IV
INTRODUZIONE
Qualche giorno addietro, sfogliando casualmente un vecchio libro riposto
da tempo nella biblioteca di casa
1
, mi sono imbattuto nella seguente frase: « Il
puro e semplice avere un lavoro è un privilegio molto grande. La chiave della
libertà ». Se dapprima non ho dato molto significato a questa espressione, col
trascorrere delle ore essa ha continuato incessantemente a riproporsi nella
mente, quasi a chiedermi di fermarmi un poco a rifletterci.
In effetti, ripercorrendo rapidamente la mia vicenda personale non posso
che confermare appieno la veridicità di quell’espressione: le esperienze lavora-
tive che ho vissuto e quella che sto tuttora vivendo hanno segnato positivamen-
te la mia crescita, non solo dal punto di vista della maggior autosufficienza e-
conomica, ma soprattutto della maturazione relazionale con le persone, sia
all’interno che al di fuori degli ambienti di lavoro.
In modo più generale non si può obiettare come ogni persona sia alla ri-
cerca di un’attività lavorativa che le consenta di realizzare la propria esistenza
nelle sue diverse dimensioni, soddisfacendo quanto più possibile quei bisogni
di stima e autorealizzazione che sono innati nell’essere umano
2
.
Se per soggetti già affermati è di regola facile, in caso di necessità o per
propria scelta, ottenere un’offerta di lavoro adeguata alle proprie aspirazioni,
non così avviene in tutta un’altra serie di casi: ragazzi usciti da istituti profes-
sionali con una ben specifica qualifica, giovani che dopo aver concluso il loro
percorso di studio scolastico secondario si affacciano per la prima volta nel
mondo del lavoro, lavoratori già maturi che hanno perso la precedente occupa-
zione, persone immigrate bisognose di un impiego ma prive di specifica for-
mazione professionale. L’assunzione diretta da parte delle imprese alla ricerca
di nuovo personale viene loro sovente negata adducendo a motivo la scarsa
conoscenza della persona, l’eccessiva volatilità degli ordinativi e delle connes-
se dinamiche produttive, l’incapacità di provvedere direttamente alla loro for-
1
COLOMBO F., Carriera: vale una vita ?, Milano, Rizzoli, 1989.
2
V. la « scala dei bisogni » di MASLOW, 1970.
V
mazione tecnica.
L’unico modo per superare questi ostacoli iniziali è allora quello di affi-
darsi ad un soggetto terzo che faccia da « ponte » nei confronti del sistema im-
prenditoriale tanto in merito alle competenze acquisite quanto ai problemi di
ricollocazione dovuti all’eventuale venir meno della necessità occupazionale.
Molti sono coloro che fin dalle origini del sistema industriale moderno si sono
proposti come mediatori tra domanda e offerta di lavoro, sia a livello indivi-
duale che in forma organizzata; non sempre, tuttavia, tale attività è stata svolta
nel precipuo interesse dei lavoratori, ai quali è stato assicurato un trattamento
complessivamente diseguale rispetto ai loro colleghi alle dirette dipendenze
dell’imprenditore.
Il desiderio di approfondire come nel corso degli anni si sono evolute le
tutele giuslavoristiche a riguardo delle fattispecie interpositorie via via poste in
essere nel nostro Paese è stato il motivo ispiratore del presente lavoro. La ri-
cerca che di qui a poco si presenterà parte dalla specifica situazione normativa
agli inizi del XX secolo e passando per le importanti misure di tutela introdotte
dapprima negli anni ’60 e successivamente negli anni ‘90 approda al provve-
dimento che negli ultimi tempi più di tutti ha contribuito a ridisegnare il siste-
ma giuslavoristico interno: il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, impropriamente
noto come « legge Biagi ».
Il primo capitolo sarà dedicato ad illustrare l’evoluzione della cornice le-
gislativa in materia di interposizione nelle prestazioni di lavoro dai primi anni
successivi all’avvento dell’industrializzazione nel nostro Paese agli anni ’90.
In modo particolare si descriveranno i provvedimenti concepiti a cavallo dei
due conflitti mondiali, rimarcando per quanto possibile i profili di novità e le
criticità rispetto al contesto giuridico precedente; successivamente si darà spa-
zio al divieto di interposizione di cui alla legge 23 ottobre 1960, n. 1369 e alle
conseguenze che la sua introduzione ha avuto nelle modalità di gestione della
manodopera; quindi, delineando le mutazioni che hanno interessato il sistema
economico italiano dalla seconda metà degli anni ’80, si analizzerà compiuta-
mente la normativa sulla fornitura di lavoro temporaneo ex artt. 1-11 della leg-
ge 24 giugno 1997, n. 196, sia in merito alla struttura e alle peculiarità della
VI
fattispecie quanto alle molteplici tutele assicurate ai cc.dd. « lavoratori interi-
nali ».
Il capitolo 2 si occuperà specificamente del nuovo istituto della « som-
ministrazione di lavoro » disciplinato sostanzialmente dagli artt. 20-28 del
d.lgs. n. 276/2003. In primo luogo si esporranno i principi ispiratori della ri-
forma del 2003, con particolare attenzione a quelli formulati in sede europea e
alle loro implicazioni sulla regolamentazione del mercato del lavoro italiano;
in secondo luogo si procederà all’analisi della nuova disciplina articolo per ar-
ticolo, ponendo in evidenza le importanti relazioni esistenti tra loro, i profili di
rottura rispetto alla previgente disciplina, le difficoltà interpretative di alcune
parti del provvedimento e gli interventi di ulteriore riforma – già realizzati o
solo progettati – ad oltre cinque anni dall’entrata in vigore del decreto legisla-
tivo.
Il terzo ed ultimo capitolo sarà invece dedicato alle Agenzie per il lavoro
e agli altri soggetti a vario titolo oggi legittimati ad agire come intermediari nel
mercato del lavoro. Oltre ad evidenziare i requisiti giuridici, economici e pro-
fessionali che detti operatori devono possedere si darà breve spazio all’esame
dell’iter previsto per il rilascio della necessaria « abilitazione »; in conclusio-
ne, relativamente alle sole Agenzie per il lavoro, si darà conto dei primi dati
statistici raccolti e delle possibili prospettive di sviluppo del settore nei pros-
simi anni.
1
CAPITOLO 1
DAL DIVIETO DI INTERPOSIZIONE
AL LAVORO IN FORNITURA
SOMMARIO: 1. L’interposizione nel rapporto di lavoro e la disciplina previgente al codice
civile del 1942. – 2. Segue: l’art. 2127 c.c. e il divieto di interposizione nel cottimo. –
3. L’esperienza post-corporativa fino alla legge 23 ottobre 1960, n. 1369: le nuove fi-
gure interpositorie e gli scarni tentativi di tutela dei lavoratori. – 4. Segue (1): le novità
introdotte dalla legge n. 1369/1960: ampliamento del divieto di interposizione. – 5. Se-
gue (2): la disciplina del rapporto di lavoro negli appalti di opere e di servizi. – 6. Dalla
legge n. 1369/1960 alla legalizzazione del lavoro in fornitura nella legge n. 196/1997
(pacchetto Treu): ragioni e passi di un epocale cambiamento. – 7. Segue (1): profili in-
novativi e criticità del nuovo istituto. I soggetti legittimati a stipulare il contratto di for-
nitura di lavoro temporaneo. – 8. Segue (2): il contratto di fornitura di prestazioni di la-
voro temporaneo. – 9. Segue (3): il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. –
10. Segue (4): il rapporto tra utilizzatore e lavoratore temporaneo: diritti e obblighi del-
le parti. Norme sanzionatorie.
1. L’interposizione nel rapporto di lavoro e la disciplina previgente al
codice civile del 1942. – In linea generale si può definire interposizione nel
rapporto di lavoro la situazione in cui chi si avvale del lavoro altrui per la rea-
lizzazione di un’opera o di un sevizio, anziché assumere in modo diretto il per-
sonale necessario, si rivolge – divenendo di fatto committente – ad un terzo
soggetto (interposto) che lo assume e retribuisce per metterlo a sua disposizio-
ne
1
.
L’interposizione si realizza attraverso la combinazione di due distinte
pattuizioni, intercorrenti l’una fra l’imprenditore e l’intermediario e l’altra fra
questi ed i lavoratori interessati.
Gli obiettivi perseguiti dall’imprenditore ricorrendo a questa fattispecie,
come ben inquadrò il LORIGA
2
, sono « procurarsi le energie di lavoro, di cui
1
Cfr. MAZZOTTA, Appalto, III) Appalto di prestazioni di lavoro, in Enc. Giur.
Trecc., II, 1988, 1.
2
LORIGA, La disciplina giuridica del lavoro in appalto, Milano, 1965, 3 ss..
2
necessita per lo svolgimento dell’attività economica organizzata nell’impresa
da lui mossa, senza assumere le responsabilità connesse alla posizione di dato-
re di lavoro » e « realizzare il vecchio principio economico del massimo risul-
tato con il minimo dispendio ».
L’interposizione come fenomeno sociale ha ascendenze antiche
3
, collo-
cabili alle origini della rivoluzione industriale, ossia alla prima manifestazione
nella realtà economico-sociale di quello che in seguito venne definito lavoro
subordinato: l’assorbimento dell’artigiano nell’organizzazione del mercante-
imprenditore comportò non solo la cessione del lavoro a beneficio
dell’imprenditore, ma anche l’obbligo in capo all’artigiano di dirigere il lavoro
di coloro (familiari o altri prestatori d’opera) che fino a poco prima avevano
lavorato nella sua bottega
4
.
L’effettiva volontà delle parti di realizzare tale complessa fattispecie ne-
goziale è stata mascherata nel corso degli anni sotto molteplici denominazioni
al sol scopo di distogliere l’attenzione dai peculiari patologici elementi che co-
lorano la fattispecie stessa: si è così parlato di appalto, di sub-appalto, di som-
ministrazione di fornitura, di mandato, di gestione di esercizi commerciali, non
da ultimo di sublocazione
5-6
.
Fra le forme di interposizione di più frequente ricorso e che per prima
attrasse l’attenzione del legislatore si annovera certamente l’interposizione nel
lavoro a cottimo: essa si verificava quando dei cottimisti, riuniti in squadra,
non venivano assunti direttamente dall’imprenditore, ma erano individualmen-
3
Per una descrizione dei profili storici relativi alle interposizioni nell’organizzazione
del lavoro e all’evoluzione dei caratteri giuridici del soggetto interposto v. MAZZOTTA,
Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Milano, 1979, 7 ss..
4
M. T. CARINCI, La fornitura di lavoro altrui. Interposizione, comando, lavoro tem-
poraneo, lavoro negli appalti, in SCHLESINGER (diretto da), Il Codice civile. Commentario,
Milano, 2000, 4.
Sul tema cfr. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1995,
41 ss. specie 47.
5
LORIGA, op. cit., 6-7.
6
Per una completa disamina delle tipologie in cui si realizza l’interposizione nelle pre-
stazioni di lavoro, cfr. CESSARI, L’interposizione fraudolenta nel diritto del lavoro, Milano,
1958, cap. II.
Per quanto riguarda la somministrazione di lavoro relativamente al periodo storico an-
teriore all’entrata in vigore del c.c., cfr. GRECO, Il contratto di lavoro, Torino, 1939, 221.
3
te legati da un vincolo di subordinazione al solo capo-cottimista
7
, il quale po-
teva essere dipendente dello stesso imprenditore ovvero estraneo
all’organizzazione aziendale del medesimo
8
. La funzione speculativa della fi-
gura in esame è decisamente chiara: il capo-cottimista da un lato cercava di co-
struire la squadra impiegando il minor numero possibile di lavoratori, dall’altro
di riconoscere agli stessi un trattamento economico e normativo tale da massi-
mizzare il proprio lucro sul prezzo pattuito con il committente per la realizza-
zione della commessa, presentando regolarmente scarse garanzie di solvibilità
nei confronti dei propri subordinati
9
.
La frequenza, sin dagli albori del XX secolo, del ricorso a questa figura
interpositoria, nonché l’appariscente fine antisociale per suo tramite perseguito
indussero il legislatore ad intervenire in direzione di una sua decisa repressio-
ne.
Il primo provvedimento in materia si situa addirittura anteriormente
all’inizio del secolo scorso ed esattamente nella legge 20 marzo 1865, n. 2248,
il cui art. 336, all. F statuiva il divieto di subappalto nei lavori pubblici: a ben
vedere, è verosimile che la norma mirasse non tanto a tutelare la posizione del
7
IANNIRUBERTO, MATTONE, L’interposizione nei rapporti di lavoro nella giuri-
sprudenza anteriore alla L. 23 ottobre 1960, n. 1369, in Il diritto del lavoro
nell’elaborazione giurisprudenziale, V, Novara-Roma, 1972, 5.
8
La figura descritta veniva definita dalla prevalente dottrina come « cottimo collettivo
autonomo », nei limiti in cui il capo-cottimista era dipendente dell’imprenditore (v. per tutti
RIVA SANSEVERINO, Dell’impresa in generale. Art. 2127, SCIALOJA, BRANCA (a cura
di), Commentario del codice civile, Bologna, 1964, 403). Non mancava tuttavia chi ricondu-
ceva sotto tale espressione anche il caso in cui il capo-cottimista non fosse legato da vincoli di
subordinazione con l’imprenditore. In questa direzione v. NAPOLETANO, Corso di diritto
del lavoro, Napoli, 1968, 187. La terminologia proposta dalla dottrina prevalente appare pre-
feribile, in quanto l’estraneità del capo-cottimista all’organizzazione dell’imprenditore dava
luogo a quella diversa fattispecie denominata pseudo-appalto o subappalto.
Dal cottimo collettivo autonomo va invece distinto il cottimo collettivo subordinato, il
quale non dà luogo ad interposizione fraudolenta: il capo-cottimista non è infatti un datore di
lavoro, ma un semplice caposquadra subordinato all’imprenditore e da questi chiamato a diri-
gere l’attività degli altri lavoratori. Sulle due diverse fattispecie di cottimo collettivo si vedano
in particolare BARASSI, Il diritto del lavoro, II, Milano, 1957, 349 e CESSARI, op. cit., 53
ss..
In giurisprudenza vedi una chiara distinzione fra le due forme di cottimo collettivo in
Trib. Roma, 4 maggio 1949, in Foro it., 1950, I, c. 1106 e Rep. Foro it. , 1949, voce « Lavoro
(rapporto di) », n. 85.
9
NAPOLETANO, Divieto di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni di
lavoro e nuova disciplina dell’impiego di manodopera negli appalti e nei servizi, in Riv. giur.
lav., 1961, I, 17.
4
prestatore di lavoro, quanto quella della pubblica amministrazione
10
.
Decisamente più significativo risultò invece l’art. 10 del regolamento per
l’esecuzione della legge 31 gennaio 1904, n. 51 sulle assicurazioni degli operai
contro gli infortuni sul lavoro
11
, che sancì la responsabilità diretta
dell’imprenditore per i danni derivanti da irregolare posizione di prestatori su-
bcottimisti riguardo all’assicurazione sugli infortuni. La posizione del legisla-
tore non mutò negli anni successivi, dacché la regola venne ribadita dall’art. 10
del successivo regolamento sull’assicurazione infortuni e malattie professiona-
li, approvato oltre trent’anni più tardi
12
.
Ulteriore passo in avanti verso una maggior tutela dei prestatori di lavoro
si ebbe con l’art. 10, co. 1 del t.u. sul lavoro delle donne e dei fanciulli appro-
vato con r.d. 10 novembre 1907, n. 818
13
: la norma introdusse un regime di re-
sponsabilità solidale tra imprenditore, cottimista e altri interessati nell’adottare
ogni provvedimento necessario ad assicurare l’igiene, la sicurezza e la moralità
dei giovani lavoratori e lavoratrici
14
.
Ciononostante, la sporadicità dell’intervento del legislatore ed i notevoli
limiti ratione materiae e ratione personarum dei suddetti provvedimenti non
contribuirono ad accrescere la tutela del lavoratore cottimista, tanto nei con-
10
SPANO, Il divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro, Milano, 1965, 17.
11
Approvato con r.d. 13 marzo 1904, n. 141. L’art. 10, oggetto del nostro interesse, di-
sponeva: « Il capo o esercente dell’impresa, industria o costruzione, che dà a cottimo ai propri
operai lavori da eseguirsi nel proprio stabilimento, officina o cantiere, permettendo loro di va-
lersi per eseguirli di altri operai da essi assunti e pagati, è obbligato ad assicurare anche questi
ultimi ».
12
Si tratta del regolamento approvato con r.d. 25 gennaio 1937, n. 200 in esecuzione
dei rr.dd. 17 agosto 1935, n. 1765 e 15 dicembre 1936, n. 2276. L’art. 10 del regolamento di-
sponeva similmente: « Nel caso in cui i prestatori di opera retribuiti a cottimo nello stabili-
mento, officina o cantiere di un datore di lavoro soggetto all’obbligo dell’assicurazione, si av-
valgano, col consenso di questi, di altri prestatori di opera da essi assunti e pagati, anche
l’assicurazione di questi ultimi è a carico del datore di lavoro predetto, in conformità delle di-
sposizioni del regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765, e del presente regolamento ».
13
Il testo dell’art. 10, 1° comma, in esame, era il seguente: « Salvo le prescrizioni
d’altre leggi e regolamenti, i proprietari, i gerenti, i direttori, gli impresari, i cottimisti che im-
pieghino fanciulli o donne di qualsiasi età, devono adottare e fare eseguire, a norma del rego-
lamento, tanto nei locali dei lavori e nelle relative dipendenze, quanto nei dormitori, nelle
stanze di allattamento e nei refettori i provvedimenti necessari a tutela dell’igiene, della sicu-
rezza e della moralità ».
Il testo unico contente l’articolo testé riportato fu successivamente sostituito dalla l. 26
aprile 1934, n. 653, la quale, però, non conteneva alcuna norma propriamente analoga.
14
RUDAN, Interposizione nelle prestazioni di lavoro e la nuova disciplina degli ap-
palti d’opere e di servizi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, 833 ss..
5
fronti del capo-cottimista interposto, quanto del vero imprenditore
15
.
Preso atto dell’effetto negativo di sfruttamento del lavoratore prodotto
dall’interposizione
16
, l’obiettivo perseguito fu allora quello – secondario – di
tutelare il credito del lavoratore dal rischio di insolvenza del capo-cottimista,
datore di lavoro improvvisato e semplice trait d’union tra imprenditore e lavo-
ratore
17
: nonostante orientamenti non unanimemente condivisi circa i soggetti
meritevoli di tale protezione
18
venne consacrata l’applicazione analogica
dell’art. 1645 c. c. del 1865
19
, progenitore dell’art. 1676 c.c. vigente.
Solo intorno al 1920, nel momento in cui andava sorgendo l’ordinamento
del lavoro
20
e la contrattazione collettiva veniva assunta al rango di legge pro-
fessionale
21
, il fenomeno interpositorio assunse drammatico spessore e venne
denunciato in tutta la sua gravità dalla dottrina
22
e dalla giurisprudenza
23
.
15
RUDAN, op. cit., 834.
16
Cfr. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano
2
, Milano, 1915, I,
751.
17
M. T. CARINCI, op. cit., 5-6.
18
Cfr. MAZZOTTA, op. cit., 60 ss..
19
L’art. 1645 c.c. del 1865 prevedeva: « I muratori, i fabbri e gli altri artefici impiegati
alla costruzione di un edifizio o di altra opera data in appalto, non hanno azione contro il
committente dei lavori se non fino alla concorrenza del debito che egli ha verso
l’imprenditore nel tempo in cui promuovono la loro azione ».
20
Si situano in quest’epoca il r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692 relativo alla limitazione
dell’orario di lavoro per gli operai e gli impiegati di tutte le aziende industriali e commerciali;
il r.d. 13 novembre 1924, n. 825 sul contratto di impiego privato; il r.d. 21 aprile 1919, n. 603
che istituisce l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia, regolata dal decreto
31 dicembre 1923, n. 3184 e dal regolamento 28 agosto 1924, n. 1422; l’assicurazione contro
la tubercolosi, istituita con d.l. 27 ottobre 1927, n. 2055; l’assicurazione contro la disoccupa-
zione involontaria, istituita con r.d. 30 dicembre 1923, n. 3158; il r.d. 22 febbraio 1934, n. 374
sul riposo settimanale.
21
La l. 3 aprile 1926, n. 563 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro
pose infatti le basi dell’ordinamento sindacale corporativo fondato sul principio del sindacato
di diritto pubblico cui veniva riconosciuta la rappresentanza legale della categoria, dalla quale
derivava l’efficacia « erga omnes » per tutti gli appartenenti alla categoria dei contratti collet-
tivi.
22
Non visti, ma citati da LORIGA, op. cit., 4 ss.: LEVI DEVEALI, Azienda e datore di
lavoro nei rapporti di lavoro, in Riv. imp. priv., 1934, 129; ID., Per l’estensione della legisla-
zione del lavoro ai pseudo appaltatori autonomi, ibidem, 1936, 91; FAVARA, Appalto, su-
bappalto e prestazioni di opere in materia di lavoro (a proposito della mascheratura dei rap-
porti di lavoro subordinato), in Mag. Lav., 1938, 674; MASSART, Contratti di lavoro ma-
scherati in genere, in Dir. lav., 1939, I, 112 ss..
Cfr. anche MAZZOTTA, op. cit., 73 ss..
23
Non visti, ma citati da LORIGA, op. cit., 4, nota 6 a titolo di esempio, Mag. Lav. To-
rino, 17 gennaio 1935, in Mag. Lav., 1935, 1098, con nota di LEVI, Limiti soggettivi del rap-
porto di impiego, e postilla di DE AMICIS; Mag. Lav. Milano, 5 novembre 1938, ibidem,
1938, 263; Cass., 12 aprile 1938, n. 1360, ibidem, 606 con nota di DE AMICIS, La maschera-
tura dei rapporti di lavoro subordinato e un monito della Corte Suprema.
6
Allo stesso modo non rimasero inermi le organizzazioni sindacali, che
nonostante le forti limitazioni nella loro azione imposte in sede politica riusci-
rono ad ottenere risultati importanti grazie all’uso del loro naturale strumento
operativo, vale a dire la contrattazione collettiva: la forza obbligatoria verso
tutti gli appartenenti ad una individuata categoria di cui essa era allora rivesti-
ta, nonché le sanzioni penali comminate per l’inosservanza delle norme collet-
tive, costituirono quel valido rimedio che già da tempo la dottrina dell’epoca
aveva indicato.
In modo particolare, gli obiettivi che l’azione sindacale intendeva rag-
giungere presso le categorie più esposte alla deplorevole pratica erano la limi-
tazione dell’affidamento a terzi dell’esecuzione di opere o servizi legati al nor-
male ciclo produttivo dell’impresa e l’affermazione della responsabilità
dell’imprenditore, destinatario della prestazione di lavoro, per ogni obbligo na-
scente dal contratto collettivo di lavoro; realizzati questi, scopo ultimo
dell’agire delle organizzazioni sindacali sarebbe diventato l’ottenimento del
divieto di interposizione nel lavoro a cottimo
24-25
.
Il primo contratto in tal senso fu l’accordo del 12 gennaio 1920 tra A-
ziende del gas d’Italia e Federazione nazionale dei Gasisti, il cui art. 7 consentì
alle aziende del gas di affidare ad imprese esterne l’esecuzione di certi servizi
purché venisse tutelata la stabilità d’impiego e la categoria del personale inter-
no all’azienda addetto a tali servizi.
Solo con il C.C.N.L. 22 febbraio 1934 per gli artisti di varietà, tuttavia,
venne introdotta per la prima volta la regola che attribuiva all’impresario, an-
ziché all’interposto – detto in questo settore capogruppo o capotroupe – una
diretta responsabilità per i rischi spettanti agli scritturati.
Di qualche anno successivo, il C.C.N.L. 9 maggio 1936 per i dipendenti
delle aziende esercenti il commercio di prodotti dell’alimentazione generale
(alimentari misti) sancì all’art. 1 l’impegno delle associazioni stipulanti a svol-
gere la loro opera contenendo il fenomeno della sub-concessione dei negozi e
degli spacci di generi alimentari; nella seconda parte, poi, si precisava che nel
24
Ancor oggi conosciuto nel linguaggio sindacale come « divieto di cottimismo ».
25
LORIGA, op. cit., 9.
7
caso in cui tale sub-concessione si fosse verificata, il titolare della licenza ri-
maneva responsabile nei confronti dei lavoratori dei doveri e degli obblighi de-
rivanti dallo stesso contratto collettivo in virtù di un’apposita clausola da inse-
rire nel contratto di sub-concessione. L’aspetto maggiormente rimarchevole
del C.C.N.L. in esame fu però quello di impedire che i gerenti, i gestori o con-
segnatari di negozi o spacci che rivestivano la figura di prestatori d’opera ve-
nissero considerati sub-concessionari, determinando inequivocabilmente la
soppressione della funzione interpositoria del sub-concessionario
26
.
Ad un contratto aziendale, sempre del settore commerciale – convenzio-
ne 8 aprile 1938 per il personale dipendente dai negozi della Venchi-Unica – si
doveva il merito di aver definitivamente risolto la questione, affermando il
fondamentale principio secondo cui il personale assunto da gerenti, anche se
unito agli stessi da vincoli di parentela ed affinità
27
, doveva ritenersi dipenden-
te dall’azienda principale e, di conseguenza, dovevano essere applicati anche
nei suoi confronti i contratti collettivi di lavoro della categoria
28
.
Decisamente più articolata e specifica apparve sin da subito la normativa
introdotta dal C.C.N.L. 26 dicembre 1937 per la disciplina degli obblighi rela-
tivi ai rapporti di lavoro degli operai nei casi di sub-appalto nell’industria edi-
lizia: l’art.1 disponeva infatti che l’appaltatore principale assumeva la respon-
sabilità verso gli operai dipendenti dal subappaltatore o cessionario per il pa-
gamento dei salari, indennità, maggiorazioni, assegni e tutto quanto stabilito
dai contratti collettivi di lavoro e dalle leggi sociali, nel caso in cui il datore di
lavoro obbligato fosse rimasto inadempiente, ma anche nei casi in cui questi
fosse sprovvisto dei requisiti richiesti
29
o, soprattutto, non utilizzasse una pro-
pria organizzazione, ma fornisse unicamente manodopera
30
.
26
M. T. CARINCI, op.cit., 7, nota 16.
27
Dal « personale assunto da gerenti anche se unito […] da vincoli di parentela ed affi-
nità » erano esclusi i parenti ed affini entro il terzo grado, presumendo che essi non svolgesse-
ro prestazioni di carattere subordinato nei confronti dei gerenti e quindi non realizzassero un
vero e proprio rapporto di lavoro.
28
LORIGA, op. cit., 11.
29
In particolare dell’iscrizione al Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa e
dell’approvazione da parte dell’Autorità competente, ai sensi dell’art. 339 della legge sui
LL.PP., della cessione o del sub-appalto dell’opera pubblica.
30
M. T. CARINCI, op. cit., 7-8.