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INTRODUZIONE
Nel 1968 Ugo Gregoretti gira a Roma il film Apollon, una fabbrica occupata.
A quattro decenni dalla sua uscita la pellicola, ambientata in una tipografia romana
occupata dagli operai, resta uno dei documenti filmici maggiormente rappresentativi
dell‟intensa stagione di lotte sindacali che vide protagonista la classe operaia nel biennio
1968-1969. Eccentrico rispetto alla tendenza prevalente del documentario militante,
Apollon, una fabbrica occupata non è tanto una registrazione degli avvenimenti quanto
piuttosto la loro ricostruzione in forma narrativa.
Il film è la lunga cronaca dell‟occupazione della tipografia romana Apollon durata oltre
un anno, dal 1968 al 1969: Ugo Gregoretti mette in atto un‟operazione rivoluzionaria,
elaborando un copione e facendolo interpretare agli operai della fabbrica.
La dissertazione si apre con la contestualizzazione del film nell‟epoca storica e
cinematografica in cui venne realizzato, contenuta nel primo capitolo: si indicano i
momenti salienti delle lotte operaie e delle contestazioni studentesche e si propone un
quadro generale del panorama cinematografico italiano di quel particolare momento
storico, in cui si sviluppano nuove teorie sull‟utilizzo del mezzo cinematografico che
influenzeranno la nascita di un cinema di impostazione e contenuto politico e militante.
Successivamente l‟attenzione si rivolge alla figura dell‟autore Ugo Gregoretti: nel
secondo capitolo si individua il percorso cinematografico che dal cinema degli esordi,
contraddistinto dalla pratica sociale, conduce l‟autore alla realizzazione di un cinema
contraddistinto dall‟impegno politico. Il terzo capitolo analizza il film “Apollon,una
fabbrica occupata” nei minimi dettagli: viene proposta un‟analisi tecnica basata sulla
visione critica della pellicola coadiuvata dalla raccolta e la comprensione di documenti e
informazioni riguardanti l‟opera: un documentario dedicato al film realizzato da Guido
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Albonetti nel 2007, alcuni approfondimenti realizzati dalla redazione del sito internet
www.rassegna.it e articoli di giornale reperiti presso l‟archivio on-line de L’Unità.
L‟analisi consente di individuare le caratteristiche peculiari dell‟opera, elencate ed
approfondite nel quarto capitolo, in cui l‟ Apollon viene inoltre confrontato con altri
film dell‟ epoca dedicati al tema del lavoro operaio in fabbrica. L‟elaborato si conclude
con un‟intervista al regista Ugo Gregoretti che chiarisce i motivi del suo impegno
politico ed alcuni aspetti relativi alla realizzazione del film.
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1. SOCIETA’ E CINEMA AI TEMPI DI “APOLLON, UNA
FABBRICA OCCUPATA”
Apollon, una fabbrica occupata è un film che rappresenta una straordinaria
testimonianza di una stagione, quella delle lotte studentesche e operaie, che sconvolge
totalmente la società e in parte il mondo del cinema.
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1.1. Il contesto storico: 1968 –1969 in Italia
Il 1968 e il 1969 in Italia per alcuni furono anni di svolta, per altri rappresentarono
incidenti di percorso, per alcuni l‟apertura di nuovi orizzonti, per altri l‟ultima delle
utopie, per altri ancora una stagione da ricordare senza pentimenti ma anche senza
rimpianti.
Il Sessantotto fu un movimento politico e culturale a carattere internazionale che
interessò le più giovani generazioni sulla base della contestazione ai valori dominanti.
Pur avendo manifestazioni e obiettivi eterogenei da luogo a luogo, per alcune
caratteristiche comuni può considerarsi un fenomeno storico con una propria specifica
fisionomia.
Il movimento nacque originariamente a metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti
raggiungendo la sua massima espansione nel 1968 nell‟Europa Occidentale: un vasto
schieramento di studenti e operai prese posizione contro l'ideologia dell'allora nuova
società dei consumi, che proponeva il valore del denaro e del mercato nel mondo
capitalista come punto centrale della vita sociale.
Negli Stati Uniti la protesta giovanile si schierò contro la guerra del Vietnam, legandosi
alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale ai
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principi della società del capitale. Al contempo, alcune popolazioni del blocco orientale
si sollevarono per denunciare la mancanza di libertà e l'invadenza della burocrazia di
partito, gravissimo problema sia dell'URSS che dei paesi legati ad essa.
Diffusa in buona parte del mondo, dall'occidente all'est comunista, la contestazione
generale ebbe come nemico comune il principio dell'autorità. Nelle scuole gli studenti
contestavano i pregiudizi dei professori, della cultura ufficiale e del sistema scolastico
classista e obsoleto. Nelle fabbriche gli operai rifiutavano l'organizzazione del lavoro e i
principi dello sviluppo capitalistico che mettevano in primo piano il profitto a scapito
dell'elemento umano. Anche la famiglia tradizionale veniva scossa dal rifiuto
dell'autorità dei genitori e del conformismo dei ruoli. Facevano il loro esordio nuovi
movimenti che mettevano in discussione le discriminazioni in base al sesso (con la
nascita del femminismo e del movimento di liberazione omosessuale) e alla razza.
Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano la riorganizzazione della società sulla
base del principio di uguaglianza, il rinnovamento della politica in nome della
partecipazione di tutti alle decisioni, l'eliminazione di ogni forma di oppressione sociale
e di discriminazione razziale e l'estirpazione della guerra come forma di relazione tra gli
stati.
La presenza di giovani operai a fianco degli studenti fu la caratteristica anche del
Sessantotto italiano, il più intenso e ampio tra tutti quelli dell'Europa occidentale
assieme a quello francese. In Italia la contestazione fu il risultato di un malessere sociale
profondo, accumulato durante gli anni Sessanta, dovuto al fatto che lo sviluppo
economico (il cosiddetto boom economico) e della borghesia non era stato
accompagnato da un adeguato aumento del livello sociale ed economico delle classi più
basse. Al momento dell‟esplosione del movimento contestatore il governo italiano
vedeva la Democrazia Cristiana partito di maggioranza, con Moro, Andreotti e Leone ad
alternarsi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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Gli scioperi degli operai in fabbrica si saldarono con il movimento degli studenti che
contestavano i contenuti arretrati e parziali dell'istruzione e rivendicavano l'estensione
del diritto allo studio anche ai giovani di condizione economica disagiata. Le prime
forme di protesta che aprirono la stagione della contestazione sessantottina iniziarono a
palesarsi nel 1966. La contestazione fu attuata con forme di protesta fino ad allora
sconosciute: vennero occupate scuole e università e vennero organizzate manifestazioni
che in molti casi portarono scontri con la polizia.
La scintilla iniziale fu determinata da due situazioni di disagio per gli studenti
universitari dell‟ Università Cattolica di Milano e della facoltà di Architettura di Torino.
Nel primo caso l'università decise di raddoppiare le tasse universitarie mentre a Torino
venne deciso il trasferimento alla Mandria, una sede periferica molto disagiata. Il 15
novembre 1967 entrambe le università vennero occupate e subito sgombrate dalla
polizia.
Dopo tre giorni 30.000 studenti sfilarono per Milano fino all'arcivescovado e la rivolta
si allargò a macchia d'olio. L'atteggiamento repressivo della polizia finì con il costituire
il propellente per la diffusione della protesta.
Nel maggio del '68 tutte le università italiane, esclusa la Bocconi, furono occupate.
Dalla contestazione studentesca che fu inizialmente sottovalutata dai politici e dalla
stampa, si passò repentinamente alle lotte dei lavoratori. Le agitazioni presero origine
per il rinnovo di molti contratti di lavoro, per l'aumento dei salari uguale per tutti, per la
diminuzione dell'orario, per le pensioni, la casa, la salute, i servizi. Per la prima volta il
mondo dei lavoratori e il mondo studentesco furono uniti fin dalle prime agitazioni su
molte questioni del mondo del lavoro, provocando nel Paese tensioni sempre più
radicali e a carattere rivoluzionario.
La Fiat di Torino, dopo alcuni incidenti in settembre causati da atti di sabotaggio alle
catene di montaggio dove furono persino distrutte migliaia di auto, reagì sospendendo
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25.000 operai e dopo cinque giorni di inutili mediazioni si sfiorò il dramma. Al grido di
“potere operaio” ci fu una mobilitazione generale e il tentativo di occupazione
dell'azienda. Ai primi di novembre si processò il padronato dell'azienda. Tre mesi di
agitazione misero in crisi l'intera città, con tre mesi senza salario per gli operai di
conseguenza furono paralizzate tutte le attività produttive e commerciali.
Il 21 dicembre 1968 con una mediazione furono accolte quasi tutte le richieste dei
sindacati e ritornò una calma apparente. Gli operai ottennero alla fine dell'anno molti
risultati: aumenti salariali, interventi nel sociale, pensioni, minori ore lavorative, diritti
di assemblea, consigli di fabbrica. E furono gettate anche le basi dello Statuto dei
lavoratori, siglato poi nel 1970.
La contro-cultura e l‟ anticonformismo alle basi della protesta attribuivano un carattere
creativo e rivoluzionario che avrebbe accomunato nel conflitto i partiti che
istituzionalmente rappresentavano la sinistra: il Partito Comunista Italiano (PCI)
registrò la scissione del gruppo del Manifesto ed il Partito socialista la nascita del
PSIUP. La rivolta generazionale era un movimento nel quale si riconosceva una intera
classe giovanile, che non aveva avuto né credo di provenienza né appartenenza politica
e rivolgeva domande alla società, tra le quali il diritto allo studio. Del resto i
cambiamenti maggiori che il movimento sessantottino produsse, se si eccettua il
mutamento radicale nella presa di coscienza generalizzata del ruolo paritario della
donna, furono a livello di costume.
Soltanto in un secondo momento questa classe giovanile si politicizzò, ma la tesi -
ricorrente nei successivi decenni - che fa del Sessantotto un momento di propaganda
rivoluzionaria manovrato o addirittura teleguidato dal PCI (o persino dal PCUS) non
considera la stretta identificazione tra il movimento studentesco del Sessantotto e la
resistenza contro le posizioni dei suddetti partiti politici. Oltre alla lotta contro la guerra
del Vietnam, in parallelo i sessantottini europei sostennero la Primavera di Praga, il
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movimento dissidente sviluppatosi all'interno del campo del socialismo reale sotto la
guida del primo ministro cecoslovacco Alexander Dubček. Fu il PCI ad essere preso di
contropiede tanto dalla Primavera di Praga quanto dalla repressione sovietica, quando
espresse comprensione per l‟intervento russo. Ma il movimento studentesco come tale
fu inequivocabilmente favorevole al sommovimento provocato da Dubček.
1.2. Il contesto cinematografico
Il vento della contestazione investì “naturalmente” il cinema, perché il Sessantotto ebbe
come protagonista una giovane generazione che sentiva il cinema come proprio e
comune linguaggio.
Il cinema nel 1968 assorbiva oltre il 61% della spesa degli italiani per manifestazioni e
spettacoli culturali e sportivi. Abbondavano sia nelle grandi che nelle piccole città le
sale cinematografiche, dove si proiettavano pellicole in prima, ma anche in seconda e
terza visione. La produzione nazionale realizzò nel 1968 oltre 250 titoli, confortata da
ottimi incassi al botteghino. Accanto al cinema pura forma di intrattenimento, dal
carattere meramente commerciale, si sviluppò un cinema d‟avanguardia realizzato da
registi politicamente impegnati. I cineclub e le sale d‟essai diventarono luoghi di
circolazione e promozione di quel tipo di cinema, sia europeo che italiano,
contraddistinto da sperimentazioni stilistiche e di denunce anticapitalistiche e anti-
imperialiste. Sul cinema nel Sessantotto, veicolo di divertimento ma anche di diffusione
delle idee, si esercitava la solerzia delle Commissioni di censura dipendenti dal
ministero del Turismo e dello Spettacolo, prodighe in quegli anni nell‟imporre divieti ai
minori (di 14 e soprattutto di 18 anni), per far argine sia alla sempre più dirompente
avanzata del nudo femminile (castigatissimo se visto con gli occhi di uno spettatore