19
CAPITOLO TERZO
Il Trust e la Convenzione dell’Aja
1.IL TRUST IN ITALIA ANTE CONVENZIONE DELL’AJA
Con la legge del 16 ottobre 1989, n. 364 il nostro Paese, secondo solo al Regno
Unito, ratificò la convenzione dell’Aja del 1° luglio del 1985. L’Italia fu il primo tra
i paesi di Civil law a riconoscere nel proprio ordinamento giuridico gli effetti del
rapporto definito trust nella Convenzione stessa e ad impegnarsi, a norma dell’art.
11, a riconoscerne gli effetti.
La situazione che così si venne a creare fu senza dubbio particolare: un ordinamento
che non conosceva l’istituto del trust, privo di una disciplina interna generale
regolante la materia, emana una legge intitolata “legge applicabile ai trust e al loro
riconoscimento”.
Va detto che prima del 1° gennaio 1992, data di entrata in vigore della legge n.
364/1989, seppure in rare occasioni, il tema del “riconoscimento” del trust era stato
affrontato e sottoposto al vaglio della magistratura.
Già alla fine del diciannovesimo secolo, si rinviene una pronuncia della Corte di
Cassazione alla quale però fu solo richiesto di valutare la possibilità di delibazione di
un trust e, senza entrare nel merito della vicenda, concluse affermando che esso non
poteva spiegare i propri effetti nel Regno d’Italia (Cass. 21 febbraio 1899).
Un’altra decisione che costituisce una pietra miliare nel percorso del riconoscimento
del trust in Italia risale agli anni 50’ ed è il Tribunale di Oristano (15 marzo 1956): in
quella occasione il collegio fu chiamato a decidere in ordine alla proprietà di beni di
un fondo in trust in sede di espropriazione promossa da un ente pubblico. I termini
della questione hanno consentito al giudice di affrontare il tema che costituisce il
“cuore” del trust in un ordinamento che conosce i diritti reali: i beni oggetto di
esproprio erano parte del patrimonio del trustee ovvero appartenevano ai beneficiari?
La risposta fornita dal Tribunale, al quale va senza dubbio riconosciuto lo sforzo
interpretativo, denota una certa confusione e finisce con il porre le basi per un
fraintendimento che ha avuto lunga vita e non è stato facile sradicare. Secondo quel
collegio giudicante il trust creerebbe una doppia proprietà: una “formale o nominale”
20
e, dunque, “soltanto apparente”, in capo al trustee, e l’altra “sostanziale e reale” in
capo ai beneficiari. La proprietà del trustee sarebbe caratterizzata dalla temporaneità
del diritto, dalla impossibilità per il suo titolare di utilizzare i beni e di trarne propri
vantaggi, mentre la proprietà dei beneficiari sarebbe quella a contenuto reale. Di
conseguenza il “vero” proprietario dei bei, secondo il tribunale sardo sarebbe stato il
beneficiario e nei suoi confronti avrebbe dovuto essere radicato il processo di
espropriazione.
Oltre ad un malinteso di fondo relativo allo “sdoppiamento” della proprietà, i giudici
manifestarono in quel caso un atteggiamento critico e di sfavore nei riguardi del trust
e non nascosero il loro timore per la diffusione di tale strumento giungendo ad
affermare che un uso di esso potesse produrre “nella coscienza e nella opinione
pubblica e nell’economia italiana un grave turbamento”.
Ancora la giurisprudenza, prima della ratifica della Convenzione, intervenne con
un’altra interessante pronuncia che ha il merito di aver chiarito il significato e la
portata del rapporto nascente dal trust. Nell’ambito di un trust testamentario il
giudice fornì un quadro più coerente dello strumento smentendo il concetto di
“doppia proprietà” e affermando che il trustee di un trust testamentario è proprietario
dei cespiti in virtù dell’atto istitutivo del trust, conseguentemente non vi è alcuna
necessità di ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare per procedere alla vendita
di immobili in presenza di beneficiari minori di età.
Non vi è dubbio che prima della ratifica della Convenzione, pur nelle rare pronunce,
vi sia uno sforzo interpretativo considerevole da parte della magistrature che, anche
dopo la legge n.364 ha svolto un ruolo davvero notevole nell’accreditare il trust
come strumento non solo ammissibile nel nostro ordinamento, ma altresì utile e
prezioso in molteplici situazioni in cui i negozi giuridici di diritto interno no
consentono di realizzare finalità lecite e meritevoli di tutela, oppure le soddisfano
solo in parte.
2.NATURA ED EFFETTI DELLA CONVENZIONE DELL’AJA
È, dunque, solo dal 1992, con l’effettiva entrata in vigore della legge di ratifica della
“Convenzione deLL’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts ed al loro
riconoscimento”, che l’Italia ha iniziato ad interessarsi al trust.
21
Il nostro Paese peraltro è stato il primo Stato, dopo la Gran Bretagna, a ratificare la
suindicata Convenzione.
Alla data odierna essa interessa i seguenti Stati: Australia, Canada, Cina, Cipro,
Francia, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito di Gran
Bretagna ed Irlanda del Nord, San Marino, Svizzera, Stati Uniti.
La natura multiforme di detto documento viene evidenziata già nel dettato dell’art. 1,
laddove espressamente la Convenzione si prefigge non solo di determinare la legge
applicabile ai trust in situazioni di possibile conflitto di leggi, ma anche di regolare il
riconoscimento dell’istituto nell’ambito degli Stati aderenti.
Sul primo punto, la Convenzione detta la regola di base: un trust è retto dalla legge
scelta dal disponente (art. 6).
Sul secondo punto, la Convenzione obbliga gli Stati ratificanti a riconoscere i trusts
regolati dalla legge straniera o, qualora uno Stato si sia avvalso della riserva prevista
dall’art.21, solo dalle leggi degli Stati contraenti (nessuno Stato si è avvalso di questa
riserva).
Se ne è dedotto, anche alla luce dei lavori preparatori e del risalente principio del
primato della volontà delle parti nella scelta delle legge regolatrice delle loro
obbligazioni, che il cittadino di uno Stato ratificante, che non conosca i trusts, sia
legittimato a istituire un trust nel proprio Stato, sottoponendolo a una legge straniera
che disciplini i trusts. Nasce cosi la nozione di “trust interno” di cui si parlerà in
seguito.
Ad ogni modo, si può affermare che la Convenzione è una disposizione di diritto
internazionale privato, che predispone una regolamentazione normativa volta a
risolvere situazioni di conflitti di leggi; ma non solo. La Covenzione dell’Aja,
laddove si prefigge di regolare il riconoscimento dell’istituto, detta anche norme che
ben potrebbero essere intese di diritto materiale uniforme (art. 2 e 11, comma 1),
volte cioè a regolare alcune caratteristiche, in positivo, dell’istituto che il
riconoscimento dello stesso comporta.
In altri termini, La Convenzione dell’Aja si prefigge di dettare una regolamentazione
che possa risolvere, in via definitiva, sovranazionale e quindi nell’accordo degli
Stati, eventuali conflitti tra leggi e disposizioni di legge dei vari Stati aderenti in
merito alla legge applicabile all’istituto. Al contempo, la Convenzione detta
determinati requisiti minimi dell’istituto che gli Stati aderenti si impegnano a
22
riconoscere con la ratifica, eventualmente con deroghe e fatti salvi determinati
accorgimenti nella Convenzione stessa.
3.NOZIONE DI TRUST NELLA CONVENZIONE DELL’AJA E NATURA
DELL’ISTITUTO
L’art. 2 della Convenzione definisce il trust come quei rapporti giuridici istituiti dal
disponente con atto tra vivi o mortis causa qualora dei beni siano stati posti sotto il
controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.
Non solo. Il medesimo art. 2, oltre a definire l’istituto del trust, individua gli
elementi minimi che lo caratterizzano, ovvero:
- il fatto che i beni in trust:
costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio
personale del trustee;
sono intestati al trustee o ad altro soggetto per conto del trustee;
- il fatto che il trustee:
è investito del potere,
e contemporaneamente onerato dall’obbligo:
di rendere conto
di amministrare, gestire, disporre;
in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme di legge
imposte al trust e secondo le norme di legge imposte al trustee.
Tale definizione pone tra l’altro delle indicazioni sull’istituto di non poco rilievo che
si possono evidenziare come segue:
1. NATURA DELL’ISTITUTO: viene definito quale “rapporto giuridico” e
non altrimenti; già questa locuzione, volutamente atecnica, esclude a priori
che un trust possa avere uan qualche autonoma personalità giuridica, propria
ed indipendente da quella del trustee;
2. FORMA DELL’ISTITUTO: per atto tra vivi o mortis causa, ma sempre e
solo tramite atto. Come di seguito espressamente specificato dall’art. 3 della
Convenzione, la stessa si applica tout court solo agli atti istitutivi
volontariamente e provati per iscritto, mentre viene lasciata ampia
discrezionalità agli stati contraenti di notificare la propria volontà di
23
estenderne gli effetti e le disposizioni ai trust dichiarati dai provvedimenti
giudiziari (art. 19);
3. FIGURE COINVOLTE: è ovvio che vi debba essere almeno un disponente
che, nell’ambito della propria piena capacità, abbia manifestato la propria
volontà negoziale di porre in essere un rapporto giuridico per il quale
determinati beni siano assoggettati al controllo di almeno un trustee. Ciò a
favore di almeno un beneficiario (la cui assenza od eccessiva
indeterminatezza, da sempre è foriera di nullità o annullamento del trust
stesso) o di un determinato fine. Le figure così individuate vengono
identificate noN quali soggetti distinti, ma per le diverse caratteristiche e
funzioni propie; nulla lascia intendere che dette funzioni e caratteristiche non
possano coincidere nei medesimi soggetti;
4. IL CONTROLLO DEL TRUSTEE: il fatto che il trustee controlli i beni in
trust, e ciò nell’interesse esclusivo di un beneficiario o di un fine determinato,
implica necessariamente ed espressamente che il trustee non è un mandatario,
né il disponente, né i beneficiari;
5. LA SEGREGAZIONE PATRIMONIALE: il fondo in trust, seppur del
trustee ed a questi o suoi mandatari per suo conto intestato, forma una massa
distinta dal patrimonio personale del trustee stesso, con gli effetti segregativi
minimi espressamente previsti ed enunciati all’art. 11 Conv.;
6. (anche)UN FINE DETERMINATO: viene espressamente dato
riconoscimento anche ai trust di scopo, praticamente sconosciuti (salvo che
per scopi caritatevoli), ad esempio perché nulli o inefficaci, in diritto inglese,
ma non nelle legislazioni off-shore (qualora tuttavia vengano rispettate
determinate condizioni quali, ad esempio, la nomina di un guardiano la
regolamentazione della sua successione, ecc).
4.LA LEGGE REGOLATRICE DEL TRUST NELLA CONVENZIONE
DELL’AJA
Ai sensi dell’art. 6, la legge che regolamenta il trust può essere in via prioritaria
scelta dal disponente, in modo espresso o implicito, in base alle disposizioni dell’atto