PREMESSA Il seguente elaborato ha lo scopo di presentare, sotto forma di case history, una delle
più note, innovative e singolari aziende nel mondo della consumer technology: la Apple Inc.
Il lavoro è suddiviso in due parti: una prima parte prettamente teorica in cui verranno
trattati gli aspetti di corporate strategy, business strategy ed innovazione, ed una seconda
parte in cui, alla luce degli argomenti teorici delineati nella prima, si illustrerà il percorso di
Apple dalla sua fondazione, ponendo l’enfasi sui momenti più importanti del cammino che
l’ha portata ad essere l’azienda simbolo di affidabilità, qualità e design che tutti noi oggi
conosciamo.
La prima parte, in cui affronteremo le tematiche teoriche, non ha la pretesa di
sviscerare esaurientemente tutti gli argomenti, che altrimenti assumerebbero un peso
eccessivo deviando dallo scopo dell’elaborato, ma serve a tracciare una serie di linee guida
tali da favorire un’agevole e logica comprensione della case history in questione.
Partendo da alcuni cenni sulla corporate strategy nel passato, ci ricollegheremo alla
definizione data dagli studiosi Collis, Montgomery, Invernizzi e Molteni e vedremo quali
sono e come si amalgamano gli elementi di una corporate strategy di successo.
Dopo aver osservato come in situazioni particolari sia opportuno trasformare
l’azienda e, pertanto, la corporate strategy, porremo il focus sul ruolo del CEO in tali
situazioni per poi vedere come una leadership efficace favorisca e faciliti il perseguimento
di una corporate strategy di successo.
Scenderemo poi nell’ambito della business strategy, descrivendo brevemente gli
approcci Porteriano e Resource-Based View al vantaggio competitivo.
Tratteremo, in ultimo, le tematiche – fondamentali in per illustrare il caso di
un’azienda che si è sempre distinta per le sue capacità innovative uniche – relative
all’innovazione, sia di tipo strategico che tecnologico, mostrandone le tipologie, le categorie
e gli approcci maggiormente adottati e condivisi, per giungere alla conclusione che i due tipi
di innovazione sono fortemente interrelati tra loro e, se adeguatamente gestiti, si rinforzano
a vicenda.
Fatto ciò entreremo nel vivo del caso aziendale, che occupa la seconda parte
dell’elaborato. Partiremo dalla storia di Apple, che ci permetterà di osservare l’alternanza tra
il successo pressochè immediato della piccola società informatica californiana, una fase di
stasi e difficoltà alternate ad una crescita molto modesta ed il suo ritorno al successo segnato
dal rientro, a distanza di svariati anni, di uno dei soci fondatori, Steve Jobs. Grazie al suo
carisma ed alle sue geniali intuizioni, Jobs ha indotto una profonda trasformazione
dell’azienda, il suo riposizionamento sul mercato e nella mente dei consumatori e l’ingresso
in nuove ed altamente remunerative aree di business.
Vedremo quindi, una per una, le principali innovazioni introdotte dall’azienda
nell’arco della sua vita ed i prodotti che ne sono derivati. Capiremo come Apple gestisce le
business strategy relative ad ogni prodotto in un’ottica di continuo ammodernamento e
potenziamento in termini di prestazioni e di design.
Faremo infine alcune considerazioni in merito ai possibili futuri sviluppi dei mercati
e delle nuove tecnologie grazie alle quali è possibile individuare come l’azienda di cui
parliamo riesca a mantenersi costantemente in prima linea, approvigionandosi di risorse
uniche che la rendono ancora più forte dal punto di vista strategico.
Ai miei genitori,
PARTE PRIMA CAPITOLO 1: LA CORPORATE STRATEGY: UN
MODELLO DI ANALISI 1.1. LA CORPORATE STRATEGY NEL PASSATO I primi lavori pubblicati sulla teoria della corporate strategy furono, negli anni Sessanta e
Settanta, quelli di alcuni studiosi della Harvard Business School, in particolare Kenneth
Andrews, Roland Christensen, Igor Ansoff e Peter Drucker.
I loro studi in materia facevano riferimento ad una visione olistica dell’azienda che, nel caso
di un’azienda diversificata, consisteva nell’andare a definire i business in cui essa avrebbe
operato “se possibile impiegando le risorse in modo tale da convertire la competenza
distintiva in vantaggio competitivo”.
Per quanto innovativo, questo concetto non forniva nessuno strumento metodologico che
consentisse di dimostrare come la competenza distintiva si trasformasse in vantaggio
competitivo.
In parallelo, studiosi come Chandler analizzavano la struttura organizzativa delle
aziende, che proprio negli anni Sessanta stavano vivendo momenti di espansione e
diversificazione. Chandler dimostrò che una struttura multidivisionale 1
consentiva alle
aziende di controllare innumerevoli business differenti tra loro.
Negli anni Settanta società di consulenza quali la Boston Consulting Group
elaborarono alcuni dei modelli di corporate strategy che tuttora sono alla base degli studi in
materia, come ad esempio la famosissima matrice crescita/quota
2
.
1
Una struttura organizzativa multidivisionale (detta M-form) è utilizzata dalle organizzazioni di dimensioni rilevanti
che operano contemporaneamente in più di un business. Essa è suddivisa appunto in divisioni, ognuna delle quali
contiene al suo interno alcune o tutte le funzioni necessarie per il business in questione.
2
La matrice BCG è stata creata per aiutare le imprese nell’allocazione delle risorse tra i vari business. Essa ha sui
propri assi il tasso di sviluppo del mercato e la quota di mercato relativa posseduta dalle aziende che lo compongono. In
tal modo si individuano quattro quadranti ed i business vengono classificati in Stelle, Dilemmi, Mucche da mungere e
Cani, ed in base alla composizione del portafoglio, il vertice aziendale sarà facilitato nel decidere se continuare ad
investire in un dato business, se uscirne, se sfruttarne i cash flow finché possibile ecc.
Negli anni Ottanta con l’evoluzione del mercato finanziario le imprese iniziarono
sempre più a preoccuparsi dell’andamento del proprio titolo in borsa e della
massimizzazione del valore azionario. In questi anni alcune delle diversificazioni più spinte
fallirono, diffondendo la convinzione che bisognava “attenersi alle proprie competenze”. In
questo contesto lo studioso Michael Porter identificò quattro tipi di corporate strategy: la
gestione del portafoglio, la ristrutturazione, il trasferimento delle competenze e la
condivisione delle attività 3
.
Nel 1990 Hamel e Prahalad svilupparono la teoria sulla core competence , che altro
non è se non la “capacità o competenza che, accomunando tutti i business, faceva in modo
che gli stessi costituissero un tutto coerente” 4
. In ambito accademico iniziò a svilupparsi la
visione basata sulle risorse (c.d. resource-based view of the firm), che individua quali fonti
di valore per un’azienda l’insieme delle risorse e competenze chiave che essa detiene o
dovrebbe detenere per avere successo in ognuno dei settori in cui si trova a competere.
Questa teoria nacque e si affermò in opposizione alla teoria del vantaggio competitivo di
Michael Porter (che avremo modo di approfondire nel terzo capitolo) ed è proprio su di essa
che si basa il modello di corporate strategy proposto da Collis et al., cui ci rifacciamo nel
presente lavoro.
Negli anni Novanta studiosi come Lang e Stulz compirono delle analisi sul mercato
dei capitali, rilevando che le aziende diversificate avevano un valore mediamente inferiore
rispetto a quelle monobusiness (fenomeno dello “sconto da diversificazione” o “sconto da
conglomerata”), distruggendo quindi valore per l’azionista, anziché crearlo. In realtà molti
studiosi di strategia contestano l’attendibilità di questo sconto da diversificazione,
richiamando il dilemma dell’uovo e della gallina: sono le imprese con performance
insoddisfacenti nel proprio business a diversificare o è la diversificazione a condurre a
performance insoddisfacenti?
In realtà anche la ricerca iniziale di Lang e Stulz 5
evidenziò come il 40% delle imprese
diversificate venivano scambiate a prezzi superiori rispetto alle quotazioni dei singoli
3
M. E. Porter: “From competitive advantage to corporate strategy”, Harvard Business Review (1987).
4
C. K. Prahalad, G. Hamel: “The core competence of the corporation”, Harvard Business Review (1990).
5
Ricerca empirica svolta dai due studiosi (1994).
business. Questo ci riporta alla nostra tesi, secondo cui la corporate strategy deve
aggiungere ulteriore valore a quello creato dai singoli business.
1.2. DEFINIZIONE DI CORPORATE STRATEGY E
MODELLO DI ANALISI Come possiamo in parte dedurre dal paragrafo precedente ed in parte osservare dalla
storia contemporanea, l’importanza del valore per l’azionista è andato via via crescendo nel
corso dei decenni, raggiungendo negli anni Novanta il suo picco, per poi ridimensionarsi nel
primo decennio del Duemila a seguito di numerosi scandali societari, prima, della crisi
finanziaria che ha colpito le economie dell’intero pianeta, poi 6
.
Come affermato da Collis et al. nel loro lavoro sulla corporate strategy, “è indispensabile
che il management abbia le idee chiare sul significato di corporate strategy e, in particolare,
su ciò che caratterizza una corporate strategy efficace” 7
. Il loro contributo si concretizza nel
dare una definizione di corporate strategy più completa delle precedenti, assieme ad un
modello di analisi.
Gli autorevoli studiosi, infatti, arrivano a definire la corporate strategy come “la via
lungo la quale un’azienda cerca di creare valore attraverso la configurazione ed il
coordinamento delle sue attività multi mercato ( multimarket activities )” 8
.
In essa possiamo individuare tre aspetti importanti:
i. La creazione di valore, che è il fine ultimo di questo livello di strategia;
ii. Il raggio d’azione multimercato dell’azienda, cioè la configurazione;
iii. Il modo in cui l’azienda gestisce l’insieme delle attività e dei business che la
compongono, cioè il loro coordinamento.
6
Si è passati dall’approccio basato sulla c.d. “Shareholder theory”, descritto da Friedman negli anni ’60 secondo cui gli
amministratori delle aziende dovrebbero agire in modo da massimizzare il valore creato per gli azionisti, all’approccio
basato sulla “Stakeholder theory”, sviluppato da Freeman nel 1984, in base al quale l’azienda ed i suoi amministratori
devono dare conto ad una platea più ampia di soggetti e creare valore per ognuno di loro, azionisti compresi,
ovviamente.
7
Collis, Montgomery, Invernizzi, Molteni: Corporate Strategy, McGraw-Hill (2007).
8
Collis, Montgomery, Invernizzi, Molteni: Corporate Strategy, McGraw-Hill (2007).
Notiamo che questa definizione prescinde dalle dimensioni dell’azienda, perché qualsiasi
azienda deve decidere in quali mercati operare e come gestire le proprie attività. Essa ci
dice, inoltre, che un’azienda, per creare valore, deve contribuire al vantaggio competitivo
dei singoli business, i quali altrimenti non avrebbero motivo di sussistere come un unicum
aziendale, bensì creerebbero maggior valore operando come aziende indipendenti (c.d.
“ stand alone ”).
Nel proporre il loro modello, Collis e gli altri studiosi partono dalla considerazione
empirica secondo cui non esiste una corporate strategy corretta per definizione, ma
affermano che, “per essere efficace, (la corporate strategy) deve risultare dalla
combinazione omogenea di cinque elementi, che insieme danno luogo a un sistema
finalizzato alla creazione del vantaggio aziendale, il quale a sua volta crea valore
economico”.
Questi cinque elementi formano il seguente modello:
Figura 1 Il Triangolo della corporate strategy (Fonte: Collis et al., 2007).
Il triangolo della corporate strategy è formato, nei suoi tre lati, dalle tre basi su cui si
fonda la corporate strategy: le risorse, i business, l’organizzazione. Questi elementi devono
essere tra loro coerenti in vista della realizzazione di una visione e devono essere motivati al
raggiungimento di adeguati traguardi ed obiettivi. Se tutto ciò si realizza, si perverrà alla
produzione di un vantaggio aziendale a livello corporate, che andrà a spiegare la
convenienza e l’utilità di essere un’entità multibusiness.
Consideriamo ora uno ad uno i vari elementi del modello, così come affrontati dagli
autori.
Visione La visione è quel progetto ambizioso, un po’ indefinito, che stabilisce il dominio, i
confini entro cui l’azienda andrà a muoversi nel sistema economico. Questa definizione non
eccessivamente puntuale del campo di attività dell’azienda presenta il doppio vantaggio di
lasciare un’ampia libertà d’azione ai dirigenti e dare la possibilità di approfittare di nuove
opportunità che si presentano sul mercato.
Spesso i concetti di visione, missione ed orientamento strategico di fondo si mescolano tra
di loro racchiudendo quello che l’azienda è, quello che fa, quello che farà in futuro, i valori
etici su cui fonda le sue decisioni, eccetera, costituendo quei confini oltre i quali essa, nello
svolgimento della sua attività, non intende spingersi.
Traguardi e obiettivi Essi pongono le basi concrete per la realizzazione della visione. Gli obiettivi sono
target quantitativi a medio e breve termine (ad esempio “accrescere il fatturato del 20%”,
oppure “portare la nuova filiale estera al pareggio di bilancio entro X anni”), mentre i
traguardi riguardano le intenzioni qualitative che si sviluppano nel medesimo arco di tempo
(ad esempio “migliorare la qualità del prodotto Y”, “entrare in nuovi mercati geografici”).
I traguardi e gli obiettivi sono un importante stimolo sia per i manager che per i
dipendenti e su di essi si possono costruire i piani di incentivi e di premi. Tuttavia possono
anche diventare degli importanti ostacoli strategici, qualora i ripetuti fallimenti nei tentativi
di raggiungerli abbiano fatto venir meno la motivazione del personale, oltre ad aver
eventualmente messo in dubbio l’efficacia della corporate strategy stessa.
In ultima analisi, dunque, traguardi ed obiettivi dovrebbero essere sempre in linea
con la visione anche se, come abbiamo detto, coprono un arco temporale molto più ristretto.
Risorse Le risorse compongono il primo dei tre lati del Triangolo della corporate strategy.
Come abbiamo detto nel paragrafo iniziale, la corporate strategy come la intendiamo in
questa sede si basa proprio sull’approccio resoruce-based view, che svilupperemo in seguito.
Le risorse sono i beni, le capacità e le competenze presenti in azienda. Esse costituiscono la
base della corporate strategy e possono, anzi devono, costituire la caratteristica distintiva di
un’azienda, altrimenti tutte le aziende adotterebbero la stessa strategia, annullando il
vantaggio aziendale. Sono proprio le risorse, infatti, a determinare la scelta dei mercati in
cui l’azienda andrà ad operare.
Le risorse sono importanti non solo in ottica di corporate strategy ma, come vedremo,
anche a livello di business. È proprio per questo che l’individuazione, il presidio, lo
sviluppo e l’utilizzo di risorse e competenze uniche e valide costituisce un momento
fondamentale della strategia aziendale. Più avanti riprenderemo l’argomento con maggiore
dettaglio.
Business Il secondo lato del Triangolo, come mostrato in figura 1, è il lato business. Con
questo termine si fa riferimento sia ai settori industriali in cui l’azienda opera, sia alle
strategie competitive che attua in ognuno di essi.
La scelta dei settori in cui operare è fondamentale per la creazione di valore nel
tempo dell’azienda, poiché valutando la redditività dei settori, si può prevedere quali
saranno le sue probabilità di successo.
La composizione dei settori in cui l’azienda decide di operare influenza anche il
modo in cui essa decide di distribuire le risorse tra i settori stessi. Se i settori sono
interconnessi sarà più facile estendere una risorsa o una competenza da un settore all’altro,
aumentando le probabilità di successo dell’azienda nel settore in questione.
Fondamentali sono inoltre la scelta della strategia competitiva da adottare all’interno di ogni
settore, il monitoraggio continuo della redditività dei settori stessi e, conseguentemente, il
vaglio di alcune possibilità quali l’accorpamento di due o più aree di business, la creazione
di un nuovo business che spiani la strada ad un nuovo mercato e così via.
Organizzazione Nelle realtà aziendali più grandi e più strutturate è pacifico che le decisioni a livello
di business, per quanto importanti, raramente partano dai vertici aziendali. I vertici
influenzano i dirigenti dei business, delineando il contesto in cui gli stessi andranno a
prendere le decisioni e definendo le risorse e gli incentivi a loro disposizione.
Gli elementi che determinano il modo in cui un’impresa controlla e coordina le varie
attività a livello di business sono tre: la struttura, i sistemi ed i processi.
Per struttura s’intende lo schema organizzativo formale in base al quale sono
suddivisi i poteri nell’organizzazione. I sistemi sono l’insieme delle regole che definiscono
come devono essere portate a termine le attività di gestione. I processi invece sono la
controparte informale dei sistemi, come ad esempio le reti di relazioni interpersonali che si
vengono ad instaurare sul posto di lavoro.
Dato che, come abbiamo già detto, non esiste una corporate strategy valida in
assoluto, tantomeno esisterà una combinazione ottimale di tipo standard dei tre elementi
dell’organizzazione. Chandler, infatti, precisò che “la struttura è conseguente alla
strategia” 9
, ovvero che la struttura dovrebbe essere modellata in funzione della strategia.
Spesso, infatti, è proprio l’inadeguatezza del disegno organizzativo a causare il fallimento di
una corporate strategy, per quanto di per sé vincente.
Il vantaggio aziendale I cinque elementi descritti sopra, combinati efficacemente tra loro, portano ad una
corporate strategy efficace a sua volta. Il sistema che si viene così a creare ha come fine la
creazione di valore, sotto forma di vantaggio aziendale.
Anche se non esiste un modello di corporate strategy vincente in assoluto, gli autori del
modello identificano una logica vincente, che accomuna tutte le migliori corporate strategy,
secondo cui bisogna tener conto della qualità dei singoli elementi del triangolo, del modo in
cui essi interagiscono fino a formare un vero e proprio sistema e l’adattamento di tale
sistema ai mutamenti dell’ambiente esterno.
9
Alfred D. Chandler: Strategy and Structure. Cambridge, MA: MIT Press (1962).
1.3. LA DINAMICA DELLA CORPORATE STRATEGY: LA
TRASFORMAZIONE AZIENDALE In questo paragrafo concentreremo la nostra attenzione sulla trasformazione dell’azienda
e, di rimando, della sua strategia. Cercheremo di capire perché ed in che modo i leader delle
aziende, in un certo momento della vita delle stesse, decidono di dare una svolta alla
corporate strategy. Magari fino a quel momento non si era riusciti a perseguire gli obiettivi
ed i traguardi fino ad allora individuati, oppure si era deviato dalla visione iniziale o, più
semplicemente, il mix dei cinque elementi che formava la corporate strategy dell’azienda
fino a quel momento aveva smesso di aggiungere valore ai singoli business. Ma andiamo
per gradi.
Perché fallisce una corporate strategy? Secondo gli studiosi di corporate strategy ciò può
essere causato da cambiamenti provenienti dall’esterno o dall’interno dell’azienda.
Cambiamenti esterni Essi colpiscono soprattutto l’attrattività dei business in cui l’azienda opera o il valore
delle risorse aziendali.
Nel primo caso è ben noto che l’attrattività ed il tasso di sviluppo dei settori variano
nel tempo. Sappiamo, infatti, che le fasi di vita di qualsiasi settore sono creazione (nascita),
sviluppo, maturità e declino e che l’azienda dovrà destreggiarsi tra le varie fasi cercando di
sfruttarle sempre a proprio vantaggio, il che comporterà il bisogno di cambiare
ripetutamente strategia.
Anche il valore delle risorse che l’impresa ha in portafoglio, come quello dei settori,
varia nel tempo. Le due forze esterne che più comunemente erodono il valore delle risorse
aziendali sono la sostituzione e l’imitazione. Sono tanti i casi in cui la tecnologia ha
decretato la fine di corporate strategy efficaci, mettendo a repentaglio la vita aziende che
fino a quel momento erano i leader indiscussi. Ciò è avvenuto perché, con l’avvento delle
nuove tecnologie, quelle che erano le risorse chiave per il successo in un settore sono state
sostituite con delle nuove risorse. Tali nuove risorse, alternative alle prime, sono state
sviluppate da aziende competitor che hanno avuto l’audacia e la lungimiranza di andare ad
investire in ricerca e sviluppo proprio per portarsi in una posizione tale da contrastare
efficacemente l’attuale leader di mercato (che magari si è anche “adagiato sugli allori”
anziché continuare a porre le basi per il vantaggio competitivo del domani).
Approfondiremo la trattazione dell’innovazione tecnologica nei prossimi capitoli. Anche
l’imitazione, dicevamo, minaccia pesantemente una risorsa, perché porta alla
sovrasaturazione del mercato ed alla riduzione del valore (nei casi estremi alla
“volgarizzazione”) della risorsa stessa.
Fallimento interno Internamente l’insuccesso della corporate strategy è dovuto al fallimento della
visione e della logica della strategia, oppure al fallimento in fase di attuazione della strategia
stessa. Come ben noto, non è detto che ogni strategia perseguita da un’impresa raggiunga
pedissequamente i suoi obiettivi. Questo per via di una serie di fattori di cui non si era
tenuto in considerazione in fase di formulazione della strategia, per mancanza di attenzione,
per errore, per incoerenza con le risorse possedute o semplicemente perché tali fattori di
fallimento non esistevano ancora, in quanto di carattere emergente. Molte volte si sono visti
CEO, apparentemente illuminati, fallire miseramente proprio per non aver compreso né
analizzato attentamente la corporate strategy prescelta alla luce degli elementi illustrati nel
paragrafo precedente. Altre volte il fallimento è stato determinato in fase di attuazione della
strategia.
Quando manca, insomma, un allineamento di tutti gli elementi della corporate
strategy, si andrà inesorabilmente incontro al fallimento del disegno strategico. Tale
disallineamento può riguardare la coerenza di due dei tre lati del Triangolo (risorse e
business, risorse e organizzazione, business e organizzazione).
In ultima analisi, il fallimento a livello corporate può anche derivare da un fallimento
a livello dei singoli business, giacché la performance dell’azienda nel suo complesso è la
somma delle performance ottenute nei singoli business che la compongono.
Le imprese che versano in condizioni preoccupanti di insuccesso per uno o più dei
motivi sopra descritti dovrebbero così reinventare il proprio assetto strategico a livello
corporate, trasformandosi prima di andare incontro alla fine inevitabile.
Spesso il primo passo verso la trasformazione è la sostituzione del vertice aziendale,
in particolare del CEO “colpevole”, con una figura nuova e capace che dia sicurezza agli
azionisti ed al resto degli stakeholder e che sappia bene quali leve andare ad azionare per
dare all’azienda un nuovo slancio verso il successo grazie ad una corporate strategy
rinnovata ed adeguata.
Quest’ultima non può però rinnovarsi o essere cambiata dall’oggi al domani, e questo
i nuovi CEO devono saperlo, distinguendo fra tre tipi di trasformazioni aziendali possibili:
I. Creazione : un’azienda monobusiness si trova ad affrontare, per la prima
volta, la problematica della diversificazione in altre aree di business. Fino a
quel momento pertanto c’era stata una sovrapposizione tra strategia a livello
corporate e strategia a livello business. Nel momento in cui la possibilità di
entrare in nuovi settori si fa concreta, l’azienda dovrà formulare una corporate
strategy - la sua prima corporate strategy - che dovrà essere coerente con le
risorse chiave per il successo nei nuovi business.