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Introduzione
Di recente nel nostro Paese si sente spesso parlare di federalismo
fiscale, tale argomento infatti occupa ormai, un‟indiscussa posizione
centrale all‟interno dei dibattiti politici ed istituzionali,
incrementando sempre di più l‟attenzione dei media e
conseguentemente dell‟opinione pubblica verso tale tema.
Quanto di fatto sta avvenendo, in realtà è legittimato dalla portata
stessa della materia, in quanto il federalismo fiscale costituisce un
evento importantissimo ed innovativo per tutto il Paese.
Esso, non inciderà solo sui rapporti finanziari e di conseguenza anche
su quelli politici tra Stato, Regioni ed enti locali, ma riformulerà
anche le relazioni economiche tra Stato e società, dell‟ottica della
garanzia dei diritti civili e sociali dei cittadini attraverso una adeguata
organizzazione ed erogazione di servizi pubblici.
Dopo diversi anni di relativo silenzio, il federalismo fiscale assurge a
problema primario nell‟agenda del Governo soprattutto a seguito di
mutamenti nella struttura politica italiana.
Infatti, il fenomeno del federalismo fiscale è tornato alla ribalta con
l‟approvazione della legge delega n. 42 del 5 maggio 2009, che pone
una solide basi per la sua attuazione di cui all‟articolo 119 della
Costituzione, il quale come è noto, sancisce l‟autonomia finanziaria
di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni.
Tale legge costituisce quindi la pietra miliare cui attenersi
nell‟emanazione dei conseguenti decreti attuativi, i quali dovranno
2
necessariamente costituire un sistema armonico di finanziamenti che
permetteranno concretamente alle Regioni ed agli enti locali di
esercitare le proprie autonome funzioni.
Pervenire alla formulazione della legge delega (n. 42/2009) non è
stato affatto semplice; al contrario, ha comportato un iter alquanto
complesso e tortuoso, infatti lo scopo principale di tale lavoro è
quello di comprendere come si è passati da uno Stato tradizionalmente
unitario e accentrato ad uno Stato regionale, volto alla valorizzazione
delle le realtà locali, attraverso la devoluzione di una maggiore
autonomia.
Un secondo aspetto affrontato nell‟elaborato, ma non certo per
importanza, è quello relativo alla soddisfazione del principio di
solidarietà, il quale deve essere necessariamente garantito dallo Stato,
in vista di un modello di federalismo cooperativo e solidale.
Partendo perciò, dal primo capitolo cercheremo di comprendere come
le Regioni abbiano sperimentato la prima forma di autonomia, ovvero
quella amministrativa, attraverso le leggi n. 142/90, n. 59/97 (c.d.
legge Bassanini), nonché il decreto attuativo n. 112/98.
Con tali provvedimenti è stato avviato un vero e proprio
decentramento delle funzioni amministrative, che dallo Stato sono
state trasferite ai livelli governativi più prossimi al cittadino, in
attuazione dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Sulla base del suddetto processo la riforma costituzionale, sancita
dalla legge 18 ottobre, n. 3/2001 ha avviato anche il decentramento
politico-istituzionale, devolvendo competenze legislative alle
autonomie territoriali.
3
Si perviene così ad un sistema policentrico e paritario, articolato da
una pluralità di centri di governo, parificati allo Stato per dignità
costituzionale, così come è sancito dall‟ art. 114, Cost.
Altri articoli citati per la loro rilevanza costituzionale sono, il 116, 117
e il 118; il primo potrebbe introdurre nel nostro ordinamento un
interessante sistema competenziale regionale differenziato, il secondo
rafforza notevolmente l‟autonomia regionale facendone della Regione
l‟ente a competenza generale, mentre l‟ultimo eleva a principio
costituzionale il criterio della sussidiarietà.
Il capitolo 2 si occupa dell‟aspetto più importante della riforma del
2001 ovvero dell‟art. 119, il quale introduce nel nostro ordinamento
l‟autonomia finanziaria; quale presupposto essenziale per l‟esercizio
dell‟autonomia politica.
Anche arrivare alla formulazione di un‟autonomia finanziaria, così
come delineata dal novellato art. 119, non è stato affatto semplice, in
quanto tale potestà negli anni ‟70 era fortemente accentrata e
nonostante le riforme degli anni ‟90 abbiano cercato di dotare le
Regioni di più ampi margini di autonomia, essa restava tuttavia una
potestà integrativa-attuativa degli indirizzi politici statali.
Il nuovo art. 119 perciò prefigura una potestà finanziaria regionale e
locale più incisiva, basata sui tributi propri e le compartecipazioni,
ma allo stesso tempo dotata di un fondo perequativo per finanziare le
funzioni fondamentali delle Regioni caratterizzate da minore capacità
fiscale.
4
Il cuore del lavoro, è contenuto nel capitolo 3, ove si occupa di
analizzare la legge delega n. 42/2009, strumentale all‟attuazione
dell‟autonomia finanziaria, delineata dal suddetto articolo.
Tale legge attraverso la formulazione dei futuri decreti attuativi si
pone l‟obbiettivo di realizzare in un quinquennio il passaggio dal
criterio della spesa storica a quello dei costi e dei fabbisogni standard,
in modo da conseguire una vera e propria responsabilizzazione sulla
conduzione della spesa di tutti i livelli di governo sub-statale.
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CAPITOLO 1
Un tormentato iter di riforme, alla volta
dell‟autonomia finanziaria
1.1 Premessa
Il dibattito parlamentare sull‟attuazione dell‟autonomia finanziaria
evidenzia l‟importanza e la centralità del tema delle relazioni
intergovernative finanziarie, oggetto di studi giuspubblicisti; i quali,
attraverso il modello di riparto finanziario, mettono a fuoco e rilevano
le dinamiche e le logiche relative ai rapporti tra centro e periferia.
La questione finanziaria è di fondamentale importanza, “in quanto
costituisce la base dell‟autonomia politica”
1
, altrimenti inesistente,
infatti la responsabilità finanziaria e l‟autonomia di entrata e di spesa
dei centri di governo permettono di capire il loro grado di autonomia
politica .
L‟autonomia finanziaria, introdotta dal nuovo articolo 119 relativo
alla revisione costituzionale 3/2001, “non ha avuto un percorso
semplice e lineare e tutt‟ora la questione non può certo ritenersi
conclusa; i primi tentativi sono riconducibili agli anni „90”
2
, i quali
hanno anticipato e condizionato l‟impostazione del Titolo V.
Innanzi tutto in quegli anni, prima di configurare un‟autonomia
finanziaria, come quella delineata dal recente articolo, i livelli di
governo periferici sono stati dotati per la prima volta di autonomia,
attivando quel “regionalismo” posto in essere dalla Costituzione del
1
Cfr. A.Brancasi, “Osservazioni sull‟autonomia finanziaria”, in “Le Regioni”, 2004, p. 451.
2
Cfr. F. Bassanini, “Autonomia e garanzie nel finanziamento delle Regioni e degli enti
territoriali”, in “Un federalismo fiscale responsabile e solidale”, A. Zanardi (a cura di), Bologna,
2006, p. 86.
6
„48 e “congelato” da troppo tempo. Inizialmente, le Regioni e gli enti
locali sono stati dotati di autonomia sul piano amministrativo, in
seguito su quello politico e finanziario; peraltro quest‟ultimo,
perfezionato e rafforzato attraverso gli ultimi interventi legislativi, a
garanzia del pieno esercizio dell‟autonomia politica .
Per quanto concerne l‟autonomia amministrativa, le principali leggi
che l‟hanno introdotta e incastonata nel sistema sono la n.142/90, la n.
59/97 ( cd. legge Bassanini) e il decreto attuativo n. 112/98.
La prima ha attribuito alla Regione un ruolo centrale nel processo di
allocazione delle competenze tra i diversi livelli territoriali di
governo, impostando i rapporti tra Regioni ed enti locali in termini di
sussidiarietà
La riforma Bassanini, tramite la legge n. 59/97, ha avviato un processo
riformatore di tale portata da costituire non soltanto un progetto di
ristrutturazione del sistema amministrativo ma un vero e proprio
progetto di rimodulazione delle istituzioni attraverso
l‟amministrazione.
Infine, il decreto legge 112/98 ha esaltato la partecipazione attiva delle
Regioni alla riforma e il loro “plusvalore politico”
3
.
Le successive leggi costituzionali n. 1/1999 e appunto la n.3/2001,
hanno riformato quasi completamente il Titolo V della Costituzione,
concretizzando le riforme amministrative degli anni ‟90, ma hanno
fatto anche di più; infatti, non solo costituzionalizzano il principio di
sussidiarietà e stabilizzano l‟attribuzione della generalità delle
funzioni amministrative in capo ai Comuni, ma hanno anche
equiparato il legislatore regionale al legislatore nazionale. “Tali
3
Cfr. A. Morelli, “L‟evoluzione dei rapporti tra Regioni ed enti locali nel modello costituzionale e
nella legislazione statale attuativa” in “Autonomia e sussidiarietà. Vicende e paradossi di una
riforma infinita”, L. Ventura (a cura di), Torino, 2004, p. 46.
7
riforme legislative e costituzionali sono accomunate dal fatto, di non
poter essere considerate “ordinaria manutenzione” dello Stato
regionale italiano, delineato dalla Costituzione del 1948, ma
rappresentano, un vero e proprio ripensamento della forma di Stato”
4
,
in quanto cambiano nettamente le relazioni tra i diversi livelli
governativi.
1.2 La legge n. 142/1990 come prima forma di autonomia
degli enti locali ed inaugurazione del principio di
sussidiarietà
Il lungo viaggio verso la meta dell‟autonomia degli enti territoriali
prende piede con la legge n. 142/90, la quale può essere considerata
come l‟inaugurazione di un percorso del tutto innovativo e senza
precedenti che ha indirizzato il nostro sistema statale monista verso
una dimensione policentrica basata su nuovi criteri, come quello di
sussidiarietà, attinente alla distribuzione della competenze.
In principio, la nostra Costituzione era molto ambigua e poco chiara
nel delineare l‟articolazione decentrata dell‟amministrazione
regionale, ciò fu la causa della sempre più accesa conflittualità che
caratterizzava i rapporti tra Regione ed enti locali.
Si cercò di risolvere il problema, riservando alla Stato la disciplina
delle funzioni degli enti locali; tale assetto, ha fatto si, che lo Stato
rivestisse un ruolo da arbitro nei rapporti tra i diversi livelli
4
Cfr. G. D‟ Ignazio, “L‟attuazione del federalismo amministrativo ed il “nuovo regionalismo” in
“Il “nuovo” ordinamento regionale. Competenze e diritti”, S. Gambino (a cura di), Milano, 2003,
p. 220.
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governativi e configurasse una netta separazione tra competenze delle
Regioni, dei Comuni e delle Province ma allo stesso tempo garantisse
l‟uniformità degli ordinamenti infraregionali, il più delle volte anche
mortificando le differenti esigenze delle varie comunità locali.
Il passaggio dalla prospettiva garantista della separazione a quella
cooperativa dell‟integrazione in merito ai rapporti tra Regioni ed enti
Locali trova un primo riconoscimento, quindi, nella legge
n.142/1990, che tende a costruire “un modello di Regione come ente
di governo, affidandole, all‟interno del sistema delle autonomie
5
,
funzioni d‟indirizzo, di coordinamento, di programmazione e
consentendo di esercitare funzioni amministrative nel solo caso che
queste ultime attengano ad “esigenze di carattere unitario nei rispettivi
territori”
6
.
Il comma II dell‟articolo 3 della medesima legge prevede invece , che
le leggi regionali , abbiano la possibilità di devolvere agli enti locali,
nelle materie previste dal vecchio articolo 117 della Costituzione ,
altre funzioni amministrative, dopo aver identificato il livello locale,
tenendo conto delle caratteristiche proprie della popolazioni
interessate e del territorio locale.
La Corte costituzionale, ha individuato dei limiti in riferimento
all‟attività di organizzazione delle funzioni delle autonomie locali
sancite dalla legge n. 142/1990: in primis; il rispetto delle prescrizioni
costituzionali, secondo cui Regioni non possono invadere l‟autonomia
organizzativa degli enti infraregionali per soddisfare i propri interessi,
oltre agli ulteriori limiti di cui gli articoli 2, 9, 14, 15 della legge
sull‟ordinamento degli enti locali.
5
L‟art. 3, co.I, prevede infatti, che le Regioni attraverso i Comuni e le Province provvedono alle
funzioni amministrative locali tranne per le funzioni che attengono ad esigenze unitarie.
6
Cfr. T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, “Lineamenti di diritto regionale” , Milano, 2008, p.317 .
9
La legge n. 142/1990, nell‟allocazione di tali competenze
amministrative tra Regioni ed Enti locali, ha tenuto presente il
principio di sussidiarietà, utilizzato per la prima volta nel nostro
sistema; questo è un principio relazionale, il quale ha per oggetto i
rapporti tra entità diverse, implicante una “decisione di preferenza in
favore dell‟ambito più vicino agli interessati”
7
.
L‟utilizzo di tale principio è dimostrato dalla devoluzione ai Comuni
in via residuale di tutte le funzioni amministrative non espressamente
attribuite ad altri soggetti dalla legge statale o regionale e
dall‟allocazione delle funzioni tra i vari livelli di governo in base ai
criteri distributivi di economicità ed efficienza.
Da quanto appena detto, possiamo comprendere che il precedente
articolo 118 della Costituzione non delinea però un assetto
propriamente sussidiario, dal momento che risulta modellato in base
ad una distribuzione in termini sussidiari solo attinente al profilo
amministrativo, “configurando il sistema delle realtà locali come un
braccio esecutivo del potere politico che resta ancora custodito
gelosamente dallo Stato centrale”
8
.
7
Cfr. L. Ventura, Autonomia e sussidiarietà… cit., p.35.
8
Cfr. L. Mezzetti, “La Costituzione delle autonomie”, Napoli, 2004, p. 25.
10
1.3 “Federalismo amministrativo”, anticamera della
nuova riforma
La tappa più importante, per l‟ampliamento delle competenze delle
autonomie locali, è stata senza dubbio la cd. riforma Bassanini, nota
anche come “Federalismo amministrativo”, in quanto, essa ha avviato
un processo riformatore di tale portata da costituire “non soltanto un
progetto di ammodernamento del sistema amministrativo del paese,
ma un vero e proprio progetto di riforma delle istituzioni attraverso
l‟amministrazione”
9
.
Essa si estrinseca attraverso una serie di interventi legislativi, il primo
dei quali risale al 1997, avvenuti sulla spinta delle istanze di
decentramento, le quali, in attesa di trovare lo sbocco finale nella
progettata riforma della Costituzione, sono state nel frattempo
affrontate su impulso di una iniziativa governativa condotta sotto la
guida dell‟allora Ministro per le Regioni Bassanini.
Oggi, facendo un‟analisi retrospettiva, possiamo considerare il
processo di riforma Bassanini come un‟anticipazione con legge
ordinaria delle riforme costituzionali, che con la l. n. 59/97 dovevano
essere varate in parallelo dalla Commissione bicamerale per le riforme
costituzionali.
Le forze politiche di maggioranza e opposizione, in quell‟occasione
non riuscirono a trovare quel “clima costituente” necessario per
modificare la seconda parte della Costituzione
10
; così il processo
9
Cfr. A.Pajno, “L‟attuazione del federalismo amministrativo”, in “Le Regioni”, Bologna, 2001, p.
667.
10
In realtà, la Commissione bicamerale aveva trovato un accordo sul testo di modifica del titolo V
della Costituzione, ma i contrasti sorti su altre parti del testo hanno determinato il fallimento
dell‟intera proposta di revisione della seconda parte della Costituzione.