gli associati, mediante l’apporto di beni e capitale, costituivano il cosiddetto “fondo
comune”, garanzia sociale verso terzi, in relazione al quale non potevano richiedere la divisione o la
quota di recesso finché l’associazione era attiva. A tutt’oggi, l’associazione non riconosciuta rappresenta
la tipologia organizzativa della maggioranza delle società dilettantistiche.
8
norme precise, i dati risultanti dalla contabilità finivano per avere “un
notevole grado di incertezza”
5
.
Le esigenze di far sì che i bilanci dei club rispondessero alle stringenti
regole dettate dal Codice civile per le società di capitali indussero, ad
esempio per le società di calcio, il Consiglio Federale della FIGC a
disporre, attraverso la delibera del 16 settembre 1966, lo scioglimento di
autorità di tutti gli organi direttivi delle associazioni di calcio
professionistiche e la nomina di un commissario straordinario con il
compito di provvedere alla liquidazione delle associazioni stesse e alla loro
contestuale ricostruzione nella forma di società per azioni o a responsabilità
limitata
6
.
Da un punto di vista giuridico, il provvedimento venne aspramente
criticato, fino ad essere dichiarato illegittimo tanto dalla Corte di
Cassazione
7
quanto dal Consiglio di Stato
8
, poiché determinava una lesione
di un diritto soggettivo. Infatti, lo scioglimento di un ente privato non
poteva essere imposto dalla FIGC, ma essendo una sanzione del tutto
eccezionale doveva trovare il suo fondamento in una specifica disposizione
di legge.
5
P.L. Marzola, L’industria del calcio, La Nuova Italia Scientifica, Roma, p. 106
6
Merita osservare che l’adozione della forma della S.p.A. o della S.r.l. da parte delle società sportive che,
come detto, consente l’applicazione di disposizioni sulla formazione e pubblicità del bilancio più rigorose
che in passato e un controllo più incisivo da parte delle autorità sportive competenti, venne posta tra le
condizioni essenziali per ottenere il mutuo sportivo e per la concessione di agevolazioni tributarie.
7
Cass., Sez. Un., sent. 14 marzo-29 giugno 1968, n. 2028.
8
Cons. Stato, Sez. IV, sent. 4 luglio 1969, n. 354.
9
Cionondimeno, questi impedimenti giuridici furono separati attraverso
l’adozione di una delibera di scioglimento autonoma delle Assemblee delle
“vecchie” associazioni e la successiva costituzione in società per azioni o a
responsabilità limitata da parte dei componenti degli organismi sciolti.
Pertanto, dall’annata 1966-67 divenne condizione operativa per l’iscrizione
al campionato l’ottenimento della personalità giuridica.
Tuttavia, nonostante la riforma federale del 1966, la situazione
economico-finanziaria per i club professionistici non migliorò nel corso
degli anni successivi
9
. Da qui apparve sempre più urgente la necessità di
procedere ad una revisione più globale del settore
10
, la quale trovò
attuazione con la citata legge n. 91/1981.
Tale legge, che in realtà disciplina tutte le attività sportive non solo
quelle calcistiche, oltre a recepire nella sostanza i principi già accolti nello
statuto tipo della FIGC del 16 settembre 1966, fissava in via principale una
serie di norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti.
9
Il 18 luglio 1977 l’allora presidente della Lega Calcio Antonio Griffi si dimise dopo che 20 società
professionistiche sulle 36 di A e B avevano sottoscritto un documento per la richiesta di un commissario,
all’interno della stessa Lega, in grado di far fronte ai gravissimi problemi del settore che presentava oltre
50 miliardi di deficit. Inoltre, nel 1980, i club italiani vennero salvati in extremis da un apposito
provvedimento, che permetteva di riscuotere l’IVA mai pagata (per un importo stimato attorno ai 150
miliardi di lire) sul trasferimento degli atleti dal 1974.
10
Nel 1981 uno studio commissionato dalla FIGC ad un gruppo di esperti, che analizzava i bilanci delle
36 società di Serie A e B dal 1972 al 1980, evidenziò risultanti poco confortanti, sottolineando l’urgenza
di interventi di carattere radicale e, in particolare, di un articolato piano di salvataggio finanziario.
10
1.2. Legge 23 marzo 1981, n. 91: lo sport professionistico
Le finalità cui mirava l’impostazione ai club della forma giuridica di
S.p.A., seppur anomala, non sono state conseguite in maniera
soddisfacente, poiché il disavanzo complessivo delle società calcistiche è
passato dai 18 miliardi del 1972 agli 86 del 1980. Per comprendere le varie
voci di costo, si provvedeva con le somme conferite da presidenti, dirigenti
ed enti locali ma soprattutto con le plusvalenze nette derivanti dalla
cessione del patrimonio calciatori
11
.
In tale contesto si colloca la legge 23 marzo 1981, n. 91 (Norme in
materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), con la quale il
legislatore
12
ha elaborato una serie di disposizioni che dovevano risolvere
definitivamente le difficoltà gestionali e di bilancio incontrate dai club
nell’esercizio della loro attività.
Si tratta comunque di un intervento legislativo di ampia portata con il
quale si disciplinano tutte le società sportive professionistiche e si
riconosce e si regolamenta giuridicamente e fiscalmente il lavoro sportivo e
dunque la figura dello sportivo professionista; in particolare, si abolisce il
11
Cfr. P.L. Marzola. Queste plusvalenze tuttavia erano spesso fittizie, in quanto le società potevano dar
luogo a scambi di giocatori senza alcun esborso di denaro attribuendo poi alla transazione un valore
maggiorato rispetto al reale; così facendo ciascun contraente provvedeva a registrare in contabilità le
rispettive plusvalenze, ma ciò causava il progressivo annacquamento economico del capitale. Ciò ad
ulteriore conferma del fatto che l’industria del calcio aveva mascherato le ricorrenti perdite di gestione
alterando annualmente il valore dei giocatori iscritti in bilancio.
12
Non si tratta dunque di una delibera della FIGC come nel 1966, ma di una vera e propria legge emanata
dal Parlamento.
11
“vincolo sportivo”, ovvero l’anacronistico istituto secondo il quale la
società sportiva era titolare del diritto di “utilizzazione esclusiva” delle
prestazioni di ogni suo giocatore
13
.
A seguito dell’emanazione di tale legge il modello della società per
azioni, originariamente adottato per le società calcistiche, diviene di uso
generale per tutta le società che vogliano avvalersi delle prestazioni di atleti
professionisti, consentendosi, anzi, un generale ricorso ai tipi delle società
di capitali (S.p.A. e S.r.l.) fermo restando soltanto il divieto di perseguire
scopi lucrativi.
Il modello organizzativo capitalistico diviene così di generale
applicazione nello sport professionistico, pur con riserve circa il se e in
quale misura l’attività così svolta debba essere assoggettata alla disciplina
dell’impresa commerciale. Il problema si poneva soprattutto in relazione al
possibile assoggettamento delle società al fallimento, problema peraltro
risolto in termini affermativi sul presupposto che il divieto di perseguire
uno scopo lucrativo non fosse sufficiente ad escludere l’economicità
richiesta dall’art. 2082 c.c. . L’orientamento prevalente conveniva, infatti,
che l’economicità sussista ogni qual volta si è in presenza non già di una
organizzazione autosufficiente e, quindi, di “un metodo capace da un lato
13
Cfr. G. Basile - G. Brunelli – G. Cazzullo. Da rimarcare che il “vincolo sportivo” attribuiva alla società
il diritto di utilizzazione esclusiva delle prestazioni di un atleta e il potere di impedire il trasferimento
richiesto dal giocatore ad altra società.
12
di remunerare il lavoro e il capitale esterno e, dall’altro, di non consumare,
anche se non di remunerare, il capitale proprio dell’imprenditore
14
. La
conclusione era nel senso che, anche per le società sportive organizzate ai
sensi dell’art. 10 legge n. 91, dovesse valere il principio di effettività, con
la conseguenza per cui ogni qual volta la società avesse svolto un’attività
d’impresa di spettacoli sportivi e, quindi un’attività commerciale, la stessa
fosse soggetta – come qualsiasi altro imprenditore commerciale – alla
relativa disciplina, rilevando a tal fine soltanto lo svolgimento dell’attività
con metodo economico e la riconducibilità della stessa, non importa se
avente natura secondaria rispetto a quella sportiva principale, nell’ambito
della produzione di beni e servizi. Il tabù dello scopo di lucro e della sua
incompatibilità con lo svolgimento delle attività sportive è stato
definitivamente superato nel D.L. 20 novembre 1996, n. 485 e sue
successive modificazioni ed integrazioni che si analizzeranno nel paragrafo
successivo.
Vediamo adesso come è strutturata la legge 91/1981 che risulta
suddivisa in 4 Capi di cui, qui di seguito, si evidenziano gli aspetti più
innovativi e significativi.
14
Marasà, Note in tema di fallimento delle società sportive, in Giur. Comm., 1986, con riferimento
all’assoggettabilità a fallimento di società calcistiche costituite nella forma di società di capitali.
13
Nel Capo primo, intestato allo sport professionistico, viene enunciata
la definizione di sportivo professionista all’art. 2: “Ai fini dell’applicazione
della legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori
tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a
titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline
regolamentate dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da
quella professionistica”
15
.
L’ individuazione dello sportivo professionista e quindi del lavoro
sportivo è particolarmente importante, poiché a tale fattispecie si sono
applicate le successive disposizioni giuridiche riguardanti la stipulazione, il
contenuto e la cessione del contratto (artt. 3, 4, 5 e 6), nonché una articolata
trama di interventi assicurativi ed assistenziali (artt. 7, 8 e 9).
E’ importante rilevare come lo strumento principe attraverso cui le
società sportive acquisiscono gli atleti è stato individuato nel contratto di
lavoro subordinato, mentre il contratto di lavoro autonomo è ammissibile
solamente in taluni casi specifici
16
. Si pone così chiarezza in un rapporto,
15
P. Verrucoli, Le società e le associazioni sportive alla luce della legge di riforma (L. 23 marzo 1981, n.
91), in Rivista di Diritto Commerciale, 1982: ritiene tuttavia che con questa legge si sia regolamentato
solo lo sport professionistico “… aveva da tempo l’esigenza di un riconoscimento legislativo, atto ad
inquadrare l’organizzazione ed a fornire strutture meno evanescenti di quelle proprie della mera
associazione di fatto”.
16
L’art. 3 della legge n. 91/1981 dichiara infatti: “La prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce
oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa
costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti
requisiti:
a) L’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni
tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
14
quello sportivo, per il quale si individuano due opposte tendenze di
pensiero: una che, con varie argomentazioni, riconduceva l’attività sportiva
al rapporto di lavoro subordinato o autonomo; una seconda che portava
invece a collegare il lavoro dello sportivo a fenomeni particolari, non
riconducibili a qualificazioni tipiche e a discipline di diritto comune
17
.
Nel Capo secondo, “società sportive e federazioni sportive nazionali”,
il primo aspetto rilevante riguarda la forma sociale
18
prescelta, che non è
più solo quella della società per azioni ma che può essere, alternativamente,
quella della società a responsabilità limitata (S.r.l.)
19
.
Il secondo aspetto importante che occorre analizzare è quello della
stretta interrelazione introdotta dalla legge fra il sistema di controlli
devoluto all’autorità giudiziaria dello Stato e quello di competenza
dell’autorità sportiva. L’effetto pratico di maggior rilievo è stato quello del
reciproco condizionamento fra i due diversi livelli di controllo, talché il
mancato superamento di uno di essi agisce direttamente anche sul piano
b) L’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di
preparazione od allenamento;
c) La prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore
settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni in un anno”.
17
C. Macrì, Problemi della nuova disciplina dello sport professionistico, in Rivista di Diritto Civile
Bianchi D’Urso, Lavoro sportivo e ordinamento giuridico dello Stato: calciatori professionisti e
società sportive.
18
La legge n. 91/1981 ha chiaramente configurato la società sportiva come società di capitali, sia pure di
diritto speciale, nel senso che ad essa è applicata una particolare regolamentazione giuridica, facendo
tacere definitivamente coloro che ritenevano che dietro la formula legislativa si mascherasse una vera e
propria associazione.
19
Art. 10, 1° comma, legge 23 marzo 1981: “Possono stipulare contratti con atleti professionisti solo le
società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata”. La
società a responsabilità limitata è regolamentata giuridicamente nel Capo VII del Libro V del codice
civile.
15
dell’ordinamento parallelo. La fase in cui il fenomeno descritto si evidenzia
maggiormente è quella della costituzione della società; infatti, senza
l’affiliazione alla federazione sportiva nazionale riconosciuta dal CONI, la
compagine sportiva non può essere omologata dal tribunale
20
; inoltre, senza
omologazione del tribunale l’affiliazione è priva di efficacia ed alla società
è inibito di svolgere l’attività sportiva
21
.
All’art. 17 della legge n. 91/1981, 1° comma, si sottolinea che le
società in esame “… devono adeguare il loro ordinamento alle norme della
presente legge entro un anno dall’entrata in vigore della legge stessa”; tale
prescrizione legislativa ha riguardato anche i sodalizi sportivi già costituiti
in forma di società di capitali, se ed in quanto la relativa disciplina
statutaria non fosse conforme in tutto o in parte con quella legislativa
22
.
Il mancato adeguamento nei termini e secondo le modalità di legge
avrebbe poi portato all’impossibilità di redigere contratti di lavoro con
atleti professionisti
23
, e quindi alla nullità degli eventuali contratti
ugualmente stipulati, con la possibilità di incorrere anche in sanzioni quali
l’esclusione del sodalizio sportivo dal settore professionistico e il
20
Art. 10, 3° comma, legge in esame: “Prima di procedere al deposito dell’atto costitutivo, a norma
dell’art. 2330 c.c., la società deve ottenere l’affiliazione da una o da più federazioni sportive nazionali
riconosciute dal CONI”.
21
“La revoca dell’affiliazione determina l’inibizione dello svolgimento dell’attività sportiva.”, art. 10,6°
comma. Ulteriori problemi giuridici sono legati al controllo e alla liquidazione della società sportiva,
creando difficoltà di coordinamento rispetto alla normativa giuridica prevista per le società di capitali in
genere. C. Macrì, op. cit. .
22
P. Verrucoli, op. cit.
23
Cfr. art. 10, 1° comma, legge n. 91/1981
16
conseguente declassamento nel settore dilettantistico oppure la più drastica
revoca dell’affiliazione, con relativa inibizione allo svolgimento
dell’attività sportiva
24
.
Nel Capo terzo, recante le disposizioni di carattere tributario, all’art.
15 vengono regolamentati i riflessi fiscali del lavoro sportivo, riguardanti
sia l’atleta professionista sia la società che ha stipulato regolare contratto.
In particolare, si afferma che “l’indennità prevista dal 7° comma dell’
art. 4 della presente legge è soggetta a tassazione separata” e che si ha
l’imposta sul valore aggiunto per “le cessioni dei contratti previsti
dall’articolo 5 della presente legge”. Inoltre, “per l’attività relativa a tali
operazioni le società sportive debbono osservare le disposizioni del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni ed integrazioni”.
Nel Capo successivo, vengono riportate le disposizioni transitorie e
finali. Grande rilevanza assume l’art 16
25
, con il quale è stato eliminato il
vincolo sportivo, che può essere definito come il diritto che spettava ad un
ente sportivo di avvalersi in modo esclusivo delle prestazioni di un
24
Si vedano il 7° e 8° comma dell’art. 10 della legge in questione.
25
Art. 16, legge n. 91/1981: “Le limitazioni alla libertà contrattuale dell’atleta professionista, individuate
come «vincolo sportivo» nel vigente ordinamento sportivo, saranno gradualmente eliminate entro cinque
anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, secondo modalità e parametri stabiliti dalle
federazioni sportive nazionali e approvati dal CONI, in relazione all’età degli atleti, alla durata ed al
contenuto patrimoniale del rapporto con le società”.
17
calciatore, nonché il potere di precludere all’atleta la prestazione della
propria opera a favore di altra società.
Oltre agli aspetti innovativi su esposti la legge nega espressamente a
tutte le società sportive professionistiche una finalità di lucro soggettivo,
allargando dunque quell’orientamento evidenziato dalla riforma federale
del 1966 relativamente alle sole compagini calcistiche.
A conferma dei principi contenuti nella delibera della federazione,
s’imponeva nell’art. 10, 1° comma, della legge n. 91/1981 la forma
capitalistica (segnatamente quella di società per azioni o di società a
responsabilità limitata) per l’esercizio dell’attività sportiva nel settore
professionistico e si disponeva nel comma successivo che l’atto costitutivo
prevedesse che gli utili fossero “interamente reinvestiti nella società per il
perseguimento esclusivo dell’attività sportiva”.
Le vesti societarie imposte a tali enti sportivi pongono i loro
amministratori su di un piano di perfetta parità rispetto agli organi di
vertice di qualsiasi altra società commerciale, per quanto attiene ai doveri
giuridici e alle correlative responsabilità.
Così operando, il legislatore attribuiva per la prima volta un valore
giuridico ai notevoli caratteri di specialità dei sodalizi sportivi
(consentendo la possibilità di perseguire utili – lucro oggettivo – ma
18
negando quella di distribuirli tra i propri soci – lucro soggettivo
26
) e sanciva
una deviazione rilevante dal modello societario codicistico.
Ed è proprio questa scissione tra reddito dell’impresa – riconosciuto –
e dividendo all’imprenditore – non riconosciuto – che è stata indicata,
successivamente all’entrata in vigore della legge in esame, come il fattore
principale dell’incapacità della società sportiva di produrre stabilmente
risultati positivi. L’assenza della finalità lucrativa soggettiva ha, secondo
un’opinione diffusa, agito negativamente sulla managerialità di gestione
delle società sportive
27
e la dottrina
28
ha sottolineato come si sia persa
l’occasione, in questa legge, per dare spazio alle intenzioni lucrative di chi
apporta il necessario capitale di rischio.
Lo studio della crisi dell’impresa sportiva è stata anche affrontata da
un punto di vista aziendalistico, confermando come l’impossibilità di
remunerare il capitale investito sia la causa principale degli effetti negativi
della gestione aziendale: la previsione, anche se limitata, di una
26
Fino alla legge n. 91/1981, l’adozione della forma capitalistica e la destinazione degli utili al
potenziamento dell’attività sportiva trovavano fondamento di fatto in un’ autolimitazione che ciascun
club si imponeva. Cfr. L.A. Bianchi, D. Corrado
27
G. Volpe Putzolu : “E’ nel perseguimento di finalità extraeconomiche che si annida il pericolo di una
degenerazione dello strumento societario. Il fine extraeconomico tende infatti a reagire negativamente
sulla economicità della gestione…”.
28
Si veda G. Marasà in Società sportive e società di diritto speciale, in Rivista delle Società, 1982 che
afferma che: “se c’è un ordinamento nel quale i movimenti economici imperano sovrani, questo è proprio
l’ordinamento dello sport professionistico ed, in particolare, del calcio: a fine di lucro viene prestata
l’opera degli atleti, notevoli investimenti in pubblicità effettuano le industrie attraverso le cd.
sponsorizzazioni. In questo contesto appare davvero farisaico il tentativo di avallare un’immagine del
finanziatore dell’attività, cioè dell’azionista delle società sportive, assai simile a quelle di un mecenate,
interessato solo ai successi della propria squadra e del tutto alieno da interessi economici”.
19
remunerazione del capitale investito avrebbe attivato naturalmente un
meccanismo di autocontrollo con effetti benefici sull’attività esercitata
29
.
Proprio per limitare il pericolo di insolvenza, la legge sottopone le
società sportive ai pesantissimi controlli da parte delle federazioni, che si
vanno ad aggiungere ai controlli previsti per tutte le società di capitali.
I controlli federali, che sono di merito e preventivi, finiscono col
vanificare l’autonomia che il codice riserva alle società di capitali e
alterano il ruolo che i singoli organi societari ricoprono nella gestione della
società. In particolare, viene di fatto vanificato il compito del collegio
sindacale che è l’organo preposto alla tutela della regolarità degli atti
compiuti dagli amministratori.
Inoltre, lo sport professionistico necessità di notevoli mezzi
economici, di una efficiente organizzazione e di una amministrazione a
carattere manageriale, sicché sembra ingenuo ed utopistico ritenere che i
soci dei sodalizi sportivi, ed in particolare quelli che rivestono incarichi di
preminenza e responsabilità negli organi direttivi ed amministrativi, siano
indotti a limitare i propri impegni professionali ed a rischiare ingenti
capitali sulla base della sola visione “ideale” dell’attività sportiva
30
.
29
Cfr. G. Catturi, La contabilizzazione dell’indennità di preparazione e promozione di calcio, in Rivista
Italiana di Ragioneria ed Economia Aziendale, Rirea, 1984.
30
G. Vidiri, Le società sportive: natura e disciplina, in Giurisprudenza Italiana, 1987.
20
Ma allora, perché si investiva ugualmente e in modo imponente nelle
società sportive e specificamente in quelle calcistiche?
31
Il motivo fondamentale, si ritiene, stava nel fatto che la gestione
dell’impresa sportiva, sia a livello nazionale che a livello locale, potesse
essere uno straordinario veicolo pubblicitario per l’imprenditore e la sua
azienda; il perseguimento dei risultati sportivi non diventava quindi
l’obiettivo finale ma semplicemente lo strumento per il conseguimento di
profitti in via mediata e indiretta
32
: sfruttando i successi e le affermazioni
sportive come “cassa di risonanza” per l’attività imprenditoriale svolta, gli
imprenditori costituivano vantaggi competitivi per le proprie imprese.
In ogni caso, il principale merito della legge n. 91/1981 è
rappresentato dal fatto che essa costituisce un primo tentativo di
regolamentazione legislativa del mondo sportivo e, quindi, un sicuro punto
di riferimento per una ristrutturazione più organica ed omogenea del
settore.
In realtà, come già accennato, essa è un provvedimento settoriale: è
una legge fatta su misura per il calcio, che non giova alle altre discipline
del settore professionistico cui pure intende rivolgersi.
31
C. Fois, Legge 23 marzo 1981, n. 91, in Nuove leggi civili commentate, 1982, afferma che non solo non
si può affermare la redditività del capitale investito nelle imprese sportive “ma si deve addirittura parlare
di perdita continua, in quanto il capitale versato è, per i soci, fin dall’origine improduttivo di interessi”.
Inoltre, G. Marasà, op. cit., afferma come rimanga “per gli azionisti delle società calcistiche una sola via
per consentire guadagni economici diretti: quella della plusvalenza realizzabile attraverso la cessione
della partecipazione”.
32
Cfr. G. De Vita, Il bilancio di esercizio nelle società di calcio professionistiche.