6
Capitolo 1
1 IL SISTEMA RETRIBUTIVO COME SISTEMA
MOTIVAZIONALE
Estratto: Uno dei principali temi su cui oggi si discute con grande enfasi a livello
mondiale è la retribuzione.
La retribuzione è stata, è e sarà sempre un argomento centrale nelle società in
quanto principale componente di un sistema sociale ed economico che riconosce
dignità ai lavoratori e pari diritti ed uguaglianza in relazione alle modalità in cui
ciascuna persona offre la propria manodopera per la produzione e/o erogazione di
servizi.
E‟ ormai da qualche anno che l‟interesse di economisti, politici e aziendalisti è
rivolto alle forme di retribuzione variabile, che prevedono la creazione di un
legame tra salario/stipendio dei lavoratori e risultati della produzione (diretto a
gruppi di dipendenti e ad intere unità produttive) e tra salario/stipendio dei
lavoratori e redditività (sia aziendale che di mercato) allo scopo di migliorare la
solidarietà e la cooperazione, favorire una sorveglianza ed una collaborazione
reciproca ed accrescere la motivazione al lavoro da parte dei dipendenti.
E‟ importante sottolineare che tale retribuzione variabile rappresenta la risposta
alla necessità di apportare sostanziali cambiamenti al sistema retributivo, mediante
la creazione di nuovi schemi di retribuzione e redistribuzione della ricchezza, non
più rappresentati dalle forme di incentivazione individuale già collaudate dagli
attuali sistemi economici.
In questo capitolo, partendo dalla importanza strategica attribuita nel corso degli
ultimi anni alle risorse umane, si indaga sul ruolo motivante attribuito alle
politiche di remunerazione e si analizzano i cambiamenti apportati al sistema
retributivo aziendale, evidenziandone pregi, difetti e limiti.
7
1.1 L’importanza strategica delle risorse umane
Le moderne teorie e pratiche manageriali hanno assegnato un ruolo di primo piano
agli individui che formano l‟organizzazione di un‟impresa, attribuendo alle risorse
umane una valenza strategica.
Il crescente sviluppo economico ed industriale, il continuo progresso tecnologico,
l‟avvento di nuove professionalità, la forte esigenza di nuove e diverse abilità hanno
portato a considerare le risorse intangibili (intangibile assets) – e non le risorse
materiali - come il principale fattore per la creazione del vantaggio competitivo e
della ricchezza aziendale.
Tra tali risorse intangibili un ruolo di primo piano è attribuito al capitale
intellettuale, ossia all‟insieme delle conoscenze e abilità possedute dal personale
(capitale umano), delle conoscenze e abilità possedute e accumulate dall‟impresa
(capitale organizzativo) e delle relazioni instaurate con l‟ambiente esterno (capitale
relazionale).
Tale capitale intellettuale viene solitamente apportato e sviluppato all‟interno
dell‟azienda dalle risorse umane che si pongono, dunque, come un asset strategico
su cui investire
3
.
Oggi, difatti, soltanto investendo sul capitale umano è possibile garantire la
“sopravvivenza” all‟azienda e, quindi, assicurare continuità produttiva, stabilità se
non crescita sul mercato.
Nonostante nel corso degli ultimi anni sia stata più volte sottolineata la valenza
strategica delle risorse umane, attualmente, continuano ad esistere dubbi al riguardo.
Nel corso del 2008 tre ricercatori, Vittorio Tesio, Laura Viada e Stefania Santoro
4
,
si sono occupati di indagare quanto questo principio venga davvero tenuto in
3
Fonte: Goi Antonello, Clima aziendale e gestione delle risorse umane, Franco Angeli, 2008.
8
considerazione nelle scelte operative dei responsabili aziendali all‟interno del nostro
Paese.
A tale scopo, gli studiosi hanno rivolto delle domande agli opinion leader di diverse
aziende italiane, durante le quali hanno invitato i partecipanti a riflettere sulla
effettiva centralità delle persone rispetto all‟organizzazione, la retorica che può
annidarsi in tale affermazione e la provocatoria dichiarazione secondo cui le
persone non sarebbero altro che un costo da minimizzare.
Le risposte degli intervistati possono essere sintetizzate in tre posizioni:
1. chi concorda fermamente con l‟idea che le persone costituiscano l‟elemento
portante dell‟organizzazione;
2. chi è ancora in dubbio;
3. chi (pochi) critica tale affermazione come un messaggio di pura retorica.
I primi, ossia coloro che aderiscono con maggior convinzione al principio enunciato
portano diverse argomentazioni a sostegno della loro tesi. Facendo riferimento
soprattutto al proprio settore di appartenenza (assicurazione, moda e servizi), essi
affermano che: “… l‟asset risorsa umana è assolutamente strategico, in quanto
l‟immagine della nostra azienda sul cliente la fa la nostra gente …”.
I secondi, sono coloro i quali pur sostenendo la veridicità dell‟assunto, mettono in
dubbio l‟effettiva applicazione dello stesso all‟interno delle organizzazioni. Essi,
difatti, ritengono che il top management ricorra a questa espressione come leva di
comunicazione interna, non sempre credendovi realmente e, pertanto, affermano:
“In Italia è subentrata, ed è in continua crescita, un‟incredibile cultura
individualistica del top management … se il top management non considera le
persone come un asset, pare molto difficile che ai livelli sottostanti ciò accada”.
4
Fonte: Vittorio Tesio, Laura Viada, Stefania Santoro, L‟immagine della gestione delle risorse umane in
Italia, Sviluppo ed organizzazione, 2008, N. 225, Pagg. 86-100.
9
I terzi, infine, vedono le risorse umane principalmente come fonte di costo.
Affinché siano considerate come asset fondamentale è necessario che esse siano
inserite in un contesto già provvisto di tutto ciò che è utile al buon andamento
dell‟azienda. Siccome sono diversi gli elementi indispensabili, le risorse umane non
possono essere considerate come asset strategico. Essi, pertanto, affermano:
“L‟impresa è sicuramente fatta di persone, ma è fatta anche di capitali, di strumenti,
di interlocutori, di clienti. Tutti questi fattori sono asset più importanti”.
Dall‟indagine condotta dai tre studiosi emerge, in definitiva, che sono poche le
persone che interpretano la centralità della risorsa umana come uno slogan privo di
consistenza. Molto più numerosi sono, invece, coloro che sostengono l‟applicazione
di questo principio. Pertanto, la visione prevalente è che le risorse umane
rappresentano effettivamente e concretamente un asset strategico aziendale, nonché
il potenziale fattore di successo dell‟organizzazione e di vantaggio competitivo.
Nonostante questo assunto sia ritenuto estremamente valido dal punto di vista
teorico, è importante sottolineare che non sempre, nella pratica, si agisce nel pieno
rispetto di questo principio. Sono molte le aziende che dicono di voler mettere al
primo posto le persone, il capitale umano, i collaboratori, i dipendenti, ecc. A volte,
oltre che inflazionato, questo atteggiamento è persino un po‟ stucchevole, anche
perché in effetti sono molto poche le organizzazioni che riescono a farlo, rischiando
così di perdere opportunità d‟oro. Questa contraddizione apparente, tuttavia, non
compromette la forza della tesi maggiormente sostenuta da numerosi economisti,
uomini politici e aziendalisti, ossia che: puntare sui dipendenti è l‟obiettivo primario
aziendale.
Attualmente la principale sfida che un‟impresa si trova ad affrontare non è soltanto
quella di attrarre personale altamente qualificato, ma anche quella di trattenere tale
personale al suo interno, motivandolo mediante l‟utilizzo di svariati programmi e
strumenti di gestione delle risorse umane. Le imprese odierne, difatti, devono
confrontarsi con una contraddizione sempre più critica da gestire: se da un lato il
10
capitale intellettuale diventa il fattore competitivo per eccellenza, dall‟altro è
sempre più difficile attrarre e mantenere le risorse di valore a causa sia della
consapevolezza da parte degli individui dell‟importanza che riveste il mestiere
posseduto nello sviluppo del business aziendale, sia della forte trasversalità dei
mestieri rispetto all‟impresa che favorisce il passaggio da un‟organizzazione ad
un‟altra
5
.
5
Fonte: Maria Vittoria Colucci D‟Amato, Danilo Viviani, Attrarre e mantenere le risorse di valore, Sviluppo e
organizzazione, 2002, N. 191, Pagg. 87-98.
11
1.2 Il sistema retributivo come sistema motivante: prassi ed evidenze
empiriche
Uno degli strumenti più utilizzati dalle aziende per attrarre, trattenere e motivare il
personale è la retribuzione, che rappresenta il corrispettivo spettante al lavoratore
per l‟attività svolta, o meglio, per il contributo fornito.
Come è noto, un‟impresa richiede solitamente il coinvolgimento di numerosi
stakeholder, ciascuno dei quali apporta un‟ampia gamma di contributi e riceve in
cambio ricompense di vario genere. Tra i principali stakeholder rientrano i
dipendenti.
I dipendenti offrono all‟impresa il loro contributo lavorativo per un certo numero di
ore, competenze tecniche, disponibilità ad apprendere e ad acquisire nuove
competenze ed abilità, flessibilità lavorativa, disponibilità a svolgere attività non
previste nel mansionario, riservatezza nel trattamento delle informazioni sensibili,
ecc.; in cambio richiedono una remunerazione periodica, incentivi legati al
raggiungimento di determinati risultati, un percorso di carriera chiaro e sfidante,
relazioni sociali intense e positive, la garanzia della stabilità dell‟impiego, la
sicurezza personale sul luogo di lavoro, la possibilità di apprendere nuove
competenze, ecc. .
Compito dell‟azienda è raggiungere un equilibrio, cercando di bilanciare il valore
del contributo offerto dagli stakeholder – e dunque anche dai dipendenti – e il
valore delle ricompense che essi ricevono, al fine di attrarre, trattenere e motivare il
personale qualificato. Gli stakeholder che ritengono di non essere adeguatamente
ricompensati per il contributo che forniscono all‟impresa tendono infatti a ridurre
l‟impegno e l‟attenzione che dedicano alla realizzazione della prestazione oppure, in
casi estremi, abbandonano l‟impresa per trasferirsi in un‟altra realtà che offre loro
una relazione giudicata più vantaggiosa.
12
Si può, dunque, affermare che l‟uso della retribuzione o delle ricompense per
riconoscere i contributi dei dipendenti abbia un effetto sui loro comportamenti ed
atteggiamenti e, in particolare, sulla loro motivazione al lavoro.
Nel corso degli anni sono stati condotti diversi studi sulla importanza della
retribuzione nei comportamenti dei dipendenti, diretti ad evidenziare l‟influenza che
il sistema retributivo aziendale è in grado di esercitare sulla motivazione dei
lavoratori.
In tal senso, una ricerca molto importante è quella effettuata nel 2002 da Marco van
Herpen, Mirjam van Praag e Kees Cools all‟interno di una divisione della Dutch
company, in cui gli autori si sono occupati di indagare l‟impatto che il sistema
retributivo ha sulla motivazione dei dipendenti
6
.
A differenza di alcuni studi precedentemente realizzati
7
che consideravano un solo
tipo di motivazione, gli autori hanno rivolto la loro attenzione sia alla motivazione
intrinseca che alla motivazione estrinseca.
I tre ricercatori, difatti, collegando sia la teoria dell‟agenzia
8
(che considera soltanto
la motivazione estrinseca, in quanto giudica irrilevante per i suoi propositi quella
intrinseca), sia la teoria dell‟affollamento
9
(che ha, invece, un focus sulla
motivazione intrinseca) allo studio dell‟effetto motivazionale del sistema
6
Fonte: M. Herpen, M. Praag, K. Cools, The effects of performance measurement and compensation on
motivation, Tinberg Institute Discussion Paper, 2003, N. 048/3, Paggs.1-34.
7
Si veda ad esempio: E. L. Deci, Intrinsic motivation, New York and London, 1975, in cui si considera
soltanto la motivazione intrinseca e B. S. Frey, Not just for the money. An economic theory of personal
motivation, Cheltenham (UK), 1997 in cui è stata esaminata soltanto la motivazione estrinseca.
8
La teoria dell‟agenzia (elaborata da Jensen e Meckling) si basa sulla relazione esistente tra due diversi
attori: il principale (azionista) e l‟agente (manager), tipica delle public company anglosassoni in cui vi è una
separazione tra proprietà e controllo. La teoria dell‟agenzia si basa su tre assunzioni fondamentali: l‟agente è
interessato solo a se stesso; l‟agente, a differenza del principale, è avverso al rischio; esiste una asimmetria
informativa tra manager e azionisti. Queste tre assunzioni conducono, inevitabilmente al problema
dell‟azzardo morale: l‟agente, essendo interessato a massimizzare la propria utilità, tenderà ad assumere
comportamenti volti a perseguire i propri interessi a danno di quelli degli azionisti. Al fine di mitigare tale
azzardo morale, il principale dovrebbe esercitare un controllo sull‟operato dell‟agente oppure motivarlo ad
agire nella medesima direzione, attraverso la corresponsione di incentivi monetari.
9
La teoria dell‟affollamento (elaborata da Frey) distingue due potenziali effetti di interventi esterni sulla
motivazione intrinseca. Se un agente percepisce un intervento esterno come un controllo, la motivazione
intrinseca tende a ridursi (in tal caso si parla di crowding out); se, viceversa, l‟agente percepisce l‟intervento
esterno come un‟informazione o un sostegno, allora il suo livello di motivazione intrinseca tenderà ad
aumentare (si parla in tal caso di crowding in ).
13
retributivo, hanno costruito un frame work in cui elaborano ipotesi su entrambi i tipi
di motivazione.
Con il concetto di motivazione intrinseca si fa riferimento alla manifestazione delle
pulsioni interne degli individui. Tale motivazione è legata alla attività che si sta
svolgendo o ad il risultato cui essa tende e non può essere stimolata da alcun
pagamento di tipo monetario
10
. La motivazione estrinseca, al contrario, è acquisita
dall‟esterno ed è influenzata dalla soddisfazione di bisogni non direttamente
collegati all‟attività svolta. Essa può essere stimolata dagli incentivi monetari
11
.
Obiettivo dei ricercatori è stato quello di verificare l‟esistenza di una correlazione
tra motivazione (intrinseca ed estrinseca) dei dipendenti e percezione di tre diverse
caratteristiche, quali: trasparenza, equità e controllabilità, sia del sistema retributivo
sia delle opportunità di carriera. Essi, pertanto, elaborano alcune ipotesi di fondo
che saranno poi verificate:
ipotesi 1: la percezione della trasparenza, dell‟equità, della controllabilità
dei diversi elementi del sistema retributivo e delle opportunità di promozione
ha una relazione positiva con la motivazione estrinseca;
ipotesi 2: la percezione della trasparenza, controllabilità ed equità del
sistema retributivo e delle opportunità di promozione ha un effetto positivo
sulla motivazione intrinseca;
ipotesi 3: la percezione della trasparenza, controllabilità ed equità del
sistema retributivo incrementerà la soddisfazione lavorativa e ridurrà
l‟intenzione al turnover e l‟assenza per malattia.
L‟analisi, come già detto, è stata condotta all‟interno di una divisione della Dutch
company. Si tratta di una società editrice composta da differenti raggruppamenti,
10
Fonte: A. H. Kunz e D. Pfaff, Agency theory, performance evaluation and hypothetical construct of
intrinsic motivation, Accounting, organization and society, 2002.
11
Fonte: B. J. Calder, B. M. Staw, Self perception of intrinsic and extrinsic motivation, Journal of personality
and social psychology, 1975.
14
ognuno servito dal proprio segmento di mercato. Il campione esaminato si compone
di 1496 dipendenti, suddivisi in vari gruppi sulla base di alcuni parametri
demografici, a cui è stato sottoposto un questionario volto a valutare la loro
percezione dell‟efficacia del sistema retributivo e del sistema di promozione.
Dai risultati è emerso che: mentre la trasparenza delle opportunità di carriera ha un
effetto positivo sulla motivazione estrinseca, la relazione tra percezione della
trasparenza del sistema retributivo e motivazione estrinseca non è significativa.
Esiste una relazione significativa tra percezione dell‟equità sia della retribuzione
monetaria che delle opportunità di promozione e motivazione estrinseca. Se da un
lato esiste una relazione positiva tra motivazione estrinseca e controllabilità delle
opportunità di carriera, dall‟altro non si può dire lo stesso per il sistema retributivo.
Pertanto, la prima ipotesi è supportata parzialmente.
L‟analisi, inoltre, evidenzia che: non esiste nessuna relazione significativa tra la
percezione delle caratteristiche del sistema retributivo e la motivazione intrinseca.
Tuttavia, essa è influenzata significativamente dalla percezione della trasparenza e
dell‟equità delle opportunità di carriera.
Pertanto, anche la seconda ipotesi è valida solo in parte.
Infine, i risultati mostrano che l‟equità della retribuzione monetaria ha una relazione
sia con la soddisfazione lavorativa sia con l‟intenzione di turnover. Lo stesso vale
per la trasparenza delle opportunità di carriera: quest‟ultima, però, se da un lato è
positivamente legata alla soddisfazione lavorativa, dall‟altro è negativamente
correlata all‟intenzione di turnover. La controllabilità delle opportunità di carriera
ha la stessa relazione con la soddisfazione lavorativa. Un risultato, invece,
inaspettato è l‟influenza negativa della trasparenza della retribuzione monetaria
sulla soddisfazione lavorativa. Infine, nessuna relazione significativa è stata trovata
per l‟assenza per malattia.
15
Nonostante l‟analisi condotta dai tre ricercatori abbia portato a risultati ben precisi è
opportuno evidenziare i limiti che hanno caratterizzato l‟indagine stessa e che,
pertanto, impongono la necessità di compiere ulteriori ricerche. Si tratta della
difficoltà ad investigare la causalità delle relazioni, del singolo contesto di
riferimento (uno degli stabilimenti della Dutch company) e del metodo di ricerca
che non consente di legare il questionario a dati relativi all‟attuale impegno dei
dipendenti.
Un‟altra importante ricerca, connessa al tema della retribuzione come strumento
motivazionale, è quella condotta nel 2004 da Rynes, Gerhart e Minette, il cui
principale obiettivo è quello di dimostrare che le indagini sui dipendenti, relative
all‟importanza dei diversi fattori motivazionali, producono risultati poco coerenti
con gli studi realizzati sui comportamenti effettivi dei lavoratori. In particolare, essi
sostengono che per i dipendenti la retribuzione non sempre è così importante come
sembra
12
.
Per testare la loro tesi, gli autori confrontano diversi studi condotti da differenti
ricercatori nel corso degli anni precedenti e che giungono a risultati contrastanti. Se
da un lato, difatti, alcuni studiosi pongono la retribuzione intorno al quinto posto (in
un intervallo compreso tra due e otto) tra tutti i fattori motivazionali, dall‟altro c‟è
chi sostiene che la retribuzione sia, invece, il principale fattore motivazionale.
In uno studio condotto da Jurgensen nel 1978, ad esempio, su un campione di
cinquantamila dipendenti della società del gas di Minneapolis, è emerso che la
retribuzione si colloca per gli uomini solo al quinto posto della classifica dei
principali fattori motivazionali, dopo la sicurezza, l‟avanzamento, il tipo di lavoro e
la società ed al settimo posto per le donne, dopo il tipo di lavoro, l‟impresa, la
12
Fonte: S. L. Rynes, B. Gerhart, K. A. Minette, The importance of pay in employee motivation:
discrepancies between what people say and what they do, Wiley Periodicals, 2004, N. 43, Paggs. 381-394.
16
sicurezza, la vigilanza, la promozione ed i collaboratori
13
. Altre ricerche, poi,
collocano la retribuzione anche a livelli più bassi
14
.
A conclusioni opposte giungono numerosi studi analitici, tra cui quello condotto da
Locke, Feren, McCaleb, Shaw e Denny nel 1980, in cui si evidenzia come la
retribuzione (soprattutto se basata sugli incentivi) aumenti la produttività
15
, in
quanto capace di influenzare positivamente la motivazione dei dipendenti. Essi
ritengono che la retribuzione sia il principale fattore motivazionale, il primo
strumento di gestione delle risorse umane in grado di impattare sugli atteggiamenti
di tutti i dipendenti. Questa tesi, espressa dai cinque ricercatori attraverso
l‟affermazione “Money is the crucial incentive . . . no other incentive or
motivational technique comes even close to money with respect to its instrumental
value”
16
è stata, successivamente, supportata da numerose altre ricerche
17
.
Ci sono, dunque, molteplici prove che la retribuzione è un potente motivatore, forse
il più potente motivatore – potenziale delle prestazioni.
Tuttavia, nonostante l‟evidenza suggerisca che la retribuzione è un motivatore
molto importante per i dipendenti, non si può affermare che sia l‟unico. Talvolta,
difatti, l‟uso congiunto di più fattori motivazionali può condurre a risultati migliori,
come è accaduto alla General Electric, in cui il CEO Jack Welch, puntando sulla
retribuzione per motivare i dipendenti, è riuscito a migliorare le performance sia
individuali che collettive mediante l‟attribuzione di premi diversi.
13
Fonte: C. E. Jurgensen, Job preferences (What makes a job good or bad?), Journal of Applaied Psychology,
1978.
14
Si vedano ad esempio F. Herzberg, B. Mausner, R. O. Peterson and D. F. Capwell, Job attitudes: review of
research and opinion, Psychological Service of Pittsburg, 1957, in cui la retribuzione è collocata al sesto
posto e Towers Perrin, Working today: understanding what drives employee engagement, The 2003 Towers
Perrin Report, in cui la retribuzione è posta all‟ottavo livello di importanza.
15
Fonte: E. A. Locke, D. B. Feren, V.M. McCaleb, K. N. Shaw e A. T. Denny, The relative effectiveness of
four methods of motivating employee performance, Changes in working life, 1980.
16
Nostra traduzione: “Il denaro è l‟incentivo fondamentale … nessun altro incentivo o tecnica motivazionale
si avvicina maggiormente al denaro rispetto al suo valore strumentale”
17
Si vedano ad esempio, M. K. Judiesch, The effects of incentive compensation systems on productivity,
individual differences in output variability and selection utility, Unpublished doctoral dissertation,
University of Iowa, 1994 e D. G. Jenkins, A. Mitra, N. Gupta, J. D. Shaw, Are financial incentives related to
performance? A meta-analytic review of empirical research, Journal of Applied Psychology, 1998.
17
Egli, difatti, ha sempre sottolineato l‟importanza di tale fattore motivazionale
affermando: “I think showering rewards on people for excellence is an important
part of the management process. There‟s nothing I like more than giving big raises .
. . You have to get rewarded in the soul and the wallet. The money isn‟t enough, but
a plaque isn‟t enough either. . . . you have to give both”
18
.
Oltre a non essere l‟unico fattore motivazionale, la retribuzione ha un‟importanza
che varia al variare delle situazioni.
Molti manager, difatti, credono (correttamente) che l‟importanza della retribuzione
dipenda da diverse variabili sia individuali sia situazionali.
Tale convinzione ha trovato conferma in numerosi studi
19
i quali, analizzando
l‟influenza che i vari fattori – sia individuali che situazionali – esercitano
sull‟importanza della retribuzione, sono giunti alla elaborazione di alcuni principi
generali:
1. affinché la retribuzione sia un motivatore importante, vi deve essere una
variabilità nelle opzioni di retribuzione;
2. l‟effetto motivazionale del denaro non è lineare in tutti i livelli retributivi;
3. le persone giudicano la correttezza della retribuzione in termini relativi,
confrontando la propria retribuzione con quella dei colleghi e quella erogata
in altre società;
4. l‟importanza della retribuzione tende a variare a seconda se l‟obiettivo è
l‟attrazione, il mantenimento o i risultati lavorativi. Inoltre, le diverse
18
Nostra traduzione: “Penso che attribuire premi alle persone per l‟eccellenza è una parte importante del
processo di gestione. Non c‟è niente che mi piace di più che dare grandi rilanci … dovete essere premiati
nell‟anima e nel portafoglio. Il denaro non è sufficiente, ma non lo è nemmeno la targa … dovete dare
entrambi”.
19
Si vedano ad esempio: R.E. Lucas, E. Diener, , A. Grob, , E.M. Suh, L. Shao, Cross-cultural evidence for
the fundamental features of extraversion; Journal of Applied Psychology, 2002; C. Q. Trank, S.L. Rynes, R.
D. Bretz, Attracting applicants in the war for talent: Differences in work preferences among high achievers,
Journal of Business and Psychology, 2002; J. Greenberg, Employee theft as a reaction to underpayment
inequity: The hidden cost of pay cuts, Journal of Applied Psychology, 1990; Towers Perrin, Working today:
Understanding what drives employee engagement. The 2003 Towers Perrin Report.
18
dimensioni della retribuzione influenzano in modo diverso questi tre
obiettivi.
19
1.3 La retribuzione collegata alla performance: obiettivi e limiti
Sebbene il dibattito sul rapporto tra retribuzione e motivazione sia ancora in corso,
sembra che un crescente numero di organizzazioni abbia, in pratica, accettato che i
dipendenti ricevano un elemento della loro retribuzione o dell‟aumento sulla base
della “performance”.
Quando fu introdotta per la prima volta la retribuzione collegata alla performance
20
,
gli schemi tendevano a focalizzarsi su risultati ed output puramente individuali,
senza badare al metodo con cui erano stati raggiunti. Questo tendeva ad
incoraggiare alcuni comportamenti che non sempre erano quelli effettivamente
ricercati dal datore di lavoro, e di solito non venivano prese in considerazione
variabili come costi, qualità, soddisfazione del cliente, lavoro di gruppo o sviluppo
personale.
A causa di tali problemi, già da un decennio, si è manifestata una tendenza ad
abbandonare gli schemi individuali in favore di quelli che ricompensano la
performance generale dell‟organizzazione misurando gli input e i comportamenti
individuali/di gruppo come anche gli output. Inoltre, molti sistemi di incentivazione
sono ora progettati non solo per favorire il miglioramento della performance
globale dell‟azienda ma anche per incoraggiare il tipo di cultura (o il cambiamento
culturale) richiesto dal generale obiettivo di business e stile di direzione
21
.
Gli obiettivi della retribuzione collegata alla performance sono
22
:
focalizzare la ricompensa sul contributo fornito;
migliorare la motivazione e l‟impegno;
20
Comunemente denominata “pay for performance”.
21
Fonte: Mike Walters, 1997.
22
Fonte: Mike Walters, 1997.