2
Infatti, se ci fossimo fermati all’aspetto cronologico e narrativo
della crisi jugoslava, ci saremmo inevitabilmente trovati di fronte alla
miriade di singoli fatti (stragi piccole e grandi, villaggi e città persi o
conquistati dai diversi contendenti ed eventi simili che avrebbero
limitato e sviato il nostro studio) che ormai conosciamo fin troppo bene,
mentre il nostro obiettivo era partire dalla base cronologica, per
comprendere la natura e l’evoluzione dell’intervento occidentale in quel
contesto.
Per meglio rispondere a queste esigenze abbiamo pensato di
strutturare la tesi in quattro capitoli.
Nel primo capitolo abbiamo tentato di delineare una breve storia
dello Stato jugoslavo, dalla fondazione sotto lo scettro dei
Karadjordjevic, nel 1918, fino ad arrivare al 1990, ultimo anno senza
guerra. Nel tracciare queste brevi linee della storia jugoslava, ci è
sembrato interessante soffermarci attentamente su due aspetti: i rapporti,
tesi sin dall’inizio, tra le varie nazionalità viventi all’interno del Regno, e
le relazioni internazionali di quest’ultimo, dedicando anche particolare
attenzione al periodo compreso tra lo scoppio della Seconda guerra
mondiale e la morte del maresciallo Tito, avvenuta nel 1980.
3
Nella prima parte del capitolo, dedicata alla formazione del Regno
SHS – questo era il nome che era stato dato al neocostituito Regno di
Serbi, croati e sloveni – e agli anni intercorsi tra questo evento e lo
scoppio della Seconda guerra mondiale, ci siamo avvalsi di testi inerenti
alla storia della Jugoslavia, reperiti principalmente nella biblioteca di
Storia moderna e contemporanea di Roma, ed in quella del Dipartimento
di studi storici dal medioevo all’età contemporanea dell’Università “La
Sapienza” di Roma.
Tra questi si sono rivelati particolarmente utili i due volumi di
Joze Pirjevec – Serbi, croati e sloveni: storia di tre nazioni e Il giorno di
S.Vito-Jugoslavia 1918-1992: storia di una tragedia – e quello di
Stephen Clissold, Storia della Jugoslavia: gli Slavi del sud dalle origini
a oggi.
Per quanto riguarda lo studio delle cause che hanno portato alla
proclamazione del Regno jugoslavo, abbiamo invece consultato in
particolare: La monarchia asburgica di Arthur J. May, e Una storia
infausta: l’Europa centrale e orientale dal 1917 al 1990, dello storico
francese Jean Marie Le Breton.
La seconda parte del capitolo – dedicata alla storia della
Jugoslavia comunista – ha richiesto la consultazione di volumi, gran
4
parte dei quali incentrati sulla figura del maresciallo Tito, e alla politica,
interna ed estera, da questi promossa. Ricordiamo tra questi: Tito-
biografia, di Auty Phillis; Tito-genio e fallimento di un dittatore, di
Jasper Ridley, Storia della Jugoslavia: dal 1945 ai giorni nostri di Josip
Krulic e Conversazioni con Stalin di Milovan Gilas.
Altri testi che abbiamo ritenuto utile consultare per lo studio di
tale periodo sono stati – oltre alle due opere di Pirjevec che abbiamo già
citato – il volume di Antonello Biagini e Francesco Guida – Mezzo
secolo di socialismo reale-l’Europa centro-orientale dal secondo
conflitto mondiale alla caduta dei regimi comunisti – quello di Josip
Krulic – Storia della Jugoslavia: dal 1945 ai giorni nostri – e gli studi di
Stefano Bianchini dedicati alla teoria kardeljana dell’autogestione a al
rapporto tra la federazione jugoslava e l’Unione Sovietica:
L’autogestione jugoslava; Tito, Stalin e i contadini e Per una critica del
socialismo reale.
La stesura dell’ultima parte del capitolo, inerente il decennio
compreso tra la scomparsa di Tito e lo scoppio della guerra, ha richiesto
la consultazione di testi più recenti, reperibili quasi esclusivamente nelle
librerie. Sono stati utili a tal fine L’enigma jugoslavo: le ragioni della
crisi, di Stefano Bianchini, nonché i volumi citati di Pirjevec – in
5
particolare Il giorno di S.Vito – e L’esplosione delle nazioni, il caso
jugoslavo, della giornalista Nicole Janigro, di cui è stata recentemente
messa in commercio un edizione ampliata e aggiornata, rispetto alla
prima, apparsa nel 1993.
Il secondo capitolo, dedicato al problema del riconoscimento
dell’indipendenza di Slovenia e Croazia da parte dei governi occidentali,
ha richiesto un’attenta e continua consultazione di riviste e quotidiani del
periodo preso in oggetto.
Per la contemporaneità degli eventi trattati questo aspetto della
questione jugoslava non è ancora stato fatto oggetto di studi organici e
approfonditi nei testi da noi consultati. Quindi, per conoscere e capire le
posizioni dei governi occidentali su tale questione, abbiamo fatto
riferimento più alla stampa – in particolare Corriere della Sera e
Repubblica – che alla produzione bibliografica.
Questo capitolo tratta due importanti questioni inerenti al
riconoscimento delle due repubbliche secessioniste: la prima parte
comprende la ricostruzione e l’analisi dell’ultimo anno che ha preceduto
6
la crisi, il 1990, dalle elezioni libere nelle varie repubbliche
1
alla
dichiarazione d’indipendenza di Slovenia e Croazia, nel giugno 1991. La
seconda parte prende in esame la reazione europea a tale dichiarazione, e
le posizioni dei singoli governi, facendo emergere quelle divisioni
politiche che avrebbero poi pregiudicato il successo dell’intervento
dell’Europa nella crisi jugoslava.
Tra i diversi volumi di cui ci siamo principalmente avvalsi per la
compilazione di questo secondo capitolo, sono il già citato libro di
Pirjevec – Serbi, croati e sloveni -, quello curato da Dino Frescobaldi
sulla fine dell’esperienza jugoslava – Jugoslavia perchè-il suicidio di
uno Stato – ed il volume del giornalista Marco Guidi – La sconfitta dei
media: ruolo, responsabilità ed effetti dei media nella guerra in ex-
Jugoslavia – che ha proposto un interessante studio sul ruolo svolto dai
media nei primi due anni della crisi jugoslava.
2
1
In Jugoslavia non si tenevano elezioni libere dal 1945, poiché la Lega dei comunisti aveva sempre
fatto in modo che fosse garantito il proprio successo.
2
Come vedremo, i mass-media avranno un ruolo determinante nell’orientare le prese di posizione
dell’opinione pubblica e dei governi dei Paesi occidentali riguardo il riconoscimento delle due
repubbliche ormai indipendenti. Un interessante dibattito sul ruolo e le responsabilità dei media nel
conflitto jugoslavo, era stato sollevato da Peter Brock, giornalista americano del Foreign Policy; a tale
dibattito avevano preso parte anche giornalisti svizzeri inglesi e tedeschi. Tutti gli interventi sono stati
proposti in Italia dalla rivista Internazionale, nei numeri 16-19 e 29, del 1994.
7
Interessante e importante si è mostrato l’apporto di un
documentario prodotto dalla televisione inglese BBC, Jugoslavia: morte
di una nazione – trasmesso in Italia da RaiTre e curato dal giornalista
Andrea Purgatori – che si è rivelato un utile strumento di lavoro, ricco di
interviste e filmati originali, che ci ha permesso di comprendere meglio
alcune “zone d’ombra” del conflitto jugoslavo, dandoci inoltre la
possibilità di arricchire la nostra tesi con interessanti spunti critici.
Per l’analisi delle posizioni dei governi occidentali, abbiamo
utilizzato alcuni studi pubblicati su Limes-rivista italiana di geopolitica,
nei numeri 1-2/93 e 3/98.
Il terzo capitolo, esamina l’epoca che va dal maggio del 1991 alla
prima metà del 1992. La prima parte del capitolo analizza le strategie
politiche e diplomatiche attuate dall’Europa per risolvere la crisi
jugoslava: prima con l’avvio di un intensa attività diplomatica, poi, nel
settembre del 1991, con l’apertura di una conferenza di pace all’Aja, che
avrebbe progressivamente perso di senso, poiché non era riuscita a
trovare alcun accordo tra le parti che si combattevano.
Nella seconda parte, invece, si è cercato di comprendere le ragioni
che hanno determinato gli insuccessi diplomatici dei governi europei ed
il fallimento della già citata Conferenza dell’Aja.
8
Ancor più che nel capitolo precedente, si è rivelata indispensabile
la consultazione dei quotidiani, sebbene anche alcuni testi di recente
pubblicazione hanno facilitato il nostro lavoro. Oltre al citato volume di
Josip Krulic, abbiamo utilizzato Jugoslavia: il nuovo medioevo, dei
giornalisti Gigi Riva e Marco Ventura, e quello di Luca Rastello – La
guerra in casa – del quale si sono rivelate particolarmente utili le
appendici ai singoli paragrafi, esaurienti sia per l’esposizione dei fatti
che per l’analisi proposta.
Infine, è stata utile la consultazione del volume curato da Massimo
Panebianco
3
, Dossier ex-Jugoslavia, soprattutto per la ricchezza di
documenti e di interviste – in particolare ad esperti militari e a personale
diplomatico, in grado di analizzare a fondo la complessa situazione che
si era venuta a creare in Jugoslavia – di cui non avremmo potuto
altrimenti usufruire.
Il quarto capitolo, inerente all’intervento delle Nazioni Unite e
della NATO nel conflitto jugoslavo, è stato – tra tutti - quello che ha
richiesto uno studio più approfondito e complesso. Ciò è dovuto
principalmente al fatto che è dedicato all’analisi di un periodo di tempo
3
Redatto insieme alle ricercatrici Consuelo Ascolese ed Alessandra Tafuri
9
più lungo e travagliato – quasi quattro anni, dai primi mesi del 1992 alla
fine del 1995 – di quello preso in esame nei capitoli precedenti.
Tra il materiale consultato vanno senza dubbio ricordati i volumi
di Zlatko Dizdarevic
4
: L’ONU è morta a Sarajevo (insieme a Gigi Riva),
che sottolinea ed analizza con cura gli errori diplomatici e militari delle
Nazioni Unite; Lettere da Sarajevo e Giornale di guerra: cronaca di
Sarajevo assediata, utili sia perché scritti a Sarajevo durante l’assedio,
sia perché ricchi di interessanti analisi della situazione in Bosnia.
Anche i volumi di Paolo Rumiz – Maschere per un massacro-
quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia – e di
Marco Carnovale – La guerra di Bosnia: tragedia annunciata, attori
nazionali e spettatori internazionali del conflitto nella ex-Jugoslavia – si
sono rivelati utili strumenti per la comprensione degli aspetti inerenti alla
nostra tesi. E’ stata particolarmente confacente la sezione dello studio di
Marco Carnovale dedicata proprio all’intervento occidentale in Bosnia,
malgrado questa arrivi solo ai primi mesi del 1994.
4
Redattore del quotidiano indipendente bosniaco Oslobodjenie, continuato a far pubblicare il giornale
a Sarajevo anche durante l’assedio della città, collaborando inoltre con diversi quotidiani stranieri; in
Italia i suoi articoli sono stati pubblicati su Repubblica.
10
Anche per questo capitolo è risultato importante l’utilizzo del già
citato documentario, in questo caso della terza e della quarta parte,
prodotto dalla BBC.
Nella prima parte del capitolo, dedicata all’intervento dell’ONU e
della NATO, è stata particolarmente utile anche la consultazione di due
riviste: Affari Esteri (numero 85, gennaio 1990 e numero 95, luglio
1992) e Le Monde Diplomatique, nella traduzione italiana proposta dal
quotidiano Il Manifesto (numero 5, maggio 1999 e numero 6, dello
stesso anno).
Nell’ultima parte del capitolo, incentrata sugli accordi di Dayton e
sulla pace finalmente tornata in Jugoslavia, abbiamo ritenuto utile
avvalerci di un periodico italiano, Internazionale, che ogni settimana
pubblica articoli tratti dai principali quotidiani esteri. Tale rivista si è
rivelata di fondamentale importanza, poiché ci ha permesso di conoscere
ed utilizzare anche le analisi di grandi esperti stranieri di questioni
balcaniche.
Abbiamo inoltre ritenuto interessante la consultazione di alcuni siti
su internet, quale nuovo strumento di supporto alla ricerca storiografica.
In realtà, le nostre aspettative sono state deluse, poiché il materiale
reperito si è rivelato di scarsa importanza ai fini dello studio intrapreso.
11
Particolarmente deludenti sono stati, a nostro avviso, i siti ufficiali
delle Nazioni Unite e della NATO
5
, sia per l’esiguità delle informazioni
fornite, sia perché si eccedeva nell’esaltazione delle proprie missioni – in
questo caso di quella in Bosnia – quando i fatti hanno poi dimostrato
come le cose erano andate diversamente.
Uno dei problemi posti dal lavoro intrapreso, si è rivelata la
difficoltà di amalgamare organicamente e nella giusta prospettiva critica
l’insieme del materiale utilizzato (saggi, articoli, materiale bibliografico
e audiovisivo), che inevitabilmente risentiva – a volte anche
pesantemente – della contemporaneità degli argomenti presi in esame, e
delle pulsioni politiche, ideologiche etniche e nazionali che gli stessi
accadimenti avevano sollevato negli autori.
Per esempio, a volte ci è sembrato che la Serbia avesse sostituito,
nell’analisi di alcuni studiosi – in continuità con strategie e modi di
ragionare legati alla contrapposizione propria della guerra fredda – il
nuovo “pericolo” per la democrazia europea che un tempo era invece
identificato con l’Unione Sovietica.
6
5
www.un.org e www.nato.int
6
A questo proposito, sarebbe utile la lettura di un libro che, pur trattando un'altra guerra, ha proposto
una interessante teoria, scaturita dall’analisi della situazione geopolitica seguita alla fine della Guerra
fredda; si veda: Fanton Anna-Ermani Paolo, Il nemico artificiale: dall’accordo Saddam Hussein-Bush
ad una nuova teoria della guerra, Roma, Anomalia editrice, 1992, pp. 241-278. Una tesi simile è stata
proposta in un editoriale di Limes, a proposito delle ragioni che avrebbero spinto l’Alleanza atlantica
ad attaccare la Serbia. Si veda: Limes-rivista italiana di geopolitica, numero 3/98, pp. 7-12
12
Ciò ha reso particolarmente difficile una ricostruzione oggettiva
dei fatti, che fosse capace di abbandonare gli ambiti propri del
giornalismo e della mera ricostruzione cronologica, per affrontare
l’argomento se non da una prospettiva strettamente storica – impresa tra
l’altro ancora impossibile – almeno con la sufficiente e necessaria
oggettività, fattore indispensabile anche per una ricostruzione lucida.
Quella combattuta nei territori della ex-Jugoslavia tra il 1991 ed il
1995, è stato solo un aspetto – non l’ultimo, probabilmente – scaturito
dal riassesto conseguente prima alla crisi, e poi alla disgregazione della
federazione jugoslava. Per queste ragioni pensiamo sia ancora troppo
presto per considerare definitivamente chiusa la tragedia che a Dayton si
è cercato di concludere con troppa fretta.
13
La guerra ci viene dalla fantasia di tre o quattrocento persone sparse sulla
superficie di questo globo sotto il nome di principi o governanti; (…)
Senza dubbio è una bellissima arte, quella che devasta le campagne, distrugge le
abitazioni, e fa morire, negli anni normali, quarantamila uomini su centomila.
Questa invenzione fu dapprima coltivata dalle nazioni riunite per il loro bene
comune;
(…)
moltitudini si accaniscono le une contro le altre, non solo senza aver alcun interesse
nella faccenda, ma senza neppur sapere di che si tratta.
Si trovano così tutto a un tratto cinque o sei potenze belligeranti: ora tre contro tre,
ora due contro quattro, ora una contro cinque, che si detestano egualmente tra loro,
si uniscono e si attaccano volta per volta, tutte d’accordo in un sol punto: fare il
male possibile.
La cosa più straordinaria di questa impresa infernale è che ciascuno di quei capi
assassini fa benedire le proprie bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare
a sterminare il suo prossimo.
(…)
Dappertutto si paga un certo numero di oratori per celebrare quelle sanguinose
giornate: (…) ma, in tutti quei discorsi non ce n’è uno in cui l’oratore osi levarsi
contro il flagello e il crimine della guerra, che contiene in se tutti i flagelli e tutti i
delitti.
Quegli sciagurati oratori parlano senza posa contro l’amore, che è la sola
consolazione del genere umano, e la sola maniera per restaurarlo; nulla dicono
degli abominevoli sforzi che noi facciamo per distruggerlo!
(…)
Filosofi moralisti, bruciate i vostri libri! Finchè il capriccio di pochi uomini farà
lealmente sgozzare migliaia di nostri fratelli, la parte del genere umano che si
consacra all’eroismo sarà la cosa più orribile dell’intera natura.
Che cosa diventano e che m’importano l’umanità, la beneficenza, la modestia, la
temperanza, la mitezza, la saggezza, la pietà, quando una mezza libbra di piombo
tirata a seicento passi mi fracassa il corpo, e io muoio a vent’anni fra tormenti
indicibili, in mezzo a cinque o seimila moribondi, mentre i miei occhi, aprendosi per
l’ultima volta, vedono la città dove sono nato, distrutta dal ferro e dal fuoco, e gli
ultimi suoni che odono le orecchie sono le grida delle donne e dei bambini che
spirano sotto le rovine: e tutto per i pretesi interessi di un uomo che non
conosciamo?
(…)
Voltaire, la guerra
1
, 1764
1
Voltaire, Dizionario filosofico, Torino, Einaudi, 1950, pp. 237-241