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Introduzione
L‟ETA è sempre più debole. L‟ETA rappresenta ancora una minaccia per la
sicurezza e la libertà del popolo spagnolo. La democrazia spagnola è una democrazia
solida. La democrazia spagnola non è in grado di garantire ai propri cittadini la
protezione dalla violenza perpetrata dal gruppo terrorista Euskadi Ta Askatasuna.
Nonostante ognuna delle suddette affermazioni sia vera, nel loro insieme esse
costituiscono una contraddizione sillogistica importante.
Il presente lavoro di ricerca prende l‟abbrivio proprio dalla curiosità e dalla
volontà di capire perché la Spagna, nonostante il rimarchevole progresso sociale,
politico e culturale che ha vissuto negli ultimi trentacinque anni, non sia stata ancora in
grado di neutralizzare il pericolo rappresentato dall‟organizzazione terrorista basca.
La lente attraverso cui verrà analizzato il conflitto basco, oggetto di questa
ricerca, sarà quella strategica, o meglio: degli Studi strategici.
Si tratta di un progetto concepito con un certo anticipo: per acquisire una solida
base teorica in merito al tema della strategia, della sicurezza e del terrorismo sono stati
fondamentali i corsi di Security & Strategy e di International Terrorism seguiti presso la
Joseph Korbel School of International Studies della University of Denver, nell‟ambito
del progetto di mobilità Overseas. Quanto appreso in seno a tali corsi ha in seguito
stimolato la necessità di proseguire con l‟acquisizione dei fondamenti teorici della
strategia terrorista e contro-terrorista, entrambe al centro del primo dei tre capitoli di cui
si compone la presente ricerca.
L‟Euskadi Ta Askatasuna, nel secondo capitolo, è dunque descritta ricorrendo al
modello de “il nemico come sistema”, proposto dal Col. John A. Warden, mentre la
terza parte – che segue cronologicamente i fatti così come si sono svolti nella storia –
tenterà di gettar luce sull‟evoluzione strategica dell‟ETA e sulla risposta contro -
terrorista del Governo, dalla nascita dell‟organizzazione fino ai giorni nostri.
Alla luce di tale analisi, ci si propone di comprendere a che punto del conflitto ci si
trova oggi, quale sia la strategia adottata dall‟ETA e di verificare se la risposta contro-
terrorista del governo sia adatta e proporzionata alla minaccia. Infine, si cercherà di
vii
capire quale pezzo di questo intricatissimo puzzle manca per chiudere una parentesi di
cronaca nera particolarmente dura e cruenta per la Spagna.
Il compito più arduo per chi si cimenta nella comprensione di un fenomeno
strategico come è quello del terrorismo basco riguarda sicuramente il reperimento delle
informazioni. Molto spesso, per condurre una ricerca nell‟area degli studi strategici,
sono infatti necessari dati confidenziali o accessibili solo con notevole difficoltà. Nel
caso della presente analisi, si è cercato di superare tale ostacolo facendo riferimento a
tre risorse principali: bibliografiche, giornalistiche (quotidiani e riviste) e umane. Se per
le prime si sono utilizzati i canali tradizionali (biblioteche nazionali ed estere, banche
dati), il tirocinio svolto presso la redazione della testata El País è invece stato utile non
solo per quanto riguarda il reperimento delle ultime due tipologie di fonti, ma anche per
l‟apprendimento di una metodo di indagine critico.
Dal punto di vista personale, la presente analisi non ha solamente rappresentato
un semplice lavoro di ricerca, bensì un‟esperienza umana e formativa unica, che è
andata forse oltre i limiti della tesi stessa. Poter dialogare con ex leader
dell‟organizzazione, con i rappresentanti del governo nei negoziati del 1998 e con
giornalisti ed esperti che hanno dedicato la propria vita alla ricerca di una soluzione per
il problema basco: tutto questo credo rappresenti il valore aggiunto del presente lavoro.
Ovviamente, volendo mantenere costantemente alto il livello di accuratezza scientifica,
ho cercato di non far trasparire tale coinvolgimento, che tuttavia penso abbia influenzato
la stesura, la scelta degli argomenti presentati e le stesse parole utilizzate.
Credo, infatti, che pur nell‟assenza di alcun riferimento esplicito, il presente
lavoro sia il frutto di quelle espressioni – ma anche, e soprattutto, di quei silenzi – in
risposta alle mie domande più ostiche. E sia stato inevitabilmente influenzato da quegli
sguardi intensi di chi ha visto, e vissuto in prima persona, la storia oggetto della
presente tesi.
1
Capitolo 1
Terrorismo e contro-terrorismo.
Definizioni, tattiche e strategie del fenomeno.
L‟obiettivo del presente capitolo è di fornire un quadro introduttivo al settore
d‟indagine dell‟elaborato: il terrorismo e il contro -terrorismo analizzati in un‟ottica
strategica.
Poiché la definizione del fenomeno del terrorismo rimane ancora al centro di
dibattiti accademici, il primo paragrafo si propone di giungere alla descrizione del
fenomeno procedendo per esclusione grazie ad una distinzione da tutte le altre forme di
violenza politica.
In questo modo, procedendo dal generale al particolare, si escluderà il terrorismo
dall‟insieme dei conflitti simmetrici e in un secondo momento si evidenzieranno le
differenze all‟interno della categoria del conflitto asimmetrico, distinguendo il
terrorismo e dalle altre forme di violenza politica, quali rivolte, insurrezioni e guerriglie.
Nella speranza che l‟oggetto del lavoro risulti più chiaro dopo questa
digressione, si prenderanno in considerazione le definizioni proposte da studiosi e
organizzazioni nazionali e internazionali attuali o passate, come ad esempio quelle
fornite dalla Central Intelligence Agency, dalla NATO o dall‟Unione Europea. In
seguito si procederà con l‟analisi degli elementi salienti del terrorismo, soffermando
l'attenzione su strategie, tattiche, cause, motivazioni e altri fattori che lo caratterizzano e
definiscono.
Il capitolo si concluderà con un inciso dedicato alla strategia di contro-
terrorismo e contro-insurrezione seguita dagli stati a livello nazionale ed internazionale
della quale si metteranno in luce caratteristiche, principi, strategie e problematiche.
2
1.1 Cosa non è il terrorismo
1.1 L‟evoluzione del concetto di guerra
Il terrorismo è forse uno degli elementi più evidenti dell‟evoluzione strategica e
concettuale della guerra. Tattiche, strategie, cause e motivazioni delle guerre sono
soggette a uno sviluppo dinamico e incessante, dovuto solo in parte alle nuove
tecnologie, ma che dipende anche da modi diversi di intendere la guerra, ad esempio,
dal punto di vista strategico, così come da quello sociologico o giuridico.
Come ricorda il Gen. Jean, nell‟introduzione a Della Guerra, Clausewitz
sostenne che la guerra è
«un atto di violenza destinato a costringere l‟avversario a subire la nostra
volontà. La guerra consiste nell‟utilizzazione reale o potenziale della forza, o,
più in generale, dei mezzi di coercizione militari nei rapporti fra gli stati» (Jean
2009, xxiv).
Se si considera che l‟uso della forza, i mezzi di coercizione e i rapporti
internazionali subiscono una profonda e costante evoluzione, allora anche il risultato
finale dato dalla combinazione dei suddetti elementi, sarà inevitabilmente soggetto a
una trasformazione.
Un‟idea simile è anche espressa nel celebre passo dello stesso testo dove il
generale prussiano associa metaforicamente l‟idea della guerra ad un camaleonte con
l‟intenzione di sottolinearne la natura mutante del conflitto. Attraverso tale
accostamento, Clausewitz pone in rilievo l‟unico fattore d‟immutabilità del conflitto:
l‟essenza della guerra. Essa rimane infatti identica e costante nel tempo, a cambiare
sono invece le circostanze esterne – quali, appunto, i mezzi o i rapporti tra gli stati – alle
quali la guerra si adatterà, selezionando risorse e tattiche ad esse compatibili.
Nella stessa introduzione all‟opus magnum clausewitziano, il Gen. Jean ricorda
che la minaccia nucleare e quella terrorista hanno conferito alla guerra una nuova
dimensione caratterizzata dal terrore (Jean 2009, xxxvi).
Ne risulta dunque che il terrore e le armi nucleari fanno parte di questa
evoluzione della concezione del conflitto che come un eterno panta rei continua a
scorrere. In questo caso il fiume è lo stesso (la guerra), a cambiare è il suo corso, che si
3
modifica in base alla morfologia del letto in cui scorre (alle caratteristiche esterne che
incontra nel suo cammino). Il pericolo nucleare e quello terrorista non sono altro che
nuovi sassi introdotti sul percorso del fiume che con la loro presenza modificano
l‟andamento dell‟acqua.
Compito dello stratega è innanzitutto quello di verificare il modificarsi del corso
dalla sorgente – identificabile con i conflitti simmetrici – fino alla discesa a valle -
conflitti asimmetrici. In secondo luogo, egli deve essere in grado di adottare
contromisure ad hoc sugli argini – ovvero sul terreno in cui opera - utilizzando tattiche e
strategie necessarie e adeguate che permettano difendere il territorio e di regolarne il
corso dell‟acqua al fine di evitare terribili e deleterie inondazioni.
1.1.2 Conflitto simmetrico e guerra convenzionale.
In un conflitto simmetrico le due parti contendenti lottano per uno stato e
sostenute da uno stato; entrambi gli attori dispongono di forze armate organizzate da
schierare. Da questa definizione si evince che il concetto di conflitto simmetrico e
quello di guerra convenzionale appartengono a due campi semantici molto simili, se non
addirittura collimanti. La guerra convenzionale si fonda sul sistema di Westphalia del
1648 ed è stata a lungo concepita come uno strumento legittimo di politica estera per
perseguire gli interessi di uno stato e risolvere i conflitti.
1
I trattati firmati a Münster e
Osnabrück hanno secolarizzato la politica internazionale e hanno assunto la guerra
come affare pubblico tra stati, autorizzata e legalizzata dai sovrani.
La guerra divenne dunque un‟istituzione internazionale, guerre en forme, un
legittimo strumento di politica estera. Ciò che la rende giusta
2
è il potere, l‟autorità di
dichiarare guerra – lo ius ad bellum, che appartiene al sovrano- e lo ius in bello, una
determinata maniera di condurla, che prevede, ad esempio, che non vengano coinvolti i
civili.
1
Infatti, la pace di Westphalia, ponendo fine alla guerra dei Trent‟anni, sancì una nuova struttura etico-politica
caratterizzata dal riconoscimento e dalla codificazione del principio di sovranità come principio ordinatore del
sistema di stati europeo, dell‟uguaglianza legale tra gli stati, del principio di non intervento negli affari interni degli
altri stati e della limitazione della brutalità dei conflitti attraverso la codificazione della guerra.
2
La letteratura sulla guerra giusta è molto vasta e il concetto ha assunto connotazioni diverse nel tempo. Per esempio,
è possibile notare come il “giusto” del sistema Westphaliano non coincide con il più antico bullum iustum
Agostiniano.
4
In tale ottica, Windsor sostiene che il principio dello ius ad bellum che regola la
guerra simmetrica serve a ricordare che la guerra è sempre un evento eccezionale e
aberrante e per questo deve essere presente una forte giustificazione morale prima che la
possibilità di ricorrervi venga contemplata. Allo stesso modo, lo studioso suggerisce che
il principio dello ius in bello presuppone una constante discriminazione tra combattenti
e non combattenti. In tale quadro, un attacco può essere giustificato se l‟intenzione del
conflitto è semplicemente quella di catturare o distruggere un obiettivo militare
(Windsor 2002, 8-11).
Questi ultimi elementi, quali la giustificazione morale, la necessità di distinguere
tra combattenti e non combattenti e la violenza come fine ultimo della guerra
risulteranno necessari successivamente per poter comprendere perché il terrorismo non
si può classificare come guerra convenzionale. Allo stesso modo, le diverse capacità
militari tra attori terroristi e forze che mettono in atto una strategia opposta e
contrastante fanno sì che il terrorismo non possa essere considerato un conflitto di tipo
simmetrico.
1.1.3 Il conflitto asimmetrico
Un conflitto si dice asimmetrico quando le due fazioni contendenti dispongono
di forze e capacità militari differenti. A disporre di forze limitate sono di solito coloro
che prendono parte a rivoluzioni, insurrezioni o, come nel caso dell‟oggetto del presente
lavoro di tesi, azioni terroriste. Si tratta di soggetti deboli determinati a cambiare lo
status quo di una società o di un territorio, coloro che Frantz Fanon, in una sua celebre
opera, definì come i “dannati della terra”
3
.
Galula (2006) ricorda che in una simile situazione l‟iniziativa strategica è nelle
mani dell‟insorto, dell‟attore notoriamente più debole, in quanto è lui a decidere di
ricorrere al conflitto e fino a quando non avrà palesato chiaramente le sue intenzioni,
prendendo parte a una sovversione o altro tipo di violenza, egli rappresenterà solamente
una mera imprecisa ma potenziale minaccia per l‟attore più forte.
3 Dal titolo dell‟opera Les damnés de la terre, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1961.
5
Lo stesso autore sottolinea che la differenza tra una parte e l‟altra del conflitto
non consiste tanto nella quantità di risorse ed energie a disposizione, quanto nella natura
delle stesse
4
(Galula 2006, 2-3).
Inoltre, una peculiarità del conflitto asimmetrico riguarda la popolazione: il dissidente
dovrà condurre la lotta su un terreno differente dove incontra possibilità maggiori per
bilanciare la disparità fisica a cui deve far fronte e questo nuovo terreno è appunto
rappresentato dalla popolazione. Insorti e forze di contro-insurrezione avranno un
obbiettivo identico ma opposto: evitare che coloro che non prendono parte alle ostilità
diventino alleati della fazione nemica.
Nel tentativo di studiare il terrorismo suicida, Martha Crenshaw ricorda che pratiche di
questo genere vengono selezionate con l‟obiettivo di superare l‟iniziale asimmetria di
risorse tra le due parti. L‟attentato suicida rappresenta infatti un esempio di come il
conflitto di tipo asimmetrico conferisce all‟organizzazione degli insorti una posizione
strategica superiore, seppur momentanea (Crenshaw 2007, 145).
Un‟ulteriore interessante distinzione tra guerra convenzionale e rivoluzionaria –
intesa come guerra non convenzionale in termini generali - pone in primo piano il ruolo
della politica ed è fornita dallo stesso Galula. Nel primo caso il fine politico della guerra
viene conseguito principalmente attraverso l‟azione militare, affiancata da diplomazia,
propaganda e pressione economica. È facile scorgere in questa affermazione l‟influenza
del dictum clausewitziano che concepisce la guerra come mera continuazione della
politica attraverso mezzi diversi. Pertanto, nella guerra convenzionale, una volta stabiliti
gli obiettivi politici e date le istruzioni alle forze armate, l‟azione militare diventa
obbligatoria e, come riporta lo stesso studioso, «la parole passe aux armes» (Galula
2006, 4-5).
Nel caso della guerra rivoluzionaria, le operazioni degli insorti e della contro-
insurrezione sono pianificate in modo da conquistare la popolazione. In questo caso, la
politica rimane fulcro della guerra più di quanto lo possano essere le operazioni di
carattere meramente militare. Per questa ragione Galula sostiene che la «politica diviene
uno strumento attivo nelle operazioni» (ibidem, 5).
4
Infatti, l‟attore più forte è di norma uno stato e pertanto può contare sul riconoscimento diplomatico, sul legittimo
potere esecutivo, legislativo e giudiziario, sul controllo dell‟amministrazione e delle forze di polizia, su risorse
finanziarie, industriali, agricole, trasporti e comunicazioni, sull‟uso e controllo dell‟informazione e dei media di
propaganda e sul comando delle forze armate. Al contrario, l‟insorto dispone del potere ideologico della causa che
motiva le sue azioni: un arsenale intangibile che egli punterà a trasformare in concreto.
6
È possibile rintracciare la stessa centralità dell‟elemento politico nelle azioni
terroriste. Ma allora qual è l‟elemento caratterizzante del terrorismo? Cosa lo distingue
dalla altre strategie di conflitto asimmetrico? Tale quesito può trovare una risposta
chiara se si analizzano in primo luogo le altre guerre rivoluzionarie, rivolte, insurrezioni
e guerriglie.
Guerre rivoluzionarie.
La guerra rivoluzionaria è secondo Shy e Collier la conquista del potere politico
attraverso metodi coercitivi da parte di un movimento politico popolare sostenuto da
una base sociale rilevante e che porta avanti la propria lotta per un periodo di tempo
relativamente lungo (in Paret 1992, 362-363). I due studiosi giungono anche alla
conclusione che alla guerra rivoluzionaria corrisponde un vasto insieme di conflitti
armati di carattere politico e sociale, tanto che la guerriglia è solo uno dei numerosi
elementi presente in tale insieme.
È verosimile che tale definizione possa attrarre delle critiche in quanto la gran
parte della letteratura accademica sul tema tende a contrapporre guerriglia e guerra
rivoluzionaria come due fenomeni differenti appartenenti entrambi alla categoria di
conflitti asimmetrici, identificando la guerra rivoluzionaria con la rivoluzione.
In generale, si può affermare che la guerra rivoluzionaria è un conflitto interno
inteso a sfidare il potere in carica che detiene il controllo politico e militare di un
territorio, spesso identificabile con una nazione intera.
Rivoluzioni.
Da quanto evince dalla spiegazione fornita da Galula (2006) è importante invece
non confondere la guerra rivoluzionaria con la rivoluzione in sé. Oltre al complotto e
all‟insurrezione, lo studioso include la rivoluzione nella lista delle modalità per ottenere
il potere attraverso la forza. In aggiunta, specifica che una rivoluzione di solito consiste
in una rivolta esplosiva, improvvisa, breve, spontanea e imprevista, fornendo come
esempi il caso francese del 1789, quello cinese del 1911, quello bolscevico del 1917 e
per ultimo quello relativamente più recente che iniziava a scuotere l‟Iran all‟epoca della
7
pubblicazione del lavoro di Galula
5
e che si concretizzò in una vera e propria
rivoluzione nel 1979
6
.
Secondo Galula, tutti questi eventi hanno in comune la caratteristica di essere un
incidente, un evento spiegabile sono in un momento successivo all‟accaduto ma che
risulta essere difficilmente prevedibile. (Galula 2006, 1).
Per concludere, Fromkin segnala che la rivoluzione, così come la guerra
simmetrica, può essere considerata l‟arma dei forti, mentre il terrorismo quella dei
deboli. In aggiunta afferma che quest‟ultimo si può classificare come strategia incerta e
indiretta, che utilizza l‟arma della paura con il fine di istigare la reazione dei governi.
(Fromkin 1975: 686-687)
Sommosse e tumulti.
La differenza tra il terrorismo e le sommosse popolari identificata da Price
(1977) può certamente tornare utile al fine della presente ricerca volta a capire e definire
il terrorismo. L‟elemento distintivo è la strategia. In sostanza, il terrorismo si
caratterizza per la volontà di portare avanti una violenza organizzata da gruppi
strutturati che seguono una strategia precisa. Sommosse e tumulti si distinguono invece
per il disordine provocato da gruppi non omogenei di manifestanti che portano avanti
delle rivolte senza seguire una strategia congiunta e precisa.
Insurrezioni
Alcune definizioni presenti nella letteratura sul tema possono condurre alla
comprensione della definizione, degli obiettivi e della strategia relativi alle insurrezioni.
Parafrasando Clausewitz si può affermare che
«l‟insurrezione prevede che un attore persegua una politica all‟interno di un
paese, con mezzi differenti» (Galula 2006, 1).
All‟interno della “Guida all‟analisi dell‟insurrezione”, la Central Intelligence
Agency sostiene che
5
La prima edizione edizione di Counterinsurgency Warfare risale al 1964.
6
Nello stesso anno veniva dato alle stampe anche uno dei testi che maggiormente avrebbe influenzato il dibattito
sulle rivoluzioni, oltre che la Teoria delle Rivoluzioni: Stati e Rivoluzioni sociali di Theda Skocpol.
8
«l‟insurrezione è un‟attività politico -militare prolungata diretta al controllo
totale o parziale delle risorse di un paese attraverso l‟uso di forze militari
irregolari e organizzazioni politiche illegali. L‟attività dell‟insurrezione –che
include la guerriglia, il terrorismo e la mobilizzazione politica come la
propaganda, il reclutamento, organizzazioni partitiche di copertura, e attività
internazionali- ambisce a indebolire il controllo e la legittimità del governo e al
contempo aumentare il controllo e la legittimità degli insorti. Il comune
denominatore della maggior parte dei gruppi che prendono parte alle
insurrezioni è il desiderio di controllare un‟area determinata. Questo obiettivo
contraddistingue i gruppi di insorti dalle mere organizzazioni terroristiche, i cui
obiettivi non includono la creazione di un governo alternativo in grado di
controllare un‟area o un paese» (Daniel 2006, 84).
Si può notare come la definizione riscontri veridicità anche quando viene
applicata alle moderne dinamiche di violenza politica. Tuttavia, non pare
intellettualmente onesto crede che il terrorismo sia un fenomeno avulso da
considerazioni di carattere politico ed è empiricamente facile confutare tale
affermazione solo avvalendosi di alcuni casi concreti forniti dalla questione basca, da
quella palestinese o dalla stessa al Qaeda.
É interessante notare che David Kilcullen riscontra la stessa confusione
terminologica e ontologica all‟interno della letteratura sul terrorismo, oggetto di studio
sotto forma di disciplina accademica solo a partire dagli anni settanta (Kilcullen 2005).
Lo studioso afferma infatti che prima di allora il terrorismo era considerato come una
componente delle insurrezioni. Per fornire un esempio di questo caos linguistico e
concettuale, l‟autore richiama il principale manuale di contro-insurrezione britannico
utilizzato in Malesia negli anni cinquanta, dal titolo “La condotta delle operazioni anti-
terroristiche in Malesia”. In questo contesto, la parola terrorismo fa riferimento
all‟insurrezione, all‟insorto e ai suoi metodi concepiti come illegittimi.
Rimarchevole è inoltre la distinzione che lo stesso Kilcullen riporta tra
paradigma dell‟insurrezione e il modello del terrorismo, distinzione che può essere
sintetizzata attraverso la tabella indicata nella Figura 1.
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Terrorismo Insurrezione
Aberrazione non rappresentativa Rappresentazione questione sociale importante
Nessuna negoziazione „Vincere cuori e menti‟ richiede spesso negoziati
Metodi e scopi inaccettabili I metodi sono inaccettabili, gli scopi non sempre
lo sono
Insanità mentale e morale Violenza strumentale come strategia politico-
militare
Problema esclusivo delle forze dell‟ordine Problema del governo
CT (contro-terrorismo) è un approccio
basato sul singolo caso con cui ci si trova a
far fronte e mira ad arrestare i terroristi.
COIN (contro-insurrezione) basata su una
strategia precisa che mira a contrastare la
strategia degli insorti, il loro arresto è
secondario.
Figura 1: Terrorismo e Insurrezione come modelli in competizione
7
.
Attraverso la Figura 1 si può concludere che questo modello descrive i terroristi
come individui aberranti e alienati, in parte perché non costituiscono una maggioranza
rappresentativa della società, bensì un‟élite, in parte per scoraggiarne l‟emulazione d a
parte di potenziali dissidenti. Secondo tale modello i terroristi sono visti come criminali
e i loro metodi e scopi sono inaccettabili; pertanto, il governo non sarà mai disposto a
promuovere nessun tipo di negoziazione. I membri di gruppi terroristici vengono
identificati come individui non integri moralmente o psicologicamente che usano la
violenza per shockare e influenzare il popolo e costringere il governo a attuare una
politica conforme agli obiettivi che la banda intende perseguire. Questo paradigma ha
influenzato considerevolmente la War on Terror statunitense.
La colonna destra della Figura 1 rivela che gli insorti sono invece considerati
come rappresentanti di problematiche sociali importanti. La strategia della contro-
insurrezione mira a contrastare i ribelli «conquistando cuori e menti»
8
della
popolazione, dei potenziali ribelli ma anche dei dissidenti. Si tratta di un processo che
7 La versione originale della tabella è reperibile in inglese a pagina 606 dell‟articolo di David J. Kilcullen (2005).
8
La formula «winning hearts and minds» è diventata un‟espressione di uso corrente all‟interno della letteratura dei
cosiddetti conflitti di bassa intensità e dello studio del contro-terrorismo e della contro-insurrezione. Sull‟origine della
massima gli accademici forniscono informazioni contrastanti, tuttavia l‟ipotesi più accreditata sembra essere quella
che sostiene che tale formula risale ai tempi della guerra del Vietnam. Quello che però interessa maggiormente è il
messaggio che essa racchiude e che concerne una nuova concezione della contro-insurrezione come un approccio più
comprensivo e olistico. Le indicazioni prescrittive che derivano dalla formula concernono una strategia innovativa da
mettere in pratica al fine di contrastare un conflitto asimmetrico. Tale strategia suggerisce che le risorse militari
vengano affiancate da considerazioni di carattere sociologico, etnico, politico ed economico e competenze
linguistiche.
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necessita della volontà di scendere compromessi al fine di poter raggiungere dei
negoziati soddisfacenti per entrambe le parti.
Anche se i metodi utilizzati in un‟insurrezione potrebbero essere considerati
inaccettabili, il malcontento che vi è alla base è spesso concepito come legittimo poiché
interessa tutta la società. Dal momento che il problema è condiviso dalla maggioranza e
è più verosimile che nel caso dell‟insurrezione i ribelli vengano visti nell‟ottica di una
strategia politico-militare e meno in quella psicopatologica.
L‟insurrezione è dunque un problema del governo e non una questione
prettamente militare o di polizia, per tale ragione il compito della COIN (contro-
insurrezione) non si esaurisce con l‟arresto dei membri dell‟organizzazione, come nel
CT (contro-terrorismo».
Guerriglie
Il termine „guerriglia‟ entrò nel vocabolario comune e in quello militare a
seguito della Guerra Franco-spagnola durante la quale un gruppo coordinato di
contadini spagnoli mise in pratica una piccola guerra (in spagnolo guerrilla, appunto)
per contrastare l‟armata francese.
Nell‟accezione contemporanea, il vocabolo è utilizzato per indicare un conflitto
asimmetrico a cui partecipano forze irregolari che portato a capo imboscate,
persecuzioni e intimidazioni nei confronti di quelle regolari rappresentati un governo
ostile o una potenza occupante.
Price (Price 1977, 53) si sofferma sulla strategia della guerriglia sostenendo che
essa ambisce a colpire le forze militari avversarie in momenti diversi ma non troppo
distanti gli uni dagli altri. In questo modo la guerriglia riesce ad evitare un contatto
diretto con il nemico, che risulta essere militarmente più forte. Lo stesso concetto fu
espresso da colui che condusse una delle guerriglie più famose e che ispirò
profondamente le altre che seguirono: Mao Tse-Dong. Il rivoluzionario cinese affermò
che:
«In guerrilla warfare, select the tactic of seeming to come from the east and
attacking from the west; avoid the solid, attack the hollow; attack; withdraw; deliver a
lighting blow, seek a lightning decision. When guerrillas engage a stronger enemy, they
withdraw when he advances; harass him when he stops; strike him when he is weary;
pursue him when he withdraws. In guerrilla strategy, the enemy‟s rear, flanks, and other