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INTRODUZIONE
Nel 1816, dopo aver letto il resoconto di viaggio di Lord Macartney, primo
ambasciatore della superpotenza britannica in Cina, Napoleone pronunciò una celebre
frase: “Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà”. Oggi, dopo quasi due secoli,
questa profezia sembra essersi avverata: il “Dragone” avanza imperterrito, a ritmo
frenetico, conquistando sempre più spazio nel mercato mondiale e suscitando grandi
preoccupazioni nei Paesi più industrializzati. Sono impressionanti la portata e la rapidità
del “miracolo cinese” e la posizione geopolitica cinese che ne è derivata, sempre più
centrale nel contesto mondiale; è ancora più impressionante il peso che questa economia
emergente avrà sulle sorti del mondo e sulle future relazioni internazionali, dato che la
sua ascesa nel sistema globale sta scombussolando l‟attuale ordine mondiale e mettendo
in crisi la tradizionale egemonia europea e soprattutto americana. La Cina è il Paese più
grande del mondo, con un territorio che equivale a trenta volte l‟Italia; ha una
popolazione di 1 miliardo e 300 milioni di individui, escludendo il numero incalcolabile
dei Cinesi della diaspora sparsi in tutto il mondo; è il maggior consumatore e il primo
importatore di materie prime, piazzandosi davanti agli Stati Uniti e intrattenendo
rapporti commerciali soprattutto con Medio Oriente, Africa, America Latina ed Europa.
E il suo Prodotto Interno Lordo (PIL) cresce costantemente, di anno in anno.
Parallelamente, però, dal punto di vista politico, nonostante questo grande sviluppo
economico e nonostante la grande apertura verso il mercato internazionale, la Cina resta
immobile per quanto riguarda la politica interna, e il Partito Comunista Cinese (PCC)
sembra tutt‟altro che intenzionato a modificare le linee guida e i principi su cui si regge
il suo potere unico e accentrato. Per questo la Cina resta un dilemma agli occhi,
soprattutto, di noi Occidentali: l‟unico Paese al mondo completamente integrato nel
sistema economico globale, ma con un partito unico che governa da sessant‟anni e che
ricorre ripetutamente a violazioni dei diritti umani per salvaguardare se stesso e il suo
potere esclusivo e indiscusso. Essa è un vero e proprio enigma: come è possibile che la
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più grande economia di mercato del mondo sia ancora oggi governata da un regime
autoritario che calpesta i diritti umani e che non tollera opposizioni?
E negli ultimi anni, sempre più spesso emergono fratture, oscillazioni e contraddizioni
tipiche delle società in fase di transizione, come quella che da venti anni a questa parte
sta vivendo la Cina: da un lato protagonista sulla scena mondiale di uno sviluppo
economico e sociale senza precedenti nella storia mondiale; dall‟altro lato, ancora legata
al proprio passato per il tramite di un presente che continua a riproporre alla società
civile, seppure in modo diverso, modelli e valori culturali. Da qui il profilarsi del doppio
volto del Paese: quello espresso dalle trasformazioni rapide e in costante aumento, che
hanno occidentalizzato sempre di più la società; e quello di “uno Stato-partito quasi
mummificato nel suo ruolo, sostenuto da un ferreo apparato poliziesco e militare, di
gestore e controllore così della morale pubblica come della vita economico-sociale;
nell‟interpretazione del quale torna, del resto, la monotona riproposizione di quel
motivo pedagogico che, da Confucio a Mao e a Deng Xiaoping, ha contribuito a fondare
il primato dell‟ortodossia etico-politica sul diritto”
1
. A ben guardare, però, si tratta di
due facce della stessa medaglia: quella di una stabilità politica che vede, da un lato, una
società operosamente impegnata ad attuare l‟ammaestramento di Deng <<Arricchirsi è
glorioso>> (slogan da lui imposto in sostituzione di quello maoista <<Servire il
popolo>> che aveva dato origine alla terribile catastrofe della Grande Rivoluzione
Culturale); dall‟altro un partito e un potere vigilanti, paternalisticamente tolleranti, ma
sempre pronti a riaffermare, se necessario con la forza e la repressione delle dissidenze,
il principio del centralismo decisionale, contro qualsiasi tentativo di organizzare
un‟alternativa politica che all‟insegna dell‟opposto principio del pluralismo democratico
minacci il monolitico assetto di potere nel Paese.
Per questo è come se la Cina, negli ultimi decenni, si fosse sviluppata a senso unico,
solo dal punto di vista economico, materialmente, per rafforzare il potere del partito
unico e legittimarlo; la libertà e la democrazia, che dovrebbero essere il fine ultimo
delle nazioni avanzate, non sono mai state tirate in gioco. Infatti, l‟ONU, Amnesty
International, Human Watch, e altre Organizzazioni Internazionali, continuano a
pubblicare, anno dopo anno, Report e documenti in cui vengono denunciate le ripetute
violazioni dei diritti umani da parte dell‟élite cinese al potere: il governo comunista,
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L. Moccia, “Il sistema giuridico cinese: caratteri tradizionali e lineamenti attuali”, in L. Lanciotti (a cura
di), Conoscere la Cina, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2000, pag. 44.
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“governando attraverso le leggi anziché seguendo le leggi, sembra servirsi sempre più
spesso di pretesti giuridici per punire o incarcerare i propri nemici”
2
. L‟Alta
Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani continua a pubblicare ogni anno
rapporti in cui descrive il ricorso sistematico alla censura, ai lavori forzati, ai campi di
rieducazione e a “trattamenti medici” in ospedali psichiatrici per colpire i dissidenti e
tutti coloro che mostrano di opporsi al potere del PCC
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; all‟inizio del 2004 le autorità
hanno chiuso più di 8.600 Internet Cafè privi di licenza, nell‟ambito di una campagna
destinata ad esercitare un maggior controllo politico sulla rete e sull‟informazione;
continuano ad esistere temi che sono dei veri e propri tabù, quali la rivendicazione dei
diritti umani, la denuncia dei gravi disastri ambientali, le rivendicazioni di libertà del
Tibet o delle minoranze etniche, i rapporti con l‟“isola ribelle” di Taiwan, il movimento
filosofico-religioso Falun Gong, la Chiesa cattolica semiclandestina che mantiene
legami con il Vaticano. Ovviamente, tutti coloro che toccano queste tematiche rischiano
la propria libertà, i siti internet che includono le cosiddette “parole proibite” vengono
quotidianamente oscurati, e le autorità continuano a violare il diritto della libertà di
espressione, ad esempio “ usando regolarmente l‟articolo 61 del codice penale cinese,
che punisce con il carcere chi trasmette segreti di Stato, per imprigionare scrittori”
4
,
giornalisti, o semplicemente chiunque divulghi notizie riguardanti tematiche che
possano minare il prestigio e l‟autorità del partito. L‟ONU continua a denunciare casi di
uso indiscriminato e generico di concetti come “turbativa dell’ordine pubblico” o
“danni alla sicurezza nazionale” per imprigionare cittadini per motivi politici, e lancia
continue ammonizioni ai leaders cinesi, ma sulla questione dei diritti umani il PCC non
sembra ancora disposto a cedere e, anzi, replica all‟Occidente, e in particolare agli Stati
Uniti, di “smettere di fare i guardiani”.
Il 2009 ha segnato sessant‟anni dalla Rivoluzione Comunista per opera di Mao
Zedong, cinquant‟anni dall‟occupazione del Tibet e vent‟anni dalla strage di Piazza
Tienanmen, ma nonostante tutto, quello che un tempo Voltaire indicava come modello
2
M. W. Brauchli, “ China‟s Economic Changes Spur Legal-System Reform ”, in Asian Wall Street
Journal, 21 giugno 1995, pag. 1; trad. it.,“Come sta cambiando il sistema giuridico cinese”, in
Internazionale, 14 luglio 1995, pag. 18.
3
Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights,“Economic, Social and Cultural
Rights. Report of the Special Rapporteur on the Right of Everyone to the Enjoyment of the Highest
Attainable Standard of Physical and Mental Health”, 2 febbraio 2005, pagg. 4-7.
4
F. Rampini, Il Secolo Cinese, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005, pag. 290.
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da imitare e definiva come “il Paese più saggio e civilizzato di tutto l‟universo”
5
,
rappresenta una grande potenza industriale governata da un partito unico opprimente e
oscurantista, che ufficialmente concede ai cittadini i pieni diritti economici e sociali, ma
che al contrario, per salvaguardare se stesso, nega i diritti umani e politici. Proprio per
questo motivo, la politica del PCC è stata ed è un oggetto di studio difficile e frustrante,
e lo è tanto più oggi, per molti osservatori e per i governi occidentali, poiché le
conquiste del modello autoritario di sviluppo economico hanno presentato seri problemi
e dibattiti in seno all'ortodossia liberale, basata sul principio secondo cui democrazia e
libero mercato devono andare di pari passo per il successo e lo sviluppo delle società
umane.
Inoltre, a partire dalla crisi seguita alla tragedia di Tienanmen, dal 1989, il partito è
stato oggetto di atroci critiche, e la Cina è stata da allora condannata all'isolamento
politico; ma negli ultimi 18 anni il potere, il prestigio e l'influenza del partito non sono
mai sembrati essere sicuri come oggi, grazie alla legittimazione che ha ottenuto dalla
grandissima crescita economica del Paese. “Al suo interno, il partito sembra aver
scoperto la formula magica per far convivere governo autoritario con politiche
economiche che hanno determinato un vero e proprio miracolo, che ha lasciato increduli
i pensatori economici fedeli da sempre all'ideologia liberale occidentale”
6
, e sembra che
stia usando questi suoi successi in campo economico per ottenere una sempre maggiore
legittimazione politica, per giustificare le ripetute violazioni dei diritti umani e per
mettere a tacere i dissensi e le opposizioni sia all‟interno sia a livello internazionale.
Un‟ulteriore dimostrazione della violazione dei diritti umani in Cina per opera del
Partito Comunista al potere proviene dai Reports di Amnesty International, che vigila
incessantemente sulle politiche attuate dal PCC. Da uno di questi Reports è risultato che
nonostante la Cina sia stata scelta nel 2001 per l‟ultima edizione dei giochi olimpici dal
Comitato Olimpico Internazionale, e nonostante la promessa, fatta da Pechino, di
impegnarsi ad avviare riforme per l‟introduzione della tutela dei diritti umani, il
governo non ha assolutamente rispettato tali promesse: “Nel marzo del 2004 le autorità
hanno introdotto nella Costituzione un articolo di fondamentale importanza, “Lo Stato
rispetta e protegge i Diritti Umani”; ma solo pochi mesi dopo il governo, per presentare
al mondo esterno, in occasione delle Olimpiadi, un‟immagine di stabilità e di armonia,
5
Voltaire, Essai sur les moeurs, 1756.
6
Minxin Pei, “ How China is Ruled ”, in The American Interest, Vol. I, N. 4, March/April 2008, pag. 45.
5
ha ordinato la repressione di alcuni dissidenti che cercavano di attirare l‟attenzione dei
media internazionali sulle violazioni da parte del governo”
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. Ciò ha significato l‟arresto
di tali dissidenti, con il tradimento, da parte del governo, delle promesse fatte e dello
spirito e dei valori dei giochi olimpici. La più recente repressione, sfociata in tragedia,
della protesta dei monaci tibetani, inoltre, fa ben comprendere che il governo cinese non
ha ancora le intenzioni reali di aprirsi alle riforme democratiche chieste dalla Comunità
Internazionale e dai Cinesi stessi.
Ma perché i dirigenti cinesi sono ancora tanto ostili all‟apertura democratica nell‟era
della globalizzazione? E quanto potrà durare ancora il potere autoritario del PCC, dal
momento che il mondo chiede continuamente alla Cina di adeguarsi e di rispettare i
principi universali e inviolabili dei diritti umani?
7
Amnesty International, “People ’s Republic of China. The Olympics countdown. Broken promises”, pag.
1.
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I. Dallo Stato Confuciano allo Stato Sviluppista moderno
La questione dei diritti umani in Cina è estremamente complessa poiché, a differenza di
altri paesi, essa rappresenta un caso particolare per la sua lunga storia, per le sue
dimensioni geografiche e demografiche e per la sua particolare collocazione geopolitica
all‟interno del contesto mondiale. Il “Regno di mezzo”, infatti, ha vissuto oltre duemila
secoli di splendore e di grande civiltà, in cui è stato ammirato da tutte le civiltà e i
governi del mondo, soprattutto da quella occidentale. Nel corso di questi secoli, a causa
delle dimensioni del territorio cinese e della sua particolare geografia, che ne fa una
terra ricchissima di acque ed estremamente difficile da gestire e amministrare, il popolo
cinese ha sempre vissuto in piena armonia con lo Stato imperiale, che è sempre stato
caratterizzato dal potere assoluto dello Stato: l‟“Impero celeste” è stato, infatti, un lungo
regno in cui il potere politico era esclusivamente accentrato nelle mani della “burocrazia
celeste”, che aveva l‟arduo compito di tenere unito il Paese, di gestire le sue immense
risorse e di difenderlo dalle invasioni, costanti nel corso della sua lunga storia, dei
popoli “barbari”; non a caso viene costruita la Grande Muraglia Cinese, simbolo della
grandezza e soprattutto del senso di vulnerabilità dell‟Impero stesso, che cerca di
chiudersi in se stesso, di crearsi un proprio spazio entro il quale poter stare al riparo dal
mondo esterno e salvaguardare la propria unicità.
Nonostante l‟assolutismo e la concentrazione del pieno potere politico nelle mani
dell‟Imperatore e dei burocrati, nel periodo imperiale il concetto di “diritti umani” in
Cina esisteva. Certamente non è possibile parlare di una titolarità di diritti nel senso in
cui il concetto è stato inteso nelle società Occidentali a partire dalla conclusione della
Seconda Guerra Mondiale, ma comunque questo periodo fu caratterizzato da un grande
senso di civiltà, tanto che i Cinesi consideravano barbari i popoli stranieri, ed in
particolare gli occidentali. La specificità della Cina, però, consiste nel fatto che, in
accordo con i tradizionali valori del Confucianesimo prima, e del Comunismo poi, su
cui la Cina si è costruita, nella società tradizionale non dominano i valori occidentali
dell‟individualismo e dell‟arricchimento personale fine a se stesso, ma quelli più