5
Prefazione
In questa breve ricerca di storia della filosofia antica ci si propone di analizzare la
combinazione che nelle opere di Platone si crea fra le notevoli sfaccettature assunte dal mito e
l’altrettanto ampio spettro di significati coperto dalla legge. Le accezioni via via differenti dei
due termini creano nei dialoghi una relazione osservabile da diversi punti di vista. In via
preliminare è bene sottolineare infatti che se il mito dal canto suo non risulta mai di per sØ
facilmente delineabile come forma espressiva – non è sempre chiaro stabilire se qualcosa rientri
o meno nel mito
1
– e tantomeno filosofica, allo stesso modo nel corpus platonico il nÒmoj non è
da meno e si pone tutt’altro che sotto una sola agile forma. Così come il mito non figura sempre
secondo i canoni collaudati della tradizione greca classica, stabiliti dai poemi epici di Esiodo e
Omero, ma anzi con notevoli altri aspetti e scopi, le leggi dal canto proprio non saranno di fatto
concepite solo come una formulazione sintetica di una prescrizione o dovere stabilito propri
dell’ordinamento dello Stato – come così potrebbe sembrare piø ovvio ad un osservatore
contemporaneo. Il nostro primo termine di riferimento, il mito, è infatti al centro di una forte
critica dei costumi e del folclore greco contemporaneo all’autore, ma nel contempo esso viene
caricato di contenuti pedagogici, cosmologici, filosofici e talvolta addirittura quasi-storici. Allo
stesso modo la legge si presenta ugualmente con venature cangianti di significato: ora come
sinonimo di Principio – cosmico, politico, morale – ora invece come richiamo ad una struttura –
ancora civile o universale – perciò non solo (bensì anche) come sinottica espressione giuridica.
La combinazione di tali molteplici accezioni dà vita pertanto ad una variabile relazione “mito-
legge”, ricca di gradazioni di significato: questo è un tratto caratteristico delle pagine di Platone
e trova il suo posto fra lo sterminato complesso di sfumature che il suo pensiero in generale
offre, e con il quale quindi è impossibile esimersi dal confrontarsi anche in questo lavoro.
Tutt’oggi, nonostante gli innumerevoli e possenti sforzi di definire il pensiero dell’autore una
volta per sempre, la filosofia platonica permane ancora libera da rigide e troppo manualistiche
sistemazioni. Non esiste un’Etica, una Teoria del Diritto, nØ tanto meno una Politica di Platone,
che potrebbero agevolare questa ricerca, così come qualsiasi altra, fra le maglie del corpus:
1
G. NADDAF, Introduction in L. BRISSON, Plato the myth maker, The Chicago University Press, Chicago & London
1999.
6
piuttosto esiste una fenomenologia di problemi e soluzioni, che si danno di volta in volta in
modo mai identico. Come per nessun altro autore inoltre ogni testo o argomento risulta mai
definitivamente isolato in Platone, banalmente anche solo nei titoli, bensì si assiste ad
un’articolazione costante di diversi temi. Ciò si deve in forte misura al celebre stile dialogico che
– persino nei testi piø tardi che maggiormente soffrono di lunghi e complessi soliloqui – si pone
a perenne garanzia di qualsiasi tentativo di ultimativa fossilizzazione della riflessione
dell’autore
2
. In Platone come è stato osservato la filosofia diventa infatti una perenne
rappresentazione teatrale dove gli interrogativi piø profondi interagiscono fra loro
3
, trovando via
via risposte sempre piø pertinenti ma senza mai lasciare la scena del pensiero una volta per tutte.
Ogni dialogo figura come un intreccio vivo creato dalle prestazioni di piø attori/modalità di
pensiero, in cui la coralità di interventi, al di là delle battute fissate nero su bianco, non chiude
mai definitivamente lo spazio per nuove e piø esaurienti integrazioni; dove ogni tematica, anche
pur quando marcatamente dibattuta e posta al centro di un singolo testo, si tesse insieme a
molteplici altre questioni, ora parallele o accessorie, ora invece piø essenziali e necessarie.
Per quanto forte e determinante sia l’impronta di Platone quel che è singolare è che nel corpus
non si assiste mai direttamente allo dispiegarsi di un pensiero univoco bensì sempre ad una
conversazione che resta dinamica, restia ad eccessi trattatistici anche quando la voce del filosofo
emerge con piø forza attraverso le parole di Socrate, dell’Eleate o dell’Ateniese
4
. Per questi e
altri aspetti basilari, la singolare forma filosofico-narrativa del dialogo rende i testi di Platone per
costituzione particolarmente aperti a nuove ermeneutiche, dove l’impulso ad una costante e
riflessione sembra inesauribile: nella compresenza di mutevoli, spesso avverse, concezioni
riguardanti un medesimo argomento, infatti qualsivoglia conclusione non è mai slegata dalla
possibilità di ulteriori rivisitazioni, smentite, migliorie. Ciononostante Platone lascia nel testo le
tracce che consentono al lettore piø attento la possibilità di andare in profondità e cogliere il
proprio autentico pensiero. Nella polifonia della voci in campo infatti non si smarrisce mai, in
particolare ancora nelle intenzioni dei personaggi guida, la ricerca del rigore e la coerenza
interna delle argomentazioni: in tutti le opere dell’autore si sviluppa di fatto un tragitto che
guarda sempre verso soluzioni che non siano mai meramente arbitrarie – non solo frutto solo
della confutazione retorica piø maestosa, al contrario – ma dove anzi è inderogabile l’obbligo di
raggiungere dei significati universali solidi, al fine di fondare e regolamentare autenticamente
l’esistenza dell’uomo; e di conseguenza la vita di una compiuta comunità umana, che resta uno
degli obiettivi principali del pensiero di Platone.
2
Epist. VII, 341b-d.
3
G. REALE (a cura di), Critone, Bompiani, Milano 2000, p. 21.
4
T. A. SZLEZ`K, Reading Plato, Routledge 11 New Fetter Lane, 1999 London, 28 sgg.
7
BenchØ Platone regali allo spettatore di ogni dialogo uno spaccato di discorso, una
simulazione di riflessione attorno ad una o piø questioni, la quale può essere costantemente
ripresa e riiniziata daccapo
5
, egli non manca mai di far trasparire i solidi argini metodologici che
è opportuno rispettare nell’articolare un pensiero, così come una propria ben precisa visione
ontologica, politica e morale che non possono essere solo parzialmente oggetto di
interpretazione; mai passibili pertanto di un’arbitraria revisione che si appoggi unicamente sulla
forma aperta dei dialoghi. Questi tratti tipici concorrono quindi a formare la grande difficoltà e
insieme l’insopprimibile fascino della filosofia di Platone. Ogni dialogo appare come una
fotografia
6
, un’inquadratura di un problema sempre presente davanti ai nostri occhi: crea insieme
i presupposti per una ulteriore messa a fuoco e riappropriazione del soggetto, per un nuovo
sguardo ed una rinnovata messa in opera di un dialogo fra individui di ogni epoca, per un sempre
piø maturo approfondimento
7
; ma nel contempo è pur sempre la mano dell’autore a stabilire il
taglio e l’obiettivo giusto con il quale approssimarsi al problema.
Se questi aspetti sono corretti in senso generale, divengono allora maggiormente apprezzabili
entro tematiche di natura politica e morale, intorno alle quali la riflessione non può davvero
permettersi di perdere il controllo vigile del logos e dove non si assopisce mai il carattere
d’urgenza dei suoi problemi. A tali questioni l’autore ha non casualmente dedicato moltissime
pagine e, forse, concesso in un certo senso un’attenzione speciale rispetto a tutte le altre
8
. A
maggior ragione in queste problematiche Platone insiste e suggerisce precise soluzioni, strategie
d’indagine e d’azione, partecipando tutt’altro che passivamente al dibattito politico-culturale del
quarto secolo. Ma come già sottolineato anche le questioni vitali riguardanti la polis, le
dinamiche e l’organizzazione della sua complesse dinamiche interne, danno comunque spazio a
piø concezioni forti, spesso contrastanti fra loro, e in queste contrapposizioni il lettore è
chiamato attivamente a misurare la validità della posizione in campo. Ancora, anche quando
polite…a e nÒmoi sono al centro dell’attenzione, le argomentazioni riportate non sono mai
totalmente estranee a questioni solo apparentemente lontane: il problema del linguaggio della
poesia
9
e della retorica
10
, la struttura e l’origine del cosmo tutto
11
, o ancora la genealogia della
specie umana
12
, l’immortalità dell’anima
13
e il principio di suprema, eterna responsabilità del
proprio agire
14
. Delineare in Platone pertanto anche solo il significato di legge e giustizia, di
5
Resp. V, 450 b.
6
H. ARENDT, Responsabilità e giudizio, Einaudi, Torino 2004.
7
F. TRABATTONI, Attualità di Platone, Vita e Pensiero, Milano 2009, pp. 21-22.
8
F. M. CORNFORD, op. cit., p. 20.
9
Resp. 386 a-388d; 390 a-391c; X, 595 a-598d; 605 c-608b.
10
Prot. 320 c-326 e; Euthyd. 303 b-304 c.
11
Tim. 29d sgg.
12
Resp. 415 a.
13
Phaedr. 245c-246a.
14
Resp, 614b-621d; Crit. 53a-54c.
8
bene pubblico e diritto privato, e di altre tematiche genuinamente politiche, costringe così
ugualmente a confrontarsi con molteplici altri ambiti della filosofia.
Entrando nel dettaglio, per quanto concerne il nostro scopo, esistono luoghi all’interno del
panorama platonico in cui basilari questioni di organizzazione dello stato cedono il passo –
spesso nel momento clou della riflessione – ad argomentazioni di matrice prettamente mitica,
con conseguente sorpresa del lettore piø attento. Altri invece in cui il mito è l’oggetto primo di
una riforma: passi in cui si stabiliscono le norme di pensiero necessarie affinchØ il suo compito
sia svolto al meglio; luoghi in cui, una volta criticato ed osteggiato, il mito torna infine sotto
l’egida di una legge del pensiero e dello stato piø comprensiva; ancora altri in cui sotto le spoglie
di una leggenda o di una favola per i giovani si nasconde una potente educazione civica e
morale, intorno alla compostezza dei costumi e alla fedeltà alla legge che una comunità dovrebbe
sempre tutelare e promuovere. La giurisprudenza e la mitologia quindi, la sistemazione rigorosa
delle questioni di pubblica necessità e la trasfigurazione allegorica di motivi di essenziale
indicibile
15
importanza, si incrociano sovente in una combinazione singolare ogni volta di
massimo interesse.
I. Il criterio di ricerca
In quanto ciò che ci si propone di fare è innanzitutto una ricerca di storia della filosofia, come
anticipato il primo passaggio è necessariamente da compiersi sui testi. A livello metodologico si
è proceduto con uno screening dei luoghi del corpus in cui mÚqoj e nÒmoj sono avvicinati da
Platone in una relazione manifesta, testuale appunto. Ciò, chiaramente, ha portato ad un scelta
inevitabile e difficile portando all’individuazione di una soglia di evidenza al di sotto della quale
non prendere in considerazione luoghi pur magari di un certo rilievo filosofico. Questo criterio
indispensabile ha prodotto una separazione che come è ovvio ha sacrificato senza dubbio una
parte delle tipiche sfumature sopra citate ma è risultata necessaria per un lavoro giocoforza
limitato nei contenuti e prima ancora nell’estensione. In primo luogo perciò anche diversi miti
celebri del panorama platonico – anche alcuni in cui un legame o rimando con un impianto o
15
Sovente, come si vedrà, il mito entra in gioco nei dialoghi quando le modalità di esplicazione del logos– certamente piø
precise e affidabili – porterebbero separatamente prese ad una non sempre efficace trasmissione del contenuto proposto, in
particolar modo quando l’audience-bersaglio del discorso non è filosoficamente ben equipaggiato. Nel nostro caso questo
aspetto è cruciale trattandosi di tematiche estremamente complesse e nel contempo improrogabili per una città – composta
anche da molti filosofi (o talvolta non ancora tali) – che agli occhi di Platone è fortemente da rieducare. L’ausilio di un
ventaglio di illustrazioni controllate non solo figura quindi auspicabile ma talvolta addirittura piø urgente della
spiegazione meramente razionale di una dato tema. Introducendo, come con un preludio o proemio, una difficile tematica
di interesse pubblico, sarà piø agile in seguito tirare le fila dell’argomentazione secondo categorie piø vicine al logos puro,
debitamente ammorbidite da una breve ma efficace storia. Il mito non sarà quindi semplicemente un esempio,
un’appendice all’enucleazione di un problema, bensì un suo momento cardine, spesso primo nell’esposizione, benchØ
secondo nella precisione. Un tale procedimento si approssima all’oggetto in modo sempre piø preciso, mentre al contrario
si assisterebbe semplicemente all’utilizzo di aggiunte posteriori alla spiegazioni, non ad un momento propedeutico. Ma ad
ogni modo non è il caso dei miti che si andranno a breve ad esaminare.
9
struttura normativa resta in un certo senso latente
16
, a volte tutt’altro che di secondo piano – sono
stati messi da parte: tutti i richiami indiretti sono stati in generale, per ragioni di coerenza
interna, tralasciati e preferiti invece passi che talvolta al contrario offrono solo un debole
riferimento, ma pur sempre testuale
17
. Una battuta speciale va riservata però proprio al primo
passo, l’incipit della Repubblica: questo luogo del corpus gioca un ruolo introduttivo
imprescindibile per il nostro tema, poichØ da esso sembra poter iniziare
18
testualmente il
percorso di interconnessione di mito e legge; eppure, proprio per questo suo trovarsi
perfettamente sulla soglia del nostro criterio di selezione, esso non la attraversa compiutamente,
figurando come nel contempo come anche l’eccezione cruciale al nostro parametro.
Dalla cernita così efettuata sono emerse però in modo piø netto le piø ricorrenti e decisive
gradazioni di significato dei due termini di cui si faceva menzione poco sopra. Entrando nel
dettaglio il mito dal canto suo assume nella relazione con la legge quantomeno due accezioni
forti: il mito come eredità di un patrimonio iconico arcaico, e mito come strumento dell’indagine
filosofica. In diversi passi in cui il mito si lega alla legge, fra questi due aspetti si apre quindi un
aspro confronto: Platone cercherà infatti di operare una trasformazione del mito caratteristico
della poesia tragica – la spina dorsale della tradizione greca – per convertirlo in un patrimonio
istituzionalizzato di immagini, piø in armonia con il logos e il nomos, con l’intento di renderlo
davvero una colonna portante di una società riformata nei costumi. Tale manovra, non potendo
però giocoforza abolire di netto figure e leggende radicate da secoli nell’immaginario collettivo
ateniese, si preoccupa piuttosto di bonificarne i contenuti divenuti nel tempo talvolta addirittura
moralmente pericolosi e travianti per il benessere della comunità in cui sono ancora
estremamente diffusi. Questo processo da un lato ricrea quindi miti che spesso vivono sulla
sedimentazione di piø tradizioni, alla sommità delle quali Platone cerca ora di veicolare i propri
messaggi piø filosoficamente integrati. Altre volte invece i miti sono genuinamente platonici,
frutto di una poiesi originale dell’autore.
Quando vi è una ripresa dei motivi arcaici, piø che stravolgere i caratteri estrinseci dei
protagonisti, delle vicende della tradizione classica o della religione olimpica, Platone tenta
quindi piuttosto un riallineamento dei significati morali e politici delle stesse medesime storie
conservate spesso formalmente identiche, o assai simili: sono i valori trasmessi all’interno di tali
16
Anche la celeberrima allegoria del Sole-Bene, nel sesto libro della Repubblica che non presenta i tratti testuali
necessari per entrare a far parte di queste ristretta cernita è stata esclusa. L’eredità di queste pagine è raccolta in modo piø
efficace per questo studio dall’altrettanto nota Metafora della Caverna che è stata di fatto presa in esame. Cfr. anche
Phaedr. 246 a-248c dove seppur non menzionato, l’iter esistenziale dell’anima giocoforza si innesta in un sistema di
norme trascendentali.
17
In particolare cfr. il mito del Protagora (320 c-326; § 3), in cui la legge fa la sua fugace comparsa solamente in
conclusione di mito; un mito che oltretutto resterà fuori dal progetto riformista platonico di cui si dirà meglio in seguito,
fornendo così un passo esemplare di iconografia viziata e ancora immersa in forme retoriche e assai poco filosofiche.
18
Trattandosi di una struttura a rete, il corpus platonico può essere sempre guardato da punti di vista via via diversi,
facendo sia che non ci sia mai un vero e proprio inizio dell’indagine, un punto indubitabilmente “primo”.
10
iconografie ovviamente a suscitare l’attenzione e la preoccupazione del filosofo che cerca perciò
il modo di salvare le potenzialità evocative correggendone però i motivi entro un percorso critico
e civico che si intende ora inaugurare. Piø precisamente fra i due aspetti del mito quindi piuttosto
che una cruda opposizione si sviluppa un passaggio: da un mito ormai del tutto irresponsabile –
spesso fonte di mero intrattenimento, veicolo di costumi corrotti, sintomo di una religiosità e un
senso civico stanco e vuoto – a un mito a servizio della filosofia, che possa farsi strumento di
diffusione di valori sociali finalmente positivi. Un passaggio che come si cercherà di far
emergere dall’analisi, non può mai dirsi compiuti e il pericolo di una ricaduta nelle forme piø
scellerate del mitologia non può dirsi completamente scongiurata.
Sull’altro versante della relazione la stessa legge, come si accennava, che a prima vista
difficilmente potrebbe portare a pensare alla presenza una simile ambivalenza interna, in verità
offre a sua volta una rilevante ricchezza semantica. In primo luogo, certamente, la legge si
riferisce all’ordinamento positivo della comunità umana, indicando la struttura normativa della
città. D’altro canto però, in molteplici altri passaggi, con lo stesso termine Platone richiama
invece l’attenzione su un superiore ordine di norme e principi: l’assetto e configurazione
dell’universo intero. Anche in questo caso non si tratta spesso di una netta separazione, bensì di
una commistione e di un continuo avvicendamento dei due significati: sovente il discorso che si
preannuncia incentrato sulla legge civile sconfina infatti in un’osservazione di norme superiori
capaci, una volta enucleate, di rendere poi piø agile la ricerca nell’ambito piø ristretto del mondo
prettamente umano. O ancora, all’inverso, laddove è il cosmo ad essere osservato dapprima nei
suoi principi regolativi, una conseguente riflessione sulla città spesso si trova a raccogliere
l’eredità del discorso. Le leggi che stanno al di là delle norme della comunità umana non sono
solo decisive leggi fisiche, ma nel contempo sempre principi di un ordine morale trascendentale,
che la città deve fare proprio e tradurre in costituzione, valutandolo non meno di una sistema di
regole e meccaniche materiali.
II. Le tappe del percorso e i tratti della relazione
La relazione fra legge e mito, al di sopra di una soglia di rilevanza testuale, sembra perciò
crearsi a partire dalla combinazione di queste due coppie di sfumature di significato, dando vita a
passi piø o meno complessi. Come accennato nelle battute che danno inizio al libro I della
Repubblica si trova probabilmente la prima mescolanza di questi aspetti. Nell’incipit dell’opera
infatti si apprezza inoltre il piø elegante dei passaggi da un immaginario condiviso ormai stantio
– benchØ ancora tutt’altro che desueto al tempo di Platone – ad un ventaglio di mitologie piø
fresche, agili e soprattutto utili alla società. La discesa che Socrate intraprende in queste pagine
recupera infatti il leitmotiv della celeberrima Odissea omerica – il viaggio di ritorno verso la
11
patria – che viene adoperato da Platone come esempio del mito da sanare: il richiamo linguistico
del κ atšbhn
19
di inizio opera segna la ripresa formale del mito di Ulisse, ma in pochi cenni il
significato arcaico è epurato per far posto ad un contenuto piø maturo. Nel contempo inoltre, il
passaggio di testimone dal racconto classico a quello platonico attraversa parimenti anche due
diverse concezioni, nonchØ “percezioni”, della legge. Nell’iter di Socrate dalla città al Pireo, e
all’inverso dal porto all’agorà, emerge infatti anche un’evoluzione nell’atteggiamento di fronte ai
principi etici e civili in quanto tali. Fino a questo momento – lamenta Platone, attraverso
l’ingresso in scena di Cefalo – il costume condiviso si è assestato sulla ossequiosa quanto
timorosa osservazione e conservazione delle regole: queste, di ispirazione mitico-religiosa,
rimangono fondamentalmente irriflesse e tacitamente accettate. Ora il percorso dall’aura mitica
di Socrate verso Atene avvia invece un ricerca critica di norme non solo migliori per la città, ma
anche finalmente comprese e non solo eseguite: capaci di fronteggiare laddove richiesto anche le
convenzioni piø radicate, soprattutto quelle arroccate dietro immagini di divinità divenute
simulacri ormai del tutto vuoti o addirittura deleteri
20
.
Il confronto fra Socrate e Ulisse, fra le due mitologie che essi vogliono ora rappresentare, si
innesta quindi lentamente nel chiasmo fra Cefalo e ancora Socrate, due visioni differenti di
rispetto e tutela della legge che per certi aspetti si incrociano ma proseguono per via ben
diverse
21
. La legge degli dei, nella prima prospettiva, è oggetto di obbedienza: la struttura del
cosmo che i numi rappresentano – da cui pure si ricavano le regole cardine della vita della
società – piø che eterna appare percepita piuttosto come immobile, così come standardizzato e
fiacco è l’atteggiamento di rispetto che suscita nel mercante siracusano che resta incapace di
sviscerare un pensiero proprio davvero maturo. Nella visione proposta da Platone invece, tramite
Socrate, la legge della città sarà sì a immagine di un ordinamento superiore, cosmico e divino
22
,
ma la cui perenne validità richiede un costante sforzo virtuoso di riappropriazione
23
, un intima
mai esausta riflessione in ogni momento dell’agire e una sempre migliore applicazione. Tale
percorso porta senza dubbio ad una profonda rivoluzione dei costumi e leggi della città, che
d’ora in avanti restano tutt’altro che soddisfatte da una sola e sempre identica perpetuazione di
stanchi riti divenuti abitudine.
Partendo da una suggestione omerica, l’esordio della Repubblica lavora intorno alla figura del
nostos epico
24
per smussare gli eccessi mistici e irrazionalistici contenuti nel mito in senso lato e
19
Resp. I, 327a.
20
Ivi, 330e; Cfr. Euthyphr. 8 d.
21
Resp. I 331d .
22
Le norme sono divine, superiori, piuttosto che incentrate sul volere o agire esemplare di divinità antropomorfe: queste
conserveranno comunque una certa funzione civile, fungendo da collante sociale; cfr. Tim. 40 e.
23
Cfr. Meno. 87 b sgg.
24
Che in Platone non è piø solo un homecoming, ma una profonda presa di coscienza delle leggi di quell’universo nel
quale ci si riprometta nuovamente di fare ritorno, con una piø compiuta armonia e conoscenza delle sue regole.
12
dar vita ad un iter non fisico ma di pensiero, di un protagonista non piø eroe ma filosofo. La
riflessione che si innesta ora sul mito è piø matura: si tratta ancora di un ritorno verso la città di
cui si son perse le tracce – una Itaca divenuta Atene – ma attraverso la filosofia ben guidata dalla
ragione, che non per questo resta estranea all’aiuto prezioso di immagini debitamente preparate.
Allo stesso modo, il cammino socratico via via si preoccupa di denunciare certe funzioni civili in
rispetto della legge rimaste però solamente espressione di una superstizione. Al loro posto – o a
loro sostegno – il cammino quasi-mitico del filosofo porterà riflessioni e questioni in grado di far
avvicinare quanto possibile la città alla sua struttura normativa secondo modalità ben piø fedeli
al logos che non alla mera credenza e scaramanzia imperante. Nel κ atšbhn in sostanza
ritroviamo sintetizzate, da un lato, l’aggancio al mito e nel contempo l’inizio della sua
trasformazione, dall’altro simmetricamente, l’anelito verso un’indagine sui principi della
comunità che porterà piø volte inevitabilmente a guardare in primis alle norme del cosmo intero.
La relazione fra legge e mito prende i suoi spunti cardine proprio da queste pagine che
rappresentano una sorta di primo autentico mito platonico, o mito “zero”
25
. Il motivo del
percorso “che porta in basso
26
”, nelle profondità, emergerà poi sovente in altri luoghi in cui la
legge e il mito si combinano. In particolar modo la leggenda di Er
27
, a conclusione della
Repubblica, sembra costituire un viaggio mitico speculare a quello socratico, in cui ritornano
sotto un’altra prospettiva il tema della discesa inferica di ispirazione omerica (nei quartieri bassi
di Atene e nell’Aldilà), la costrizione in una condizione indesiderata ma in fondo liberatrice (la
morte e il dialogo), l’anelito verso valori regolativi profondi, fondativi e superiori (le Idee, le
Leggi dell’universo, intese come impalcature di uno scenario di una vita e di un agire senza
tempo). Di rilievo è proprio lo sfondo cosmico entro il quale il mito di Er prende luogo, che
rende quasi ristretto l’universo politico nel quale si svolge invece il percorso socratico. Se
quest’ultimo sovente si richiama a leggi e principi universali nel corso di argomentazioni volte a
dare una nuova e piø corretta direzione alla vita della comunità umana, Er dal canto suo compie
un percorso inverso descrivendo in prima battuta le meccaniche e le norme che regolano la vita
25
Il “mito” di Socrate resta quindi sui generis. ¨ innanzitutto singolare che Socrate in queste pagine sia il protagonista di
una storia che egli stesso racconta. Inoltre si tratta di un percorso che è cominciato – “ieri scesi al Pireo” – ma che non si è
ancora in grado di cogliere nella sua totalità poichØ in corso d’opera: tutt’altro che terminato; a malapena iniziato. Con il
tragitto catabatico di Socrate, Platone inaugura allora idealmente il nuovo percorso della filosofia che sembra così poter
prendere il primo spunto dalle riflessioni ancora racchiuse entro certe immagini del mito arcaico: un immaginario che ad
ogni modo, in quello stesso lungo percorso della filosofia, è chiamato a svilupparsi ed emanciparsi dalle vecchi contenuti,
correggere la sua rotta divenendo linguaggio ancora utile per un pensiero interessato al bene della città (capace di illustrare
la sua suddivisione interna, l’ordine, l’educazione; operazione che come si vedrà prosegue per tutta la Repubblica e oltre).
Si tratta di un iter che è della filosofia e del mito insieme, entrambi orientati verso la stessa direzione, benchØ mai discussa
sia la priorità della prima sul secondo. Il raccontarsi di Socrate ricopre quindi una funzione innanzitutto assiologica per le
nuove immagini a servizio del logos: si tratta di un “non-ancora-mito” che inizia a fissare le regolare basilari che le nuove
immagini, miti autentici, dovranno rispettare d’ora in avanti.
26
Resp. 359 d -e; 614 c.
27
Ivi, 614b-621d.
13
dell’anima oltre l’esperienza mondana, per offrire poi per precipitazione una riflessione
sull’universo mortale, fornendo forti spunti per riorientare le sue proprie regole.
Ma entro questa grande parentesi catabatica rappresentata dal binomio Socrate-Er si
susseguono quantomeno altre tre luoghi della Repubblica interessanti per il nostro tema, e ancora
legati al tema della discesa in allegoriche profondità del pensiero e della Terra: in particolare la
leggenda di Gige
28
, il Mito dei Metalli
29
e l’Allegoria della Caverna
30
. Il primo è un esempio
lampante di sedimentazione di forme arcaiche del mito capace di ospitare infine un contenuto
filosofico nuovo. Piø nel dettaglio il mito sviscera una riflessione critica sulle meccaniche
attualmente assai imperfette della legge ateniese, non in grado di riconoscere e applicare principi
di giustizia quando atti illeciti e efferati si insinuano fra le maglie larghe di una normativa
pensata come mera convenzione: la legge stabilita dal solo accordo superficiale fra individui,
lascia intendere il mito, va integrata con principi regolativi superiori in grado di riconoscere
autenticamente ciò che è giusto/ingiusto da quel che appare solo meramente tale agli occhi dei
contraenti e che nel patto sociale permane perciò invisibile. Il Mito dei Metalli è invece il primo
– nella presente selezione – dal carattere fortemente pedagogico. In questo passo è la rinnovata
intenzione normativa della città a richiedere direttamente l’apporto di un mito. Tramite Socrate
la necessità di un impianto organizzativo piø efficiente per la distribuzione delle cariche cittadine
adopera infatti un mito e lo inserisce pienamente nelle modalità d’espressione e strumenti utili
all’opera del legislatore: ciò è necessario al fine di diffondere al meglio dei precetti, o meglio
degli importanti contenuti di ordine interno. La leggenda utilizzata è per la precisione una
novella destinata ai giovani ateniesi distintisi da subito come i migliori, ai quali dovrà essere
raccontata l’origine della propria eccellenza al fine di farla fruttare al meglio: di andare oltre la
propria natura capacità, per far sì che volontariamente siano disposti a mettersi al servizio della
società, di governarla e ordinarla con giudizio. Il mito è pensato quindi in vista di una tutela del
proprio valore che dovrà essere compreso come sempre al servizio della comunità, evitando per
quanto possibile che venga piuttosto recepito che come un potere utilizzabile per il
soddisfacimento del proprio egoistico utile: ergo che diventi la radice della distruzione
dell’ordine civile. Il Mito dei Metalli sottolinea inoltre un punto essenziale e ricorrente in tutta la
presente ricerca: ovvero si evidenzia il carattere ancora falso del mito, anche di quello ben
convertito alla filosofia. Un carattere che ad ogni modo non ne inficia la validità strumentale
quando esso è mosso dai fili della ragione: il contenuto non autentico del mito può mantenersi
nobile come dice l’autore attraverso Socrate
31
, efficace e buono al fine della stimolazione del
28
Ivi, 359a-360d.
29
Ivi, 414c-415e.
30
Ivi, 514a-520e.
31
Ivi, 414 b8.