Introduzione
Il calcestruzzo armato, dopo circa un secolo di vita, manifesta la sua vulnerabilità a causa
della qualità del materiale, all'azione del tempo, alle condizioni ambientali o alla perdita delle
prestazioni meccaniche provocate da eventi straordinari e da errate previsioni progettuali.
Per questi motivi, negli ultimi, anni è cresciuto l'interesse per il degrado ed il ripristino delle
strutture in calcestruzzo armato per salvaguardare il patrimonio edilizio esistente o per
renderlo fruibile anche dopo un suo degrado o, ancora, quando si dovesse presentare la
necessità di richiedere alla struttura maggiori prestazioni sia meccaniche che deformative.
E’ sensazione comune che i processi edilizi saranno sempre più rivolti verso la riqualificazione
e il rinforzo di strutture esistenza. Attualmente sono disponibili una serie di materiali di
ripristino che sono stati formulati per rispondere alle esigenze relative ad una varietà di
ambienti e di interventi.
Negli ultimi anni si sono sviluppati, in particolare, i materiali compositi i quali hanno trovato
largo impiego nel campo dell’Ingegneria civile, in applicazioni relative sia a strutture di nuova
costruzione che ad edifici già esistenti.
I sistemi di rinforzo realizzati con fibre di carbonio o fibre di vetro accoppiate a matrici
organiche (resine epossidiche) denominati FRP (Fiber Reinforced Polymer), sono quelli più
utilizzati. Tali compositi sono quelli che maggiormente sono stati approfonditi attraverso
ricerche sperimentali che hanno permesso di chiarirne il comportamento e svilupparne dei
modelli di calcolo. Vengono utilizzati in diversi settori come quello navale, aeronautico e
militare dove vengono sfruttati per la loro ineguagliabile resistenza specifica (resistenza a
trazione per unità di peso), per il binomio resistenza-leggerezza, che determina alte
prestazioni e bassa invasività dell’intervento sulla struttura esistente.
Agli ulteriori e innegabili vantaggi di intervento con tali compositi, come la facilità di
trasporto, la resistenza alla corrosione, la reversibilità dell’intervento di rinforzo,
corrispondono, tuttavia, alcune limitazioni: la matrice epossidica, con la quale vengono
applicati, presenta, infatti, scarsa resistenza al fuoco (T<80°) e richiede, per la sua corretta
polimerizzazione, assenza di umidità e temperature ambientali comprese tra i 5° e i 25°C; la
superficie di applicazione deve essere perfettamente planare per evitare distacchi del
rinforzo. L’applicazione di queste tipologie di rinforzo richiede, inoltre, maestranze altamente
specializzate.
In questo contesto quindi, si affacciano ora nuove generazioni di rinforzi.
A gli ormai “classici” FRP, si affiancano ora gli FRCM (Fiber Reinforced Cementitious Matrix) e
gli SRG (Steel ReinforcedGrout) che sfruttano sia le eccezionali proprietà di fibre di nuova
concezione come quelle in PBO (Poliparafenilenbenzobisoxazolo), sia un materiale come
l’acciaio, che, per quanto comune nel campo dell’edilizia, viene caratterizzato da lavorazioni
innovative che ne migliorano le prestazioni meccaniche. Tutte queste nuove tipologie di
compositi, nonostante siano state annoverate con nomenclature così differenti, sono però
accomunate dall’elemento che ne permette il funzionamento e l’adesione al supporto: la
matrice cementizia.
Gli SRG sono un metodo giovane e alternativo di rinforzo o ripristino strutturale, che coniuga
i vantaggi connessi all’utilizzo dei materiali compositi, quali l’uso di una fase fibrosa ad alta
Introduzione
resistenza e basso peso, con quelli connessi all’uso della matrice cementizia che, rispetto a
quella polimerica, garantisce un miglior comportamento alle temperature elevate. La matrice
cementizia consente una appropriata impregnazione ed inglobamento del rinforzo, oltre che
una migliore lavorabilità rispetto le resine polimeriche. L’applicazione di tali compositi non
richiede inoltre l’impiego di manodopera specializzata per la sua applicazione, consentendo
così una maggiore durabilità, ripetibilità ed economicità degli interventi.
Lo scopo della presente tesi è l'analisi e sperimentazione relativa al rinforzo strutturale di
elementi in calcestruzzo armato ripristinati al lembo inferiore, tramite l’applicazione di fibre
SRG con matrice cementizia. Il fine è quindi quello di studiarne il comportamento sotto carico
e le prestazioni meccaniche per giustificare lo sviluppo di un apposito modello matematico
tale poterne determinare la migliore progettazione e applicazione.
In una prima fase di introduzione vengono riportate le cause principali del degrado del
calcestruzzo armato a determinare un quadro generale del problema del ripristino e rinforzo
del cemento armato ai giorni nostri.
Si affronta poi la tematica dei materiali da impiegare in un sistema di ripristino,
descrivendone caratteristiche, modalità di scelta e di messa in opera, trattando i materiali
compositi più conosciuti come gli FRP ma in maniera più approfondita i materiali che
costituiscono la nuova frontiera che sono le fibre SRG applicate mediante matrice cementizia.
Sono inoltre inserite anche alcune applicazioni e sperimentazioni pratiche al riguardo, svolte
nelle più illustri università mondiali, per avere un confronto con altre esperienze, ma
soprattutto per scendere più a fondo nella tematica affrontata e avere dei supporti ulteriori
alla comprensione di tali materiali e del loro comportamento.
Nella seconda parte si riporta tutta la descrizione della campagna sperimentale affrontata e
la discussione dei test e dei risultati finali inerenti al contributo apportato dai ripristini SRG
applicati in zona tesa a travi sottoposte a flessione semplice.
La campagna sperimentale si divide in due parti. Nella prima parte vengono caratterizzati
tutti i materiali utilizzati nella sperimentazione e tramite prove di pull-off vengono scelte due
tipologie di matrice cementizia in base a caratteristiche sia meccaniche che di applicabilità da
utilizzare successivamente. Nella seconda parte si applicano, alle travi in c.a. ripristinate, le
fibre SRG con le matrici scelte nella precedente fase. Le travi sono quindi sottoposte a
flessione statica semplice e se ne studia la loro risposta in termini sia di resistenza che di
deformabilità.
La tematica del ripristino e rinforzo di strutture, sia in cemento amato che in muratura, sta
prendendo sempre più piede.
I progettisti si stanno rendendo conto che non basta più progettare le strutture in
calcestruzzo armato come fatto fin’ora, eccetto alcuni esempi meritevoli, basandosi
principalmente sulla verifica meccanica delle sezioni, ma è indispensabile diffondere una
nuova concezione del calcestruzzo armato, più completa ed articolata, che porti a scegliere i
materiali anche in base alla durabilità e non più solo sulla resistenza, in base al luogo in cui
verranno posizionati. Si deve prestare maggiore attenzione e cura alle operazioni di cantiere,
di confezionamento dei materiali e alla realizzazione dei particolari costruttivi. Il progetto di
Introduzione
una costruzione di qualità non può rimanere rinchiusa all’interno di una serie di disegni e
relazioni, ma deve mostrarsi fisicamente nel luogo e nel tempo prestabiliti attraverso la
corretta esecuzione in cantiere e il controllo da parte dei tecnici preposti.
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CAPITOLO I
IL DEGRADO DEL CALCESTRUZZO ARMATO
1.1 Generalità
Il calcestruzzo è per sua natura un materiale non omogeneo. Il fatto stesso che venga considerato tale, in
fase progettuale determina l’impossibilità di stabilire come e quando inizierà a perdere le sue
caratteristiche e le proprietà previste in fase di progettazione.
Anche un calcestruzzo di qualità scadente non si degrada se non esistono le condizioni aggressive
dell’ambiente e dall’altra parte, un ambiente aggressivo non provoca il degrado di un calcestruzzo
adeguatamente durevole. Mentre non si possono modificare - salvo casi eccezionali - le condizioni
dell’ambiente, è sempre possibile confezionare un calcestruzzo di durabilità sufficientemente elevata da
poter resistere alle aggressioni ambientali. Il problema di costruire con un calcestruzzo durevole si può
risolvere, quindi, valutando, sia pur approssimativamente, le condizioni aggressive dell’ambiente e
scegliendo un livello di adeguata durabilità per il calcestruzzo capace di opporsi alle aggressioni
ambientali.
Le disomogeneità del calcestruzzo sono importanti per la durabilità perché possono avviare ed accelerare
i processi di degrado, fisico e chimico.
Le macro disomogeneità sono ovviamente dipendenti dalla natura intrinseca del calcestruzzo e dipendono
chiaramente dai fenomeni che si verificano durante l’impasto: cambi del contenuto d’acqua, degli
aggregati, vibrazione del calcestruzzo e in presenza di armature il processo è accelerato dal fenomeno
dalle corrosione delle stesse.
Il processo di degrado del calcestruzzo ed i fenomeni di corrosione delle armature metalliche sono
strettamente correlati tra loro.
Di seguito vengono descritte le principali cause di degrado degli elementi strutturali in cemento armato.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
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1.2 Fattori che influenzano la durabilità del calcestruzzo
1.2.1 Influenza del rapporto acqua/cemento
La durabilità del calcestruzzo dipende in gran parte dalla permeabilità del materiale all’aria e, soprattutto,
all’acqua. Se esso è impermeabile a questi fluidi, gli agenti aggressivi in esso contenuti non possono
penetrare nel materiale e quindi di fatto il calcestruzzo risulta essere durevole. La permeabilità e quindi la
durabilità del calcestruzzo dipendono dalla presenza di cavità nel conglomerato.
Quando queste cavità sono per il gran numero e la notevole dimensione collegate le une alle altre, si può
stabilire una porosità continua all’interno del materiale che rende permeabile e quindi degradabile il
calcestruzzo in un ambiente aggressivo. Il problema di rendere un calcestruzzo impermeabile e quindi
durevole consiste quindi nel realizzare una porosità discontinua che non consenta agli agenti aggressivi di
permeare il materiale.
Nel calcestruzzo esistono due tipi di cavità:
a) i pori capillari con diametro variabile tra 0.01 e 10μm situati nella paste di cemento
b)le macrocavità con diametro variabile tra 0.1 e 10mm dovute ad una imperfetta compattazione del
calcestruzzo fresco, situate tra la pasta di cemento e gli inerti.
Si può dimostrare che il volume dei pori capillari dipende sostanzialmente dal rapporto acqua cemento
(a/c) dell’impasto e dalla frazione α di cemento che ha reagito con l’acqua. L’equazione (1.0) dimostra
come varia il volume V dei pori capillari (espresso in litri per 100 Kg di cemento) in funzione del rapporto
a/c e di α, detto anche grado di idratazione:
V = 100 a/c - 36.15 α (1.0)
Minore è il volume dei pori capillari, maggiore è la probabilità che essi siano isolati e quindi tali da
garantire l’impermeabilità del calcestruzzo. La tabella 1.0 riporta i rapporti di acqua e cemento ed i tempi
di stagionatura necessari a raggiungere questa condizione .
a / c Tempo
0.4 3 giorni
0.45 7 giorni
0.5 2 settimane
0.55 1 mese
0.6 6 mesi
0.70 1 anno
› 0.70 infinito
Tabella 1.0 - Tempo richiesto per l’isolamento dei pori capillari e per l’impermeabilità del calcestruzzo in
funzione del rapporto acqua cemento[5].
Come si può dedurre dall’equazione (1.0) per ridurre la porosità capillare si può ridurre il rapporto a/c
dell’impasto e far aumentare il grado di idratazione del cemento cioè prolungare la stagionatura del
calcestruzzo.
In altre parole il calcestruzzo, per certi aspetti, è come il vino. Una stagionatura scadente rischia di
penalizzare le qualità del prodotto nonostante la buona scelta delle materie prime. Un buon mix-design
(che ha tenuto in conto le difficoltà di getto e la conseguente lavorabilità da adottare, le prestazioni
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
- 3 -
meccaniche e l’esposizione ambientale della struttura, come anche il copriferro e le conseguenti
limitazioni sulla dimensione massima dell’aggregato) rischia di non essere sufficiente per il
raggiungimento delle prestazioni programmate se il manufatto è lasciato in balia degli eventi atmosferici
al momento della sformatura.
Infatti, un clima asciutto, caldo e ventilato al momento della scasseratura, comporta una rapida
essiccazione della parte corticale del manufatto con una serie di conseguenze negative sulla stabilità
dimensionale e sulla durabilità dell’opera:
a) minore idratazione del cemento in superficie per carenza di acqua con conseguente maggiore porosità
proprio nella parte più funzionale (il copriferro) alla protezione delle armature metalliche;
b)rischio di fessurazione (Fig 1.) a causa del maggior ritiro igrometrico sulla parte corticale con
conseguente precoce carbonatazione del copriferro e conseguente rischio di corrosione delle armature
metalliche;
c)minore resistenza meccanica della parte corticale con rischio di penalizzazione della resistenza
meccanica sulla superficie del manufatto facilmente individuabile con misure sclerometriche;
d)minore resistenza all’abrasione in caso di manufatti esposti a sollecitazioni in superficie come le
pavimentazioni industriali.
D’altra parte, un clima saturo di umidità al momento della sformatura, e persistente per alcuni giorni
(almeno 3, possibilmente 7), consente di completare l’idratazione del cemento nella “pelle” della struttura
senza alcuno degli inconvenienti sopra lamentati. Chi può - al momento della stesura delle prescrizione di
capitolato - prevedere se il clima, al momento della sformatura, sarà umido - e quindi favorevole alla
qualità del manufatto in opera - o secco e penalizzante per le prestazioni della struttura? Ed ancora:
ammesso e non concesso che per qualche fortunata struttura il clima si mantenga saturo di umidità per il
tempo necessario alla buona stagionatura del manufatto, come poter essere certi che questo evento
favorevole si estenda a tutte le strutture che compongono l’esecuzione dell’opera in tutta la sua durata ?
Per questi motivi, un capitolato che non tenga conto di questi importanti aspetti tecnologici per le
prestazioni delle strutture in servizio è di fatto un pessimo capitolato, qualunque sia la cura messa nella
specifica delle altre operazioni (scelta delle materie prime, composizione, miscelazione, compattazione,
ecc.). L’incuria ha conseguenze tanto più penalizzanti, e talvolta devastanti (si pensi, per esempio, alle
costruzioni in aree geografiche del medio-oriente), quanto più secco è il clima in quanto maggiore è la
disidratazione della parte corticale del manufatto.
D’altra parte in climi freddi, che rallentano l’idratazione del cemento e quindi l’indurimento della corteccia
del manufatto, il rischio di una stagionatura troppo breve, ancorchè accurata, potrebbe avere
conseguenze altrettanto devastanti di quelle registrate nei climi secchi e ventilati: per questo motivo le
raccomandazioni per un’adeguata stagionatura tengono conto anche delle condizioni termiche, oltre alla
classe di resistenza meccanica del cemento scelto: più rapido, infatti, è lo sviluppo della resistenza
meccanica del cemento, minore è la dipendenza del grado di idratazione e dell’indurimento del copriferro.
Nella Tabella 1, all’interno della norma UNI EN 206-1, vengono indicati i tempi di stagionatura in funzione
delle condizioni climatiche al momento della sformatura e della classe del cemento prescelto.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
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Fig. 1.0 - Fessure indotte dal ritiro igrometrico sulla superficie non stagionata[5].
In sostanza bisogna impedire l’evaporazione dell’acqua dal calcestruzzo verso l’ambiente durante i primi
giorni dal getto. Per realizzare questo obiettivo ci sono diverse modalità non tutte equivalenti tra loro per
costo ed efficacia.
Il metodo più efficace si basa sulla continua bagnatura con acqua delle superfici appena sformate. Il
metodo è spesso adottato nel settore del calcestruzzo prefabbricato mediante spruzzatori automatici di
acqua nebulizzata sui manufatti in attesa di stoccaggio prima della loro spedizione al cantiere. Il costo è
relativamente modesto, in prefabbricazione, perchè la installazione dei nebulizzatori di acqua viene fatta
una tantum e successivamente l’operazione è completamente automatizzata senza l’aggravio di
manodopera.
Nel caso delle strutture gettate in opera ,invece, la nebulizzazione richiederebbe più installazioni in
funzione dell’avanzamento dei lavori e un maggior aggravio di manodopera per lo spostamento e la
regolazione dei nebulizzatori. Per i manufatti gettati in opera, un’alternativa alla stagionatura con acqua
nebulizzata può essere individuata nell’applicazione di agenti stagionanti (curing compound in inglese)
sotto forma di membrane anti-evaporanti; queste sono costituite da prodotti cerosi disciolti in un solvente
e spruzzati una sola volta sulle superfici appena sformate: l’evaporazione del solvente comporta il
deposito di una membrana pellicolare del prodotto ceroso sulla superficie da cui l’evaporazione di acqua
risulta fortemente rallentata, se non proprio completamente impedita, proprio dal sottile strato di cera. La
stabilità della pellicola anti-evaporante, purchè non rimossa meccanicamente, è assicurata per un periodo
sufficientemente lungo (da una settimana ad un mese) per garantire una buona stagionatura umida in
qualsiasi condizione ambientale. L’unico inconveniente della protezione con gli agenti stagionanti è
rappresentato dalla necessità di rimuovere meccanicamente la pellicola in caso di riprese di getto sulla
superficie trattata con la membrana anti-evaporante e, per questo, resa meno aderente ai getti di
calcestruzzo successivo.
Un metodo analogo al precedente consiste nell’applicare, sulla superficie del manufatto appena sformato,
un foglio di plastica impermeabile purchè assicurato a contatto della “pelle” di calcestruzzo per impedire
una evaporazione localizzata con condensa della umidità sulla superficie interna del foglio di plastica.
Un’altra modalità adottabile per le strutture gettate in opera, più efficace della precedente, si basa
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
- 5 -
sull’applicazione di una tela di sacco bagnata permanentemente mediante saltuarie ma ripetute
applicazioni di acqua sulla superficie
[5]
.
1.2.2 Influenza della lavorabilità
La lavorabilità è una caratteristica del calcestruzzo fresco che indica la capacità dell’impasto di poter
essere messo in opera. Essa può essere determinata in diversi modi; il più semplice e rapido è la misura
dello slump, cioè dell’abbassamento del calcestruzzo al cono di Abrams. Maggiore è lo slump, maggiore è
la lavorabilità e più facile e rapida è la messa in opera.
La lavorabilità può condizionare in maniera determinante le caratteristiche del calcestruzzo indurito. Si è
già detto che la qualità del calcestruzzo migliora al diminuire del rapporto acqua cemento. Tuttavia se per
garantire la durabilità è necessario adottare un rapporto a/c così basso che la lavorabilità risulta
insufficiente a consentire una completa compattazione del calcestruzzo fresco, tutte le considerazioni
precedenti sulla porosità capillare diventano solo esercitazioni teoriche. Infatti un calcestruzzo poco
lavorabile porterà ad un manufatto con tanti e tali macroporosità al confronto delle quali i pori capillari
diventano del tutto trascurabili.
La prescrizione della lavorabilità è una decisione dalla quale non ci si può esimere se si vuole realmente
garantire la durabilità delle strutture in calcestruzzo. In generale, occorre tener presente che la
lavorabilità del calcestruzzo al momento del getto deve essere tanto più elevata, quanto più difficile è
l'esecuzione dell'opera e quanto più insoddisfacente è la qualità della manodopera e delle attrezzature di
cantiere.
La prescrizione della lavorabilità, unitamente a quella del rapporto a/c, comporta automaticamente la
determinazione di un dosaggio di cemento. Infatti, per raggiungere una determinata lavorabilità è
necessario impiegare un determinato quantitativo d'acqua, il cui valore esatto dipenderà dal tipo di inerte
impiegato (in particolare il diametro massimo).
Esistono delle correlazioni che consentono di prevedere l'acqua d'impasto in relazione agli inerti
impiegati.
1.2.3 Influenza della stagionatura
Un altro aspetto importante per garantire la durabilità del conglomerato cementizio, al quale si è già
accennato, riguarda la stagionatura del calcestruzzo indurito. La riduzione di porosità, e quindi il
miglioramento della durabilità, possono essere conseguite non solo riducendo il rapporto a/c, ma anche
aumentando il grado di idratazione. Per aumentare il grado di idratazione è necessario mantenere umido
il calcestruzzo il più a lungo possibile.
In teoria, la migliore stagionatura del calcestruzzo consiste nel mantenerlo umido, spruzzandolo con
acqua o proteggendolo con teli umidi. In pratica, per ridurre il tempo di stagionatura entro limiti di tempo
ragionevolmente accettabili, si può ricorrere alla protezione della struttura con agenti stagionanti,
consistenti in pellicole antievaporanti applicate a spruzzo subito dopo la scasseratura.
Vale la pena sottolineare l'importanza di una adeguata stagionatura, soprattutto nei climi asciutti, non
solo perché è indispensabile per assicurare l'impermeabilità del manufatto, ma anche per evitare che una
essiccazione del calcestruzzo, prematuramente esposto all'aria asciutta, determini un ritiro eccessivo con
conseguenti pericolose fessurazioni che provocano, a loro volta, la corrosione delle armature.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
- 6 -
1.2.4 Spessore dello spessore del copriferro
L'aumento di tale parametro consente di allungare il tempo necessario per l'innesco dei fenomeni
corrosivi, aumentando la profondità che carbonatazione o penetrazione dei cloruri devono raggiungere
per depassivare le armature.
Quando si progetta una struttura in c.a., note le caratteristiche del calcestruzzo, e quindi la velocità con
cui possono penetrare la carbonatazione o i cloruri, è possibile determinare lo spessore di copriferro
necessario per garantire un tempo di innesco sufficientemente lungo (UNI EN 1991-1-1:2004 Parte 1-1,
.4.4.1). Va inoltre osservato che l'aumento dello spessore di copriferro ritarda anche la fessurazione del
calcestruzzo causata da sforzi indotti dai prodotti di corrosione delle armature e, nel caso di strutture
immerse in acqua di mare, aumenta la resistenza elettrica attorno alle armature, riducendo l'attività di
eventuali macrocoppie. Al crescere dell'aggressività ambientale è in teoria possibile, attraverso un
aumento dello spessore di copriferro, mantenere costante il grado di affidabilità delle strutture
[5]
.
In pratica, però, gli spessori non possono superare certi limiti per motivi economici e tecnici (ad esempio
per spessori di copriferro elevati aumenta notevolmente il rischio di fessurazione a causa del ritiro
igrometrico del calcestruzzo).
1.2.5 Influenza della corrosione delle armature
Il ferro (o meglio l'acciaio al carbonio) normalmente si corrode in tutti gli ambienti più comuni
(atmosfera, acqua, terreno). Nel calcestruzzo, invece, si autoprotegge, grazie all'elevata alcalinità fornita
dalle reazioni di idratazione dei costituenti del cemento, con una pellicola protettiva solitamente molto
resistente (pH>11.5, condizioni di passività).
Come mai allora non è insolito vedere vecchie strutture in cemento armato, e talora anche opere di
recente fabbricazione, con i ferri arrugginiti in bella vista?
E' evidente che in questi casi la protezione dei ferri di armatura è venuta meno, contraddicendo la
convinzione che, come erano (e talvolta sono ancora) soliti affermare gli esperti di scienza delle
costruzioni, il ferro nel cemento debba durare in eterno!
La causa dell'attacco che il ferro subisce è da attribuire alla perdita di alcalinità che gradatamente nel
tempo può verificarsi a seguito dell'ingresso nel copriferro di sostanze acidificanti, come l'anidride
carbonica, oppure di cloruri, forniti da atmosfere marine o da sali antigelo che li contengono, anch'essi
indirettamente colpevoli di abbassare il pH del calcestruzzo a contatto con le armature.
E' evidente che il copriferro, in virtù del suo spessore e della sua compattezza, dovrebbe teoricamente
costituire la migliore barriera all'ingresso delle sostanze potenzialmente aggressive nei riguardi del ferro;
pertanto, un proporzionamento ottimale del calcestruzzo ed una scelta oculata dello spessore del
copriferro dovrebbero garantire una vita in servizio dell'opera più che soddisfacente.
Una scelta ottimale del rapporto acqua/cemento incide profondamente sulle proprietà di protezione del
calcestruzzo. Tuttavia, a causa di una cattiva posa in opera (mancato controllo dello spessore del
copriferro, compattazione insufficiente, maturazione inadeguata, ecc.), nonostante la premessa di un
buon mix-design, potrebbe ottenersi un'opera suscettibile di ingresso di ossigeno o di agenti corrosivi con
grave pregiudizio della sua funzionalità
[5]
.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
- 7 -
La distruzione del film protettivo è la condizione necessaria perchè la corrosione possa avvenire. Una
volta distrutto il film, la corrosione si produce solo se alla superficie delle armature sono presenti acqua e
ossigeno oppure, nel caso di correnti disperse, se l'interferenza continua nel tempo.
Nella vita della struttura in calcestruzzo armato si possono individuare due fasi nettamente distinte: una
di innesco della corrosione, in cui si producono i fenomeni che portano alla perdita delle condizioni di
passività e una fase di propagazione più o meno veloce dell'attacco, a partire dal momento in cui il film
protettivo viene distrutto. La morfologia di tali attacchi è nettamente differente, pertanto:
- la corrosione da carbonatazione si presenta uniformemente distribuita sulla superficie dell'armatura;
- la corrosione da cloruri risulta in generale di tipo localizzato con attacchi penetranti, che si configurano
come crateri (pitting), circondati da zone non corrose; solo nel caso di elevati tenori di cloruri il film può
essere distrutto su ampie zone delle armature per cui la corrosione appare di tipo generalizzato;
- la corrosione da correnti disperse si localizza nelle zone dove la corrente lascia le armature.
Fig. 1.1 - Periodo di innesco e propagazione della corrosione[5]
I fenomeni corrosivi risultano spesso segnalati dalla comparsa alla superficie esterna del calcestruzzo di
macchie di ruggine oppure da danneggiamenti del copriferro provocati dall'azione espansiva dei prodotti
di corrosione. Questi occupano infatti un volume molto maggiore rispetto a quello del ferro da cui
provengono; l'aumento di volume dipende dalla composizione e dal grado di idratazione degli ossidi che si
formano: ad esempio, il volume degli ossidi Fe2O3, Fe(OH)3, Fe(OH) _ 3H2O risulta rispettivamente circa
2, 3, 4 e 6 volte superiore a quello del ferro. Nei casi di attacco corrosivo localizzato, il calcestruzzo può
però presentare una superficie esterna integra.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
- 8 -
Le principali conseguenze strutturali dell'attacco corrosivo sono schematizzate in Figura 1.2. Soprattutto
quando l'attacco è localizzato, la riduzione della sezione resistente delle armature può essere tale da
portare alla diminuzione delle loro capacità di sopportare i carichi statici e dinamici.
Fig. 1.2 - Conseguenze strutturali della corrosione[2]
Carbonatazione
L'anidride carbonica presente nell'atmosfera, in tenori variabili da 0.04% in ambiente rurale a 0.2% in
ambiente cittadino, quando viene a contatto con il calcestruzzo tende a neutralizzare, a partire dagli strati
più esterni, i suoi componenti alcalini. Anche altre sostanze acide, ad esempio l'anidride solforosa o gli
ossidi di azoto, possono neutralizzare l'alcalinità del calcestruzzo, ma la loro azione risulta in genere
trascurabile rispetto a quella della CO2.
I costituenti alcalini sono presenti nella soluzione all'interno dei pori (prevalentemente come idrossidi di
sodio e potassio), ma anche nella matrice cementizia sotto forma di idrossido di calcio (portlandite), di
silicati di calcio idrato e di solfo-alluminati di calcio o di calcio e ferro.
La reazione di carbonatazione si può scrivere schematicamente come:
CO2 + Ca(OH)2 = CaCO3 + 2H2O (1.3)
ma in realtà si produce in soluzione acquosa attraverso varie reazioni intermedie.
La carbonatazione non provoca alcun danno al calcestruzzo; anzi, almeno nel caso di calcestruzzi ottenuti
con cemento portland, riduce la porosità e porta a una maggiore resistenza meccanica. Ha invece
importanti conseguenze nei confronti delle armature; infatti il pH della soluzione dei pori del calcestruzzo
si riduce dai valori iniziali, in genere compresi tra 13 e 14, a valori vicini alla neutralità.
L'acciaio nel calcestruzzo carbonatato si trova quindi a contatto con l'acqua praticamente pura,
caratterizzata da un valore di pH ben al di sotto di 11.5, minimo valore necessario per assicurare, in
assenza di cloruri, le condizioni di passività.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
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Fig. 1.3 - Andamento qualitativo della velocità di carbonatazione[11]
Corrosione da cloruri
I cloruri rappresentano una causa frequente di corrosione delle armature. Questo si verifica ad esempio
nelle strutture marine o in opere stradali su cui si spargono Sali disgelanti. E' importante osservare che,
quando si interviene per il recupero di strutture realizzate in passato, è invece necessario verificare la
presenza di cloruri che possono essere stati aggiunti nel getto tramite l'acqua d'impasto o gli aggregati
oppure tramite gli additivi.
L'attacco corrosivo può aver luogo solo quando la concentrazione dei cloruri raggiunge un valore
sufficientemente elevato a contatto con le armature. Il contenuto di cloruri necessario per danneggiare il
film che protegge le armature dipende dal potenziale delle armature, che a sua volta è legato alla
quantità di ossigeno che raggiunge la loro superficie.
Fig. 1.4 - Schema di un attacco di tipo pitting[11]
Meccanismo: la distruzione del film protettivo provocata dai cloruri ha luogo, almeno in condizioni di pH
elevato, in forma localizzata, per cui è localizzato anche l'attacco conseguente. Le zone non più protette
funzionano da anodo (zone in condizione di attività) rispetto a quelle circostanti su cui, invece, ha luogo
la riduzione di ossigeno (zone ancora in condizioni di passività). La morfologia dell'attacco è quella tipica
della forma di corrosione localizzata del pitting. Se alla superficie delle armature si raggiungono tenori di
cloruri molto elevati, l'attacco può interessare aree estese, per cui la morfologia tipica del pitting è meno
evidente. Il meccanismo comunque non cambia.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
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1.3 Cause chimiche di degrado
1.3.1 Attacco di solfati, solfuri e cloruri
Tra le varie cause di degrado, quelle che si innescano in maniera del tutto naturale sono quelle di tipo
chimico. La struttura del calcestruzzo, infatti, tende ad essere instabile nel tempo favorendo l’innesco
spontaneo di processi chimici come la carbonatazione, rendendola facile preda per l’attacco da parte dei
solfati, solfuri e cloruri.
Spesso il calcestruzzo viene a contatto con acque o terreni contenenti solfati. Questi possono penetrare
nel calcestruzzo e reagire con i costituenti della matrice cementizia per dar luogo a reazioni chimiche con
formazione di prodotti espansivi. Possono così prodursi rigonfiamenti che, partendo dagli spigoli e dagli
angoli dei manufatti, danno luogo a fessurazioni, disgregazioni e distacchi. L'attacco dei solfati può anche
manifestarsi come progressiva perdita di resistenza della pasta cementizia in seguito a una diminuzione
della coesione tra i prodotti di reazione.
Le reazioni chimiche che in presenza di solfati conducono alla formazione di prodotti espansivi sono
sostanzialmente di due tipi:
a) con l'idrossido di calcio per formare gesso biidrato (che causa l'aspetto biancastro delle superfici del
calcestruzzo soggetto ad attacco solfatico):
Ca(OH)
2
+ SO
-2
4
+ 2H
2
O CaSO
4
* 2H
2
O + 2OH
-
(1.1)
b) con gli alluminati idrati di calcio per dare ettringite
Mentre la formazione di ettringite causa l’aumento di volume solido del calcestruzzo, la formazione di
gesso produce la riduzione della sua resistenza meccanica.
Esistono norme, tipo quella americana ACI 201, che forniscono indicazioni su come confezionare il
calcestruzzo in base all’ambiente al quale poi sarà esposto, considerando il rapporto a/c e il tipo di
cemento da utilizzare. In Italia la norma UNI 8981-2 elenca i fenomeni causati dall’azione dei solfati sul
calcestruzzo, fornisce un criterio per valutare il grado di aggressività dell’ambiente e infine indica i
provvedimenti da adottare per prevenire l’attacco
[11]
.
1.3.2 Reazioni alcali-aggregato
Nel caso in cui il calcestruzzo venga confezionato con aggregati contenenti soprattutto alte percentuali di
silice amorfa, in presenza di ambienti fortemente umidi e di alte temperature, si possono verificare
reazioni con gli ioni (OH
-
) associati agli alcali presenti nel cemento. La reazione alcali-aggregato comporta
un rigonfiamento localizzato degli aggregati reattivi che si manifesta nel tempo con fessurazioni di forma
irregolare dalle quali fuoriesce un liquido gelatinoso e biancastro (silicato sodico) oppure in sollevamenti
di conetti di calcestruzzo, noti come pop-out, soprattutto nei pavimenti industriali rinforzati in superficie
con cemento e quarzo. Alla fessurazione segue solitamente il distacco superficiale del calcestruzzo a
causa dell'azione dirompente provocata dal rigonfiamento degli aggregati.
Poiché il decorso della reazione alcali-aggregato richiede in genere tempi molto lunghi (da qualche mese
a qualche decina d'anni), il fenomeno si presenta molto insidioso in quanto comporta il degrado della
struttura quando essa è ormai da tempo in pieno servizio.
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
- 11 -
L'azione aggressiva del cloruro di sodio sul calcestruzzo è stata per lungo tempo mascherata dalla
concomitante azione corrosiva del cloruro sulle armature: in sostanza, la permeazione ed il distacco del
copriferro sono provocati tanto dal rigonfiamento del ferro che si ossida quanto, ed ancor di più, dal
rigonfiamento degli aggregati reattivi. Per quanto l’esatto meccanismo della reazione alcali-aggregato non
sia stata del tutto chiarito, sono stati individuati alcuni parametri fondamentali che concorrono al decorso
del fenomeno distruttivo: la reazione si manifesta tanto più velocemente ed intensamente quanto più
aumentano:
a) contenuto di sodio e potassio nella fase acquosa che riempie i pori capillari della pasta cementizia
b) quantità degli aggregati silicei mal cristallizzati ed amorfi
c) umidità relativa del’’ambiente
E’ sufficiente che manchi una delle tre suddette condizioni perché il fenomeno non si manifesti o si
manifesti senza danni apparenti.
1.3.3 Attacco dell’anidride carbonica
L'anidride carbonica può essere presente nell'acqua e nell'aria. I meccanismi di aggressione da parte
dell'anidride carbonica nei confronti delle strutture in calcestruzzo sono significativamente differenti a
seconda che ci si riferisca alle opere idrauliche esposte alle acque ricche in anidride carbonica
(dilavamento), o alle strutture armate esposte all'aria contenente tale gas (carbonatazione del
calcestruzzo e corrosione dei ferri di armatura).
Dilavamento del calcestruzzo
II problema del dilavamento del calcestruzzo da parte di acque ricche in anidride carbonica riguarda
soprattutto le costruzioni (per esempio dighe e canali) in alta montagna esposte all'azione di acque
relativamente pure ed in movimento.
Tutte le acque naturali contengono una certa quantità di anidride carbonica (CO2). Essa può essere
presente sotto forma di acido carbonico, (H2CO3), che dissociandosi in ioni H, HCO3 e CO2 conferisce
all'acqua un pH inferiore a 7.
Il carbonato di calcio (CaCO3) è normalmente presente in una pasta di cemento o in un calcestruzzo per
la carbonatazione del Ca(OH)2 a contatto con l'anidride carbonica dell'aria.
II CaCO3 è considerato un sale insolubile; in realtà, esso presenta una solubilità, sia pure modesta, che
in acqua pura priva di anidride carbonica libera è di 0,0131 g/l.
Se l'acqua è a contatto con un'atmosfera contenente anidride carbonica, come si verifica, per esempio,
con l'aria normale, la solubilità del CaCO3 aumenta sensibilmente. L'aumento di solubilità è dovuto alla
trasformazione del CaCO3, sale di per sé poco solubile, in Ca(HCO3)2 molto solubile:
CaCO3 + H2CO3 ↔ Ca(HCO3)2 (1.2)
II significato della (1.2) è il seguente: se il carbonato di calcio solido è in contatto con un'acqua
relativamente ricca di CO2 libera, e quindi di H2CO3, l'equilibrio chimico rappresentato dalla (1.2) tende a
spostarsi verso destra, cioè verso la formazione del bicarbonato di calcio che, per la sua elevata
solubilità, sarà presente completamente sotto forma di sale disciolto in acqua: un'acqua contenente
anidride carbonica aggressiva, e che venisse in contatto con una pasta di cemento, o con un calcestruzzo
Capitolo 1 Il degrado del calcestruzzo armato
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indurito, accentuerebbe il fenomeno del dilavamento della calce, e in generale di tutti i sali di calcio, e
potrebbe portare in talune circostanze ad una sensibile degradazione del materiale.
Se, al contrario, il carbonato di calcio è a contatto con acqua relativamente povera in CO2 libera, e quindi
di H2CO3, l'equilibrio della reazione (1.1) tende a spostarsi verso sinistra, e cioè verso la formazione di
incrostazioni di CaCO3, poco solubile, che si deposita come solido a spese del bicarbonato disciolto
nell'acqua.
Carbonatazione del calcestruzzo e corrosione dei ferri
L'azione dell'anidride carbonica dell'aria nei confronti del calcestruzzo consiste fondamentalmente nella
neutralizzazione della calce presente nel calcestruzzo (carbonatazione) con conseguente abbassamento
della basicità dell'ambiente: il pH solitamente al di sopra di 13 per effetto della calce, Ca(OH2), si
abbassa al di sotto di 11 per effetto della carbonatazione:
Ca(OH)2 + CO2 ↔ CaCO3 + H2O (1.3)
L'abbassamento del pH avviene ovviamente prima nelle zone corticali della struttura e solo
successivamente in quelle più interne.
A differenza dell'azione del dilavamento, che danneggia superficialmente il calcestruzzo per asportazione
di calcare, la carbonatazione non deteriora assolutamente questo materiale, giacché la formazione di
calcare CaCO3, in luogo della calce, Ca(OH)2, è un processo semmai consolidante per il calcestruzzo.
Tuttavia, l’incremento della penetrazione della CO2 nel calcestruzzo rende i ferri di armatura più esposti
all'azione corrosiva perché l'ossigeno e l'umidità ambientale sono in grado, se i ferri non sono protetti da
un calcestruzzo basico a pH 13, di corrodere le armature.
Tuttavia, il fenomeno della corrosione per carbonatazione è sostanzialmente legato all'impiego di un
calcestruzzo poroso e permeabile per effetto di un elevato rapporto acqua/cemento o mal stagionato.
Le armature metalliche in presenza dell'ossigeno e dell'umidità dell'ambiente possono subire un degrado
consistente nella trasformazione chimica da ferro metallico (Fe) a ossidi o idrossidi di ferro (ruggine) se il
pH del calcestruzzo che avvolge i ferri è inferiore a 11. Il processo può essere schematizzato con la
reazione:
4Fe + 3O2, + 2H2O ↔ 4Fe(OOH) (1.4)
La reazione può avvenire più facilmente nelle strutture in calcestruzzo armato dove il copriferro non
protegge adeguatamente i ferri dalla penetrazione dell'aria umida.
La corrosione dei ferri d'armatura presenta sostanzialmente due fenomeni degradanti: il primo, più
pericoloso, riguarda la diminuzione di sezione del ferro metallico; il secondo comporta un distacco del
copriferro (Fig. 1.2) a causa del rigonfiamento del ferro sottostante che accompagna la trasformazione
del metallo in ruggine più voluminosa del ferro.