INTRODUZIONE Questa tesi nasce principalmente dalla voglia di soddisfare delle mie curiosità
personali: due anni fa, nell’inverno 2008, durante il mio soggiorno presso l’Istituto di
cultura italiano di Chicago (Illinois-USA) per il tirocinio patrocinato dalla regione
Toscana in collaborazione con l’Università per stranieri di Siena, mi sono spesso trovata
a guardare film americani, sia già visti in Italia sia sconosciuti, ma comunque in lingua
originale: in inglese-americano. La prima cosa che senza dubbio ha attirato la mia
attenzione è la traduzione di molti titoli di film, alcuni veramente stravolti dalla
traduzione, ma anche rendersi conto che frasi celebri o battute considerate storiche dal
pubblico italiano, nella lingua originale sono spesso totalmente differenti.
Deduciamo che quello che per noi è “il film”, in realtà è una copia, bella o brutta
che sia a giudizio di critici e fruitori. Viene quindi da pensare che più grande sarà la
differenza tra le due versione più probabilmente la traduzione sarà stata “infedele” o
mal realizzata: ma non è così scontato, tutt’altro.
Alfred Hitchcock affermava che «se si crea il proprio film correttamente,
lasciando largo spazio alle emozioni, il pubblico giapponese deve reagire negli stessi
modi del pubblico indiano» 1
.
Per questo motivo la seguente tesi si occuperà di illustrare il complesso e intenso
processo traduttivo che sta alla base della creazione di una pellicola doppiata:
trasposizioni linguistiche certo, ma anche culturali, sono quelle che permettono la
realizzazione di un buon doppiato.
Il doppiaggio filmico è un particolare tipo di traduzione, molto interessante a
mio avviso, ma molto poco studiato, rispetto ad altre tipologie di traduzione. Solamente
alla fine degli anni Ottanta ha iniziato a riscuotere il successo che meritava, ovvero
quando è entrato a far parte ufficialmente dei vasti Translation Studies (TS)
2
. La
1 Truffaut Fran ç ois., Il cinema secondo Hitchcock , Il saggiatore, Milano, 2009. pag. 269
2 Nel 1978 Andrè Lefevere, uno dei più celebri teorici della traduzione della seconda metà del XX
secolo, propose che il nome “Translation Studies” dovesse essere adottato per denominare la
disciplina che si occupava delle problematiche sollevate dalla produzione e dalla descrizione delle
traduzioni. Successivamente però, i TS hanno conquistato un’importanza tale da diventare una
disciplina autonoma, non più una mera branca di studi di letteratura comparata o di un’area della
linguistica, bensì un vasto e complesso campo di studi con molteplici rami di ricerca.
3
peculiarità di un testo doppiato, cioè quella di essere un testo multisemiotico, aveva
portato molti studiosi a non considerarlo come una vera e propria traduzione, ma in
realtà è una traduzione complessa e completa, che impone ai traduttori determinati
vincoli, non riscontrabili altrove, ad esempio i limiti imposti dalle immagini visive,
come il sincronismo labiale, o la resa di una battuta di spirito da una lingua all’altra ma
soprattutto da una cultura all’altra. Conseguente è che il ruolo dell’adattatore-
dialoghista è fondamentale, in quanto oltre a creare un corpus di dialoghi tradotti nella
lingua di arrivo, il più vicini possibile alla lingua di partenza, rende anche il discorso
narrativo fruibile ad un pubblico che con il passare del tempo è sempre più vasto.
Per questa ragione il doppiaggio assume una straordinaria importanza anche a
livello linguistico, contribuendo ad esempio a una sempre maggiore diffusione della
lingua italiana, in quanto cinema e televisione sono senza dubbio i mezzi di
comunicazione più potenti ed efficaci nel mondo attuale. Essi godono per altro di
maggiore familiarità con il pubblico d’arrivo, un pubblico che legge sempre meno e che
ha compreso il grande potenziale « delle storie raccontante per immagini come veicolo
di valori, abitudini, bisogni » 3
.
Come è noto, praticamente tutti i film stranieri, ma anche i cartoni animati, le
soap opera, i telefilm, che arrivano in Italia vengono doppiati: sono cioè presentati con
dialoghi italiani appositamente tradotti e adattati da quelli della versione originale.
Questo implica una mole di lavoro impressionante per il settore doppiaggio in Italia.
La versione che crea il dialoghista è destinata a diventare “il film stesso” nel
paese in cui è distribuita, e dovrà essere nelle sue differenze, una versione comunque
parallela all’originale. È quindi il caso di chiederci come avviene questa trasformazione
grazie alla quale a noi spettatori sembra assolutamente naturale che attori famosi
stranieri parlino sullo schermo un italiano fluido.
La figura professionale del traduttore-adattatore, oltre ad assumersi una notevole
responsabilità, da un punto di vista linguistico, dovrà farlo anche da un punto di vista
educativo. Non poche volte difatti i doppiatori vengono accusati di aver creato una
lingua artefatta: il cosiddetto “doppiaggese”, particolare linguaggio che ha dato vita a
una serie di parole ed espressioni “ibride”, a metà tra l’inglese-americano e l’italiano,
3 Paolinelli Mario e Di Fortunato Eleonora, Tradurre per il doppiaggio. La trasposizione linguistica
dell’audiovisivo: teoria e pratica di un’arte imperfetta , U. Hoepli, Milano, 2005
4
come per esempio hey , amico o già .
C’è da dire che con il doppiaggio viene (de)formata, sia nel bene che nel male,
una grande parte della nostra lingua e della nostra cultura. Attualmente il consumo di
audiovisivi ha raggiunto dei record quasi preoccupanti ma meno ovvio è che il
doppiaggio, da decenni, coinvolge anche una fetta della nostra competenza linguistica e
di conseguenza influisce molto nel nostro modo di comprendere e interagire con chi ci
circonda. Non si parla solo di adattamento o di accuratezza visiva ed acustica, ma anche
di una serie di fattori culturali che devono essere presi in considerazione in fase di
traduzione per ottenere un buon risultato finale.
La mia ricerca è orientata a descrivere i caratteri tipici della traduzione per il
doppiaggio, una speciale tipologia di traduzione, molto più complessa di quello che si
tende a credere. Partendo da un excursus cronologico sulla storia del cinema e l’avvento
del sonoro, considerato come uno fra i fattori scatenanti di tutto il processo, sono state
analizzate poi le conseguenze linguistiche che la nascita di questa particolare tecnica ha
prodotto sul panorama nazionale e internazionale, le prima rudimentali metodologie di
doppiaggio e le leggi censorie che fecero da sfondo.
Nella seconda parte si analizzerà poi, con lo scopo di comprendere meglio il
trattamento che un testo di partenza subisce per arrivare ad essere un testo di arrivo, le
diverse fasi e figure professionali che contribuiscono tecnicamente al doppiaggio di un
film. Si mostrerà inoltre i vincoli che ostacolano i traduttori-adottatori, come ad
esempio il sincronismo labiale, i riferimenti culturali e l’umorismo; come la traduzione
audiovisiva sia legata a discipline come la semiotica, la glottodidattica e la linguistica;
ed infine alcune delle strategie adottate per le trasposizioni linguistiche e culturali insite
in questo processo. Processo che come vedremo ha contribuito attivamente allo standard
linguistico italiano.
A titolo esemplificativo, per concludere, sono state messe a confronto alcune
battute del film della versione originale del film Young Frankenstein (1974) di Mel
Brooks con quelle della versione doppiata italiana, – Frankenstein Junior – allo scopo
di analizzare le differenze e le scelte traduttive adottate da Mario Maldesi, direttore di
doppiaggio della versione italiana, e il suo staff di doppiaggio.
Infine viene riportato un abstract in lingua inglese.
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1. Dall’avvento del sonoro alla nascita del
doppiaggio
Premesse L’anno di nascita del cinema è convenzionalmente considerato il 1895: anno in
cui i fratelli scienziati francesi Lumière, Louis e Auguste, brevettarono il
cinématographe (cinematografo). Uno strumento inventato da loro con cui proiettare
sullo schermo sequenze di immagini distinte, impresse su pellicola, la quale, stampata
con processo fotografico, scorrendo lungo un tamburo rotante dava vita all’effetto del
movimento.
Inizialmente l’invenzione suscitò un grande scalpore tecnico per poi evolversi
successivamente verso proiezioni di sequenze sempre più elaborate di immagini in
movimento che avevano il potenziale di raccontare storie.
Diventando arte di narrazione, le immagini iniziarono ad aver bisogno di essere
supportate da didascalie: riquadri scritti che contribuivano all’intelligibilità della storia
qualora non fosse chiara solo con l’immagine.
Già all’epoca del cinema muto ( silent era ), collocabile tra il 1895 e la fine degli
anni Venti, i film venivano tradotti, o meglio, ad esserlo erano gli intertitoli , le
didascalie appunto, che collegavano le varie scene per esplicitarle o per riportare in
sintesi i dialoghi fondamentali. Trattandosi comunque di una traduzione scritta non vi
erano molti problemi: era sufficiente sostituire le didascalie con la rispettiva traduzione
nella lingua di arrivo. Tutto cambiò, però, con l’avvento del sonoro.
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1.1 L’avvento del sonoro e il suo sviluppo nell’Italia fascista Alla fine dell’Ottocento Thomas Alva Edison, il celebre inventore americano,
aveva brevettato un metodo per aggiungere il sonoro alla pellicola, ma l’idea venne
rifiutata in quanto i film muti ormai erano più avanzati, sotto il profilo organizzativo e
qualitativo.
L’ invenzione venne però ripresa trent’anni più tardi, quando la Warner Bros
(WB), una delle celebri major dello studio system hollywoodiano, la quale, sull’orlo del
fallimento, decise di rischiare tutto producendo il primo film sonoro.
La svolta avvenne il 6 ottobre 1927, quando a New York presso il Warners’
Theatre, venne proiettata per la prima volta la pellicola parlata, o meglio cantata, The
Jazz Singer , di Alan Crosland con Al Jolson, la cui prima celebre battuta fu: «Wait a
minute, you ain’t heard nothin’ yet!» (tradotta in italiano «Aspetta un attimo, non hai
ancora sentito niente!» ).
Pur passando alla storia come primo film sonoro, era ancora un film muto, che
per lo più utilizzava ancora le didascalie, anche se si contraddistinse per la presenza
innovativa di alcune scene cantate e/o parlate. Il film arrivò in Italia nel 1930 con il
titolo de Il cantante di jazz , ed ebbe un enorme successo. La magia del sonoro colpì
molto positivamente il pubblico, salvando la WB dalla banca rotta.
Allora la suddetta casa di produzione americana impose l’uso del vitaphone ,
ovvero un sistema di incisione su disco, poi montato su giradischi, azionato con velocità
di trentatré giri al minuto e collegato meccanicamente al proiettore che mette in
funzione lo scorrimento della pellicola. Un sistema rudimentale, insomma, di
sincronizzazione e quindi di coincidenza tra suono e immagine.
Il regista Crosland entusiasta affermò che «l’aggiunta della parola fa uscire il
film dal regno della pantomima e lo fa entrare in quello della commedia» 4
.
Nel giro di un paio di anni questo metodo si fece spazio e si impose, dapprima
negli USA e poi nel resto del mondo. Crosland e la WB ebbero il merito di far sì che il
cinema non solo non potesse più fare a meno dei cantanti, nei propri film, ma anche che
4 Di Giammatteo Fernaldo, Dizionario universale del cinema , Editori Riuniti, Roma, 1990.
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il pubblico non potesse più fare a meno di associare la musica alle immagini, musica
che verrà poi scritta appositamente per i film.
L’uscita de Il cantante di jazz in Italia mise però il governo Mussolini (ormai al
potere da otto anni) di fronte al pericolo d’invasione e di affermazione delle lingue
straniere all’interno del paese e alla conseguente circolazione di idee scomode al regime
fascista.
L’avvento del sonoro trasformò radicalmente il mondo del cinema: basti pensare
alla parte di spettatori analfabeti tenuti lontano dalla fruizione di pellicole, data la
presenza di didascalie, e che da quel momento potevano invece assistere alla proiezione
di un film comprendendolo 5
. Inoltre si presentò il grande problema dell’arrivo della
lingua straniera in un paese ancora analfabeta e/o dialettofono, che aveva ancora
bisogno, invece, di trovare una lingua standard che uniformasse il linguaggio del popolo
italiano.
Il regime fascista arrivò dunque a vietare l’uso delle lingue straniere su territorio
nazionale: un ordine tassativo, eseguito con tale meticolosità burocratica, che spinse
all’italianizzazione linguistica e culturale del paese.
Intanto Hollywood, il colosso che pareva detenere già all’epoca il monopolio
dell’industria cinematografica, non poteva rimanere impassibile di fronte alla “questione
lingua”. Il principale problema era infatti la traduzione linguistica, che, se ben eseguita,
avrebbe reso possibile l’esportazione delle pellicole all’estero, decretando così il
successo e il guadagno per le case di produzione 5 Nel 1929 si affermò definitivamente il cinema sonoro e negli anni seguenti anche l’Italia presentò le
sue prime pellicole parlate e cantate: nel 1930 La canzone dell’amore di Gennaro Righelli e l’anno
dopo Resurrectio di Alessandro Blasetti 8
1.2 La censura linguistica fascista Le radici della censura cinematografica risalgono all’epoca giolittiana, in
particolare all’epoca della legge n. 785 del 25 giugno 1913, relativa alla vigilanza sulle
pellicole cinematografiche, varata in difesa della morale del buon costume, della
pubblica decenza, del prestigio delle istituzioni e delle autorità contro scene ritenute
truci, ripugnanti, o considerate di particolare crudeltà come delitti o suicidi
impressionanti. In essa si ritrovano i primi accenni di censura linguistica fascista. Sulla
questione della lingua straniera è scritto che i titoli, i sottotitoli e le scritture debbono
essere riportati in corretta lingua italiana oppure possono essere scritti anche in lingua
straniera, purché riprodotti fedelmente e correttamente anche in italiano.
Tuttavia l’adozione di questa tecnica, delle doppie scritte, fu ben presto
scoraggiata visto il grande peso economico dell’operazione per l’ Italia di allora.
Oltre ad elencare una serie di proibizioni, la legge dava il potere decisionale al
Ministero dell’Interno il quale concedeva o negava il nullaosta per le proiezioni delle
pellicole. Poteva anche richiedere, eventualmente, una seconda revisione dei film ai
quali era già stato concesso il nullaosta, per apportare ulteriori modifiche.
Perché una pellicola potesse accedere alla revisione, occorreva che prima
dell’inizio delle riprese il soggetto fosse riconosciuto fruibile e rappresentabile dalla
censura e che ottenesse il “controllo preventivo su copione”. Un primo controllo
contenutistico, tematico e linguistico.
Successivamente il fascismo confermò l’operato censorio già in atto del periodo
liberale. L’elenco delle scene da proibire fu identico a quello precedente con l’ aggiunta
però del divieto su scene fatti e soggetti che incitassero l’odio tra le varie classi sociali.
Parallelamente si vietò l’esportazione di pellicole che potessero «ingegnare, all’estero,
errati o dannosi apprezzamenti sul nostro paese» 6
.
Con l’arrivo dei primi film sonori negli anni ’30, gli irrigidimenti censori si
ebbero soprattutto a partire dal 1934, anno in cui venne creata la Direzione Generale
della Cinematografia (DGC). Fino ad allora il regime si era mostrato più elastico perché
6 Regio Decreto n.3287 del 24 settembre 1923.
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