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Introduzione
La creazione di valore è il fine ultimo di ogni organizzazione aziendale: esso
viene distribuito tra tutti gli stakeholders, ossia tutti i soggetti interessati al
proseguimento della vita dell’impresa, che abbiano rapporti con essa di tipo
finanziario e non.
Gli obiettivi di crescita possono essere raggiunti implementando operazioni di
varia natura e tra queste ricoprono particolare importanza le Operazioni di
Finanza Straordinaria che includono anche le c.d. operazioni di Merger &
Acquisition, ossia tutte le operazioni che portano alla fusione di due o più
società. Tali operazioni rientrano tra quelle oggetto dell’operato delle merchant
bank che comprendono anche il private equity ed il venture capital e le
operazioni di Leveraged Buyout.
Il Leveraged Buyout è l’argomento di trattazione del presente elaborato che, in
cinque capitoli, analizza questa particolare tecnica di acquisizione di aziende, di
origine anglosassone, grazie alla quale è possibile perseguire obiettivi di
semplificazione organizzativa della struttura societaria che permetta il
conseguimento di migliori livelli di competitività, una migliore allocazione delle
risorse produttive e un rapido ripianamento delle posizioni debitorie.
2
Nel primo capitolo si fornisce un quadro generale che, illustrando dapprima
l’evoluzione e lo sviluppo della pratica, ne descrive le singole fasi distinguendo,
inoltre, le varie configurazioni che l’operazione può avere.
L’espressione Leveraged Buyout ha un particolare significato etimologico: il
termine leverage, che indica il rapporto d’indebitamento, viene usato in Italia
facendo ricorso al concetto di leva finanziaria per indicare che, laddove esiste un
divario positivo tra rendimento lordo dei mezzi investiti e il costo del denaro,
economicamente all’impresa conviene accrescere, nella propria struttura
finanziaria, il peso dell’indebitamento; il termine buyout fa riferimento al
soggetto che pone in essere un’operazione di “rilevazione dall’interno”.
Argomento centrale del secondo capitolo è la leva finanziaria, di cui sono
analizzati benefici e rischi; vengono, inoltre, descritte le diverse tipologie di
finanziamento che è possibile utilizzare per implementare l’operazione, ed è
illustrata l’importanza strategica rivestita dal business plan.
Il terzo capitolo è una parentesi prettamente legislativa: il Leveraged Buyout era,
fino a qualche anno fa, considerato negozio in frode di legge e strumento di
violazione del c.d. divieto di financial assistance. Tali violazioni hanno suscitato
dei dubbi concernenti la liceità dell’operazione che, nel 2004, entra a pieno
titolo a far parte dell’ordinamento giuridico italiano (art. 2501–bis).
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Nell’ipotesi di un Merger Leveraged buyout l’operazione termina con la fusione
tra target e Newco, determinando una serie di complessità operative sia dal
punto di vista contabile sia da quello fiscale. La trattazione del quarto capitolo è
centrata su tali problematiche che si manifestano dalla iniziale valutazione
dell’azienda obiettivo, a cui segue la delicata definizione del rapporto di cambio.
Dall’operazione scaturiscono le c.d. differenze di fusione che determinano non
poche difficoltà di trattamento relativamente alla loro contabilizzazione e alla
neutralità fiscale della fusione. Vengono analizzati, inoltre, le riserve in
sospensione d’imposta, il riporto delle perdite, la deducibilità degli interessi
passivi e il problema dell’eventuale negative goodwill.
Il capitolo finale si concentra sulla trattazione di un caso aziendale: nell’anno
2004 la Technip KTI S.p.A., società internazionale di ingegneria di processo, è
stata la target di un’operazione di Management Leveraged buyout promossa
dalla capogruppo del gruppo Maire Tecnimont. Per l’occasione è stata costituita
la KTI Management che figurava come società veicolo (Newco) che, però, non
ha incorporato la target: l’operazione, infatti, non concludendosi con la fusione
tra le due società altro non è che il “mezzo” per raggiungere obiettivi di crescita.
La Maire Tecnimont S.p.A., infatti, aveva come obiettivo strategico quello di
creare un polo di eccellenza basato su Roma e di consolidare la posizione del
gruppo nel business chimico, petrolchimico e dell’oil & gas.
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CAPITOLO 1: LE OPERAZIONI DI FINANZA
STRAORDINARIA
SOMMARIO: 1. Lo sviluppo dell’impresa attraverso la crescita esterna: le operazioni
di Merger & Acquisition – 2. Il Private Equity in Italia e le operazioni di Leveraged
Buyout: evoluzione e sviluppo della pratica – 3. Le fasi dell’operazione di Leveraged
Buyout – 4. Le diverse tipologie di Leveraged Buyout
1. Lo sviluppo dell’impresa attraverso la crescita esterna: le
operazioni di Merger & Acquisition
L’obiettivo di ogni organismo economico, teso alla produzione e allo scambio di
fattori produttivi, è la creazione di valore da distribuire tra tutti i soggetti che
hanno interesse al proseguimento della vita dell’impresa (stakeholders).
Tale finalità può essere perseguita attraverso una varietà di schemi tra loro
diversi anche a seconda dell’orizzonte temporale di riferimento. Lo spostamento
dell’orientamento delle strategie aziendali dal breve al medio lungo termine
consente la creazione di valore attraverso programmi di miglioramento della
composizione dell’attivo, di ridisegno della struttura finanziaria e di
5
risistemazioni societarie
1
. Il risultato tende a essere raggiunto, quindi, grazie allo
sviluppo sia qualitativo sia dimensionale del patrimonio delle risorse
dell’impresa che, realizzando programmi d’investimento specifici, conquista
nuovi mercati e accresce la mole di risorse generate.
Gli obiettivi di crescita possono essere raggiunti implementando operazioni di
varia natura e tra queste ricoprono particolare importanza le c.d. Operazioni di
Finanza Straordinaria che comprendono fusioni, acquisizioni, concentrazioni,
conferimenti, scissioni, scorpori e alleanze. Ognuna di queste operazioni si
presta a contribuire al raggiungimento di diversi obiettivi e la scelta, a favore
dell’una o dell’altra, parte da condizioni di contesto, sia interne che esterne alla
realtà aziendale, che meglio si sposano con le peculiarità della singola
operazione, definendo il frame work in cui il management dovrà attuare una
serie di scelte, strategiche o meno, che comporteranno l’assunzione di rischi di
diversa entità e, molto spesso, la profonda modificazione dell’assetto
organizzativo aziendale.
Con l’espressione Merger & Acquisition si indicano tutte quelle operazioni che
portano alla fusione di due o più società. In particolare, Merger è la fusione detta
anche per concentrazione, essa è poco frequente perché viene attuata quando
1
Potito, Le operazioni straordinarie nell’economia delle imprese, Torino, Giappichelli, 2006,
pp. 8-22
6
esiste un’uguaglianza di fatto, sul piano economico-tecnico, tra le due società
partecipanti. Con tale operazione le due realtà coinvolte cessano la loro esistenza
giuridica per far confluire i loro patrimoni in un’unica società. La fusione per
incorporazione, invece, è quella variante dell’operazione in cui l’incorporante,
che assume l’iniziativa, mantiene la propria identità giuridica, per effetto del
proprio assetto patrimoniale, per volume di attività, o per il suo ruolo di
preminenza sul mercato, annettendo le altre società che cessano di esistere.
Per conferimento d’azienda si intende l’operazione con cui un imprenditore o
una società trasferisce ad una società la propria azienda, o parte di essa,
ricevendo in cambio azioni o quote della destinataria. Questo tipo di operazione
è assimilabile alla cessione di azienda, che però si distingue dalla prima per la
natura del corrispettivo: nel caso della cessione, infatti, il cedente resta escluso
dalla partecipazione nella società destinataria, ricevendo in cambio denaro o altri
beni.
Secondo l’articolo 2506 c.c. “Con la scissione una società assegna l'intero suo
patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo
patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai
suoi soci.”
7
Tale operazione, detta scissione totale, si perfeziona, oltre che con il distacco
dell’azienda o di un suo ramo, con la divisione della società madre (originaria)
in due o più parti e queste vanno a costituire nuove società o confluiscono in
società già esistenti.
Il nostro legislatore ha, inoltre, previsto il tipo di scissione parziale, ossia quello
che non porta all’estinzione della società originaria, ma che ne riduce le
dimensioni; essa viene anche detta <<scorporazione>>.
Con motivazioni sostanzialmente simili a quelle che portano alle acquisizioni di
aziende, vengono attuate altre forme di crescita esterna, talvolta a queste
complementari, dette alleanze interaziendali.
Una serie di vantaggi, quali una maggiore flessibilità, il limitato apporto di
risorse necessario, i minori oneri e rischi che implicano e la maggiore autonomia
decisionale delle imprese, rendono questi strumenti utili alternative per
determinati obiettivi di crescita fermo restando il profilo di rischiosità da
valutare relativo alla diffusione delle informazioni riservate ai partner con cui si
collabora.
Gli accordi, che si distinguono in equity e non equity, a seconda che implichino
o meno legami anche societari con le altre entità giuridiche coinvolte,
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comprendono le joint venture, le alleanze strategiche, gli accordi di licenza, il
franchising e le reti di aziende.
2. Il Private Equity in Italia e le operazioni di Leveraged
Buyout: evoluzione e sviluppo della pratica
Il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un operatore
specializzato, spesso un investitore istituzionale, apporta capitale di rischio in
aziende dotate di un progetto e di un potenziale sviluppo sotto forma di
partecipazione al capitale azionario o di sottoscrizione di titoli convertibili in
azioni, per un arco temporale medio - lungo, con l’obiettivo di realizzare un
capital gain attraverso la cessione della partecipazione acquisita mediante la
quotazione in Borsa dei titoli, way-out, o il c.d. trade sale a terzi o allo stesso
gruppo imprenditoriale originario
2
. L’investitore, congiuntamente alle risorse
finanziarie, fornisce anche esperienze professionali, competenze tecnico-
manageriali ed una rete di contatti con altre istituzioni ed investitori finanziari.
2
Szego, Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese:
un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento italiano, in Quaderni di ricerca giuridica della
Consulenza legale, Banca d’Italia, giugno 2002, pagg. 21 e segg.
9
Agli inizi degli anni ’80, mancando ancora una vera e propria teorizzazione
della materia, le espressioni private equity e di venture capital erano usate come
sinonimi: il concetto di venture capital era utilizzato per indicare l’apporto di
capitale azionario o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni da parte di
operatori specializzati, in un’ottica temporale di medio - lungo termine.
Successivamente, parallelamente allo sviluppo in concreto dell’attività di private
equity, sono state individuate anche le caratteristiche teoriche delle varie
operazioni. In particolare, in Europa si suole distinguere tra private equity,
riguardante i cicli di vita avanzati della società target, e venture capital,
concernente l’avvio dell’impresa.
I principali strumenti di finanziamento delle operazioni di private equity sono:
l’equity, definito come capitale di rischio in senso stretto, rappresenta il capitale
proprio dell’azienda, versato attraverso la sottoscrizione dei titoli azionari; il
Prestito Obbligazionario Convertibile, il capitale di debito raccolto attraverso
l’emissione di particolari obbligazioni convertibili in azioni della stessa società
emittente o di altre società; il mezzanine financing, ossia un insieme di strumenti
finanziari atipici che presentano la caratteristica di comprendere accanto alla
parte di puro prestito anche il c.d. equity kicker, cioè il diritto, di solito
rappresentato da warrant o da opzioni call, di beneficiare di eventuali
incrementi di valore del capitale di rischio dell’azienda finanziata; il junior o
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subordinated debt, il finanziamento a titolo di capitale di debito ed a medio-
lungo termine, il cui rimborso è privilegiato rispetto al capitale proprio, ma
postergato rispetto alle altre forme di debito; il senior debt, capitale di debito
tradizionale a medio-lungo termine, privilegiato, nel rimborso, a tutte le altre
forme di finanziamento.
Nel rapporto annuale per il 2009, la European Private Equity and Venture
Capital Association (EVCA
3
) ha evidenziato una riduzione negli investimenti di
più del 40% rispetto al 2008 (23 bilioni di euro nel 2009)
4
accompagnata da una
flessione del 17% del numero delle imprese finanziate.
La causa di questi risultati è stata individuata nella difficoltà ad imporsi del
venture capital: le aziende che si trovano nelle fasi di avvio prediligono il
buyout come forma di investimento (che nel 2009 corrisponde al 53% del totale
dell’ammontare investito).
Dal rapporto EVCA emerge che l’Italia è il quarto paese in Europa per volumi
investiti (6%) dopo il Regno Unito, la Francia e la Germania.
3
La European Private Equity And Venture Capital Association è un’associazione non-profit
fondata nel 1983 e con sede a Brouxelles; essa rappresenta, promuove e protegge gli intressi
delle società di private equity e venture capital europee svolgendo attività che vanno dal
venture capital (nascita, crescita e sviluppo del capitale) al buyout e buyin.
4
FONTE: EVCA Annual Survey of Pan-European Private Equity & Venture Capital Activity 2009
– in EVCA Yearbook 2010
11
L’ammontare totale che gli operatori di private equity e di venture capital hanno
investito nel 2009 è pari a 2,6 bilioni di euro, il 52% in meno rispetto ai valori
record registrati nel 2008
5
. Tale pesante riduzione è attribuibile anche al
rinnovato regime impositivo (la nuova disciplina è contenuta nell’art. 172 TUIR
di cui si tratterà ampiamente nel capitolo 4 ) attraverso la legge delega n.80 del 7
aprile 2003 che ha riformato il sistema fiscale
6
e alle minori agevolazioni
previste data l’abolizione dell’imposta sostitutiva, all’introduzione del regime di
neutralità fiscale delle operazioni di fusione nonché all’abolizione del
riconoscimento fiscale delle differenze di fusione.
Le principali categorie di investitori in Italia sono gli operatori che fanno parte
di Gruppi bancari, i fondi chiusi italiani, i fondi chiusi ed altri operatori
internazionali e le società finanziarie di partecipazione di emanazione privata o
industriale. Altri soggetti che operano nel panorama del private equity sono i
c.d. <<incubatori>> ossia società specializzate che supportano neo-imprese e
5
FONTE: AIFI (Italian Private Equity and Venture Capital Association) Yearbook 2010
6
La Legge del 7 aprile 2003, n. 80 "Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale
statale" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 91 del 18 aprile 2003 così recitava: “ART. 4 m)
abolizione dell'imposta sostitutiva di cui al decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, e
successive modificazioni, e della possibilità dallo stesso decreto prevista di ottenere il
riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti per effetto dell'imputazione dei disavanzi da
annullamento e da concambio derivanti da operazioni di fusione e scissione; mantenimento e
razionalizzazione dei regimi di neutralità fiscale e di determinazione del reddito imponibile
previsti dallo stesso decreto legislativo e dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, al
fine di renderli coerenti alle logiche della disciplina recata dalla riforma;”
12
società innovative, soprattutto nel settore high tech, dalle prime fasi della loro
vita fino alla quotazione in Borsa.
In Italia, tra gli incubatori no-profit, ricordiamo i Business Innovation Centers
(BIC), istituzioni miste, pubbliche e private, senza fine di lucro, gestite con
criteri imprenditoriali, la cui missione è quella di promuovere lo sviluppo
economico regionale e locale supportando la creazione di nuove imprese
innovative e sostenendo l’ammodernamento, l’innovazione e la diversificazione
delle Piccole e Medie Imprese già esistenti.
L’investitore istituzionale fornisce capitale sulla base di un <<pacchetto
finanziario>>, composto in funzione delle varie esigenze di controllo e
redditività che si vogliono soddisfare.
Il private equity ed il venture capital sono due operazioni che rientrano nel c.d.
merchant banking e cioè nell’attività tipica della banca d’affari, che comprende
anche le operazioni di Merger & Acquisition; nell’ambito delle operazioni di
M&A riveste particolare importanza la tecnica finanziaria del Leveraged
Buyout.
Il Leveraged Buyout è una particolare tecnica di acquisizione di aziende, di
origine anglosassone, grazie alla quale è possibile perseguire obiettivi di
semplificazione organizzativa della struttura societaria che permetta il
13
conseguimento di migliori livelli di competitività, una migliore allocazione delle
risorse produttive e un rapido ripianamento delle posizioni debitorie
7
.
L’espressione Leveraged Buyout ha un particolare significato etimologico: il
termine leverage, che indica il rapporto d’indebitamento, viene usato in Italia
facendo ricorso al concetto di leva finanziaria (cfr capitolo 2) per indicare che,
laddove esiste un divario positivo tra rendimento lordo dei mezzi investiti e il
costo del denaro, economicamente all’impresa conviene accrescere, nella
propria struttura finanziaria, il peso dell’indebitamento; il termine buyout fa
riferimento al soggetto che pone in essere un’operazione di “rilevazione
dall’interno”.
L’operazione di Leveraged Buyout costituisce uno schema di acquisizione in
cui, per iniziativa di alcuni operatori, una società da questi controllata acquista
una partecipazione (generalmente di controllo) in un’altra società detta target,
pagando il relativo corrispettivo in parte attraverso finanziamenti attinti presso
soggetti terzi, quali istituti di credito e/o società finanziarie specializzate. Tali
finanziamenti saranno ripagati attraverso i flussi di cassa generati dalla stessa
target o dai proventi derivanti dalla vendita degli assets aziendali.
7
Tedde, Nuovi strumenti finanziari Il leveraged Buyout (LBO)- Una trattazione completa,
Milano, Franco Angeli, 2008, pp. 19-25
14
L’istituto del Leveraged Buyout nasce negli Stati Uniti intorno agli anni ’60 ed è
stato successivamente trapiantato nel nostro ordinamento
8
.
Nei primi anni del suo sviluppo, il Leveraged Buyout rappresentava un
fenomeno che si estrinsecava in una variante delle operazioni c.d. di going
private, mediante le quali pochi investitori privati compravano le azioni di una
public company al fine di trasformare la società in una private corporation
mediante la concentrazione delle azioni in un numero ristretto di persone.
L’acquisto delle azioni, che erano diffuse tra il pubblico, avveniva attraverso un
takeover bid, cioè un’offerta pubblica d’acquisto, da parte di una società che,
mossa dalla volontà di concentrare i titoli sottratti al mercato nelle mani di pochi
possessori, aveva l’obiettivo di acquisire il controllo totalitario della target
ponendosi al riparo dai rischi di takeover o garantendosi la possibilità di
rivendere il pacchetto di controllo lucrando un capital gain.
La numerosità di tali operazioni nei primi anni ’70 è riconducibile al lungo
periodo di depressione che colpì il mercato delle azioni ordinarie negli anni
precedenti. Le società target dei primi Leveraged Buyout erano caratterizzate da
dimensioni ridotte, fatturato non superiore a 20 milioni di dollari e margini di
rischio molto bassi. I finanziatori, inoltre, non partecipavano mai al capitale
sociale della società acquirente ed i finanziamenti da loro concessi venivano
8
Fava, Fuschino, Il leveraged buy out, Piacenza, La tribuna, 2003, pp. 28-34
15
erano sempre garantiti dai beni della società oggetto dell’acquisizione (c.d.
secured financing). Le prime operazioni di Leveraged Buyout si conclusero con
grande successo e ciò spinse gli operatori finanziari ad utilizzare tale forma di
investimento con margini di rischio sempre maggiori a fronte di maggiori
guadagni. Le società finanziarie iniziarono, così, a partecipare al capitale di
rischio delle società e a concedere unsecured financing
9
, fondando le loro
aspettative, oltre che sui beni della target, sulla capacità della società di produrre
utili.
La diffusione delle operazioni in esame è riconducibile anche al fenomeno della
cosiddetta <<deconglomerazione>> della grande industria statunitense, che
comprendeva quelle operazioni intraprese dai corporate raider, i quali
procedevano con acquisizioni ostili finanziate in gran parte con capitale di
prestito. Grandi imprese industriali e finanziarie erano mosse da motivazioni
non sempre di carattere imprenditoriale, piuttosto dall’obiettivo di frazionare le
grandi conglomerate ed holding al fine di conseguire una speculazione
meramente finanziaria. Nel medio termine, infatti, si mirava a realizzare un
guadagno che emergeva dal differenziale positivo tra il prezzo corrisposto per
l’acquisto e il valore dei rami d’azienda oggetto dell’operazione, che era
nettamente inferiore al costo sostenuto per l’acquisizione.
9
Colombo, Il Leveraged Buy Out <<sponsor>> del passaggio generazionale, in
Amministrazione e Finanza, n.17/2001, pag. 54-57