0. Introduzione
Alma cittade, ove amor ten suo seggio,
e te sopravolando sempra agira,
qual nascosa cagion tanto me tira,
che altro ch’esser in te giamaî non cheggio?
Matteo Maria Boiardo,
Amorum libri tres.
0.1. Che cosa è una città?
La città è, secondo una tradizione che va da Aristotele al medioevo, il centro
d’attrazione verso cui tendono le attività sociali umane, una forma d’organizzazione con
l’obiettivo di far vivere bene l’uomo, di fargli raggiungere la felicità. È questo il senso prin-
cipale della cittadinanza che la citazione in esergo ci ricorda. «Aristotele dice che la città è
nata per preservare la vita, essa esiste per far vivere bene gli uomini, dunque in sostanza è
una maniera d’organizzazione, un complesso di modelli di relazione, uno stile di congrega-
zione» [Farinelli, 2006, p. 15]
1
. Per questo la città si fonda sulla natura umana, sulla tenden-
za naturale dell’uomo a socializzare. Essa è quindi una funzione che convoca e attiva inte-
ressi conflittuali e armonici, funzioni che la semiotica definisce rispettivamente struttura
polemica e struttura contrattuale, caratterizzati dal perseguimento di un valore positivo re-
lativo ai soggetti interessati. Più recentemente, ma già a partire dai lavori di Leon Battista
Alberti del XV secolo, quindi con la cosiddetta modernità, la città è stata intesa come il
complesso dei suoi edifici e dei percorsi volti a collegarli. Una precauzione che va immedia-
tamente segnalata è che, come ha fatto notare Paolo Fabbri citando Bruno Latour [1991] in
un intervento all’università di Palermo, forse moderni non siamo mai stati e quindi l’utilizzo
dei termini “moderno” e “postmoderno” (che ricorreranno spesso) ha ora semplicemente
funzione di riferimento alle scuole così denominate. Forse, come vuole Charles Baudelaire
[1981, p. 288], la modernità è solo la parte fuggitiva e transitoria di una realtà il cui com-
plementare è l’eterno e l’immutabile. Siamo allora forse davvero premoderni. Per questa ra-
1
Le date delle citazioni si riferiscono alla prima edizione in lingua originale, mentre i numeri di pagina si rife-
riscono sempre all’edizione italiana, ove presente. I corsivi, a eccezione di indicazioni contrarie, sono sempre
degli autori.
INTRODUZIONE
X
gione, ogni volta che useremo questo termine, specificheremo se si riferisce all’accezione
dominante negli studi sociologici o se ci stiamo riconducendo al senso che Baudelaire ha
conferito al vocabolo in questione, stante il fatto che l’obiettivo che ci prefiggiamo è quello
di pervenire davvero alla comprensione di cosa sia la città moderna.
Come sostengono Gilles Deleuze e Félix Guattari in Milles plateaux [1980, p. 539], «la vil-
le est le corrélat de la route. Elle n’existe qu’en fonction d’une circulation, et de circuits ;
elle est un point remarquable sur des circuits qui la créent ou qu’elle crée». La città è creata
– strutturalmente – dai movimenti che la percorrono: sono la strada e i flussi materiali che
indirizza che fanno nascere le città, come lo stesso Farinelli [2003, §§ 87-88] mostra essere
accaduto in Emilia-Romagna sulla antica via Emilia romana. Ma i flussi possono essere an-
che di natura immateriale, più specificamente informazionale. Così lo stesso autore, citando
Saskia Sassen e Michel Serres, aggiunge che la città in rapporto alla rete acquista l’essenza di
«corpo misto» poiché composta di «organismi per metà materiali, cioè topograficamente
definiti, e per metà immateriali, composti di flussi, e tali che all’aumento di questi ultimi
corrisponde anche il concreto sviluppo dell’organismo stesso» [Farinelli, 2009, p. 177]. La
natura dello spazio urbano sembra dunque racchiudere la propria essenza in una costitutiva
duplicità. Si tratterà allora in questo lavoro, a partire proprio dal problema semiotico del sen-
so dello spazio cittadino, di elaborare dei concetti che possano facilitarne il pensiero,
l’organizzazione, la vivibilità, per poterli applicare anche a situazioni particolari diverse, con
l’obiettivo di giungere a una metodologia dalla generalità tale che possa essere applicata a
ogni tipo di spazio.
0.2. Come si genera il senso urbano?
All’interno del nostro attuale modo di pensare è facile fare esperienza di come la morfo-
logia di un luogo in cui ci troviamo sia anche capace di modificare i nostri stati d’animo, le
nostre passioni. Vi è dunque una doppia interazione e dipendenza reciproca fra luoghi ed
esseri umani, dove i primi appunto influenzano i secondi e questi di conseguenza reagisco-
no trasformandoli. La manifestazione fisica di un luogo è, infatti, esattamente ciò che ci fa
sentire bene o male dove ci troviamo, insieme ai rapporti umani che vi intratteniamo e a
quelli da cui siamo distanti. E molto spesso le nostre passioni influenzano considerevol-
mente le nostre azioni. Il presente lavoro nasce appunto da una sensazione di benessere
vissuta e vista vivere in una fra le milioni di città che abitano la sfera terrestre e dalla con-
vinzione che tale sensazione abbia un senso che proviene dalla funzione che ha reso Riccio-
INTRODUZIONE
XI
ne quella che è stata ed è oggi. Possiamo però aggiungere con Walter Benjamin [1963, p.
74] che «per conoscere la mestizia di queste città così famose per il loro splendore è neces-
sario avervi trascorso l’infanzia». Ancora l’ambiguità a definire una città, cosa che ci avvicina
a pensare che forse questa sia caratteristica del suo essere generale e forse anche dei luoghi
stessi e che contribuisce a donarle la sua «aura di desiderio e inattingibilità, segreto di ogni
star: offrire e tenere a distanza» [Pezzini, 2006, p. 47]. Come nativi andremo appunto a ri-
cercare sia l’attrattività che la repulsività che si nascondono all’origine del senso di un luogo
per verificare se le ragioni peculiari possano estendersi anche a livello generale.
La generazione del senso, l’abbiamo detto, non può nascere esclusivamente dalle forme
frutto delle trasformazioni operate sul territorio. Questo si deve al fatto che, anche se una
parte del territorio fosse devastata esteticamente dall’intervento umano attraverso, per e-
sempio, la costruzione di un cosiddetto “ecomostro”, tale dànno non sarebbe direttamente
attribuibile al senso complessivo dell’area. Esso emerge infatti dalla morfologia ma anche e
soprattutto dagli usi, cioè le pratiche che vi si svolgono. L’“ecomostro” in questione potreb-
be infatti persino diventare un centro d’attrazione notevole, com’è avvenuto con il progetto
Hotel Ballymun dell’artista irlandese Seamus Nolan, che ha arredato un piano di un hotel ab-
bandonato di Dublino con oggetti trovati nel rudere, creando così un’opera d’arte dal de-
grado
2
. Questo esempio ci serve per mostrare come il valore, cioè il senso di un luogo, e-
merga a partire da un intreccio complesso di fattori, che vanno analizzati proprio perché
spesso anti-intuitivi.
0.3. Come si gestisce il senso urbano?
Con una bella immagine, Francesco Indovina [2006, p. 51] ci fornisce un altro appoggio
per la nostra riflessione: la città come «nicchia ecologica» della specie umana. Intenderla in
questa maniera può contribuire a presentarcela come un ambiente nella complessità del
quale l’uomo trova condizioni di vitalità. Grazie a questa osservazione si riconosce
l’esistenza di quel bisogno di città, che in questa Introduzione abbiamo già indicato in apertu-
ra. Bisogno che inevitabilmente nasce dall’ordine con cui la cultura la informa e che, sim-
metricamente, la natura le restituisce. Insomma lo spazio urbano è portatore di un ordine
culturalizzato desiderabile che, consequenzialmente all’essere desiderato, modifica in fieri la
sua struttura. Tuttavia la città produce ed è inevitabilmente portatrice di un certo grado di
2
http://www.hotelballymun.com
INTRODUZIONE
XII
entropia, desiderabile o meno che la si consideri. Infatti, essendo il luogo deputato, per ora
in misura maggiore delle reti virtuali, alla socialità, essa è il luogo in cui si incontra e ci si
scontra con l’alterità e quindi soggetto per necessità agli eventi naturali. Di conseguenza essa
deve essere organizzata per arginare ma consentire al tempo stesso l’insorgere dell’entropia,
così da indurre fiducia e sicurezza, facilitando di conseguenza anche la socialità e l’incontro.
Una città senza piazze o panchine o parchi, che non fornisce comfort è certamente più o-
stile allo stabilirsi di rapporti personali, non invogliando gli abitanti a uscire dalle proprie
abitazioni trasformando l’ambiente in cui vivono attraverso l’adesione o la critica all’ordine
sociale; per questo Patrizia Calefato [2006, p. 64] può dire che «la strada è convivenza e tra-
duzione». Occorre allora fondare una riflessione in cui si trovino gli elementi utili a dar ini-
zio a un circolo virtuoso in cui la vita cittadina si traduce in maggiore sicurezza, che a sua
volta si traduce in maggiore fiducia, che al contempo consente la convivenza con l’alterità e
così via in un processo ricorsivo, cioè verticale oltre che orizzontale. È questa la ragione
per la quale la semiotica intende occuparsene: una finalità in parte etica, in parte scientifica,
volta al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità urbane. L’obiettivo è creare
gli strumenti utili alla corretta disambiguazione della duplicità di cui il corpo urbano è por-
tatore, obiettivo per il raggiungimento del quale bisognerà che ci si doti anche di un valore
di scambio che renda possibile l’intertraducibilità necessaria al dialogo fra problemi indivi-
duati e soluzioni proposte dalle diverse discipline e competenze. Questa vocazione della
semiotica a scienza utile alla traduzione dei diversi problemi e soluzioni in un linguaggio
unico e comune [Cosenza, 2007] non è la ricerca di una inutile supremazia ma è una candi-
datura dettata dall’urgenza di tale questione.
0.3.1. La gestione del senso urbano come valore
Jean-Marc Besse, analizzando filosoficamente la relazione del Petrarca con lo spazio,
fondata su un desiderio continuo di viaggiare, sottolinea appunto che «se lo spazio si op-
pone all’unità interiore, è perché nello spazio l’essere non può essere senza differire costan-
temente da se stesso. Lo spazio è il nome della differenza e dell’alterità» [Besse, 2000, p.
20]. Quello che abbiamo definito il momento dell’entropia come incontro/scontro con la
diversità. L’autore inoltre cita i due maggiori esponenti della scuola francese di geografia,
ponendo questioni utili a fondare l’uso del modello testuale per l’analisi del paesaggio urba-
no. Il paesaggio è infatti per Jean Bruhnes (allievo di Paul Vidal de La Blache) scritto
dall’uomo attraverso le impronte che vi lascia. Nel mondo naturale, insomma, fare è dire,
INTRODUZIONE
XIII
parafrasando un famoso titolo di John Langshaw Austin [1962]. Tuttavia il paesaggio va
anche letto – dunque interpretato – in questo modo liberando forme d’organizzazione del-
lo spazio e portando alla luce strutture, forme, flussi, tensioni, direzioni e limiti, centralità e
periferie [Besse, 2000, p. 79]. È quello che poco sopra abbiamo chiamato «ordine». Attra-
verso le diverse letture si potrà così procedere all’ordinamento dell’alterità e di conseguenza
alla formalizzazione di nuovi sistemi per il miglioramento della funzionalità e dell’estetica
territoriale, cosicché una regione diventi «come una medaglia coniata a effigie di un popo-
lo» [Vidal De La Blache, 1903, p. 8]. Sono le forze che seguono direzioni opposte e le ener-
gie che ne scaturiscono a formare il substrato plastico simmetrico al piano di manifestazio-
ne, che unite formano quell’entità semiotica che chiamiamo paesaggio. Sono di nuovo le
due facce di una moneta che tornano a mostrarci la loro rilevanza e che dovremo qui analiz-
zare.
Come spiega Franco Farinelli [2009, pp. 27-29] infatti, la mappa e la moneta funzionano
allo stesso modo. Ciò che le accomuna è il loro «regime simbolico, funzionale al valore di
scambio e non al valore d’uso delle cose». È proprio il passaggio da forma naturale a forma
di valore che fonda la comunanza fra i due concetti. Esattamente in quanto la mappa traduce
una forma naturale in forma di valore e, allo stesso modo e secondo la stessa logica di
scambio, la moneta traduce una forma naturale (poniamo un bene) in una forma di valore.
Dunque «spazio e denaro sono la stessa cosa» [Ibidem] poiché entrambi fungono da unità di
misura o principio di trasformazione per entità originariamente definite dal proprio uso,
come il luogo [cfr. Infra, 2.3.1.]. Il parallelo ci serve per introdurre il concetto di valore, cen-
trale in semiotica, e mostrare quanto sia costitutivo, anche se forse non intuitivamente, del-
lo spazio (termine provvisoriamente inteso nella sua accezione comune, al quale in seguito si
darà un senso tecnico) [Ibidem]. Lo spazio metrico ha esattamente un valore di scambio
quando viene usato a esempio per vendere un appartamento. Nelle transazioni immobiliari
i fattori più importanti nel determinare il valore monetario del bene sono infatti la metratu-
ra e la posizione, cioè la distanza metrica lineare standard dal punto di interesse più vicino. Di
conseguenza non è escluso nemmeno che si possa col tempo dare una definizione esaurien-
te e operativa di un valore di scambio prettamente semiotico, concetto che qui sarà delinea-
to nei tratti fondamentali. Tuttavia, se per avere un valore di scambio occorre partire da un
valore d’uso in parte cristallizzato, allora la città va ripensata anche come rapporti fra abi-
tanti e non solo come relazioni fra edifici. Va cioè effettuata preliminarmente un’analisi del
suo valore d’uso.
INTRODUZIONE
XIV
0.3.2. La gestione del senso urbano come dialogo fra discipline
Il progetto di una geografia fenomenologica proposto da Besse, e che prende le mosse
soprattutto da Éric Dardel, ma anche da Maurice Merleau-Ponty e Gaston Bachelard e la
sua Poetica dello spazio [1957], propone, come cercheremo di fare noi in prima istanza, di ba-
sarsi sulla materialità dello spazio intesa come fisionomia (e non mera fattualità) «perché, in
una consistenza propria, manifesta direzioni di senso, insomma perché eccede la sua pura
fattualità e si presenta come irriducibilmente carica di qualità» [Besse, 2000, p. 111]. Il luogo
è, finalmente, il milieu del senso. «Non c’è luogo se non organizzato, interpretato, attraver-
sato da un senso o da un progetto che gli impedisce appunto di chiudersi su se stesso» [Ibid.
p. 117]. Successivamente, occorrerà mostrare come il senso si articoli in uno spazio partico-
lare del quale rappresenta il valore di scambio che fluttua tra i confini posti dall’analisi. Nel
campo semiotico, possiamo concludere con Hammad [2001, p. 10], l’obiettivo finale diven-
ta il raggiungimento, attraverso la percezione del luogo, del «livello di senso fornito allo
spazio e alle cose da comunità organizzate che iscrivono, tanto nella materia quanto nello
spazio immateriale, le loro strutture sociali da un lato e i valori astratti, gerarchizzati, oppo-
sti e articolati, che dànno forma a un universo mentale, dall’altro». La posta scientifica è
pertanto la ricerca di un senso iscritto nell’architettura e nello spazio attraverso il quale rag-
giungere i recessi delle strutture profonde delle società e dell’intelligenza umana, al fine di
reperire meccanismi definibili con un ossimoro “relativamente universali”.
Si pone però anche la questione di come superare le rigidità originarie dell’urbanistica
classica, che perde di vista dall’inizio, già prima della sua fondazione come disciplina indi-
pendente, la duplicità del nostro oggetto d’analisi. Non ci sembra infatti che per ottenere
una buona città, vivibile e sicura, occorra trovare l’equilibrio fra il numero di alloggi e i po-
sti di lavoro, come sostiene la critica operata da Jane Jacobs [1961], più avanti riportata.
L’errore è alla base e deriva dal perdere di vista l’ambiguità costitutiva dell’ambiente urba-
no, propendendo per una sola delle sue due componenti, nel merito quella “materiale”
3
. Si
direbbe che la problematica urbanistica sia posta male; infatti, il suo scopo è chiaramente
quello di rendere le città vivibili ma è il mezzo scelto che non convince. Esso è generalmen-
te chiamato «pianificazione», termine assolutamente calzante quando si parla di strategie di
promozione, come nel marketing, ma più impegnativo se applicato alla materialità di un
3
Cfr. per esempio il Piano strutturale comunale di Riccione. Disponibile all’indirizzo:
http://www.comune.riccione.rn.it/Engine/RAServePG.php/P/41841RIC0600/M/25051RIC0202.
INTRODUZIONE
XV
territorio. La pianificazione implica infatti quasi sempre progetti ad ampio spettro la cui
validità non può che essere indagata ex post e che spesso possono causare danni difficil-
mente sanabili nel breve periodo. Più corretto sarebbe forse allora l’utilizzo di una pianifica-
zione strategico-paesaggistica con funzioni tattiche che agisca nel suo farsi, attraverso la ricerca co-
stante e istituzionalizzata di feedback della comunità locale e degli ospiti. Questo per evitare
che gli abitanti debbano impegnarsi in lotte contro i propri amministratori, che producono
solo scontento e divisione. Negli intenti dei recenti piani volti allo “sviluppo sostenibile
urbano”, va detto, si trovano accorgimenti in questa direzione, ma è auspicabile che tali
precauzioni siano prese anche in sede di Piano regolatore generale. Inoltre, data la vastità
dei progetti urbanistici e la prassi tradizionale, sembra difficile che un impegno in tal senso
possa diventare concreto senza riformare direttamente la loro regolamentazione.
Naturalmente l’urbanistica dialoga con la sociologia, l’economia, la statistica, ma qui si
propone un dialogo, attraverso la semiotica, con una disciplina che osserva direttamente i
comportamenti dei soggetti: l’etnografia, con la quale la semiotica ha un dialogo fruttuoso
grazie al quale si è potuta sviluppare l’etnosemiotica di Francesco Marsciani [2007]. La se-
miotica ambisce, in ambito scientifico, a essere per l’urbanistica quello che è la matematica
per la fisica: un insieme di tecniche di prova [Wittgenstein, 1978, p. 111]. Al di là delle de-
nominazioni accademiche, la questione urgente è tornare a dare la giusta importanza alle
pratiche sociali, anche attraverso un’indagine sociosemiotica dei testi prodotti sul tema, af-
finché la gestione delle aree cittadine sia indirizzata primariamente a chi ne fa uso. Anche
per questo è necessario un “cambio di paradigma” [Kuhn, 1962], che sarà illustrato più a-
vanti in questa trattazione e che a nostro parere dovrebbe consentire di pervenire a una
sintesi tra città come complesso degli edifici e delle funzioni e come insieme degli abitanti e
degli ospiti. Infatti, a leggere documenti ufficiali come la Valutazione di sostenibilità ambientale
e territoriale (VALSAT) e il Piano strutturale comunale (PSC), entrambi approvati dal Comune di
Riccione nel 2007, si è comprensibilmente d’accordo con le finalità dei progetti proposti
[cfr. nota 3]. Tuttavia, a un’attenta analisi si nota come non vengano presi in considerazione
gli usi ma si persegua un utilizzo equilibrato delle risorse, insieme all’interno del quale non
sono inserite le informazioni sugli usi delle diverse aree. Un passo verso la svolta qui auspi-
cata potrebbe consistere precisamente in un cambiamento nella percezione, da parte dei
responsabili amministrativi e dei loro incaricati alla gestione delle dinamiche cittadine, dei
desideri di ospiti e residenti, che andrebbero tenuti in conto come vere “risorse”, appunto.
Anche per quanto riguarda i fattori “antropici” si indaga meno come essi si relazionino al
territorio piuttosto che quali e perché. Vi è infatti una coscienza estremamente precisa di
INTRODUZIONE
XVI
quali siano gli indicatori in gioco e le cause che li generano ma si dà per scontata la loro ma-
niera di agire, preferendo parlare di “densità della popolazione”, “carico antropico”,
“valorizzazione del patrimonio culturale”, “capacità insediativa” senza approfondire tali
concetti con analisi particolari che tengano conto delle pratiche che favoriscono l’emergere
dei problemi. Anche per colmare questo vuoto nasce l’analisi qui proposta: per fornire
all’urbanistica e all’architettura modelli operativi per pensare diversamente la città. Non in-
teressa qui dire quando una città può essere definita tale rispetto a denominazioni quali pa-
ese, villaggio, metropoli, ma costruire invece una tipologia di concetti che, attraverso il me-
todo semiotico, sia euristica e valida per tutti i diversi tipi di discorso che lavorano sullo
spazio in senso lato.
0.3.3. La creazione di uno spazio di lavoro semiotico
Come scrive Ernst Cassirer [1923b, p. 210], lungo tutta la riflessione che riguarda lo
spazio è rintracciabile un filo rosso, che consiste nel considerare lo spazio come segno
4
.
Questo poiché allo spazio della percezione non possono essere attribuiti predicati come
uniformità, continuità o infinità (le fondamentali dello spazio euclideo), intesi in senso ma-
tematico. Tali caratteri sono necessari per ricondurre a misura metrica lineare standard quel
complesso sinestesico che incontriamo ogni volta che ci troviamo in un qualsiasi luogo. Le
categorie postulate dallo spazio geometrico sono infatti quelle che l’uomo tradizionalmente
usa per semplificare il mondo, scenderci a patti e muoversi al suo interno, ma sono facil-
mente oltrepassabili dalla capacità di manipolazione simbolica di cui la nostra cultura ci do-
ta. Nota infatti Bachelard [1957, pp. 191-207] che esiste la possibilità di una inversione delle
intuizioni geometriche grazie anche al solo contributo dell’immaginazione. Lo spazio come
segno di Cassirer, uno spazio mitico che coincide con lo spazio della cultura ed è quindi di
natura semiotica, occupa una posizione intermedia fra lo spazio della percezione sensibile e
quello della conoscenza pura o intuizione geometrica. Esso si organizza, secondo l’autore,
attraverso le categorie di sacro vs profano e di ordinario vs eccezionale, ma vedremo come
possano aggiungersi a esso anche altre categorie. Le soglie che traccia sono quelle del volere
umano e dei suoi sentimenti, poiché nello spazio si riproduce ciò che spaziale non è [Cassi-
4
Quel che il filosofo tedesco intende per segno è l’equivalente della sua definizione semiotica: «something
which stands to somebody or something in some respect or capacity», [Peirce, 1931-58, 2.228]. Non è dunque
importante distinguere qui tra segno e testo.
INTRODUZIONE
XVII
rer, 1923a p. 124]. È questo lo stesso principio usato nel totemismo, in cui ogni evento vie-
ne classificato realmente in funzione della propria classe totemica, cioè attraverso
l’applicazione di modelli di pensiero non metrici allo spazio. Non a caso «ogni rivalità tra
città si esprime, al livello più alto, nella lotta per l’affermazione e la diffusione delle imma-
gini che esse producono» [Farinelli, 2003, p. 153] e certo non sull’ampiezza del territorio
comunale, sul numero assoluto di abitanti o sulla densità di popolazione.
Lo spazio metrico è allora solo uno dei possibili modelli semiotici (anche se non elabo-
rato dalla disciplina semiotica), al quale tenteremo di affiancare, mostrandone la pregnanza
e l’urgenza, un modello puramente semiotico-mitico. Nel pensiero cinese lo spazio, inscin-
dibile dal tempo, è, a esempio, un luogo di mediazione in cui tutte le differenze sono reci-
procamente complementari all’interno di un grande tutto. Lo spazio semiotico-mitico è
così solo in parte. È spazio strutturale, la cui totalità è costituita da un rapporto puramente
statico di immanenza. Nella forma di spazio semiotico-mitica l’interno si riflette
nell’esterno, così come il soggetto nell’oggetto, i due poli opposti sono posti in un rapporto
di reciproca dipendenza. È proprio questa funzione di conciliare gli opposti la prerogativa
principale del mito, mantenendo però le differenze costitutive dei suoi elementi. Attraverso
quello spazio, che per semplicità chiameremo d’ora in poi esclusivamente semiotico, si po-
trà aggiungere un altro livello intermedio, non contemplato dalla misura metrica, che ci
permetta di ridurre lo spazio della percezione secondo un differente punto di vista. Esso,
insieme al concetto di luogo, è un modello poco agevole ma che assumerà una posizione
primaria nel nostro studio, rappresentando la totalità organica che l’analisi deve ridurre per
pensarla in maniera maneggevole. Nello spazio semiotico quindi, le differenze tra i singoli
luoghi si annullano trasformandosi in valori organizzati differenzialmente. La riduzione a
valore ci sembra allora un procedimento desiderabile e informativo, da affiancare alla classi-
ca riduzione a misura «metrica lineare standard».
La descrizione, attraverso tutte le fonti sensoriali possibili, del luogo che si studia deve
per conseguenza costituire l’origine di ogni riflessione che riguardi la città, al fine di produr-
re una serie ampia di sensi, cioè di accessi al significato, che è invece unico [cfr. Infra, 2.3.].
Per questo le fonti etnografiche rappresentano una ricchezza insostituibile: poiché permet-
tono di ottenere dati utilizzabili scientificamente a partire da una molteplicità di ethos diffi-
cilmente registrabili con altri metodi. La semiotica interviene allora proprio a tradurre i dati
in categorie semantiche e successivamente in articolazioni spaziali attraverso una metodo-
logia duplice, perciò isomorfa all’oggetto d’analisi, che si concentra su usi e morfologia. I
due ambiti indagheranno rispettivamente il lato sociale e materiale della città. Ancora con le
INTRODUZIONE
XVIII
parole di Benjamin [1963, p. 66]: «Fotografie e pianta della città – la conoscenza più precisa
della parte e dell’intero». L’approccio dunque non potrà che essere olistico. Infatti, la cono-
scenza del parziale non può che essere una spinta al ritorno al globale, come a dire che la
conoscenza di una parte della città dovrà ritrovarsi nel tutto urbano, per evitare che la urbe
sia una inintelligibile somma di componenti, ma dove una componente conosciuta dice allo
stesso tempo meno della mappa ma anche molto di più, sulla globalità di cui è parte. Cono-
scere grazie al metodo semiotico una zona della città non sarà utile a dirci la strada più bre-
ve per andare in un posto, ma la strada più bella o quella dove trovare le esperienze più si-
gnificative.
0.3.4. Sviluppi possibili
Se la città è, come sostiene Edward William Soja [2000], scaturigine dell’abbandono del
nomadismo come necessità di insediamento, questo la rende, coerentemente con la visione
di Deleuze e Guattari [1980, pp. 592-625], uno «spazio striato» (ordinato), opposto appunto
allo «spazio liscio» (entropico) del nomadismo. In altri termini rispetto a quanto abbiamo
già detto, si tratta allora di permettere, simmetricamente, la “lisciatura” dello spazio delle
nostre città, “striate” poiché regolate spesso da leggi ufficiali e consuetudinarie che inibi-
scono aspetti della fruizione del reticolo urbano. La viabilità automobilistica per esempio
difficilmente autorizza pratiche di nomadismo cittadino (inteso in senso virtuoso), precisa-
mente perché ogni strada è ricca di ingiunzioni, regole e pericoli che prescrivono determi-
nati comportamenti e ne sanzionano altri. Un nomadismo cittadino, inteso come libertà
(partecipazione) massima di movimento e di incontro, avrebbe forse il vantaggio di bilan-
ciare le pratiche umane affinché diventino nuove forme di striatura più rispettose. Tali pra-
tiche valorizzerebbero per differenza la stanzialità, concetto che oggi sembra logoro a causa
forse di un equivoco semantico. La nostra civiltà infatti, lo vedremo meglio in seguito, na-
sce tradizionalmente dalla ricerca della permanenza in un luogo, divenuta fissità una volta
raggiunti standard di benessere accettabili. Oggi viviamo quindi in un periodo storico e so-
ciale in cui il movimento è solo una concessione temporanea, sebbene sembri pervadere la
totalità delle pratiche umane. Infatti, nonostante la società ci appaia estremamente dinami-
ca, questa caratteristica sembra molto simile a quella della Regina rossa del romanzo di
Charles Lutwidge Dodgson (meglio noto con lo pseudonimo di Lewis Carroll) Attraverso lo
specchio, la quale è costretta a correre per poter rimanere nello stesso posto, mentre per po-
ter andare in qualche luogo deve correre almeno il doppio. In sostanza sembra che gli spo-
INTRODUZIONE
XIX
stamenti in generale siano caratterizzati da una notevole insensatezza, proprio perché non
intesi come nomadismo e influenzati eccessivamente dalla relazione metrica con i luoghi.
Diventa allora desiderabile che i movimenti possibili in città siano debitamente liberi, sicuri
e partecipativi, come solo una passeggiata “serendipica” può essere. Il movimento deve
tornare dunque a essere dialettico – e non funzionale – alla fissità che la nostra società ha
scelto.
Il nostro oggetto d’analisi è una città turistica, riconosciuta come meta di divertimento e
che ha conosciuto un forte sviluppo sia economico che sociale e culturale, fino ad ambire a
diventare un brand. Il fatto che Riccione sia un modello di sviluppo estremamente riuscito,
la rende interessante come oggetto d’analisi della semiotica urbana in relazione al marke-
ting, un campo che ha molto interessato i semiotici italiani e francesi negli ultimi anni. Tra
gli obiettivi che questo lavoro si pone vi è dunque anche quello di un avanzamento della
disciplina stessa. Allo stesso modo, l’utilità degli strumenti semiotici nel descrivere e nel
consentire la gestione del senso, che si tratta qui di dimostrare, rende auspicabile un’analisi
della città volta a stimolarne le potenzialità. Auspichiamo così che la semiotica, come disci-
plina in grado di tradurre elementi provenienti da campi d’indagine differenziati, possa aiu-
tarci a individuare ciò che ha reso Riccione quella che conosciamo e di conseguenza contri-
buire a sviluppare interventi che ne indirizzino lo sviluppo nelle stesse direzioni che l’hanno
resa tale. Questo lavoro procederà infatti attraverso lo studio dei fattori storici, culturali,
turistici, economici e sociali al fine di descrivere i punti e le linee di continuità che le hanno
permesso di svilupparsi in forme dotate di senso.
Il Primo capitolo prenderà le mosse a partire dal marketing territoriale e dalla sociologia,
che ci indicheranno quegli elementi che tradizionalmente vengono valorizzati nei discorsi
relativi alla promozione del territorio.
Il Secondo capitolo servirà a tradurre nel linguaggio semiotico le differenti problemati-
che disciplinari e a fondare un metodo che verrà utilizzato poi in sede di analisi.
Il Terzo e il Quarto capitolo svilupperanno l’analisi, rispettivamente, del sistema valoria-
le profondo di Riccione e delle pratiche che distillano la struttura valoriale stessa.
Le Conclusioni tratteranno degli aspetti politici implicati da tutto il discorso svolto nelle
pagine di questo lavoro.
1. Le strategie di valorizzazione del territorio
Per instaurare un dialogo che sia fruttuoso tra due discipline, non è sufficiente la mediazio-
ne del senso comune ma è necessaria una mutua conoscenza delle aree di interesse e degli
strumenti metodologici. Per quanto ci riguarda, in sintonia con la formulazione che Um-
berto Eco [1983b, p. 168] dà dell’ipotesi (la cui traduzione, dell’inglese “abduction”, è “rat-
to”, “rapimento”) intendiamo “rubare” problematiche alle diverse discipline per costruire
un discorso sensato sul senso urbano, ragionando per analogie rispetto al dominio econo-
mico, sociologico, urbanistico. È per queste ragioni che qui ci approssimiamo al marketing
territoriale: per comprendere su quali leve, a livello pratico e teorico, eserciti la propria
pressione chi si occupa quotidianamente della promozione dei luoghi; comprese dette leve
occorrerà farle nostre, per poi renderle traducibili a beneficio di tutte le discipline impegna-
te negli studi urbani. Disciplina figlia dell’economia, il marketing territoriale riserva, eredita-
riamente, una speciale attenzione al concetto di utilità, che è naturalmente la forma princi-
pale assunta dal valore d’uso e il cui valore di scambio è rappresentato generalmente dalla
valuta. Quest’ultima è quello strumento che consente la traducibilità (intesa come possibili-
tà di scambio) di elementi tra loro eterogenei, oltre alla normale possibilità di scambio tra
oggetti simili. Il sistema valutario è, insomma, per i beni materiali, la stessa cosa che il codi-
ce binario è per l’informazione. Per questi motivi l’utilità risulta per noi prossima al concet-
to di senso in semiotica, come si è già potuto intuire nell’Introduzione. È dunque, ancora per
lo stesso motivo, giunto forse il momento che la disciplina che studia il senso si doti anche
di una sua forma di valore di scambio, nozione fondamentale per incrementare la forza del-
la sua proposta scientifica. Quello che si tratta di precisare ora però – e prima di arrivare
alla codificazione appena enunciata –, è come si genera e gestisce l’utilità, cioè quel fine che
orienta le pratiche economiche tese all’ottimizzazione e all’adattamento di un determinato am-
biente ai bisogni dell’uomo [Peroni, 2008]. Essa infatti costituisce, nelle discipline economi-
che, un dominio ben circoscritto e un obiettivo perseguito quasi universalmente e perciò
ragionevole nei suoi tratti generali. Al contrario, il senso resta oggi nell’ombra pur essendo
una conditio sine qua non della comunicazione, e non è attualmente un obiettivo universal-
mente riconosciuto come pertinente; come tale non è noto né desiderato dai più. Esso è
invece il fine, perlopiù inconscio, delle pratiche enunciative dei soggetti, che scambiando
enunciati lo producono e lo consumano, nello stesso modo in cui, nella teoria classica
dell’economia, i soggetti effettuando transazioni producono indirettamente utilità diffusa
[Smith, 1776]. Non da ultimo infatti il senso tende per natura all’ottimizzazione e
GENESI E GESTIONE DEL SENSO URBANO
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all’adattamento tra i bisogni degli individui [Ibidem]. In entrambi i casi si può rintracciare un
bisogno di appropriazione, un tentativo di apprensione. Come avviene che per voler com-
prendere un discorso occorre che se ne carpisca il senso, per progettare la modificazione di
un ambiente occorre che se ne tragga utilità. Tuttavia, una differenza esiste e risiede nello
statuto sociale dell’utilità, assurta a principio motore della cultura “occidentale”, mentre le
civiltà “primitive” hanno in genere come proprio motore proprio il senso, come ha magi-
stralmente mostrato Claude Lévi-Strauss [1962]. Mostrata una prima analogia possiamo
passare alla disamina delle altre problematiche che occupano il marketing, proseguendo
nella direzione dialogica interdisciplinare che abbiamo intrapreso.
1.1. Le leve del marketing e i punti in comune con la semiotica
Il marketing si occupa principalmente del posizionamento di beni e servizi all’interno del
mercato [Peroni, 2008], il che lo avvicina sotto un certo aspetto all’epistemologia struttura-
le. Vediamo come. La disciplina nasce a partire da condizioni di saturazione del mercato,
cioè quando i competitor presenti e i loro prodotti o servizi sono quantitativamente mag-
giori rispetto a ciò che la domanda abbisogna. Un esempio classico è quello della bassa sta-
gione nelle località turistiche: si ha uno squilibrio di potere dalla parte della domanda e in
tali condizioni aumenta la competizione dal lato dell’offerta la quale, migliorando i servizi,
facendo sconti, ecc. tenta di acquistare una maggiore fetta di clientela rispetto ai propri
concorrenti. Naturalmente in alta stagione la situazione si capovolge. Lo scenario da cui
origina il marketing è caratterizzato quindi da: saturazione del mercato e aumentata capacità
di scelta da parte dei consumatori. Negli anni è però aumentato progressivamente anche il
giro d’affari turistico, cosa che ha obbligato a un affinamento delle tecniche e delle risorse
dedicate alla valorizzazione dei luoghi di villeggiatura. In un tale scenario il settore della di-
stribuzione ha acquisito maggiore importanza in quanto creatore di utilità «nel tempo, nello
spazio e nell’acquistabilità» [Ibid. p. 32], vale a dire come intermediario privilegiato fra pro-
duzione e consumo, grazie al quale oltre alla consueta funzione di approvvigionamento del
lato della domanda, esso svolge anche la funzione di informatore privilegiato dell’offerta. Si è
venuta a creare quindi nel mercato una situazione di distribuzione bidirezionale: come la di-
stribuzione approvvigiona di beni il polo del consumo, questo conferisce alla distribuzione
l’informazione su se stesso, che si tratterà di veicolare nuovamente alla produzione, in
un’ottica di adattamento, soddisfazione dei bisogni e conseguimento della maggiore utilità
possibile. I concetti basilari di tale scenario sono: conoscenza, strategia e pressione [Peroni,
LE STRATEGIE DI VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO
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2008]. Il primo utile a conoscere ciò che il mercato desidera, il secondo a orientare le scelte
di posizionamento sul lungo periodo, il terzo utile a orientare le scelte dei consumatori. Il
tutto è sintetizzabile, rielaborando il pensiero di Philip Kotler [1999], come soddisfazione pro-
fittevole della domanda. In sintesi il marketing ha la funzione di adattare la produzione in ma-
niera tale da massimizzare l’acquisto, per il tramite della distribuzione. Allo stesso modo,
anche in una struttura semantica vi sono posizioni che producono più senso di altre perché
inserite in reti relazionali migliori di altre. Uno studio semiotico, posizionato nel mezzo tra
la produzione e la fruizione del senso (allo stesso modo del settore della distribuzione) sul
territorio, può allora garantire a quest’ultimo un maggiore “profitto” in termini di valore
simbolico, il senso, appunto.
1.1.1. Posizionamento nel mercato e posizionamento strutturale
Il marketing mix «è costituito dal complesso di fattori controllabili dall’offerta che influen-
zano la vendita o la vendibilità dei prodotti» [Peroni, 2008, p. 55], e si concretizza nella ge-
stione operativa di 4 variabili sintetizzate da Jerome McCarthy [1960], le celeberrime 4P:
Product, Price, Place, Promotion. A queste si sono aggiunte, tramite diverse voci del mar-
keting, altre 2 P oppure, cambiando ottica verso il consumatore, 4C. Aldilà degli elenchi, è
importante aggiungere che esistono anche fattori esterni, positivi o negativi a seconda dei ca-
si, e che consistono in vincoli o caratteri che un’azienda subisce o sfrutta. Per farvi fronte
nasce il marketing strategico, che opera sul lungo periodo, il quale va integrato a quello o-
perativo e tattico del marketing mix. Le imprese marketing-oriented sono allora quelle che,
strategicamente, indagano i bisogni del consumatore e li soddisfano, minimizzando gli sfor-
zi di vendita. Il marketing strategico punta infatti sui bisogni già indirizzati dei consumatori.
Tuttavia, i consumatori restano influenzabili anche dalle spinte comunicative e manipolato-
rie della promozione, stile più propriamente product-oriented o comunque causato da un
eccessivo marketing operativo.
Come armonizzazione dei due Kotler [2007] ha proposto il marketing network, che punta
sulla fidelizzazione dell’utenza attraverso lo stabilirsi di relazioni durevoli e stabili e di un
rapporto bidirezionale reciprocamente vantaggioso. Ma tale mantenimento di rapporti ar-
monici deve riguardare tutto ciò che ruota attorno all’impresa, compresi quindi impiegati,
distributori, partner, fornitori, ambiente. Un’azienda, o un territorio nel nostro caso, deve
quindi saper creare o inserirsi in un buon sistema di relazioni, per questo deve diventare
market-oriented, perché è tutto il mercato a interessare l’azione d’impresa, mercato inteso