14
1.1 Considerazioni introduttive
L impresa familiare riveste un ruolo fondamentale nella crescita e nello
sviluppo di una società, in quanto rappresenta la spina dorsale di una
nazione
5
e la manifestazione diretta della libertà di iniziativa economica
6
.
Le business family, chiamate anche “dynasty” per il loro carattere
ereditario, facendo leva soprattutto sulla creatività, sulla flessibilità e sulle
capacità tecniche, che rappresentano i punti di forza sui quali poggia il
successo della loro formula imprenditoriale, danno un contributo notevole
allo sviluppo dell‟economia, al costume e alla società di un Paese.
L‟evidenza empirica mostra come le dynasty siano determinanti, nelle
economie emergenti
7
come in quelle sviluppate, sia in termini di contributo
alla crescita del prodotto interno lordo
8
che alla generazione di nuovi posti
di lavoro.
Natura e struttura della proprietà e del management in un family business si
differenziano profondamente da quelle di un non family business.
Un manager di una dynasty, essendo legato alla proprietà dell‟impresa,
avrà un comportamento differente da quello tenuto da un manager di
un‟altra tipologia di organizzazione.
Queste caratteristiche fanno sì che il family business sia un‟entità
economica speciale, con vantaggi e svantaggi competitivi rispetto alle
imprese non familiari che hanno differenti ripercussioni economiche sulle
performances.
5
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: D. Viviani, La quotazione dei family business in Italia.
Analisi delle performance aziendali e di mercato, Euscalapio, Bologna 2009.
6
Per un’analisi più approfondita ed esaustiva sulla storia delle imprese familiari si veda: A.Colli
The History of Family Business 1850-2000, Cambridge University press, Cambridge 2003.
7
Economie emergenti: Sono le economie dei paesi che hanno un livello economico inferiore a
quello dei paesi ricchi, ma che presentano elevate potenzialità e che hanno impostato programmi
di sviluppo della propria struttura produttiva; (www.mimi.hu).
8
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è una grandezza aggregata che esprime il valore complessivo dei
beni e servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di tempo (solitamente l'anno)
e destinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioni nette).
15
Governare un‟impresa a conduzione familiare non è compito agevole: la
sovrapposizione istituzionale, ossia la commistione tra sfera aziendale e
sfera familiare risulta pericolosa qualora l‟istituto-azienda venga sottomesso
alle logiche tipicamente familiari, o viceversa, qualora la famiglia sottenda
a logiche prettamente aziendali.
“Governance
9
, trasferimento d‟impresa
10
, risorse umane e finanziarie
saranno quasi sicuramente i fattori chiave nonché le criticità che le imprese
familiari , nei prossimi anni dovranno gestire per ipotecare, nel breve
termine, la loro sopravvivenza e sviluppare criticità di crescita nel medio
lungo periodo”
11
.
Studiando i legami esistenti tra gli interessi della famiglia e gli obiettivi di
lungo termine, la cultura del rischio, il patrimonio e il grado di
coinvolgimento dei membri nella corporate governance, emerge il trade-off
tra bisogni della famiglia e bisogni del business.
Si è stimato che le imprese a conduzione familiare, e quelle dove una o più
famiglie rappresentano un punto di riferimento importante per la gestione,
sono presenti in tutti i Paesi del mondo in maniera notevole
Le imprese familiari sono la forma dominante e più antica delle
organizzazioni economiche e rappresentano le indiscusse protagoniste del
processo di industrializzazione
12
.
9
Corporate governance: l'insieme di regole, di ogni livello (leggi, regolamenti etc.) che
disciplinano la gestione della società.
10
Trasferimento d’impresa: s’intende il passaggio di proprietà di questa ad un’altra persona o
impresa che assicuri la continuità della sua esistenza e della sua attività.
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: Giacomelli S., Trento S., Proprietà, controllo e
trasferimenti nelle imprese italiane. Cosa è cambiato nel decennio 1993-2003, in Banca d’Italia
“Temi di discussione” n 550, 2005.
11
N. Miglietta, Family Business. Strategie di governo delle imprese familiari Ed.Cedam, Torino,
2009 pag.3.
12
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: A.Colli Il capitalismo famigliare. Ed. Il Mulino,
Bologna, 2006.
16
Pur trattandosi di un fenomeno internazionalmente assai diffuso, il legame
tra impresa e famiglia appare ancora più intenso nel nostro Paese, dove la
connotazione familiare non riguarda solo la prevalenza delle imprese
minori, ma anche la maggior parte delle grandi imprese private.
Le aziende familiari sono presenti, specialmente nel nostro Paese, anche
nella categoria delle imprese di grandi dimensioni benché spesso il family
business viene erroneamente confuso con le piccole-medie imprese (PMI).
Quando si parla di imprese famigliari tutti pensano a quelle realtà piccole e
solitamente artigianali che si tramandano di padre in figlio e che gli
economisti definiscono come marginali.
In Italia, infatti, con questo termine, si tende ad indicare le imprese di
piccole e piccolissime dimensioni.
Questo ormai è diventato un modo molto obsoleto e riduttivo per
considerare una realtà crescente e dalle potenzialità molto alte, basta
considerare la varietà e la profondità di valori e cultura che portano nel
loro dna.
Vi sono aziende molto grandi e note possedute quasi interamente dai
membri di una famiglia, che competono validamente con i concorrenti
formati da migliaia di azionisti o dai capitali delle multinazionali.
Le imprese famigliari hanno saputo tener testa a questi tempi di guerra, di
inflazione
13
e di sconvolgimenti politici, preparando successori capaci di
gestire con nuove tecniche direzionali, tecnologiche e finanziarie le sfide
delle loro imprese.
Nel mercato italiano fanno da esempio le aziende delle grandi famiglie
(Agnelli, Armani, Pirelli, Barilla, Ferrero e Marzotto) che danno un
contributo notevole allo sviluppo dell‟economia italiana e al costume e alla
13
Con il termine inflazione s’intende un generale aumento continuo dei prezzi di beni e servizi in
un dato periodo di tempo che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta.
Con l'innalzamento dei prezzi, ogni unità monetaria potrà comprare meno beni e servizi, ne
consegue che l'inflazione è anche un'erosione del potere d'acquisto.
17
società del nostro paese. A livello internazionale Nike e Wal-Mart sono
altrettanto validi esempi di imprese familiari di grosse misure.
Dunque, mentre il family business si occupa di imprese di ogni dimensione,
e se normalmente una PMI è gestita a livello familiare, non è altrettanto
frequente la relazione opposta: una business family ha, di frequente,
grandezze importanti.
Soltanto da alcuni anni la letteratura economica aziendale ha iniziato a
manifestare interesse per le problematiche specifiche che caratterizzano
questo tipo di impresa. Tuttavia allo stato attuale è inesistente una
definizione concettuale ed operativa, unanimemente accettata di impresa
familiare.
D‟altronde, i caratteri distintivi che essa presenta sono così numerosi e
differenziati che sarebbe alquanto difficile pretendere di identificare il
family business in maniera unitaria.
1.2 Cenni storici: dalla nascita all’era economica moderna
L‟impresa familiare presenta criticità anche dal punto di vista storico: non è
facile datare la sua nascita e collocarla in una dimensione spazio-temporale
definita.
Già nel periodo pre-industriale, le dynasty rappresentavano la maggioranza,
andando dalle botteghe artigianali dei centri urbani, alla famosa Banca della
famiglia Medici
14
, sino alla sofisticata impresa commerciale di Andrea
Barbarigo
15
, il Mercante di Venezia
16
.
14
l Banco dei Medici (1397-1494) fu la più grande e famosa banca d'Europa nel corso del XV
secolo. Vi sono molti studiosi che ritengono la famiglia Medici sia stata per un certo periodo la
famiglia più ricca d'Europa. Con questa ricchezza, acquisì potere politico prima a Firenze e
successivamente in Italia ed in Europa.
15
Andrea Barbarigo fu un mercante veneto che nel quattrocento creò una vasta rete commerciale
instaurando fitte ed intense relazioni con corrispondenti ed agenti esteri.
18
Tra le imprese più longeve, l‟Italia e la Francia annoverano la maggior
rappresentatività: tra le prime 15 ben 8 sono imprese familiari italiane
17
.
La terza nell‟elenco è la Fonderia Amarelli di Agnone (Isernia), la quarta la
casa vinicola ed oleificio Barone Ricasoli, la quinta è la vetreria Barovier &
Toso di Murano, l‟ottava l‟oreficeria Torrini di Firenze e la nona l‟azienda
vitivinicola Antinori di Firenze
18
.
A partire dalla Seconda Rivoluzione Industriale, nei settori ad alta intensità
di capitale
19
l‟evoluzione tecnologica delle modalità di produzione ha
contribuito alla diffusione delle grandi imprese (metallurgiche, della
chimica, dell‟energia e della meccanica) che realizzavano importanti
economie di scala
20
.
In tale contesto a supporto delle grandi imprese interviene la piccola-media
impresa che, insostituibile in specifici segmenti di mercato, fa da base per
molti tipi di forniture e da pioniera nei processi innovativi più rischiosi.
Non solo, non essendo tutti i settori colpiti dalla rivoluzione (ne restano
fuori specialmente quelli “labour intensive”, ossia quelle attività
economiche che fanno prevalentemente uso del fattore lavoro, come per
esempio, il tessile, l‟abbigliamento, la fabbricazione di mobili), la piccola
impresa rimane in questi più che mai vivace e competitiva.
16
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: F.Lane I mercanti di Venezia. Ed Einaudi Torino,
1996.
17
La nascita del family business è fatta risalire intorno al 1870 negli Stati Uniti in concomitanza
alla specializzazione della conoscenza e della transizione del cosiddetto capitalismo familiare a
quello finanziario di mercato.
18
www.familybusinessmagazine.com/worldsoldest.html, la rivista nordamericana redige
periodicamente una classifica delle aziende familiari più antiche al mondo.
19
I settori ad alta intensità di capitale sono caratterizzati da un’importante incidenza del fattore
capitale nel processo produttivo in rapporto al grado di utilizzo degli altri fattori produttivi.
Un processo produttivo si definisce ad alta intensità di capitale quando fa ricorso in larga misura
ad impianti altamente automatizzati che non richiedono un numero eccessivo di forza lavoro: è il
tipico caso di impianti nucleari o aziende automobilistiche.
20
Economia di scala: indica la relazione esistente tra l’aumento della produzione e la diminuzione
del costo medio di produzione.
19
“Gli inizi dello scorso secolo scorso, vedono nascere moltissime botteghe a
conduzione familiare che vivono della domanda locale
21
”: a differenza dei
comparti avanzati, nei quali è più stretta l‟interazione tra progresso tecnico,
crescita dell‟impresa, produttività ed evoluzione organizzativa (e
sicuramente anche con il ruolo del sistema finanziario), nei settori cosiddetti
“leggeri” (pur assorbendo i due terzi della totale produzione industriale)
meno evidente e più sporadico risulta l‟intervento del capitale estraneo a
quello familiare o, comunque, a quello proveniente dalla stessa attività
d‟impresa, considerate le scarse risorse di cui necessitano realtà aziendali
modeste in cui è prevalente la componente “circolante” e per il cui avvio
non occorrono investimenti tecnici elevati.
Verso la fine del primo decennio dello scorso secolo, si iniziano a creare le
condizioni per la trasformazione del laboratorio artigiano nella piccola
impresa specializzata in uno o pochi segmenti del ciclo di lavorazione:
l‟impresa “di fase” pone le premesse per la formazione dei distretti
industriali
22
nella forma oggi conosciuta.
Le figure imprenditoriali continuano, però, ad essere ancora fortemente
impregnate di tratti tradizionali, dove il proprietario, molto probabilmente
un ex artigiano o ex operaio, conduce e domina in prima persona tutto il
processo di lavorazione; in più, il modesto capitale di avviamento e di
funzionamento, così come la forza lavoro, sono forniti dal nucleo familiare,
in qualche modo coinvolto nell‟attività.
Anche dal punto di vista finanziario, si riscontrano tratti comuni nelle
imprese dei settori “leggeri”, con un maggiore ricorso
all‟autofinanziamento e agli istituti di credito locale.
21
F. Della Peruta. Lavoro e fabbrica 1815-1914,Ed. FrancoAngeli, Milano, 1987, pag. 61.
22
Il distretto industriale è un'agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media
dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato,
specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa
di interrelazioni di carattere economico e sociale.
20
A cavallo degli anni Venti, dopo che la guerra aveva creato fenomeni di
gigantismo che avevano reso insolite le dimensioni della fabbrica, si assiste
ad un periodo di crescita rapida ed intensa, quasi in linea con quello delle
maggiori economie europee, che vede i settori tradizionali perdere la loro
forza propulsiva, lasciando spazio all‟industria elettrica, chimica e
meccanica: è il momento in cui si affermano le imprese di grandi
dimensioni.
Tale organizzazione, in particolar modo durante il periodo fascista, diventa
la protagonista di processi di fusione
23
nei comparti avanzati (“le operazioni
di concentrazione, negli anni Trenta, incrementano quasi del 50%”
24
)
accrescendo il grado di interdipendenza reciproca attraverso la stipula di
accordi, patti di sindacato
25
, scambio di partecipazioni e seggi nei CdA.
Anche la seconda guerra mondiale, così come la prima, aveva colpito
maggiormente il settore agricolo piuttosto che quello industriale e aveva
sovradimensionato in maniera notevole l‟apparato produttivo italiano,
soprattutto nei settori manifatturieri più direttamente coinvolti.
Le imprese che si erano rese totalmente dipendenti dalla committenza
pubblica trovano parecchie difficoltà nella successiva riconversione. Il
dibattito in auge in questi anni vedeva, infatti, contrapposti quelli che,
partendo dal principio che tutte le industrie fossero ambientabili nel Paese,
spingevano verso un‟Italia orientata ai comparti della siderurgia, della
meccanica, e alla grande dimensione dell‟impresa, contro coloro, al
23
Le fusioni sono operazioni nelle quali una pluralità di società vengono sostituite da una sola.
Possono verificarsi due situazioni: una o più società si fondono in una di esse, che le assorbe
(fusione per incorporazione); una o più società si fondono in altra del tutto nuova (fusione vera e
propria).
24
E. Borruso. Dal laboratorio artigiano alla piccola impresa urbana. In C. M. Belfanti, T. Maccabelli
(a cura di). Un paradigma per i distretti industriali .Radici storiche, attualità, sfide future, Grafo,
Brescia, 1997, pag 48.
25
Patto attraverso il quale due o più azionisti si impegnano a comportarsi in un determinato
modo nelle attività aziendali, per esempio nell'espressione del voto durante l'assemblea
societaria. Modalità di controllo molto diffusa, ha la funzione di accentrare di fatto il potere nelle
mani di un gruppo ristretto di azionisti.
21
contrario, che spingevano verso il pieno dispiegamento delle potenzialità
dei settori “naturali”, come quelli legati ai prodotti agricoli ed
all‟artigianato.
La rivalutazione dei settori “labour intensive” e le difficoltà attraversate
negli anni successivi alla seconda guerra mondiale dalle organizzazioni di
grandi dimensioni, iniziano a creare terreno fertile per nuovi ruoli ed ampie
prospettive di crescita per le piccole imprese.
La dicotomia tra artigianato evoluto e produzione in massa, così come tra
piccola e grande dimensione, coinvolge quasi tutti i settori dell‟economia
nazionale, al punto che il tessuto imprenditoriale degli anni dell‟immediato
dopoguerra risulta caratterizzato da un settore manifatturiero composto
26
da
oltre un milione di attività artigiane e di microimprese
27
(che assorbivano
appena il 33% della forza lavoro) e da circa 50 mila imprese industriali, di
cui il 98% aveva meno di 100 dipendenti.
Le poche imprese capital-intensive e di grandi dimensioni, erano sotto lo
stretto controllo di ricche famiglie: gli Agnelli, per esempio, controllavano
attraverso l‟IFI
28
il 70% della FIAT; i Piaggio detenevano il 60% della
impresa cantieristica; i Pirelli, pur possedendo solo il 25% delle azioni della
“Pirelli e C.”, avevano saldamente il comando dell‟intero gruppo con un
sistema di partecipazioni incrociate
29
; i Falck erano proprietari del 70%
dell‟omonima impresa.
Oltre la metà degli anni Cinquanta la grande impresa è la protagonista
indiscussa dello scenario economico, pur mantenendo i caratteri tipici del
capitalismo italiano, soddisfa la crescente domanda di beni di consumo e
26
Rapporto della Commissione economica 1947.
27
Le microimprese sono imprese con un massimo di 10 addetti ed un fatturato annuo fino a 2
milioni di euro. (http://cms.microimprese.it/identikit-microimprese.html).
28
IFI: istituto Finanziario Industriale, oggi chiamato Exor, fu fondato dal senatore Giovanni Agnelli
per raggruppare sotto un’unica società le partecipazioni da lui acquisite.
29
Possesso reciproco di quote da parte di due società. L'eventualità, in grado di vanificare norme
in materia di trasparenza e correttezza della vita sociale è su tutti i mercati sottoposta a
restrizioni. ( http://finanza.repubblica.it).
22
nel periodo compreso tra il 1958 e il 1962 rappresenta il principale motore
di crescita dell‟economia.
Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono la nascita di sistemi locali
specializzati: molti ex operai aprono attività in proprio e creano business di
successo in grado di soddisfare le nuove esigenze di consumo, che
rapidamente crescono sino al rango di medie imprese con alcune decine di
dipendenti.
Si tratta di iniziative imprenditoriali capaci di innovare in campo
tecnologico, di espandere il proprio apparato distributivo mantenendo,
sempre ben saldi i valori e le tradizioni del mondo dell‟artigianato.
In questo periodo, si assiste, infatti non solo ad una crescita del numero
delle piccole imprese, ma anche alla crescita dimensionale di alcune di esse
che raggiungono livelli tali da porsi anche in più fasi del ciclo produttivo.
A tal proposito è possibile citare l‟imprenditore Artiside Merloni che nel
1933 fondò l‟omonima società e dopo solo 20 anni si ritrovò con
un‟azienda che fatturava 200 milioni. Oppure l‟imprenditore Lino Zanussi,
che dopo aver ereditato l‟azienda dal padre, conduceva un‟impresa che, con
250 mila pezzi all‟anno, esportava in tutta Europa. O, ancora, Eden
Fumagalli che, dopo aver aperto a Monza le Officine Meccaniche Eden
Fumagalli alla fine del primo conflitto mondiale, negli anni Sessanta
conduceva un‟azienda con oltre 40 miliardi di fatturato, piazzandosi al
quarto posto nel suo settore.
Tra la fine degli anni Sessanta e l‟inizio del decennio successivo, le
condizioni che avevano favorito l‟ineguagliabile crescita dell‟economia
italiana vengono meno, la domanda di beni di consumo non, fu così forte
come nel periodo precedente e le imprese incominciano ad incontrare
difficoltà nell‟adeguare i prezzi agli aumenti dei costi fissi e variabili della
produzione (primi tra questi, quello della mano d‟opera).
23
I primi imprenditori a subire pesantemente il calo della domanda dei beni di
consumo durevole
30
sono quelli del settore degli elettrodomestici: basso
grado di diversificazione, dimensioni ridotte e scarso dinamismo del
mercato dei capitali, diventano motivo di criticità per l‟impresa familiare
privata che non è più in grado di prendere decisioni strategiche ed
organizzative, per far fronte alla differente congiuntura economica.
Durante gli anni Novanta, il contesto industriale italiano ha subito notevoli
trasformazioni: la dismissione di grandi imprese pubbliche, le difficoltà di
alcuni tra i maggiori gruppi privati, l‟incapacità delle numerose piccole
imprese, attive su una o poche fasi del ciclo produttivo, di affermarsi
autonomamente sui mercati internazionali e il conseguente sviluppo dei
distretti industriali.
La necessità di una visione globale al mercato richiede una trasformazione
“demografica” del Paese verso aziende di medie dimensioni specializzate
nei settori cosiddetti del made in Italy (del tessile-abbigliamento, per
esempio), con percorsi evolutivi comuni, che trovano le loro origini nelle
modeste esperienze imprenditoriali avviate poco prima o negli anni
immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale e che vedono,
negli anni più recenti un‟intensa crescita.
Le famiglie proprietarie esercitano un controllo diretto sull‟attività
d‟impresa concentrando nelle proprie mani le decisioni strategiche e quelle
operative
31
, riconnettendo l‟ampliamento dei confini generalmente alle
risorse umane disponibili in seno alla famiglia, con un management esterno,
che, ove presente, è di formazione interna e di provata fedeltà alla famiglia.
30
I beni di consumo durevole non esauriscono la loro utilità in un solo atto di consumo, ma
soddisfano un determinato bisogno per un periodo di tempo relativamente lungo.
31
Le decisioni operative fanno riferimento alla gestione quotidiana del business, le decisioni
strategiche attengono alle politiche aziendali e alle scelte di lungo periodo.
24
E‟ il caso della Riva siderurgica
32
in cui i due fondatori, Emilio e Adriano
Riva, sono affiancati da figli e nipoti tutti in posizioni manageriali di
rilievo. Od anche la Mapei il cui presidente, Giorgio Squinzi, si avvale dei
membri della sua famiglia per le funzioni di direzione.
L‟assetto proprietario di queste realtà imprenditoriali è quasi sempre
riconducibile allo schema di gruppo gerarchico formato da società operative
legate ad una holding
33
direttamente o attraverso catene di partecipazioni
azionarie. Con tali strutture societarie, i fondatori e gli eredi mantengono un
saldo controllo delle proprie imprese, con percentuali che, ben di rado,
scendono al di sotto della totalità delle azioni.
Oltre la possibilità di sfruttare la leva azionaria per detenere il controllo, la
struttura di gruppo gerarchico permette una relativa separazione tra “affari
di famiglia” e quelli d‟impresa, risolvendo eventuali conflitti familiari nella
holding capogruppo e lasciando quelli economici nelle controllate
operative.
1.3 Lo studio delle dynasty
La “speciale natura” del business familiare è stata oggetto d‟indagine già
dai primi anni sessanta.
Alcuni autori
34
la associano, principalmente, agli elementi “non razionali/
emozionali” (legami di parentela, nepotismo, aspetti emozionali nella
gestione ecc.) propri dell‟impresa familiare, che vengono posti in relazione,
32
Il Gruppo Riva è un gruppo siderurgico italiano; nel 2005 è stato il decimo produttore d'acciaio
al mondo con una produzione di 17,5 ml di tonnellate di acciaio grezzo, con un fatturato di 8,53
miliardi di euro e circa 25000 dipendenti.
33
Holding: società finanziaria che detiene il controllo di un gruppo di aziende, attraverso il
possesso diretto o indiretto di una rilevante quota del pacchetto azionario di ciascuna.
34
Per approfondimenti vedi: Chalder. Scale and Scope: The Dynamics of Industrial Capitalism,
Harvard University Press, Cambridge,1990.
25
anche in contrasto, con quelli “razionali” (efficienza ed efficacia nella
gestione del business).
Questo nesso, originariamente è considerato penalizzante per la gestione
aziendale, valutando la sovrapposizione delle due dimensioni (quella
razionale e quella emozionale) come un fattore potenzialmente
danneggiante il raggiungimento degli obiettivi economici propri del
business (profittabilità e creazione di valore), promosse una “view” del
business familiare come “differente”. “Gli studi si caratterizzano per
concepire il capitalismo dinastico come un modello di piccola dimensione,
che deve essere superato grazie alla transizione verso la grande impresa
fordista (corporate).”
35
Chandler, ad esempio, considera il modello statunitense della grande
impresa come la pietra di paragone della modernizzazione industriale e
analizza i modelli di altri paesi per spiegarne l‟ “anomala” affermazione.
Vi sarebbe un percorso naturale di evoluzione dell‟impresa, che nasce
personale, diventa famigliare e gradualmente evolve da un‟organizzazione
personale imprenditoriale verso uno schema manageriale, con l‟adozione di
una struttura multi-divisionale che rappresenterebbe il pieno sviluppo
dell‟impresa capitalistica moderna.
Galbraith, invece, considera il capitalismo dinastico un “modello destinato
al tramonto”
36
.
Gli studi si concentrano particolarmente sulla separazione tra proprietà e
management anche se non mancano gli studi che vedono l‟impresa in una
prospettiva non residuale. Questi lavori focalizzano la loro attenzione sugli
elementi di minaccia alla razionalità economica, generalmente individuata
nella commistione tra famiglia ed impresa.
35
G.Tardivo, M.Cugno. Il sistema family business: un patrimonio da valorizzare, Ed.FrancoAngeli,
Milano, 2010 pag. 44.
36
Per un’analisi più dettagliata vedi anche:J. Galbraith The New Industrial State, Houghton Mifflin,
Boston, 1967 (trad. it.: Il nuovo stato industriale, Einaudi, Torino, 1968).
26
Solo verso la metà degli anni ottanta, tuttavia, si avvertì la necessità di
creare una sorta di linea di demarcazione tra quella che poteva essere
qualificata come impresa familiare e quella che non lo era, soprattutto sulla
scorta dell‟intenzione di effettuare delle comparazioni tra impresa familiare
e non familiare per valutarne in maniera oggettiva, attraverso metodi
statistici, le eventuali differenze nelle performances, nell‟impostazione delle
strategie, nel processo decisionale ecc..
In altri termini, riconosciuta l‟unicità dell‟impresa familiare, il problema era
quello di identificare con maggior chiarezza e oggettività gli elementi
distintivi in modo tale da attribuire al fenomeno “impresa familiare”
un‟identità più chiara e riconoscibile, con l‟ulteriore obiettivo di verificare
se, effettivamente, tali elementi distintivi potevano comportare delle
concrete differenze nel comportamento dell‟impresa, nella performances,
nell‟assunzione delle decisioni ecc., rispetto alle imprese non familiari.
La letteratura italiana analizza le dynasty come specificità delle piccole e
medie imprese, sviluppandosi lungo due direttrici fondamentali: da un lato
come elementi dei sistemi produttivi locali e dei distretti industriali
37
,
dall‟altro, come autonome unità economiche con peculiarità di assetto e
funzionamento.
Dai primi anni novanta, nascono i primi studi monografici sul family
business, e studiosi come Schillaci, Demattè, Corbetta cercano di
“clusterizzare” le imprese familiari sulla base degli elementi distintivi che
la caratterizzano, rivolgendo la loro attenzione in particolare alle condizioni
37
Il distretto industriale è un'agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media
dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato,
specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa
di interrelazioni di carattere economico e sociale.
27
di funzionamento e ai processi di sviluppo
38
, alla successione
generazionale
39
e alle funzioni di corporate governance
40
.
La fase più recente di studi si occupa di decodificare le direttrici di sviluppo
dell‟impresa familiare con lo scopo di istituire un ambito autonomo di studi
del family business che esalta le peculiarità strutturali e dei suoi
comportamenti strategici.
Restano, tuttavia, numericamente limitati gli studi supportati da indagini
empiriche, soprattutto se paragonati con quelli che si sono occupati di
public company.
1.4 Alla ricerca di un’unica definizione di family business
Il termine family business ha assunto una gamma molto ampia di significati
e, a seconda dell‟ambito di interesse che gli autori hanno preferito
enfatizzare, si sono sviluppate differenti definizioni di impresa familiare.
Gli approcci seguiti nel cercare di individuare dei “confini” al fenomeno
possono essere ricondotti a tre macro-aree tra loro interrelate :
1) l‟approccio basato sulla proprietà e sul controllo.
Barnes e Hershon definiscono come familiare un‟impresa in cui
un‟ individuo o i membri di una singola famiglia, detengono una
partecipazione
41
di controllo.
42
38
Per un’analisi più dettagliata vedi anche: G.Corbetta. Le imprese familiari. Caratteri originali,
varietà e condizioni di sviluppo, Ed EGEA, Milano, 1995.
39
Per un’analisi più dettagliata vedi anche: C. Dematté. Economia degli Intermediari Finanziari
(con G.Forestieri, P.Mottura) (a cura di), Ed. Egea, Milano, 1993.
40
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: C. Schillaci. I processi di transizione del potere
imprenditoriale nelle imprese familiari, Ed Giappichelli, Torino, 1990.
41
Partecipazione di controllo: quantitativo di azioni possedute da una società tali da detenere il
controllo di un’altra società.
42
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: Barnes , Herson. Trasforming power in the family
business, Harvard Business Review, Harvard July-August 1976.
28
Villalonga e Amit ritengono che la famiglia debba detenere almeno
il 20% della proprietà del capitale affinché l‟impresa sia considerata
familiare.
43
Altri autori considerano il livello di equity
44
detenuto da una
famiglia: per Alcorn è familiare “un‟impresa in cui la famiglia, se
la proprietà è detenuta anche da soggetti esterni, deve gestire il
business e partecipare all‟equity”
45
; Lansberg sostiene che “un
business nel quale i membri di una famiglia hanno il controllo
legale sulla proprietà”
46
.
2) l‟approccio basato sul numero di familiari coinvolti nella gestione e
sulle generazioni che si sono succedete nel corso del tempo. Stern
sostiene che sia familiare quel “business posseduto e gestito dai
membri di una o più famiglie”
47
, Ward e Donnely
48
considerano
familiari quelle in cui si sono succedute almeno due generazioni
mentre Churchill e Hatten
49
quelle in cui vi sia la reale volontà di
trasmettere la proprietà alla generazione successiva.
43
Per un’analisi più dettagliata si veda anche : Villalonga, Amit. How do family ownership, control,
and management affect firm value? Journal of Financial Economics, 80 (2), 2006.pag 385-417.
44
Equity: Capitale proprio dell'azienda, versato, generalmente, attraverso la sottoscrizione di
azionari o quote. La sua remunerazione dipende dalla redditività e dal successo dell'iniziativa, sia
in termini di utile prodotto e distribuito ai soci tramite dividendi, sia in termini di aumento di
valore delle azioni,( www.aifi.it).
45
Per un’analisi più dettagliata si veda anche: Alcorn. Success and survival in the family-owned
business McGraw-Hill, New York, 1982.
46
Per un’analisi più dettagliata vedi anche: I. Lansberg , S. Perrow, S. Rogolsky , Family business
Review; 1 (1) 1988.
47
Per un’analisi dettagliata vedi anche: Stern. Inside the Family-Held Business , New York, 1986.
48
Per un’analisi più dettagliata vedi anche: Ward. The special role of strategic planning for family
businesses, Family Business Review, 1, 1988.
49
Per un’analisi più dettagliata vedi anche:Churchill, Hatten.Non-market-based transfers of
wealth and power: a research framework for family business American Journal of Small Business
11, 1987.