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Capitolo I. L'intersoggettività: approcci teorici
Con il concetto di intersoggettività si intende il vissuto di esperienza
condivisa con un altro essere umano, ovvero l'esperienza di contatto mentale con
l'altro che ha luogo durante la sua comunicazione interpersonale.
Il termine intersoggettività è stato introdotto alla fine degli anni Settanta da
Colwyn Trevarthen per indicare quella particolare sincronia tra le espressioni
facciali, vocali, gestuali di lattanti di soli 2-3 mesi e le espressioni delle loro madri
durante la comunicazione faccia-a-faccia, che la microanalisi dei filmati aveva
permesso di scoprire. Essa è la capacità di “adattare il controllo soggettivo del
proprio comportamento alla soggettività dell'altro al fine di poter comunicare"
5
.
Jerome Bruner è tra i principali promotori dell'incremento dell'attenzione
verso quest'area di studi: per l'autore l'intersoggettività è il “processo per cui si
giunge a sapere cosa hanno in mente gli altri e a cui ci si adatta di conseguenza"
6
.
Lo studio dell'esperienza intersoggettiva è fondamentale per lo studio dei
meccanismi attraverso cui il bambino inizia ad attribuire significati agli eventi del
mondo. La “modalità intersoggettiva” rappresenta la prima delle modalità primitive
di costruire significati; una modalità che consiste nel situare espressioni, azioni ed
eventi nello “spazio simbolico” condiviso con l'adulto con cui il piccolo
interagisce. L'intersoggettività è mediata dalla capacità di riconoscere che è
possibile condividere la propria esperienza interna: inizialmente, attraverso la
reciprocità degli sguardi, dei gesti e altre forme di contatto percettivo tra il lattante
e la madre; poco dopo, a un livello più elaborato, attraverso la condivisione
dell'attenzione verso un oggetto/evento esterno. Nel contesto dell'interazione è
inizialmente l'adulto che segue e si coinvolge rispetto al focus di attenzione del
bambino; l'attività di sostegno dell'adulto promuove nel piccolo la capacità di
seguire, a sua volta, la propria direzione dell'attenzione, di comprendere che l'altro
5 Trevarthen C. (1998), Empatia e Biologia. Psicologia cultura e neuroscienze, Raffaello Cortina,
Milano.
6 Bruner J. (1996), The culture of education, Cambridge, Harvard University Press, 176; citato in
Lavelli M. (2007), op. cit., p. 3.
6
ha il suo punto di vista sulla realtà esterna, e che le proprie espressioni e azioni
hanno un potere di comunicazione che può essere usato per influenzare l'attenzione
e il comportamento del partner. L'incontro con la mente dell'altro non deriva dalla
maturazione di una capacità individuale, quanto piuttosto dalla natura
dell'interazione sociale in cui gli esseri umani sanno coinvolgersi fin dai primi mesi
di vita.
La sua origine è collocabile sul finire del secondo mese di vita, in quella
esperienza particolare di condivisione affettiva, percepita a livello diretto dal
piccolo, nel corso dell'interazione faccia-a-faccia con l'adulto, e quindi non mediata
rappresentazionalmente. In questo periodo, grazie all'interazione tra i cambiamenti
che avvengono nello sviluppo neurologico del bambino e l'esposizione prolungata a
stimoli socialmente rilevanti, quali il volto umano e il linguaggio, viene raggiunto
un nuovo livello di organizzazione, regolato dall'interazione con l'ambiente esterno
e non più a livello esclusivamente endogeno.
Con la prima condivisione dell'attenzione per gli oggetti con l'adulto, delle
azioni e delle emozioni nei nuovi formati di gioco sociale -caratterizzati da una
struttura regolare e ripetitiva, e perciò facilitanti lo sviluppo di aspettative e
l'anticipazione delle azioni dell'adulto- che il piccolo sarà in grado, alla fine
dell'arco del suo primo anno di vita, di coordinarsi assieme all'adulto rispetto i
focus attentivi, gli stati affettivi e le intenzioni verso il mondo esterno
7
.
1- Sander. Le regolazioni del sistema diadico madre-bambino
Louis Sander è stato il primo studioso ad occuparsi dell'interazione madre-
bambino fin dalla nascita e ad inquadrarla come sistema diadico. Mediante una
serie di esperimenti osservativi sulle attività dei neonati, l'autore ha rilevato che
l'organizzazione del comportamento è una proprietà della diade madre-bambino
piuttosto che del singolo individuo.
Esemplificativa in tal senso la ricerca longitudinale "Boston University
Longitudinale Project", intrapresa da Sander nel 1954, allo scopo di monitorare
7 Lavelli M. (2007), Intesoggettività, Raffaello Cortina, Milano.
7
l'attività dei neonati, mediante il posizionamento sul fondo delle culle di cuscini
sensibili alle pressioni, che permettevano di registrare i battiti cardiaci, il ritmo
respiratorio e gli stili di movimenti nelle ventiquattro ore
8
. La mole di informazioni
raccolta fin dalla nascita su attività quali il pianto, la motricità, gli stati dei bambini
e l'attività della madre, nel prendere e depositare il bambino nella culla, ha
permesso a Sander di riconoscere l'importanza della comunicazione tra neonato e
caregiver per la regolazione degli stati d'animo del neonato e per il conseguente
sviluppo psico-fisico.
In particolare, il monitoraggio delle culle permise di evidenziare una
differenza sulla bioritmicità dei neonati, fra due campioni che presentavano una
interazione diversa neonato-caregiver relativamente all'alimentazione. Il campione
nutrito a richiesta iniziò a presentare, nel terzo o quarto giorno, uno o due periodi di
sonno più lunghi nell'arco delle ventiquattro ore e successivamente, tra il quarto e
sesto giorno, i periodi di sonno più lunghi iniziarono a diventare più frequenti nelle
dodici ore del giorno. Diversamente dal campione nutrito a orario prefissato,
quindi, quello alimentato su richiesta allungava in 4-6 giorni il periodo di sonno
notturno e il periodo di veglia diurno. Questo ha permesso di rilevare che gli stati
ciclici del neonato, ovvero il suo bioritmo, sono influenzabili dal tipo di
allattamento offerto e quindi dal tipo di cure ambientali proposte; pertanto che
assecondare la bioritmicità spontanea del bambino consente, non solo di favorire la
sua richiesta, ma anche la sua iniziativa in quanto agente nel processo di
autoregolazione
9
.
Partendo dai risultati di queste importanti ricerche, Sander ha formulato un
modello sistemico dell'interazione madre-bambino, che si rivela essere sempre in
progress, in confronto dialettico tra prevedibilità e trasformazione
10
. Un contributo
fondamentale del modello di Sander è la descrizione dell'autoregolazione, della
regolazione interattiva e della loro integrazione. In particolare, il concetto di
autoregolazione è stato utilizzato per indicare l'attitudine degli organismi biologici
ad avviare un'attività mantenendo l'organismo in uno stato di organizzazione: negli
8 Sander L.W. (1977), "Regolazione dello scambio nel sistema bambino-figura di accudimento e
alcuni aspetti del rapporto contesto-contenuto", trad. it. in Carli L. e Rodini C., Le forme
dell'intersoggettività, Raffaello Cortina, Milano, 2008.
9 Ibidem
10 Beebe B. e Lachamann F.M. (2003), Infant Research e trattamento degli adulti. Un modello
sistemico-diadico delle interazioni, Raffaello Cortina, 27.
8
esseri umani, essa si riferisce alla capacità di arrivare a regolare il proprio stato, di
rispondere agli stimoli mantenendo l'arousal in soglie sufficientemente organizzate,
cioè rispondere agli stimoli mantenendosi calmi. E' importante sottolineare che lo
sviluppo di questa abilità, pur essendo intrinseca all'individuo, non è tuttavia
separabile dalla madre -capace o meno di capire il bisogno del bambino- e quindi
dalla regolazione interattiva messa in atto dai due interlocutori. Se la regolazione
interattiva è quanto accade tra il bambino e la sua mamma, nel loro reciproco
imparare a stare insieme, la riuscita di questo adattamento può realizzarsi solo
grazie alla relazione che ha con lui, e cioè in virtù della regolazione del rapporto
con lui. L'attività endogena del piccolo è orientata a far capire lo stato
corrispondente e comporta la possibilità/capacità di avviare l'azione. Se questa
possibilità viene ascoltata dalla madre, si convalida nel bambino un'esperienza
relativa alla possibilità di avere iniziative, di essere un Sé agente, e se ne rafforza la
capacità. La madre, se si allinea alla richiesta, promuove a propria volta una
risposta adattiva nel neonato, rappresentata dall'avvio di uno schema di
modificazione del bioritmo e dell'arousal. In questa sequenza è contenuta sia
l'esperienza materna di riconoscimento della richiesta e della iniziativa del
bambino, che l'esperienza del neonato di sentire riconosciuto il proprio stato, a cui
segue un abbassamento dell'arousal, che a sua volta segnalerà alla madre un
riconoscimento implicito della sua attività. La capacità della madre di percepire
correttamente lo stato del bambino e di riconoscerlo, si traduce nella possibilità che
all'interno dell'interazione, la madre sia pronta anche a fronteggiare momenti di
rottura, allo scopo di ripristinare le condizioni ottimali per lo scambio.
Queste interazioni regolative, dal fluido al rigido, dalla sincronia alla
disgiunzione, assumeranno nel tempo un andamento ricorsivo, che darà forma a
uno schema procedurale dell'esperienza, consentendo così a mamma e bambino di
costruire aspettative e previsioni circa l'andamento dei successivi momenti di
interazione. I momenti di non incontro sono importanti non solo perché consentono
al piccolo di apprendere strategie riparative ma anche perché garantiscono
l'indipendenza sia della madre che del piccolo.
La condizione indispensabile per la costruzione della salute mentale risiede
nella possibilità riconosciuta al bambino di sperimentare, contemporaneamente e
continuativamente, la disgiunzione dalla mamma, senza ritorsioni e l'aggiustamento
9
su di lei. Lo sviluppo infantile è concepibile come un processo in costante dialettica
tra disgiunzione, riparazione e recupero della sintonizzazione, che consente
all'organizzazione mentale e comportamentale del bambino di evolversi in modo
via via sempre più complesso e coerente
11
.
2- Fogel. Coregolazione e processi di cambiamento nella relazione madre-
lattante
Alan Fogel ha usato sporadicamente il termine intersoggettività in quanto,
a suo avviso, rievoca "una nozione reificata di separatezza individuale"
12
ben
lontana dall'idea che gli esseri umani esistono e si sviluppano solo in relazione agli
altri e ai loro ambienti. Ciò nonostante, la sua attività di ricerca e la sua teoria sulla
dinamica del processo di comunicazione interpersonale si è rivelata particolarmente
preziosa per la comprensione dei primi processi di comunicazione interpersonale e
dello sviluppo del Sé dalle prime esperienze di intersoggettività.
All'interno della comunicazione madre-lattante, Fogel individua due aspetti
che sono da considerare elementi topici della dinamica di sviluppo della relazione
fin dai primi mesi di vita. In primo luogo l'adattamento continuativo e reciproco al
comportamento dell'altro, fatto di aggiustamenti posturali, modulazioni della
direzione dello sguardo, piccole variazioni nei gesti e nelle azioni facciali e vocali;
infine la creatività -sottostante la co-regolazione delle espressioni emozionali e dei
comportamenti- che consente la creazione di emozioni e sequenze di azioni
condivise, che reiterate nel tempo possono stabilizzarsi come pattern di
comunicazione nell'ambito della diade
13
.
L'autore ritiene che, nell'esperienza di connessione affettiva, la madre
11 Sander L.W. (2000), "Dove si dirige la ricerca sulla salute mentale del bambino?" tr. it. in Carli, L.
e Rodini, (2008) (a cura di), op. cit.
12 Fogel A. (1995), "Relational narratives of the pre-linguistic self" in Rochat P. (Ed.), The self in
early infancy: Theory and research, Elsevier SciencePublishers, Amsterdam, 117; citato in
Lavelli M. (2007), op. cit.
13 Fogel A. (1993a), Developing through relationships, University of Chicago Press, Chicago;
citato in Lavelli M. (2007), op. cit
Fogel A. (1993b), "Two principle of communication: Co-regulation and framing", In Nadel J. e
Camaioni L. (Eds.), New Perspectives in Early Communicative Development, Routledge,
London, 9-22; citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
10
ricopre un ruolo fondamentale, in quanto amplificatore delle emozioni e
dell'esperienza vissuta dal lattante. La funzione di rispecchiamento e
amplificazione delle espressioni positive del lattante, svolto dalle espressioni
materne, è anche stato recentemente testimoniato dai risultati di una ricerca sulla
comunicazione faccia-a-faccia nei primi mesi di vita, ovvero dall'analisi
sequenziale delle espressioni del lattante e della madre ivi contenute
14
. I legami
sequenziali vanno in entrambe le direzioni, in modo che i primi accenni di sorriso e
di tentativi di vocalizzazione del lattante, vengono amplificati dai sorrisi e dal
linguaggio materno, in sequenza circolari di feedback positivo tra le espressioni dei
due interlocutori.
La comunicazione madre-lattante è descritta da Fogel come un processo
dinamico di co-regolazione che può generare stabilità oppure cambiamento.
L'adattamento continuo e reciproco da parte della madre e del lattante è
indipendente dal fatto che nell'interazione siano in gioco emozioni positive o
negative
15
: essa è infatti riscontrabile, sia durante le protoconversazioni che
generano emozioni positive condivise, che nelle situazioni di conflitto o
disaccordo.
Il modello di cambiamento evolutivo, delineato da Fogel, sulla dinamica del
processo di cambiamento all'interno del sistema della comunicazione relazionale,
rappresenta un importante contributo per la comprensione dello sviluppo mentale e
relazionale del bambino. Dalle ricerche condotte sulla prima infanzia, è emerso che
i processi di cambiamento relazionale non si limitano strettamente alle forme
verbali del discorso, infatti esso è incorporato in schemi di co-azione non verbali,
nei quali la creazione di schemi sociali emergenti è il risultato dell'azione congiunta
di elementi non verbali. Per effetto di questi processi di comunicazione, i sistemi
relazionali sviluppano pattern di azione condivisa detti frames. Con tale concetto
Bateson intende far riferimento ad una cornice che da significato all'esperienza
intersoggettiva, ovvero ad un contesto interpretativo, che consente di differenziare
la figura e lo sfondo. Le innovazioni, ovvero i processi emergenti, diventano
significativi in quanto figure presenti sullo sfondo del frame. Il frame rappresenta
14 Lavelli M. e Fogel A. (2005), "Developmental changes in the relationship between the infant‟s
attention and emotion during early face-to-face communication: the two month transition",
Developmental Psychology, 41, 265-280, citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
15 Fogel A. (1993b),op. cit.; citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
11
una forma incompleta del sistema relazionale, in quanto parte specifica del
processo, e dinamicamente stabile poiché si presenta ripetutamente come forma
riconoscibile, pur essendo di volta in volta leggermente diversa.
La qualità dell'esperienza intersoggettiva che si sviluppa tra il lattante e la
madre sarà, in buona misura, rivelata dalla tipologia e dalla capacità dinamica dei
frames, che regolano la comunicazione diadica: sarà la flessibilità, sia dei frames ad
adattarsi a nuove situazioni, che del sistema comunicativo madre-lattante a
spostarsi da un frame all'altro nel corso di un interazione, a determinare i processi
di cambiamento, e quindi nuove opportunità di sviluppo della relazione tra la
madre e il proprio bambino. La rigidità dei frames e la scarsa capacità di variare i
frames di comunicazione, o l'impossibilità di crearne di nuovi, limiteranno invece
le opportunità di crescita della relazione e del lattante stesso nell'ambito della
relazione. Nel modello di evoluzione dei frames, Fogel delinea tre fasi: (1)
l'instaurarsi, nella quale l'innovazione si presenta come figura nel contesto di un
frame storico già esistente; (2) l'elaborazione, che si verifica quando l'innovazione
del primo periodo non si limita ad ampliare la variabilità del sottofondo, ma
piuttosto viene amplificata al punto da costituire un frame metastabile emergente;
(3) l'abbreviazione, che sarà raggiunta soltanto se l'innovazione si consolida ad un
livello tale che la figura e lo sfondo originari perdono le proprie identità separate e
consente l'emergere di un nuovo frame, che contiene elementi della figura e dello
sfondo precedenti, ma che potrebbe rappresentare un modo di relazionarsi del tutto
nuovo e più completo
16
.
La coregolazione tipica delle relazioni improntate su processi di
comunicazione simmetrica e i framing rappresentano quindi processi
complementari: se il primo rappresenta l'aspetto dinamico e creativo della
comunicazione che genera novità e significato, il secondo costituisce il momento
di stabilizzazione di routine co-regolate.
Fogel sottolinea, inoltre, che la qualità dell'esperienza intersoggettiva nel
contesto delle prime forme di comunicazione con la madre è fondamentale non solo
per lo sviluppo della relazione madre-lattante ma anche per lo sviluppo del senso di
16 Fogel A. e Lyra M.C.D.P. (1997), "Dynamics of development in relationships",in Masterpasqua
F. e Perna P. (Eds.), The psychological meaning of chaos:Translating theory into practice,
Washington, DC: American Psychological Association, 75-94; citato in Lavelli M. (2007), op.
cit.
12
Sé che emerge dalla relazione interpersonale. La comparsa di un primo senso di Sé,
come Sé relazionale -attorno al secondo mese di vita- è infatti favorita
essenzialmente dal rispecchiamento delle emozioni del lattante da parte della
madre, che contribuisce in modo determinante a creare un senso di connessione
affettiva tra i partner. Mentre, verso il nono mese di vita, l'esperienza di
intersoggettività verrà caratterizzata da un senso di differenziazione dall'altro,
indispensabile allo sviluppo del Sé, ma anche dalla scoperta di somiglianza con
l'altro, con cui diventa possibile la condivisione di esperienze soggettive
17
.
3- Tronick. Il modello di espansione diadica della coscienza
Edward Z. Tronick individua l'esperienza intersoggettiva dell'infante negli
stati di connessione affettiva, esperiti durante la comunicazione faccia-a-faccia con
la madre fin dal terzo mese di vita. In questi momenti si verifica una regolazione
reciproca degli stati affettivi dei partner, coinvolti all'interno del processo di
comunicazione, che può condurre o meno alla genesi dei cosiddetti “stati diadici di
coscienza”, che contribuiscono a espandere, a livelli di maggiore complessità,
l'organizzazione degli stati mentali del lattante.
L'autore evidenzia che, fin dai primi mesi di vita, i messaggi scambiati
nell'ambito della comunicazione tra il lattante e l'adulto sono sostanzialmente
regolatori. Pertanto, affinché la comunicazione sia effettivamente esperienza di
intersoggettività, al di là del possesso di un sistema espressivo ben organizzato da
parte del lattante, è indispensabile
"che entrambi i partner condividano il significato dei comportamenti espressivi manifestati,
che condividano una sintassi che governa i loro scambi di messaggi e, infine, condividano
l'intenzione di coinvolgersi nello scambio reciproco"
18
Il processo di mutua regolazione tra lattante e caregiver consente una
comunicazione affettiva, in cui le reazioni emotive e l'esperienza affettiva del
17 Lavelli M. (2007), op. cit., 15-21.
18 Tronick E., Als H.T. e Brazelton T. (1980),"Affective reciprocety and development of autonomy:
the study of a blind infant", Journal of the American Academy of Child Psychiatry, 19, 22-40;
citato in Carli L. e Rodini C. (2007), op. cit.
13
lattante sono determinate dall'esperienza affettiva del caregiver e dalla
comprensione implicita di tale espressione da parte del lattante, e viceversa.
Questi stati emergenti dalla relazione consentono lo scambio e il
trasferimento dello stato affettivo e cognitivo dentro l'individuo e quindi
l'espansione del senso di Sé e del mondo in una dimensione più ampia,
inaccessibile senza la condivisione di quella esperienza specifica.
Il modello degli stati diadici di coscienza assume che gli esseri umani, come
sistemi psicobiologicamente aperti e complessi, ricercano con forza il contatto
emotivo, per mantenere e incrementare il loro livello di organizzazione e
complessità, ovvero per ridurre la loro entropia. Negli esseri umani, infatti,
differentemente da quanto avviene negli altri sistemi biologici, gli stati di coscienza
sono creati da un sistema regolatorio diadico che permette di creare significato sia
negli individui che tra gli individui. Ne consegue un accrescimento della coerenza
e la complessità del senso del mondo di ogni individuo, ovvero un'espansione
diadica degli stati di coscienza di entrambi i partner
19
.
Nel caso in cui i tentativi di creazione di questa speciale condizione diadica
della coscienza risultino cronicamente fallimentari si giunge ad uno stato di
dissipazione, ovvero alla perdita di coerenza e complessità dei loro stati di
coscienza, che porta con sé gravi ripercussioni sul sviluppo psicologico di
entrambi. Le conseguenze di queste interazioni fallimentari sono state ben
esemplificate dall'autore con i risultati delle numerose ricerche che ha condotto con
il paradigma della Still-Face: durante la comunicazione faccia-a faccia con il
lattante, l'interruzione improvvisa e immotivata dell'espressività del volto materno -
ma non del contatto visivo- provoca effetti drammatici sul comportamento del
lattante. Dopo alcuni tentativi di ricoinvolgere la madre, si rilevano nel piccolo di
soli tre mesi una serie di cambiamenti significativi: una perdita del controllo
posturale, il distoglimento dello sguardo con un espressione facciale di tristezza e
svariati comportamenti regolatori autodiretti -il portarsi le mani alla bocca e il
concentrarsi su parti del proprio corpo- nel tentativo di mantenere coerenza e
19 Tronick E. Z. (2005), "Why is connection with other so critical? The formation of dyadic states
of consciousness and the expansion of individuals‟ state of consciousness: Coherence governed
selection and co-creation of meaning out of messy meaning" in Nadel J. e Muir D. (Eds.),
Emotional Develompment, Oxford University Press, New York, 25; citato in Carli L. e Rodini C.
(2007), op. cit.
14
complessità, evitando cioè la dissipazione del suo stato di coscienza. Queste
manifestazioni tendono a persistere per alcuni minuti, anche quando la madre
riprende a comportarsi in modo consueto, a dimostrazione del fatto di quanto possa
essere rilevante, sul piano esperenziale, l'interruzione di uno stato intersoggettivo
positivo, visto il perdurante effetto di smarrimento sul piano relazionale.
Se inizialmente Tronick interpretava l'effetto Still-Face come generato dalla
violazione delle aspettative di reciprocità sociale (e quindi come reazione cognitiva
rispetto ad uno stato di contraddizione), con l'osservazione, nella fase di ripresa
della relazione da parte della madre, di un perdurante stato negativo del piccolo e di
un comportamento non responsivo, ha successivamente ritenuto che esso era, più
plausibilmente, il frutto di una reazione emotiva al ritiro affettivo della madre.
In questa terza fase dell'esperimento si rivela infatti fondamentale la
reazione attivata dalla madre dinnanzi all'asincronia con il comportamento del
piccolo: tanto più la madre è in grado di sostenere il processo di riparazione, per il
ripristino di condizioni ottimali di relazione, mediante una comprensione cognitiva
e affettiva dello stato dell'altro e una sua regolazione adattiva ad esso, tanto più la
relazione sarà qualitativamente "buona"
20
. Nel caso in cui l'esperienza di
intersoggettività è negata o distorta cronicamente, gli stati diadici di coscienza
saranno frutto di una elaborazione distorta e contrassegnata da affetti negativi.
E' chiaro pertanto che, se la tendenza degli esseri umani ad espandere la
complessità della propria organizzazione mentale è una tendenza istintiva, sarà
inevitabile per un lattante con madre depressa incorporare elementi degli stati
mentali di tipo negativo, per vivere con lei un'esperienza intersoggettiva,
nonostante essa si fondi su un nucleo affettivo negativo
21
.
In conclusione, Tronick ritiene che, se la regolazione affettiva delle
interazioni funziona, lo sviluppo del bambino procederà velocemente; quando
invece si verificano fallimenti, lo sviluppo tenderà a deragliare e la complessità
dell'organizzazione mentale del bambino verrà limitata o persino ridotta, con il
20 Tronick E.Z. (2003), “Gli stati affettivi prolungati del bambino e la cronicità dei sintomi
depressivi. La co-creazione di modi specifici di stare insieme “nel bene e nel male”(I) In Carli L. e
Rodini C. (a cura di), Le forme di intersoggettività: l’implicito e l’esplicito nelle relazioni
interpersonali. Raffaello Cortina, Milano, 2008.
21 Tronick E.Z. (2004), “Gli stati affettivi prolungati del bambino e la cronicità dei sintomi
depressivi. La co-creazione di modi specifici di stare insieme “nel bene e nel male”(II). In Carli L.
e Rodini, C. (a cura di), Le forme di intersoggettività: l’implicito e l’esplicito nelle relazioni
interpersonali. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008.
15
conseguente rischio che una loro reiterazione conduca a forme ben più gravi di
disordine affettivo
22
.
4- Trevarthen. L'intersoggettività innata
Colwyn Trevarthen sostiene fortemente la natura innata delle capacità
intersoggettività, che il bambino mostra di possedere già dalla nascita, mediante
una "operante intelligenza interpersonale" motivata alla comprensione del partner,
nell'ambito della negoziazione conversazionale di intenzioni, emozioni, esperienze
e significato. Questa dotazione si rivela funzionale alla ricerca di compagnia e
sostegno nella scoperta di nuove esperienze.
Attraverso l'analisi microanalitica delle osservazioni delle interazioni
madre-bambino, svolte con tecniche di videoregistrazione, l'autore afferma che, nel
contesto di un'interazione affettuosa, il lattante, già nel periodo neonatale, può
rispondere, in modo differenziato, alle diverse espressioni manifestate nei
movimenti materni, mostrando segni di monitoraggio o di sensibilità ai
cambiamenti d'espressione del partner.
Il fondamento delle progressive capacità intersoggettive consiste in un
rispecchiamento intuitivo e immediato degli intenti e dei vissuti affettivi,
manifestati nei movimenti del corpo delle altre persone. Trevarthen ritiene che il
bambino possiede una consapevolezza determinante delle sensazioni e degli scopi
del partner, che prescinde da elaborazioni cognitive o simboliche. L'imitazione
neonatale costituisce la prova più consistente di questa capacità innata di
rispecchiamento, ossia l'evidenza empirica più lampante della capacità dei neonati
di comunicazione intersoggettiva. In tal senso l'autore fa tesoro delle preziose
osservazioni di neonati a poche ore dalla nascite condotte da Nagy e Molnar
23
nel
1994: essi riescono con facilità ad riprodurre una serie di azioni quali la protrusione
della lingua, l'apertura della bocca, la protrusione delle labbra, i sorrisi,
un'espressione di sorpresa e movimenti di mani e dita.
22 Lavelli M. (2007), Op. Cit., 21-27.
23 Nagy E. e Molnar P. (1994), "Homo imitans or homo provocans?", International Journal of
Psychophysiology, 18(2),128; citato in Lavelli M. (2007), op. cit. p. 6
16
Trevarthen afferma che questo processo di corrispondenza nell'imitazione
neonatale "non dipende necessariamente dalle sensazioni corporee, causate dal
movimento degli arti o del volto, o dal confronto tra il movimento osservato e
quello avvertito"
24
, ma piuttosto da una rappresentazione neurale dell'apparato
espressivo, che riesce ad individuare il tipo di affetto dell'altro e a trasferirlo
contemporaneamente al sistema motorio di colui che percepisce. Questa ipotesi
appare influenzata dalla teoria dell'altro virtuale di Braten
25
, secondo la quale la
mente del neonato sarebbe fin dalla nascita organizzata in forma dialogica: la
percezione del Sé corporeo sarebbe operativamente accoppiata a quella di un altro
virtuale, rendendolo in tal modo capace di una percezione partecipante dei
movimenti dell'altro e quindi di coordinazione intersoggettiva.
Tuttavia, la scoperta recente dei neuroni a specchio è la teoria che Tronick
porta a sostegno della sua teoria di rispecchiamento empatico, in particolare
dell'idea di una rappresentazione cerebrale delle espressioni e delle azioni
intenzionali dell'altro fondata su un immagine motoria. I neuroni a specchio
forniscono un meccanismo di riconoscimento dell'azione. Questo meccanismo,
coinvolto anche nei processi di imitazione, permetterebbe di sentire un aspetto
fondamentale costitutivo dell'esperienza intersoggettiva, cioè la certezza implicita
di "essere come l'altro" o che "l'altro è come me".
Il neonato dialogico partecipa quindi a protoconversazioni nelle quali la
coordinazione reciproca dei comportamenti è garantita da oscillatori neurali
accoppiati, in grado di prescindere dalle parole e dal linguaggio, poiché fondati da
abilità intrinsecamente presenti dalla nascita. Trevarthen sottolinea che
l'immediatezza comunicativa, ed essenzialmente intersoggettiva, delle emozioni
comporta che ogni emozione, espressa da uno dei due partner, influisce
direttamente sulle emozioni e le motivazioni espresse dall'altro. Le emozioni che
generano le espressioni, separatamente nella madre e nel bambino, possono
giungere a unirsi in una confluenza di affetti, che sviluppa un'organizzazione
autonoma; l'agganciarsi reciproco di movimenti e vocalizzazioni, che hanno la
stessa frequenza, è l'evidenza empirica di questa confluenza.
24 Trevarthen C. (1998), "The concept and foundations of infant intersubjectivity", in Braten S.
(Ed.), Intersubjective communication and emotion in early ontogeny, Cambridge University
Press, Cambridge; citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
25 Braten S. (1998), op. cit.; citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
17
L'autore concettualizza uno sviluppo dell'intersoggettività infantile dalla sua
forma primitiva, innata, attraverso diverse fasi -o livelli di complessità diversa- che
si susseguono fino al secondo anno di vita. Determinanti, nelle transizioni tra una
fase e l'altra, sono essenzialmente le principali riorganizzazioni del sistema nervoso
del bambino e i relativi cambiamenti nel suo rapporto col mondo, sebbene anche il
sostegno degli adulti e il modo in cui si sviluppano le relazioni adulto-bambino
possono giocare un ruolo fondamentale.
Il primo livello, definito di “intersoggettività primaria”, si riferisce alla
coordinazione tra Sé e l'altro, basato sulla corrispondenza di espressioni
comunicative in base alla forma, al timing e intensità o sul rispecchiamento
empatico (l'imitazione neonatale e le protoconversazioni faccia-a-faccia).
Quando il bambino attorno ai 9-10 mesi, inizia a integrare le motivazioni ad
agire sugli oggetti e a comunicare con le persone, accederà ad una forma nuova di
intersoggettività “cooperativa”, riferita cioè alla coordinazione tra Sé, l'altro e
l'oggetto, attraverso lo scambio di gesti comunicativi e l'imitazione dei modi di
usare gli oggetti. Questa nuova esperienza intersoggettiva, definita da Trevarthen di
"intersoggettività secondaria", continua il suo sviluppo nel secondo anno di vita,
quando la consapevolezza della condivisione delle attenzioni, rispetto a particolari
oggetti, si arricchisce progressivamente della consapevolezza della condivisione di
significati, che sta alla base dei processi di apprendimento culturale.
5- Melzoff. L'esperienza dell'imitazione
Basandosi sugli esperimenti di imitazione condotti nelle prime settimane di
vita, Andrew Melzoff afferma che il bambino possiede una predisposizione innata a
percepire corrispondenze cross-modali tra ciò che vede sul volto del partner e ciò
che avverte propriocettivamente sul suo volto. L'esperienza che il neonato vive
nell'imitazione ha implicazioni profonde per lo sviluppo dell'esperienza
intersoggettiva, poiché consente l'acquisizione di una relazionalità fondamentale tra
Sé e l'altro, oltre che agevolare la capacità di differenziazione dell'ampia classe
degli altri in specifici individui.
18
Gli esperimenti condotti da Melzoff e Moore
26
hanno verificato che i
neonati di poche ore sono già in grado di imitare diversi movimenti facciali che un
adulto, in posizione faccia-a-faccia, ripete più volte, dopo aver ottenuto la loro
attenzione. La conclusione che gli autori hanno espresso dall'analisi dei risultati è
molto chiara: l'imitazione neonatale non può essere considerata un semplice
riflesso dato che, nei due minuti e mezzo seguenti la fase dimostrativa -dopo la
quale l'adulto assumeva una faccia neutra, mentre al piccolo veniva tolto il
succhiotto- il neonato produceva spontaneamente una serie di risposte imitative che
si avvicinavano progressivamente all'azione mostrata dall'adulto, mentre guardava
il volto neutro di quest'ultimo.
Basandosi sui propri studi sull'imitazione, Melzoff afferma che l'imitazione
è un processo attraverso il quale il Sé acquisisce qualche cosa dell'altro. Jean Piaget
definiva "imitazione differita" la capacità del bambino a partire dai 16 mesi di
imitare comportamenti osservati, dopo un intervallo abbastanza lungo, a
testimonianza del consolidamento nel bambino della capacità rappresentazionale
27
.
Melzoff e Moore dimostrano invece che la capacità di imitazione differita è
presente a 9 o addirittura a 6 mesi, a dimostrazione però che la rappresentazione
presimbolica abbia inizio alla nascita
28
. Attraverso questo processo imitativo, l'altro
diviene accessibile al Sé attraverso la percezione di corrispondenze cross-modali,
ed è da questa esperienza di connessione tra Sé e l'altro in cui è possibile collocare
l'origine dell'intersoggettività. Sé e Altro possono essere connessi perché le azioni
del loro corpo possono essere confrontate in termini commensurabili: “io posso
agire come l'altro e l'altro può agire come me”. Da qui l'origine di un primo senso
di Sé, dell'altro, della relazione e della intersoggettività presimbolica
29
.
26 Meltzoff A.N. e Moore M.K. (1977), "Imitation of Facial and Manual Gestures by Human
Neonates", Science, 198, 75-78; citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
Meltzoff A.N. e Moore M.K. (1989), "Imitation in newborn infants: Exploring the range of
gestures imitated and the underlying mechanisms", Developmental Psychology, 25, 954-962;
citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
27 Piaget J. (1937), La construction du réel chez l’enfant, Delachaux et Niestlé, Geneva; citato in
Lavelli M. (2007), op. cit.
28 Meltzoff A.N. e Moore, M.K. (1994), "Imitation, memory, and the representation of persons".
Infant Behavior and Development, 17, 83-99; citato in Lavelli M. (2007), op. cit.
Meltzoff A. N. e Moore, M. K. (1998), "Infant intersubjectivity: broadening the dialogue to
include imitation, identity and intention" in Bråten S. (Ed.), Intersubjective communication and
emotion in early ontogeny, Cambridge University Press, New York, 47-62; citato in Lavelli M.
(2007), op. cit.
29 Beebe B., Sorter D., Rustin J. e Knoblauch S. (2003), “A comparison of Meltzoff, Trevarthen,
19
L'imitazione avrebbe inoltre la funzione di differenziare l'ampia classe degli
altri in specifici individui in quanto, dai risultati sperimentali, si è osservato che
l'imitazione è usata dai piccoli anche per verificare l'identità degli individui, come
test comportamentale di riconoscimento dell'altro attraverso le sue modalità di
relazione tipiche
30
.
Infine, Melzoff tiene a precisare che se il primo incontro con l'altro è
garantito da una predisposizione innata del neonato, questo si trasforma e si
arricchisce però molto presto attraverso l'interazione interpersonale. I giochi di
imitazione reciproca contribuiscono infatti in modo determinante allo sviluppo
dell'intersoggettività, in quanto essendo esperienze bidirezionali, consentono al
lattante di esplorare le relazioni tra Sé e l'altro, in un atmosfera di connessione che
ha un forte significato motivazionale. L'altro diventa pian piano da entità con cui
condividere azioni a una persona con cui condividere obiettivi e intenzioni
31
.
6- Stern. La sintonizzazione degli affetti
L‟intersoggettività viene definita da Stern un bisogno e al tempo stesso una
condizione umana fondamentale. La nostra mente è "per sua natura costantemente
alla ricerca di altre persone con cui entrare in risonanza e condividere
esperienze
32
". Nonostante lo sviluppo del neonato si snodi, fin dalla nascita,
all'interno di una matrice intersoggettiva che consente una forma primitiva di
intersoggettività -definita nucleare- l‟esperienza d‟interazione con l‟altro può essere
considerata, a pieno titolo, di tipo intersoggettivo solo verso la fine del primo anno,
ovvero quando il bambino, in un salto quantico dello sviluppo, matura in Sé la
consapevolezza che ogni persona possiede stati interni, o stati mentali, che può
condividere con quelli degli altri
33
.
and Stern.” Psychoanalytic Dialogues, 13, 777–804.
30 Meltzoff A. N. e Moore M. K. (1992), "Early imitation within a functional framework: The
importance of person identity, movement, and development", Infant Behavior and Development,
15, 479-505.
31 Meltzoff A.N. e Moore M. K. (1998), op cit.
32 Stern D. (2004), “La costellazione materna: approcci terapeutici ai problemi relazionali precoci”.
Trad. It. In Sameroff A.J., McDonough S.C. e Rosenblum K.L. (a cura di), (2006), Il trattamento
clinico della relazione genitore-bambino, Il Mulino, Bologna, 63
33 Stern D.N. (2004), Il momento presente: in psicoterapia e nella vita quotidiana. Tr. it. Raffaello