Capitolo I.
Origini e sviluppi del movimento ultras nel contesto italiano
1.1 - Nascita e crescita delle tifoserie organizzate in Italia: storia del tifo dalle origini agli anni
‟70
La fenomenologia del tifo violento, osservando gli episodi di disordine pubblico avvenuti negli
ultimi trent‟anni, rileva chiaramente radici storiche profonde quanto arcaiche. Stando alle fonti ed
alle documentazioni a noi pervenute, già nella Roma imperiale, quando il popolo romano affollava
ippodromi ed arene, si verificavano tumulti ed episodi di eccitazione collettiva molto simili a quelli
osservati oggi; anche in altre epoche storiche successive, i disordini hanno continuato a
manifestarsi, come ad esempio nel 1314 in Inghilterra quando il Lord Mayor di Londra emanò un
decreto che vietò il gioco della palla all‟interno della città. Oppure quando nel 1580 a Bologna, per
tornare nel contesto nazionale, venne emanata la cosiddetta “Prohibitione del giocare alla palla”,
sempre al fine di evitare tumulti, risse e disordini che il gioco (non ancora il calcio vero e proprio)
provocava. Ora, al di là di alcune esemplificazioni di natura storica è bene comprendere innanzi
come la fenomenologia in questione, sebbene faccia la sua comparsa nel calcio post-moderno degli
anni‟ 70 tramite le tifoserie ultras, è rintracciabile nel tempo assieme alle prime misure di sicurezza
predisposte in merito a precoci intuizioni di pericolosità ed incolumità pubblica. In Italia, arrivando
allo scenario storico contemporaneo, è alla fine degli anni ‟60 che compaiono le primissime
formazioni ultras: ciò corrisponde ad un modo tutto nuovo di assistere allo spettacolo sportivo, che
contrasta con i modi di partecipazione propri dell‟altro tifo organizzato, quello dei club. Quest‟altra
modalità di tifo è prima pervenuta e consiste in entità gruppali chiaramente differenziate rispetto
agli ultras: i club sono difatti composti in larga parte da soggetti di età matura, di sesso maschile e
femminile, la cui associazione è spesso ufficialmente riconosciuta dalle società calcistiche; proprio
per questo, essi dispongono di un‟organizzazione interna ben differenziata in ruoli (presidente, vice
presidente, ecc.) nonché di una sede ufficiale nella quale organizzare riunioni, raduni, ecc.
Un‟attività associativa dunque che, oltre a permettere la condivisione di valori sportivi, configura
una finalità di fondo ricreativa e culturale; all‟interno dello stadio i membri dei club si dispongono
rigorosamente seduti sulle gradinate e con semplici striscioni. Diversamente, l‟arrivo nei settori
popolari di soggetti giovani e giovanissimi, grazie agli incentivi praticati dalle società, porta a
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“sconvolgere” il pacifico e tranquillo assetto dei club: infatti, una prima visibile differenziazione del
tifo ultras è quello di assistere alla partita in piedi, adottando usi in voga nei contesti stranieri, come
i tamburi delle “torcidas” brasiliane o le sciarpe degli “hooligans” inglesi. Di qui ne deriva ben
presto una consapevolezza riguardo all‟effetto scenografico delle curve, con l‟ausilio complessivo
di tamburi, cori, sciarpate (le sciarpe vengono alzate e distese dai tifosi, dando l‟effetto ottico delle
onde del mare), nonché di materiali pirotecnici quali ad esempio fumogeni, petardi, ecc. Tutto ciò
contrastò presto col mansueto modo di partecipazione dei club, finché i giovani tifosi non presero
progressivamente possesso della propria area, ovverosia la curva, come spazio “sacro ed
inviolabile” (Tosi, 2003). Successivamente, da quel momento in poi, non è stato raro osservare
episodi di dissidio interno tra le stesse fazioni, che vedeva contrapposti non soltanto i diversi nuclei
ultras, ma anche nuclei ultras e gli stessi club (in quest‟ultimo caso per la passività dei club nel
sostegno della propria squadra e alla generale non reattività ai cori ed alle coreografie organizzate).
Queste frange giovanili, composte giovani coetanei, avevano spesso in comune, la provenienza da
una determinata area urbana, da un bar o sala giochi. Il primo nucleo ultras a comparire sulla scena
calcistica italiana è la “Fossa dei Leoni” nel 1968 a supporto dell‟A.C. Milan, mentre soltanto un
anno dopo (1969) nasce il gruppo “Ultras Tito Cucchiaroni” per la squadra genovese della
Sampdoria ed i “Boys” a sostegno del F.C. Inter. Ma è soltanto col nuovo decennio che il
movimento ultras italiano prende davvero piede con l‟emergere di numerosi nuclei organizzati quali
ad esempio le “Brigate gialloblu” dell‟Hellas Verona (1971), gli “Ultras” del Napoli (1972), gli
“Ultras Granata “ del Torino (1973), il “Settembre Bianconero” dell‟Ascoli (1974) ed il
“Commando ultras curva sud” della Roma (1977). Le prime attività di gruppo vengono finanziate
tramite collette dei membri interni e già nei primi anni di vita dei gruppi si configurano attività ben
distinte (acquisto di aste, vernici e pelli per i tamburi, organizzazione delle trasferte, ecc.). Ma a
partire dal 1974 le intemperanze del pubblico calcistico cominciano a mutare rapidamente e ne è
evidente conferma il progressivo moltiplicarsi di scontri tra fazioni opposte: gli scontri cominciano
già a spostarsi anche fuori degli impianti sportivi, nelle immediate adiacenze coinvolgendo beni
pubblici e privati (auto, autobus, cartelli stradali e tutto ciò che si incontra in quel momento), con
incendi e distruzioni, così assumendo le sembianze di vere e proprie guerriglie urbane. Oltre ai
preesistenti campanilismi di antica data tra le città italiane e rivalità di natura politica, compare
anche negli stadi d‟Italia il cosiddetto “holding the end” (letteralmente: occupa la curva avversaria),
già praticato negli stadi inglesi: un ruba-bandiera che prevede l‟invasione del territorio altrui ed il
furto di bandiere e striscioni nemici i quali si trasformano in autentici trofei di guerra. Negli anni
ottanta il fenomeno si espande notevolmente in termini quantitativi; difatti i nuclei ultras crescono
sempre più giungendo a vantare centinaia di membri ed il tifo ultras arriva a toccare anche le serie
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minori (serie C, D) dove sono onnipresenti frange giovanili organizzate. Gli scontri tra nuclei
opposti incrementano ancor più rispetto al decennio precedente ed il baricentro degli incidenti si
sposta dalle immediate vicinanze degli stadi ad altre importanti strutture della città, colpendo
stazioni, vetture ferroviarie e gli stessi centri cittadini. Lo stile del tifo è oramai delineato: la gara
dell‟originalità è divenuta accesissima e le coreografie organizzate dagli ultras coinvolgono
gradinate intere e migliaia di persone, con costi economici molto elevati.
1.2 – Il tifo organizzato italiano negli anni „80
Se nel decennio precedente una fonte di sostentamento era quella della vendita di toppe e magliette,
negli anni ottanta questo introito si amplia con la produzione di felpe, sciarpe, cappelli e molti altri
gadget: inoltre alcuni gruppi, pur non ammettendolo direttamente, chiedono fondi alle stesse società
calcistiche, mentre altri ricorrono a sponsor esterni. D‟altra parte, con l‟espansione delle entità
gruppali in questione, si espande parallelamente l‟uso delle sostanze stupefacenti (in particolare
cannabis) e delle armi da taglio: nei frequenti scontri decedono i primi tifosi
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. I nuclei, composti ora
da centinaia di aderenti, cominciano a strutturarsi rigidamente secondo scale organizzative, hanno
rapporti stabili con le proprie società, mentre i club spariscono quasi completamente dalle curve. Gli
striscioni dei gruppi ultras assumono simbologie aggressive quali ad esempio crani, lame, teste di
leoni o tigri ed aquile (nel caso di quest‟ultime come evidenza di un tifo sostanzialmente
politicizzato, che si rifà per l‟appunto a simbologie e motti neofascisti). Tuttavia, gli anni ottanta
sono ricordati maggiormente per la strage dell‟Heysel: l‟evento fu di una tale drammaticità che
scosse la coscienza di tutto lo sport mondiale e rappresentò uno spartiacque al di là del quale il
movimento ultras si è poi evoluto. Dopo tale tragedia difatti, le misure di prevenzione cominciano a
divenire sempre più intolleranti: i tifosi ospiti sono scortati da cordoni di polizia e dislocati in zone
protette con agenti in assetto da guerra. Molti ultras di vecchio corso, dinanzi a questa prima
“militarizzazione” (Tosi, 2003) degli stadi, lasciano l‟attività mentre diversi giovanissimi
cominciano contemporaneamente a fare il loro ingresso nelle curve italiane: si verifica così un
ricambio generazionale, col quale lo stile del tifo ultras subisce, all‟interno della sua progressiva
evoluzione, un‟ulteriore differenziazione: le nuove leve infatti puntano maggiormente sugli aspetti
più superficiali come l‟immagine aggressiva e nascono in seguito nuovi nuclei che non si
riconoscono nei vecchi gruppi, ma che si formano e tras-formano con grande rapidità. Si registra un
abbassamento dell‟età media nelle curve e molti dei gruppi neonati sono composti da soggetti
adolescenti: al tempo, ciò ha posto problematiche inerenti i focolai di violenza; se prima, tramite la
presenza di soggetti più anziani dotati di autorità all‟interno del gruppo, veniva rispettato una sorta
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di “codice d‟onore” (Tosi, 2003), ora con le nuove leve questo controllo veniva inesorabilmente a
mancare. D‟altronde, la violenza assunta dal tifo ultras esplicita nuove modalità: a fronte di nuove
misure pubbliche (per le quali è prevista la scorta poliziesca dei tifosi ospiti dalle stazioni
ferroviarie o caselli autostradali fino all‟ingresso nello stadio, in settori ermeticamente isolati al
pubblico casalingo) lo scontro fisico tra nuclei rivali comincia ad essere irrealizzabile e si verificano
atti di vandalismo, con sassaiole ed insulti a distanza. La violenza delle nuove leve si rivolge, non
solo a veicoli od edifici, ma anche ai mezzi di quei tifosi che hanno affrontato la trasferta
autonomamente; siamo nella metà degli anni ottanta ed è sempre in questo periodo che si comincia
a parlare di “razzismo da stadio”. Inoltre, all‟interno degli stadi cominciano a comparire striscioni
con su scritto “Vecchia Guardia”, ovverosia nuclei appartenenti ai membri più anziani i quali
criticano aspramente i nuovi modi delle giovani leve e rivendicano il comando delle operazioni.
Verso il biennio 1988 – 1990, anche le modalità coreografiche assumono ulteriori cambiamenti ed
evidenziano l‟ingresso di elementi esterni nella simbologia ultras: alcune tifoserie adottano, tramite
bandiere, stendardi, ecc. i colori rasta verde – rosso - giallo con l‟emblemi di foglie cannabis,
mentre musicalmente il rock continua ad influenzare molti tifosi ultras. Anche il modello
anglosassone continua ad influire sugli stili della tifoseria ultras italiana ed un altro elemento ad
essere incorporato è quello dell‟alcool e del tifoso amante della birra, fortemente propenso
all‟ubriachezza. Per di più, lo stesso vestiario si modifica ulteriormente ed i gruppi organizzati
producono materiale sempre più sofisticato, cioè t-shirt, felpe, bomber, adesivi più altri articoli che
chiamano di già in voga lo stile “casual”: ciò è una nuova e fiorente fonte d‟introito per i nuclei
organizzati. Tuttavia, una tale commercializzazione conduce col provocare spaccature interne ai
gruppi: c‟è chi tenta un ritorno al passato, depurandosi dal business legato a nomi e simboli,
lanciando un nuovo concetto di “gruppi d‟elite aperti soltanto a quanti condividono una mentalità da
duri e puri” (Tosi, 2003).
1.3 - Il tifo organizzato italiano negli anni „90
Il decennio si chiude comunque con un‟incredibile ondata di violenza e con un‟ulteriore stretta
legislativa, nonché con la riduzione del numero dei posti nei settori ospiti. Arriviamo dunque agli
anni novanta, dove si possono scorgere due tratti comuni all‟interno dei campionati di serie A e B:
l‟aumento dei prezzi dei biglietti ed al contempo la sensibile riduzione dei posti riservati alle
tifoserie ospiti, al fine di ridurre la presenza dei sostenitori della squadra in trasferta. Caratteristiche
timidamente o preliminarmente apparse nel decennio precedente, come i bomber, gli anfibi e le
stesse simbologie neofasciste, conoscono negli anni novanta una massiccia diffusione, a scapito di
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una minoranza sempre più consistente di tifoserie “rosse”. Il termine “ultras” dal canto suo,
sperimenta stavolta una commercializzazione esagerata, poiché lo si vede appioppare, da parte dei
media, ad ogni personaggio famoso che manifesta una tiepida simpatia sportiva; d‟altra parte, si
assiste ad un consolidamento del binomio ultras – violenza, accentuato da episodi narrati in veste
sensazionalistica. Una vera e propria “inflazione d‟uso” (Tosi, 2003). Tuttavia, ricerche condotte sul
campo da parte dei sociologi, hanno successivamente dimostrato, laddove siano presenti tendenze
politiche estremiste nei nuclei organizzati, come queste (assieme a sentimenti xenofobi) non
fuoriescano generalmente dagli spalti.
1.4 - Il nuovo secolo: tra digitalizzazione del calcio e fuga dagli stadi
Si è finora esaminato, all‟interno di un rapido excursus storico, come il movimento ultras
italiano si sia evoluto con la medesima rapidità dalla fine dei sessanta, anni in cui
comparirono i primi nuclei organizzati, agli ottanta, anni nei quali quella progressiva
evoluzione condusse ad una sostanziale stabilizzazione dell‟identità; tuttavia, già a metà
degli anni novanta, cominciò l‟ingresso nel contesto calcistico (nazionale ed internazionale)
di alcuni elementi innovativi destinati a sconvolgere del tutto o quasi l‟assetto del calcio
italiano. Parliamo di un processo di “digitalizzazione” del calcio (Porro, 2008), di una
accentuata se non estrema “aziendalizzazione delle passioni” (Porro, 2008) che ha
conseguentemente condotto col far mutare il calcio, da pura disciplina sportiva
professionistica, a genere di consumo televisivo. Una simile nonché vera e propria
rivoluzione merita ovviamente considerazioni più approfondite; il mutamento non riguarda
ora soltanto l‟ambito ultras, ma ancor prima il calcio stesso il quale si configura come
sistema - spettacolo ed i cui cambiamenti influiscono poi, all‟interno di un “feedback” o di
una interdipendenza reciproca, sui tifosi - consumatori. Ora, è bene precisare che già nel
diciannovesimo secolo la radiofonia creava opportunità di pubblici virtualmente sconfinati,
ma è soltanto nel ventesimo secolo che il calcio conosce una virtualizzazione senza
precedenti ad opera dei mezzi di comunicazione di massa, ovvero mass media. Studiosi
come Real sostengono che il processo in questione si sia verificato per l‟appunto
progressivamente (Real, 1998) e che abbia riguardato, in un‟ottica di più ampio respiro, lo
sport praticato in veste amatoriale e con finalità ricreative, il quale è pian piano divenuto un
genere di consumo. Alla fine del ventesimo secolo ed all‟inizio del ventunesimo, con il
rapidissimo sviluppo delle tecnologie informatiche (satellite, pay TV, ecc.), parallelamente
l‟irruzione di quest‟ultime nel mondo calcistico è notevolmente incrementata, rendendo
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ancor più complesso il neosistema del “mediacalcio” (Porro, 2008). In tal modo, il gioco del
calcio ha acquisito un primato sociale difficile da scalzare: una finale di Champions League
o della Coppa del Mondo può giungere a toccare audience di un miliardo di telespettatori.
Non a caso, è stato utilizzato il termine “tele”spettatori al fine di evidenziare una nuova
tipologia di pubblico, non più semplicemente spettatore, ma con denotazioni maggiormente
virtuali e potenzialmente infinite; in tal senso il calcio, a detta di altri studiosi come Russo,
ha offerto attori e testi ad uno strumento che era il solo capace di dilatare quasi all‟infinito la
loro rappresentazione e di fornirgli canali di distribuzione adeguati alla vendibilità del
prodotto (Russo, 2004). Un vero e proprio matrimonio d‟interessi tra sistema calcio e
sistema mediatico: dal punto di vista societario o politico – aziendale, esemplificazioni
lampanti sono state le fusioni tra le stesse società calcistiche ed i grandi network televisivi
come quella tra Publitalia - Mediaset e A.C. Milan o Canal Plus e Paris Saint-Germain. Non
a caso, già nella seconda metà degli anni novanta, alcuni sponsor capeggianti sulle maglie
delle squadre di serie A erano marche televisive o canali satellitari; nuove simili tecnologie
offrono strumenti innovativi, quali moviole e replay, al fine di perfezionare la fruizione di
singoli episodi o eventuali decisioni arbitrali imparziali. Tuttavia, l‟invasione di campo da
parte della televisione ed ancor più della “neotelevisione” (Porro, 2008) si manifesta in
forme diverse giungendo in poco tempo a dettare le stesse modalità di gioco: ad esempio, i
“golden goal” sono stati ideati appositamente per rendere più emozionanti i tempi
supplementari. Non manca chi solleva dubbi ed incertezze, sostenendo una progressiva
perdita d‟aura dell‟evento (Russo, 2004), o che il calcio sportivamente inteso possa essere
compromesso da un abuso di tecnologie (Dimitrijevic, 2000); molti ricercatori ritengono che
la neotelevisione, assieme al suo sofisticato corredo di tecnologie, non abbia privato i (tele)
spettatori della risorsa emozionale. Di certo, quel che è concretamente osservabile è una
frammentazione dell’esperienza (Russo, 2004) nella quale il “bisturi digitale” (Porro, 2008)
opera una vivisezione del contenuto: in altri termini, una costruzione oltre che una
narrazione dell‟evento appositamente selezionata dallo spettatore-consumatore.
Potenziamento maniacale della qualità tecnica e drammatizzazione narrativa sono le
principali ed inscindibili caratteristiche della “televisizzazione del calcio”: ma questo,
concretamente, comporta comunque un depotenziamento dell‟emotività. Questa non è
semplicemente l‟immagine del calcio contemporaneo: è l‟immagine del calcio nella
televisione matura (Porro, 2008). Quali sono pertanto i mutamenti intercorsi nel lato del
pubblico? Cosa è accaduto più dettagliatamente, oltre alla trasformazione generica in
telespettatori? Dopo avere dunque delineato i principali cambiamenti che hanno interessato
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il calcio nazionale nel ventunesimo secolo, è ora interessante esaminare le prospettive future
del pubblico calcistico al fine di comprendere, tornando successivamente al movimento
ultras italiano, atteggiamenti e comportamenti messi recentemente in atto da quest‟ultimi, in
maniera maggiormente ampia. A seguito della digitalizzazione del prodotto calcistico e
l‟ingresso di canali quali Stream, Telepiù, Sky, Mediaset e La7, il primo fenomeno
osservabile è stato quello di una fuga dagli stadi (Porro, 2008) che non ha interessato
soltanto l‟Italia ma anche gli altri paesi europei dove la pay tv era più che diffusa. Una
“emorragia di pubblico” che, già sempre negli anni novanta, ha cominciato a dare segnali
preoccupanti. Nel 2006, ad ulteriore seguito dello scandalo “Calciopoli”, la media degli
abbonamenti e dei paganti nelle società maggiori si dimezza. Inoltre, dopo alcuni gravi
incidenti occorsi nel periodo successivo, a Catania nel 2007 ed a Roma nel 2008, tra quelli
che sono rimasti ancora spettatori serpeggia un senso d‟insicurezza e timore. Quello che si
configura in questi anni è in realtà una profonda de-legittimazione del sistema calcio: il
clima di delusione/sfiducia porta dunque il pubblico calcistico ad abbandonare
silenziosamente gli stadi, secondo una strategia economica chiamata “exit”, la quale poteva
sfociare nella fruizione dei servizi televisivi a pagamento (meno coinvolgente in termini
emotivi ma più confortevole in termini di sicurezza). Se questo è generalmente avvenuto per
il pubblico calcistico moderato, per la tifoseria ultras non è stato lo stesso: gli ultras, dagli
anni duemila in poi, hanno piuttosto dato avvio ad un‟altra strategia economica che è quella
del “voice”, la quale prevede letteralmente la protesta rumorosa. Protesta contro chi o cosa?
Contro quello che essi chiamano il “calcio moderno”, il nuovo calcio che ingiuriano con
striscioni del tipo “questo calcio ci fa skyfo!”, “mai davanti a sky!” o cori “no al calcio
moderno, no alla pay tv!”. Le contestazioni investono fragorosamente le dirigenze dei propri
club, le presidenze e gli intrallazzi che i manager professionisti compiono da una società
all‟altra, così recidendo i vincoli sentimentali d‟appartenenza, un tempo maggiormente
presenti tra società e tifo organizzato. Quello che si sta difatti delineando, in un simile
contesto di crisi di legittimità del sistema (da parte degli ultras con contestazioni sempre più
frequenti), è un tentativo di espulsione o ancor meglio depurazione da parte dell‟azienda
calcio del proprio ambiente: in uno sport oramai completamente trasformato in business,
totalmente manovrato dal digitale e da “concrete realtà virtuali”, forse non serve più una tale
emotività reale e non c‟è più molto posto per l‟identità spettacolare dei tifosi, per il tifo
caloroso e per appartenenze di fede. In compenso, c‟è spazio potenzialmente infinito per i
tele tifosi: forse, in tal senso, le nuove normative recentemente approvate dal Governo
vanno nella medesima direzione di questa continua evoluzione del sistema calcio. Sta alle
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pagine successive cercare di fornire un quadro maggiormente chiaro, così come sta alle
pagine successive cercare di intravedere nuovi possibili orizzonti del tifo ultras nel
panorama italiano.
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Capitolo II.
La sottocultura ultras tra aggressività, violenza e domande d’identità: concetti e spiegazioni
della teoria psicosociale e sociologica
Nel capitolo precedente, si è accennato in forma generica ad alcune connotazioni estetiche ed
attitudinali del movimento ultras nelle sue diverse fasi evolutive. Al di là della prospettiva
temporale esplicitata nel precedente capitolo, è necessario ora inquadrare il fenomeno nella
prospettiva di studio teorica: come hanno analizzato le scienze sociali tale fenomenologia? Quali
sono state le teorie maggiormente rilevanti? Si tratta di esaminare ora i contributi che la psicologia
sociale e la sociologia hanno fornito, muovendosi all‟interno di una prospettiva micro, concernente
cioè gli individui ed i gruppi sociali, nonché l‟eccitazioni collettive e le violenze infra-gruppali.
2.1 – Le dinamiche di gruppo: interazioni e relazioni fra i gruppi sociali
I sociologi hanno ben compreso che il vivere in gruppi, associazioni od organizzazioni è un tratto
distintivo dell‟uomo come animale sociale e hanno pertanto distinto in prima analisi il concetto di
gruppo da quello di aggregato: il primo concetto presuppone una regolarità dell‟interazione da
parte di un numero d‟individui, la quale tiene uniti quest‟ultimi dando vita ad una distinta unità
connotata da un‟identità sociale. Al contrario, il secondo concetto prescinde da una tale regolarità:
difatti, gli aggregati umani sono composti da individui che possono trovarsi nel medesimo posto al
medesimo tempo, senza alcun preesistente legame. In base a ciò, la sociologia ha ampliato
ulteriormente la sua analisi, così distinguendo tra gruppi primari e gruppi secondari: per gruppi
primari intendiamo entità gruppali nelle quali gli individui sono legati da vincoli di natura emotiva e
la cui interazione è di tipo diretto (es: gruppi familiari, gruppi amicali, ecc.) mentre per gruppi
secondari intendiamo quelle entità gruppali le cui interazioni sono determinate da scopi pratici e
hanno natura prevalentemente impersonale (es: gruppi scolastici, gruppi lavorativi, ecc.). E‟ stata la
psicologia della Gestalt a definire formalmente il gruppo nei termini socio psicologici: l‟approccio
gestaltista sostiene che la totalità è sì un qualcosa di diverso dalle parti che lo compongono, ma non
superiore ad esse. Dunque, applicando la nozione generale di “totalità” ai gruppi sociali, emerge
quello che è il concetto di totalità dinamica, ovvero di un tutto diverso dalle caratteristiche dei
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singoli componenti; ma, proprio in base ad una diversità che non è al contempo superiorità, la
Gestalt parla di un‟interdipendenza dei membri: un gruppo sociale può essere osservato tramite una
somiglianza dei membri stessi, ma si dimentica ancor prima l‟interdipendenza che sussiste tra essi.
Senza una tale connotazione, non si può parlare di “gruppo”: in sostanza, è il tipo d‟interazione che
definisce un gruppo poiché quest‟ultimo è definito al meglio quale totalità dinamica basata
sull‟interdipendenza invece che sulla somiglianza (Lewin, 1948 citato da Palmonari 2007). Infatti, a
conferma di una simile caratteristica, i gruppi dotati di organizzazione hanno una differenziazione
interna che conduce a status e ruoli altrettanto differenziati. Lo status è un tema classico nella
dinamica dei gruppi: tale concetto si riferisce alla posizione che una persona occupa in un gruppo
sociale; due importanti indicatori dello status sono, secondo Palmonari (2007), da una parte il
prestigio connesso ad una certa posizione, mentre dall‟altra la tendenza da parte di chi occupa un
determinato status a promuovere iniziative in termini di idee ed attività (Palmonari, 2007). Questa
differenziazione di status sopra accennata conduce in una gerarchia, già presente nei gruppi
informali di pari, come quelli degli adolescenti. Sono state compiute osservazioni sul
comportamento verbale/non verbale di chi riveste uno status elevato: in generale, chi detiene una
certa posizione, possiede un‟alta statura, un tono vocale fermo e mantiene sempre il contatto visivo.
Interagisce con maggiore frequenza con gli altri membri del gruppo e durante colloqui interviene
più spesso degli altri per esprimere eventuali idee o critiche, talvolta interrompendo i discorsi;
d‟altra parte, riceve un maggior numero di comunicazioni da parte degli altri membri. Tuttavia, la
gerarchia interna che viene a comporsi non ha connotazioni stabili, poiché a seconda dell‟uscita di
vecchi componenti, dell‟entrata di nuovi o del cambio di attività, all‟interno dell‟organizzazione
gruppale alcuni individui saliranno, altri invece scenderanno in merito alle proprie capacità (Sherif,
1984 citato da Palmonari 2007). Ciò poiché la determinazione dello status di un individuo dipende
in larga parte dalle aspettative che i membri stessi del gruppo nutrono verso l‟altro; secondo le
ricerche condotte da Wesfield, lo status può derivare dalla messa in atto di alcuni comportamenti,
dalla responsabilità nei confronti del proprio gruppo, dal rispetto di norme interne, o dall‟aiutare il
gruppo stesso a raggiungere i propri obiettivi (Wesfield, 1984 citato da Palmonari 2007). E‟ anche
vero tuttavia che il sistema di status si modifica con sorprendente rapidità. In questo senso, i “teorici
dell‟aspettativa” sostengono da una parte che lo status si delinea già nei primi incontri dei membri,
riguardo al possibile contributo di ognuno nelle finalità del gruppo: aspettative dunque che si
concentrano sulle caratteristiche personali reciprocamente esibite (Berger, Rosenholtz e Zelditch,
1980 citato da Palmonari 2007). D‟altra parte, la “corrente etologica” sostiene che le posizioni di
ognuno all‟interno di un contesto organizzato sono valutate, fin dai primi approcci, in base alle
apparenze ed al contegno dimostrati dai membri, come ad esempio la statura, la muscolatura e
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