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INTRODUZIONE
Nata dalle ceneri dell‟antico impero Ottomano la Turchia ha sempre
rappresentato per l‟occidente la porta di un mondo con cui è storicamente e
culturalmente in contrasto, il mondo musulmano.
La particolare posizione geografica e le scelte effettuate dai propri governi
hanno fatto poi della Repubblica turca, durante i decenni della guerra fredda, una
sorta di avamposto occidentale sulla potenza sovietica e sull‟area mediorientale.
Un ruolo strategico di primo piano che, giocoforza, è venuto a mancare con la
caduta del muro di Berlino.
Per la Turchia, come per il mondo intero, la fine del regime comunista ha aperto
una nuova epoca, sia per quanto riguarda la politica interna che quella estera.
La svolta è rappresentata dall‟approdo alle redini del governo del partito
islamico moderato Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi – Partito per la Giustizia e
lo Sviluppo) e del suo leader Recep Taypp Erdogan.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali il nuovo partito di governo,
mettendo in atto la cosiddetta dottrina di “profondità strategica”, ha
rivoluzionato quelle che erano scelte “dogmatiche” della Repubblica turca fin
dal principio della sua storia.
Così oggi tra un difficile processo di entrata nella Ue ed una riapertura
sostanziale dei rapporti con i paesi dell‟area mediorientale, senza dimenticare la
particolare posizione geografica che la rendono un crocevia fondamentale per
politica energetica occidentale, la Turchia torna a rivestire una notevole
importanza strategica negli equilibri tra oriente, occidente e gli stati situati a est
del sistema internazionale.
Alla luce di quanto sopra affermato il presente lavoro si propone di analizzare la
storia della Repubblica turca dal punto di vista delle sue relazioni con l‟est,
rappresentato in primis dalla “storicamente minacciosa” Russia e parte dell‟area
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mediorientale, e con l‟ovest, quegli stati europei e poi anche gli Usa, con cui vi è
sempre stato rapporto oscillante tra la fiducia e la diffidenza.
L‟obiettivo finale è quello di valutare le possibili opzioni strategiche future della
Turchia, esaminandone la storia e le evoluzioni socio-politiche che hanno
caratterizzato il paese nell‟ultimo secolo, interpretando il presente e il futuro,
alla luce di un passato che l‟ha vista sorgere, dopo la prima guerra mondiale,
come unico stato indipendente dell‟area musulmana.
La parte iniziale del lavoro analizzerà le tappe fondamentali di questa sorta di
“dualismo turco”, da un punto di vista storico, ripercorrendo gli eventi salienti
che hanno caratterizzato i rapporti della Turchia con l‟occidente e gli stati a sud
ed est dell‟area, dualismo che non interessa soltanto la categoria geopolitica di
est-oriente e occidente, ma si riflette anche negli aspetti sociali di una Turchia
spesso in bilico tra secolarizzazione e modernizzazione da un lato e ritorno al
rigore della tradizione religiosa dall‟altro.
In particolare, nel primo capitolo verranno descritte le principali evoluzioni della
storia turca dalla fine dell‟impero ottomano fino alla formazione della nuova
Repubblica, con una attenzione particolare alle tanzimat, le riforme che segnano
un primo e, per alcuni versi, difficoltoso passaggio verso una certa concezione di
“modernità”.
Questo passaggio sarà reso ancora più evidente nel secondo capitolo, incentrato
sulla politica kemalista e sulla nuova idea di stato moderno che caratterizzerà la
Turchia fino alla caduta del muro di Berlino.
L‟analisi di queste storiche riforme fungerà da base per una valutazione degli
eventi recenti che vedono la Turchia ancora contesa tra una politica filo-
occidentale, la cui massima espressione può essere rappresentata dai tentativi di
ingresso nell‟Unione Europea, e un riavvicinamento alla tradizione islamica e
agli Stati del Medio Oriente.
In particolare, il terzo capitolo propone un‟analisi del successo riscosso da
Erdogan e il suo partito Akp, con un approfondimento sul nuovo corso della
politica turca che vede nella cosiddetta dottrina della “profondità strategica” il
nuovo disegno politico con cui il governo intende approcciarsi agli stati del
sistema internazionale, una strategia in cui la Turchia sembra di nuovo essere in
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bilico tra est, oriente e occidente, questa volta, però, con una maggiore
consapevolezza del proprio ruolo nel sistema globale.
Questa nuova posizione strategica della Turchia si palesa, oggi, anche nella
cosiddetta questione energetica, che sarà oggetto del quarto capitolo e che
rappresenta uno dei temi che più faranno da “ago della bilancia” per la
disposizione della Turchia nei confronti del sistema internazionale.
Le conclusioni cercano, infine, di proporre alcune considerazioni sulle possibili
prospettive future della Repubblica turca, anche alla luce del referendum del
Settembre 2010, che ha ulteriormente rafforzato la posizione di Erdogan.
In un‟epoca dominata dalla globalizzazione, che rende tutti vicini e
interdipendenti, la Turchia si affaccia al nuovo millennio con la consapevolezza
di poter tornare ad essere il baricentro di un‟area dalle cui sorti dipende il
destino dell‟intera comunità internazionale, rappresentando una “terra di mezzo”
tra oriente e occidente.
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CAPITOLO 1
La fine dell’impero ottomano e la rivoluzione kemalista
1.1 La crisi dell‟impero ottomano e le tanzimat
Le dimensioni attuali della Repubblica turca rappresentano solamente una parte
di quello che nei secoli scorsi, specialmente nel XV sec., era conosciuto come
uno degli imperi più vasti della storia dell‟area mediterranea: l‟impero
Ottomano.
Esso fu fondato all‟inizio del XIV sec, quando, con Osman I, gli ottomani
iniziano la loro espansione dall‟Asia centrale nelle terre di un altro impero in
decadenza, l‟impero Romano d‟Oriente, che capitolerà definitivamente nel 1453
con la presa di Costantinopoli (poi rinominata Istanbul) da parte del sultano
Mehmet II (detto infatti il conquistatore)
1
.
Al suo apogeo, l‟impero ottomano estendeva le sue terre in tutte le coste sud e
orientali del Mediterraneo, dai Balcani al Nord Africa passando per tutto il
Medio Oriente fino alle coste del mar Caspio, con una forte influenza anche in
Persia, l‟attuale Iran
2
.
Un impero di dimensioni enormi, al cui interno convivevano una miriade di etnie
e lingue diverse e dove era la religione islamica a fungere da collante; infatti,
come nei precedenti imperi islamici, anche in quello ottomano il sultano
(l‟imperatore) aveva anche il titolo di califfo, cioè capo religioso.
Vi era però all‟interno dell‟impero una certa tolleranza per le popolazioni che al
suo interno praticavano una religione diversa (cristiani, ebrei); all‟atto pratico
questa veniva realizzata attraverso il sistema dei Millet, cioè comunità autonome
1
Si veda sul tema gli approfondimenti riportati in The Ottomans, Url: www.theottomans.org, verificato il
18/08/2010
2
I. M. Lapidus, I popoli musulmani, vol. III, Einaudi, Torino, 2000.
- 8 -
che pagavano una tassa speciale, la dhimma, e a cui venivano riconosciuti propri
diritti e una certa autonomia di organizzazione
3
.
Nel corso dei secoli però l‟impero ottomano, specie in campo economico, venne
sempre più a dipendere dagli stati occidentali che stavano divenendo potenze
coloniali e anche al suo interno l‟establishment imperiale stava perdendo la
propria autorità, specie nei confronti delle zone periferiche dell‟impero.
Così mentre gli ottomani “lottavano per riformare lo stato e la società, l‟impero
veniva lentamente smembrato. Le potenze europee avevano consolidato i loro
vantaggi militari, economici e tecnologici […] La sopravvivenza degli Ottomani
venne a dipendere sempre di più dagli equilibri di potere che prevalevano in
Europa”
4
.
All‟inizio del Novecento l‟impero ottomano era andato perdendo una buona
parte dei possedimenti lungo le coste africane a favore di francesi (Algeria,
Tunisia) e inglesi (Egitto)
5
, inoltre il Congresso di Berlino (1878) aveva sancito
ufficialmente la perdita di molti territori balcanici.
Alcuni, come Serbia, Montenegro e Romania, acquistarono l‟indipendenza, la
Bulgaria divenne una regione autonoma mentre la Bosnia Erzegovina passò
sotto tutela dell‟Austria, Cipro divenne possedimento inglese e la Russia ottenne
alcuni territori in Asia Minore e sul Mar Nero
6
.
Il Congresso di Berlino rappresentava la naturale conseguenza di un percorso già
avviato tra la seconda metà del XVI e la fine del XVII secolo, che mise l‟impero
ottomano al centro delle mire e degli interessi delle potenze circostanti:
“Venezia che vuole riconquistare le posizioni perdute in Grecia e in Egeo;
l‟Austria che per difendersi (dallo stesso impero ottomano) mira alla conquista
dell‟Ungheria; la Russia che con Pietro il Grande ha concepito un grande piano
politico-strategico per l‟acquisizione di sbocchi sui cosiddetti mari caldi; la
3
L’autonomia riconosciuta alle minoranze religiose si estendeva anche ai rapporti di diritto pubblico e
privato, come ad esempio il diritto della famiglia, l’organizzazione della giustizia e l’istruzione. Il tema è
approfondito in varie fonti tra le quali: R. Bottoni, “Secolarizzazione e modernizzazione nell’impero
ottomano e nella Repubblica di Turchia: alle origini del principio di laicità”, Rivista di studi politici
internazionali, n.294, 2/2007; A. Biagini, Storia della Turchia contemporanea, Bompiani, Milano, 2002; I.
M. Lapidus, I popoli musulmani, op. cit.; E. De Leone, L’impero ottomano nel primo periodo delle riforme
secondo le fonti italiane, A. Giuffre, Milano, 1967.
4
Cfr. I. M. Lapidus, I popoli musulmani, op. cit., p. 49
5
R. Owen, Stato,potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno, Il Ponte, Bologna, 2005.
6
A. Biagini, Storia della Turchia contemporanea, op. cit.
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Gran Bretagna che vuole assicurarsi le vie e gli sbocchi dei propri commerci nei
mari d‟Oriente; la Francia che vuole recuperare, come guida della cristianità, il
proprio ruolo politico in Levante”
7
.
L‟impero ottomano divenne così il “malato d‟Europa” la cui esistenza si
manteneva più per decisioni di natura politico-strategica esterne a se stesso che
per una sua volontà.
Questo sentimento di declino era comunque percepito all‟interno della classe
dirigente, che cercò così di attuare una radicale trasformazione dello stato tanto
che si può definire l‟Ottocento ottomano come il secolo delle riforme.
Queste presero il nome di tanzimat (riorganizzazione) e vennero messe in atto
dal 1839 con l‟ascesa al potere del sultano Abdulmecit.
In realtà già i due sultani che si erano succeduti in precedenza, Selim III e
Mahmud II, dal 1793 avevano iniziato un processo di riforma militare,
amministrativa e scolastica, ma queste avevano incontrato una dura opposizione
nella parte più conservatrice della società ottomana rappresentata dagli ulama
8
e
da quello stesso corpo dei giannizzeri che per secoli era stato il simbolo della
potenza dell‟esercito ottomano.
Proprio questa opposizione aveva portato alla deposizione di Selim III nel 1807;
il suo programma, però, venne ripreso in maniera ancora più radicale dal suo
successore, Mahmud II, che decise di sterminare il corpo dei giannizzeri al fine
di rimuovere gli ostacoli verso un cambiamento di natura occidentalizzante
dell‟impero
9
.
Se tutte le componenti dell‟establishment ottomano avevano infatti recepito il
bisogno di cambiamento, era la natura di questo cambiamento che suscitava
posizioni fortemente divergenti.
Da una parte i restauratori, come gli ulama, propendevano per il ritorno ad un
sistema in cui la religione musulmana fosse al centro di ogni legge e decisione,
contro ogni influenza europea, mentre al contrario i modernisti spingevano per
una adesione alla concezione europea di stato moderno, attuando riforme quindi
7
Ibidem, p. 16.
8
Gli ulama rappresentavano gli interpreti della legge religiosa, I. M. Lapidus, I popoli musulmani, op. cit.,
p. 28.
9
I. M. Lapidus, I popoli musulmani, op. cit., p. 55; A. Biagini, Storia della Turchia contemporanea, op. cit.,
p. 23; M. Campanini, Storia del Medio Oriente 1798-2005, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 25.
- 10 -
anche in campo civile, economico, pedagogico oltre che amministrativo e
militare
10
.
Il tema delle riforme adottate nel corso del XIX secolo dall‟impero ottomano si
inserisce nella macroquestione dell‟impatto che l‟Europa ha avuto in tutta l‟area
musulmana.
Come afferma Sergio Romano “la grande invasione del nord [potenze
occidentali] suscita [ … ] due movimenti di segno opposto, destinati a segnare
per molti decenni la storia del mondo islamico. [ … ] Buona parte della storia
del Mediterraneo Orientale e più generalmente del mondo islamico si consuma [
… ] all‟interno di questi due poli antagonistici: la modernizzazione occidentale
e il ritorno al rigore della tradizione religiosa. Né i modernizzatori laici né i
tradizionalisti tuttavia sono disposti a tollerare l‟egemonia dell‟Europa sulle
loro terre”
11
.
Questa opposizione ci porta al punto centrale della questione tanzimat e cioè
sottolineare come il concetto di modernità, nato e sviluppatosi in Europa, sia
stato poi recepito nell‟area mediorientale, senza dimenticare che il problema di
tale “recezione” si è riproposto in tutte le zone dove gli europei hanno esportato
la loro cultura attraverso la colonizzazione.
La modernità occidentale è frutto di un processo secolare proveniente dal basso,
dalla sua stessa società, scandito nel suo percorso da tappe fondamentali come la
rivoluzione industriale, l‟avvio di un sistema capitalistico, la rivoluzione
francese, l‟affermazione del diritto: tutti fatti storici che hanno favorito il
passaggio da un sistema feudale allo stato moderno e che hanno portato alla
formazione di un sistema di valori che era proprio e specifico delle società
occidentali, tanto che, secondo alcuni osservatori le tanzimat altro non sono state
che “un magazzino di tecniche e istituzioni vincenti [ … ] imitato male”
12
.
L‟espansione coloniale degli stati europei, frutto di un‟incontrovertibile
superiorità tecnica, militare ed economica, ha portato il concetto di modernità
fuori dai suoi confini naturali e lo ha imposto dall‟alto in aree, come quella
10
I. M. Lapidus, I popoli musulmani, op. cit., p. 54.
11
Cfr. Prefazione di Sergio Romano in V. Fiorani Piacentini, Turchia e Mediterraneo allargato. Democrazia
e Democrazie, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 10 - 11
12
Cfr. M. G. Melchionni , “Le relazioni trans mediterranee nel tempo presente”, Url: www.ojs.uniroma1.it,
verificato il 25/09/2010.
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islamica, dove la società era basata su valori totalmente estranei a quelli
dell‟occidente.
Il lavoro di Campanini evidenzia la reazione che i popoli mediorientali ebbero a
contatto con la modernità, frutto della cultura europea, essi infatti “si sono
trovati di fronte a un dilemma acuto e difficile: soccombere alla superiorità
tecnologica e scientifica europea; adeguarsi ad essa al prezzo di abbandonare
le proprie tradizioni di civiltà [ … ]; cercare una terza via in cui l‟Islam e
l‟antica civiltà mediorientale trovassero un modo di convivere e di interagire
con la civiltà europea e, soprattutto, di esplorare nuovi modi originali di
declinarsi e di riconoscersi”
13
.
La politica di riforma avviata da Selim III, ripresa con più forza da Mahmud II e
sfociata poi nei decenni centrali dell‟Ottocento nell‟applicazione delle tanzimat
si rifà propriamente a quella che Campanini chiama “terza via”
14
, nella misura in
cui l‟obiettivo di rendere l‟impero ottomano uno stato moderno e centralizzato
venne perseguito attraverso caratteristiche proprie che non cancellassero
totalmente l‟ideale di appartenenza alla religione islamica.
Si inaugurò insomma un profondo processo di riforma i cui effetti saranno ben
evidenti anche nel secolo successivo, durante la formazione della Repubblica
turca.
Il 1839 è l‟anno in cui il sultano Abdulmecit avvia ufficialmente il periodo delle
tanzimat e la riorganizzazione dell‟impero spaziò in tutti i settori della società,
dall‟economia al settore amministrativo, dal settore militare a quello scolastico
fino a quello giudiziario, dove veniva proclamata l‟uguaglianza di tutti i cittadini
senza distinzione di religione
15
.
13
Cfr. M. Campanini, Storia del Medio Oriente 1798-2005, op. cit., pp. 22 - 23
14
Ibidem
15
In campo economico venne attuata l’abolizione di monopoli, l’abbassamento dei dazi doganali per
favorire il commercio internazionale, la costruzione di fabbriche e di un moderno sistema postale e
telegrafico. Dal punto di vista giuridico vennero adottati vari codici di ispirazione occidentale con l’intento
di integrarli alla legge Islamica, la shari’a. Nel 1840 venne adottato il primo codice penale sostituito nel
1858 da un codice redatto sul modello francese, nello stesso anno venne sancita la proprietà privata della
terra. Venne poi pubblicato un codice civile e istituiti tribunali per un sistema giudiziario che, pur tenendo
conto della shari’a, erano di natura statale e non religiosa. Nel settore scolastico si adottò un nuovo
sistema propedeutico ad un istruzione tecnica superiore, in modo da creare una burocrazia in grado di far
funzionare le nuove strutture dello stato, mentre in quello militare l’esercito venne totalmente
riorganizzato così come il reclutamento, che divenne obbligatorio e attuato secondo modalità occidentali.
Per ulteriori informazioni riguardo le politiche adottate con le tanzimat: I. M. Lapidus, I popoli musulmani,
op. cit.; A. Biagini, Storia della Turchia contemporanea, op. cit.; R. Davison, Reform in the Ottoman Empire,
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In realtà, come osserva Serif Mardin, “prima delle tanzimat la forza del potere
centrale risiedeva nella sua diversità rispetto alle periferie [e alle minoranze
religiose], di cui riconosceva l‟autonomia”
16
, ora invece le riforme, affinché
entrassero in pieno regime, prevedevano un‟adesione sostanziale di tutti i sudditi
nei vari possedimenti dell‟impero, al fine di creare e far prendere coscienza di un
sentimento collettivo basato sull‟ottomanità; come sostenne Alì Paşa, uno dei
padri delle tanzimat, “per questo stato è necessaria una nazione”
17
.
Di ispirazione liberale, sulla scia degli ordinamenti europei, le tanzimat non
penetrarono in maniera sostanziale nella società, anzi questa apertura profonda
all‟occidente, soprattutto in campo economico, provocò una dipendenza ancora
maggiore dalle potenze europee, che ne approfittarono per stimolare la crescita
di focolai nazionalistici sia nei Balcani che nei vari territori arabi.
Su questo Bozarslan afferma che “allo scopo di imporre un‟amministrazione
diretta, ugualitaria e imparziale, le tanzimat cancellarono gli statuti
amministrativi locali, che costituivano il principale sistema di governance
ottomana. Così la nuova politica, invece di assicurare la centralizzazione, finì
per scatenare un processo di divisione senza precedenti nella storia dell‟impero
… invece di lasciarsi trasformare nelle componenti di una nazione ottomana, le
diverse comunità non musulmane si considerarono sempre di più delle nazioni
soffocate dalle tenebre asiatiche”
18
.
Altro risultato inaspettato della riorganizzazione statale fu il sorgere di una
nuova intellighenzia, di origine sia militare che civile, che iniziò a far sentire la
propria voce per una ulteriore riforma dell‟impero ed un suo radicamento nelle
masse, a partire dalla promulgazione di una carta costituzionale.
Una delle espressioni più interessanti delle nuove istanze socio-politiche del
popolo turco fu la creazione del partito dei Giovani Ottomani, di cui entrano a
far parte diversi elementi della società ottomana come militari, burocrati ed
Princeton University Press, Princeton, 1963; C. Imber, K. Kiyotaki, Frontiers of Ottoman Studies: State,
Province and West, I.B. Tauris, Londra, 2005; S. J. Shaw, History of Ottoman Empire and Modern Turkey,
Vol. 2, Cambridge, 1977; B. C. Collas, La Turchia nel 1864, Corona e Caimi Editori, Milano, 1865; R. Bottoni,
Secolarizzazione e modernizzazione nell’impero ottomano e nella Repubblica di Turchia: alle origini del
principio di laicità, op. cit.
16
Cfr. S. Mardin, Center-Periphery Relations: A Key to Turkish Politics, in H. Bozarslan, La Turchia
contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 11
17
H. Bozarslan, La Turchia contemporanea, op. cit., p. 12.
18
Ibidem
- 13 -
intellettuali; i Giovani Ottomani erano musulmani modernisti, ambivano cioè a
rivitalizzare l‟Islam ritenendolo compatibile con un‟organizzazione della società
e un governo costituzionale di stampo europeo.
Queste aspirazioni si concretizzarono nel 1876, quando i Giovani Ottomani, con
un colpo di stato, portarono al potere il sultano Abdul Hamid, il quale oltre a
concedere una Costituzione, promosse le elezioni per la formazione di un
parlamento.
Ma la parentesi parlamentare durò solamente due anni, quando nel 1878, dopo le
ampie perdite territoriali ufficializzate dal congresso di Berlino, il sultano,
convinto del fallimento delle tanzimat, decise di ritirare la Costituzione per
reintrodurre un sistema autoritario che metteva la religione islamica al cuore
dell‟impero
19
.
Egli sarebbe tornato ad essere principalmente il capo di tutti i musulmani,
secondo una concezione panislamica che nel suo intento avrebbe gettato acqua
sul fuoco del nazionalismo che si andava manifestando sempre con maggior
forza nelle regioni arabe dell‟impero.
Tuttavia, nonostante questo cambio di rotta, tornare ad un sistema autarchico si
rivelò impossibile perché le riforme adottate nei decenni precedenti avevano
oramai aperto la strada alle varie compagnie estere, specie francesi inglesi e
tedesche, che aggravarono la sudditanza dell‟economia e della politica ottomana
ai poteri esterni, tanto che l‟enorme debito pubblico dell‟impero e la Banca
Imperiale vengono affidati nelle mani della finanza europea.
Dal punto di vista dell‟istruzione, inoltre, le generazioni degli ultimi decenni
dell‟Ottocento crebbero con un sentimento di ostilità verso il nuovo regime
conservatore, tanto che gli intellettuali, gli scrittori e gli editori, andati in esilio
dopo la sospensione della Costituzione, crearono a Parigi nel 1889 la “Società
ottomana per l‟unione e il progresso”, fondando così il movimento dei Giovani
Turchi.
L‟antico impero ottomano si affacciò così sul Novecento in preda ad un processo
di crisi irreversibile, e la riforme attuate attraverso le tanzimat non diedero i
risultati sperati.
19
M. Campanini, Storia del Medio Oriente 1798-2005, op. cit., p. 29.