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CAPITOLO PRIMO
IL CONTRATTO COLLETTIVO
1. Il contratto collettivo: funzione normativa, funzione obbligatoria e
funzione gestionale.
Il contratto collettivo può considerarsi il principale strumento dell’azione sindacale.
E’ il contratto stipulato dai sindacati (nazionali o confederali) dei datori di lavoro e dei
lavoratori, o dal singolo datore con i rappresentanti dei lavoratori, allo scopo di
predeterminare congiuntamente la disciplina dei rapporti individuali di lavoro e di
instaurare rapporti obbligatori reciproci.
Il contratto collettivo, dunque, esercita una duplice funzione, di carattere normativo e
obbligatorio, alla quale recentemente si è affiancata una funzione cd. “gestionale”.
1
a) Funzione normativa: è quella originaria, connaturata all’esistenza stessa di questo
istituto, e consiste nella determinazione del contenuto dei futuri contratti individuali di
lavoro. Risponde all’esigenza di stabilire minimi di trattamento economico e normativo
per evitare che i singoli siano indotti ad accettare condizioni contrattuali vessatorie,
imposte dalla controparte, a motivo della loro posizione di inferiorità socio-economica.
In un primo momento, la parte normativa del contratto collettivo si limitava a regolare
la misura della retribuzione (si parlava, infatti, di “concordato di tariffa”), e solo in
seguito ha iniziato a disciplinare aspetti sempre più numerosi e particolareggiati come le
1
RUSCIANO, La metamorfosi del contratto collettivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 01, 29
11
ferie, il lavoro straordinario, le sanzioni disciplinari. La funzione normativa si realizza
col verificarsi di due presupposti:
- l’inderogabilità delle disposizioni del contratto collettivo da parte di quello
individuale, con la conseguenza che le clausole difformi peggiorative del secondo sono
automaticamente sostituite da quelle migliorative del primo;
- l’efficacia erga omnes del contenuto del contratto collettivo, anche nei confronti dei
datori e dei lavoratori non iscritti alle associazioni stipulanti.
b) Funzione obbligatoria: si esplica nella regolamentazione dei rapporti tra i soggetti –
siano essi i soggetti stipulanti il contratto o le loro organizzazioni interne minori
2
–
creando obblighi a loro carico. La tipologia di queste clausole è assai diversificata
3
: da
quelle riguardanti la futura produzione contrattuale o l'organizzazione dei diversi livelli
di competenza (come, ad esempio, il rinvio per talune materie alla contrattazione
aziendale ovvero la definizione delle procedure da adottare per le trattative di rinnovo
contrattuale) a quelle sulla istituzione, formazione e funzionamento di organi di
conciliazione e arbitrato; dalle clausole di carattere sindacale vero e proprio (come, ad
esempio, l'elezione degli organi di rappresentanza sindacale ovvero le trattenute dei
contributi sindacali) a quelle sulla costituzione di commissioni paritetiche con compiti
interpretativi delle formulazioni contrattuali; dalle clausole che disciplinano l'attività
2
Cass., 16 marzo 2001, n. 3813, in Mass. giur. lav., 2002, 113.
Cass., 15 gennaio 2003, n. 530, in Guida al lavoro, 2003, n. 11, 25.
3
PROSPERETTI, Autonomia collettiva e diritti sindacali, in Trattato dei contratti, I contratti di lavoro
(tomo I), Torino, 2009.
12
delle organizzazioni sindacali in ordine alla costituzione ed al funzionamento di casse di
previdenza o di assistenza a quelle di tregua o pace sindacale.
4
c) Funzione gestionale: la Corte Costituzionale ha delineato la nozione di contratto
collettivo gestionale dando sanzione a una classificazione della dottrina con la sentenza
del 30 giugno 1994, n. 268, riconoscendo tale natura agli accordi collettivi relativi alla
scelta dei lavoratori da collocare in mobilità a seguito di licenziamenti collettivi
5
. La
funzione gestionale è dunque da attribuirsi a quei contratti collettivi che contengono
regole generali per il datore relative alla disciplina di alcuni istituti che incidono
sull’attuazione dei singoli rapporti (criteri di scelta dei lavoratori da licenziare,
collocamento in cassa integrazione, sospensione, criteri di rotazione dei lavoratori
sospesi).
La Suprema Corte l’ha altresì identificata con la funzione di composizione di conflitti in
forma di transazione o accertamento. Un esempio di contratto collettivo gestionale è
proprio l’accordo sindacale, prevalente sulla legge, che definisce i criteri di scelta dei
lavoratori da collocare in mobilità, di cui all’art. 5, 1° comma, della legge n. 223 del
1991
6
. In relazione a questi contratti collettivi gestionali non si pone un problema di
4
La particolarità di tali clausole sta nel fatto che gli obblighi da esse previsti possono essere attuati solo
dalle associazioni sindacali stipulanti, anche se gli effetti positivi che ne derivano sono destinati a
riversarsi sui titolari dei rapporti di lavoro (lavoratori e datori di una certa categoria), siano essi iscritti
alle organizzazioni stipulanti o semplicemente aderenti alla disciplina dettata dal contratto collettivo.
Solo una volta che le associazioni stipulanti hanno adempiuto ai loro obblighi, istituendo gli organismi
contrattuali previsti, l’attualità di questi si svolge (a volte obbligatoriamente) anche nei confronti dei non
iscritti , purché il contratto individuale rimandi a quello collettivo di categoria. (Cfr. Cass., 5 maggio 2000
n. 5625)
5
PROSPERETTI, op. cit.
6
«L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze
tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti
collettivi stipulati con i sindacati di cui all'articolo 4, comma 2»
13
efficacia erga omnes in quanto, come ha chiarito la Consulta, l’efficacia di tali contratti
nei confronti dei singoli lavoratori trova fondamento direttamente nella legge
7
. Sempre
la giurisprudenza ha affermato che gli accordi sindacali con funzione gestionale
possono rientrare tra i “contratti collettivi applicati nell’unità produttiva” la cui
sottoscrizione è un requisiti essenziale per costituire le RSA
8
.
In un primo momento, con la sentenza n. 2635/1998
9
, la Corte di Cassazione aveva
riconosciuto la natura contrattuale di tali accordi, mentre con la sentenza n.
19275/2008
10
ha ritenuto che l’accordo gestionale non rientrerebbe nella previsione
dell’art. 1332 c.c. e non integrerebbe nemmeno il concetto di contratto collettivo di cui
all’art. 39 Cost., giacché solo i contratti normativi sarebbero contratti collettivi in senso
proprio. In realtà anche i contratti gestionali – che hanno lo scopo di
procedimentalizzare i poteri datoriali – attribuiscono diritti alle parti individuali
11
, ma
incidono sui contratti individuali in maniera episodica. Ne deriva una differenza,
importante quanto evidente, tra sindacati la cui contrattazione incide sensibilmente su
7
Cfr. Corte Cost. 30 giugno 1994, n. 268: «Così precisato il significato dell'art. 5, comma 1, gli accordi
sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla
specie dei contratti collettivi normativi, i soli contemplati dall'art. 39 Cost., destinati a regolare i rapporti
(individuali) di lavoro di una o più categorie professionali o di una o più singole imprese. Si tratta di un
tipo diverso di contratto, la cui efficacia diretta - in termini di limiti e modalità di esercizio del potere di
licenziamento finalizzato alla riorganizzazione del lavoro nell'impresa - si esplica esclusivamente nei
confronti degli imprenditori stipulanti (o del singolo imprenditore nel caso di accordo aziendale). Il
contratto collettivo, cui rinvia la norma in esame, incide sul singolo prestatore di lavoro indirettamente,
attraverso l'atto di recesso del datore in quanto vincolato dalla legge al rispetto dei criteri di scelta
concordati in sede sindacale.»
8
Cfr. art. 19 Statuto dei lavoratori.
9
Cass., 10 marzo 1998, n. 2635, Riv. it. dir. lav., 1999, II, 85.
10
Cass., 11 luglio 2008, n. 19275, Lavoro nella giur., I, 2009, 45.
11
SCARPELLI, Autonomia collettiva e rappresentatività sindacale, fra funzione gestionale e funzione
normativa, Riv. it. dir. lav., 1987, 610 ss.
14
tutto il complesso dei contratti individuali di una categoria o di un’azienda, e sindacati
invece occasionalmente firmatari di singoli e specifici accordi abilitati ad hoc dalla
legge. (Come nel caso di specie esaminato dalla Cassazione, laddove sindacati
maggiormente rappresentativi sul piano nazionale erano abilitati a sottoscrivere accordi
di mobilità ma non a costituire rappresentanze sindacali aziendali, in quanto non
firmatari dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva)
12
.
In ogni caso, gli accordi gestionali non rientrano nella previsione di cui all’art. 360
c.p.c., relativa al ricorso per Cassazione per “violazione o falsa applicazione di norme di
diritto o contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro”, difettando sia del carattere
“nazionale” sia dell’equiparazione alla legge.
12
PROSPERETTI, op. cit.
15
1. Le tipologie
2.1 Il contratto collettivo corporativo
Questo contratto collettivo, mantenuto in vita dal d.lgs.lgt. del 23 novembre 1944, n.
369 nonostante l'abrogazione del sistema corporativo
13
, non trova più alcuna
applicazione, perché superato dalla successiva contrattazione collettiva di diritto
comune (che per la giurisprudenza ha integralmente sostituito la disciplina corporativa
nonostante la diversità di fonte). Previsto dalla legge 3 aprile 1926, n. 563 istitutiva
dell’ordinamento corporativo, è inderogabile in pejus da parte dei contratti individuali e
efficace nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria.
In seguito all’emanazione del codice civile del 1942, è elevato al rango di fonte del
diritto, subordinata a legge e regolamenti, ed è soggetto alla disciplina speciale prevista
dagli artt. 2067-2077 c.c. . L’articolo 2077 cc. in particolare stabiliva al primo comma
che “i contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si
riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo”, e al
secondo comma che “le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o
successivi del contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto
collettivo salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli al datore di lavoro”.
13
L’art. 43 del d.lgs.lgt. 23-11-1944, n. 369 (che ha soppresso le organizzazioni sindacali fasciste) ha
disposto che restano in vigore le norme corporative di disciplina dei contratti collettivi ed individuali di
lavoro che non siano state modificate e che siano, altresì, compatibili con le successive norme
repubblicane e con la stessa Costituzione. Di fatto, l’ambito attuale di operatività delle norme
corporative si riduce a quelle categorie di lavoratori che non siano tutelate da contratti collettivi di lavoro
di diritto comune o perché non iscritti ad associazioni sindacali o perché ad essi non sia stato
legislativamente estesa l’efficacia degli stessi.
16
Dalla dottrina dell’epoca si evince però che il contratto collettivo corporativo non aveva
come scopo principale quello di assicurare delle condizioni minime di lavoro (che era
stato l’obiettivo principale delle prime organizzazioni sindacali ed il fulcro dei
“concordati di tariffa”) bensì piuttosto un’uniformità di queste. Lo conferma anche la
legislazione penale del 1930, che vietava lo sciopero e la serrata. Pertanto, appare chiaro
che lo scopo del contratto corporativo era la pacificazione sociale, ottenuta mediante
l’uniformità contrattuale sotto un potere statale estremamente centralizzato e persuasivo,
tipico del periodo fascista: uno strumento di ordine, più che di difesa del contraente
debole.
14
Quanto al rapporto tra contratto collettivo corporativo (precedente) e contratto collettivo
di diritto comune (successivo), la giurisprudenza ha fatto salvo il secondo in base al
criterio cronologico (lex posterior derogat priori): quando due regolamentazioni
entrambe di carattere generale si succedono, la prima è sostituita integralmente dalla
seconda ogni qualvolta essa è applicabile allo specifico rapporto di lavoro
15
. I contratti
collettivi corporativi, pur dispiegando un’effettiva efficacia normativa allargata alla
generalità degli appartenenti alle categorie destinatarie, possono dunque essere
modificati dai contratti collettivi di diritto comune. Sia perché il decreto luogotenenziale
ne prevedeva la conservazione dell’efficacia subordinatamente alla mancanza di
modifiche successive (che inevitabilmente non si sarebbero potute realizzare col
14
ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1995, 108.
15
Cass., 24 maggio 1960, n. 1336.
17
medesimo strumento normativo, data l’abolizione del corporativismo), sia perché –
come detto – nella gerarchia delle fonti essi non erano equiparati alla legge
16
.
Questa tesi è stato avallata anche dalla Corte Costituzionale, che ha escluso
categoricamente la superiorità di rango dei contratti corporativi rispetto a quelli di
diritto comune.
17
Tale sostituzione da parte del contratto di diritto comune si realizza anche in pejus, ma
limitatamente agli iscritti alle associazioni stipulanti; è stato così pienamente superato il
precedente orientamento che, basandosi sull’applicabilità dell’art. 2077 c.c. ai rapporti
tra contratti collettivi, ammetteva unicamente la derogabilità in melius
18
.
Diversamente da quanto accade per i contratti collettivi di diritto comune – atti di
autonomia collettiva impugnabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni
legali di interpretazione di cui agli artt. 1362 ss. c.c. o per manifesta illogicità o
inadeguatezza della motivazione
19
– la violazione o falsa applicazione di clausole del
contratto corporativo è motivo di impugnazione in Cassazione. L’eventuale
inosservanza delle disposizioni del contratto corporativo è tuttora sanzionata anche in
sede penale, sopravvivendo il 1° comma dell’art. 509 c.p. .
E’ da dire, in conclusione, che i contratti collettivi corporativi si ritagliano allo stato
attuale un raggio di applicabilità veramente ridotto, oltretutto limitato alle sole parti
normative. Oggi disciplinano solo quei rapporti di lavoro non coperti da successivi
16
ZOLI, Il contratto collettivo, in CARINCI (diretto da), Diritto del Lavoro, Torino, 2007, 353 ss.
17
Corte Cost., 12 febbraio 1963, n. 1.
18
GIUGNI, in EncGTrec, III, Roma, 1988.
19
Si veda, tra le altre, Cass., 22 marzo 1995, n. 3275, in Riv. it. dir. lav., 1996, 497.
18
contratti collettivi o perché il lavoratore non aderisce alle associazioni stipulanti o
perché espressamente rifiuta i risultati della contrattazione o perché appartenente a
categoria professionale che non sia stata interessata da alcun contratto collettivo di
diritto comune o recepito in decreto ai sensi della legge Vigorelli.
Si segnalano in dottrina come esempi tuttora vigenti i contratti degli agenti e dei
raccomandatari marittimi
20
.
2.2 Il contratto collettivo ex art. 39 Cost.
L'art. 39, 4° comma della Costituzione prevede che i sindacati registrati e dotati di
personalità giuridica possano “rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti,
stipulare contratti collettivi di lavoro” efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria
alla quale il contratto si riferisce
21
. Questo modello risente ancora dell’esperienza
corporativa: l’estensione erga omnes dell’efficacia viene subordinata al riconoscimento
giuridico del sindacato stipulante, che possieda un ordinamento interno a base
democratica. Pur ammettendosi l’esistenza di una pluralità di sindacati, qui l’agente
negoziale a livello categoriale è unitario, rappresentato da un organo comune delle
associazioni registrate e formato da loro delegati in numero proporzionale al peso
20
MISCIONE, Commento agli artt. 2066, 2098, 2124 e 2126, in CENDON (diretto da), Commentario al
codice civile, Torino, 1991, 11.
21
I diritti sanciti in questa disposizione costituzionale trovano corrispondenza nell’art. 28 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea. La disposizione comunitaria, intitolata Diritto di negoziazione e
di azioni collettive, prevede per i datori di lavoro e i lavoratori o le rispettive organizzazioni (cd. parti
sociali) il diritto di condurre relazioni contrattuali ed eventuali azioni per la difesa dei loro interessi.
Rientra in quest’ultimo caso il diritto di sciopero ex art. 40 Cost.
19
associativo. In sostanza l’accordo raggiunto dai sindacati registrati che associno la
maggioranza degli iscritti vincola l’intera categoria
22
.
Per dirla con le parole di un’importante dottrina, «la soluzione dell’art. 39 è mediana tra
la concezione corporativa del rapporto Stato - sindacato e la concezione liberale, in
quanto respinge sia la natura pubblica del sindacato, sia la visione meramente
privatistica dei suoi compiti, di gruppo di pressione rispetto al quale lo Stato è
agnostico
23
».
La norma costituzionale non ha peraltro mai trovato attuazione per molteplici ragioni
24
:
politiche (l’ingenuità del Costituente nel voler applicare il criterio proporzionale, tipico
della rappresentanza politica, anziché quello della “pari dignità” al tavolo delle trattative
e il fallimento del compromesso costituzionale tra la necessità di una disciplina pubblica
delle categorie professionali e l’attribuzione di un ruolo preminente al sindacato
maggioritario); pratiche e contingenti (con la fine dell’unità sindacale il compromesso
costituzionale diventa irrealizzabile, perché non esiste più omogeneità tra il sindacato
maggioritario, legato ai partiti di opposizione, e le principali forze politiche). In effetti,
il rifiuto di una legge applicativa dell’art. 39, così come dell’art. 40 Cost., è diventato
col passare degli anni un punto fermo dell’azione del sindacato – diffidente a sottoporsi
a forme di controllo pubblico – condiviso anche dal potere politico. Si è ritenuto che il
riconoscimento, mero controllo formale dei requisiti di legge, potesse facilmente
travalicare sul piano del merito, trasformandosi in pericoloso strumento di verifica dei
22
ZOLI, op. cit.
23
CARINCI, DE LUCA TAMAJO, TOSI, TREU, Diritto del lavoro. 1 Il diritto sindacale, 3
a
ed. Torino,
1994, 23.
24
GALANTINO, Il contratto collettivo, in Diritto sindacale, Torino, 2005, 129 ss.
20
rapporti interni alle associazioni o addirittura consentendo l’accesso ai meccanismi di
gestione
25
.
Il sindacato è rimasto semplice “associazione non riconosciuta” ex artt. 36 ss. c.c. e il
contratto collettivo è solo quello di diritto comune, soggetto alla disciplina civilistica sul
contratto in generale.
Proprio la mancata attuazione del disegno costituzionale ha indotto il legislatore a
tentare di conferire in modo indiretto efficacia erga omnes ai contratti collettivi di
diritto comune.
2.3 Il contratto collettivo recepito in decreto legislativo ex l. 741/1959
La legge 14 luglio 1959 n. 741 (cd. legge Vigorelli), a questo proposito, delegava il
Governo “ad emanare decreti legislativi intesi ad assicurare minimi inderogabili di
trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una
medesima categoria”, dunque con l’obiettivo di aggirare i limiti dell’art. 39 rivestendo
l’atto di autonomia privata di un involucro formale dotato di valore cogente. Stabiliva,
inoltre, che nell’emanare questi decreti l’esecutivo si sarebbe dovuto uniformare a tutte
le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi già sottoscritti dalle
associazioni sindacali prima dell’entrata in vigore, purché non in contrasto con altre
norme di legge
26
. Contro la legge Vigorelli furono avanzati da più parti dubbi di
legittimità costituzionale, anche perché attribuiva di fatto ai sindacati la potestà di
25
DELL’OLIO, L’organizzazione e l’azione sindacale in generale, Padova, 1980, 138.
26
Con l’art. 1 della legge 1° ottobre 1960, n. 1027 fu poi consentito al Governo di recepire anche i
contratti stipulati nei dieci mesi successivi all’entrata in vigore della l. 741/1959.
21
introdurre norme di legge – sia pure tramite l'interposizione di un decreto legislativo –
oltrepassando il limite di una legge attuativa dei principi fissati dall'art 39 della
Costituzione. Questi dubbi furono respinti dalla Consulta con la decisione n. 106 del 19
dicembre 1962
27
.
In merito all’efficacia di questi contratti recepiti in decreto, l’art. 7 c. 3° della stessa
legge 741/1959 chiariva che il loro contenuto, economico e normativo, si sostituiva
automaticamente a quello dei contratti vigenti, salve le condizioni più favorevoli ai
lavoratori. Essi continuavano a dispiegare i propri effetti anche dopo la scadenza o il
rinnovo dell’accordo o contratto collettivo cui il Governo si uniformava, fino ad una
successiva modifica legislativa o fino ad un successivo accordo valevole per tutti gli
appartenenti alla categoria. Per esplicita previsione legislativa erano ammesse deroghe a
questo trattamento “recepito”, sia con accordi o contratti collettivi sia con contratti
individuali, soltanto a favore dei lavoratori
28
.
Sulla valutazione del carattere migliorativo di tali deroghe, se debba cioè procedersi ad
un raffronto tra singole clausole, istituto per istituto, o considerando globalmente il
27
La Corte Costituzionale riconobbe la volontà del legislatore di conferire efficacia generale ai contratti
collettivi con modalità diverse da quelle previste dall’art. 39 Cost., ma la legge fu ugualmente fatta salva
considerata la sua natura “transitoria, provvisoria ed eccezionale rivolta a regolare una situazione
passata e a tutelare l’interesse pubblico alla parità di trattamento dei datori di lavoro e dei lavoratori”.
Per questa stessa ragione, la Corte ha invece ritenuto costituzionalmente illegittima la legge 1027/1960 di
proroga. Si rilevò che anche una sola reiterazione della legge delega toglieva alla stessa quel carattere di
transitorietà ed eccezionalità determinante ai fini di un positivo giudizio di compatibilità costituzionale.
La prospettiva che attraverso periodici rinnovi si potesse consolidare un meccanismo di estensione
dell’efficacia inconciliabile con il disposto costituzionale spinse la Corte a bloccare sul nascere la prassi
delle proroghe. (ZOLI, op. cit.)
28
Cass., 17 gennaio 1992, n. 84, in Dir. prat. lav., 1992, 9, 57.
22
contratto, la giurisprudenza si è divisa. Oggi prevale la tesi della comparazione dei
singoli istituti contrattuali
29
, nonostante decisioni di diverso avviso
30
.
Ricapitolando, dunque, le norme contenute in questi contratti prevalgono sulle regole
poste dalla contrattazione collettiva di diritto comune (fatta salva la deroga migliorativa
per mano di un contratto collettivo successivo), mentre soggiacciono – come fonti
subordinate alla legge – alle norme legislative, siano esse migliorative o peggiorative,
precedenti o successive.
Negli anni la dottrina si è sbizzarrita nell’analisi della natura dei contratti collettivi
recepiti, anche qualificandoli come “quasi leggi” o leggi ad efficacia cd. “affievolita”,
immediatamente al di sotto delle leggi imperative ma gerarchicamente superiori a tutte
le altre fonti del diritto
31
, o più semplicemente come contratti collettivi imposti alla
generalità
32
.
Anche l’attività interpretativa e orientativa della Consulta in materia è florida, e si è
espressa a più riprese in relazione ai singoli decreti delegati, risolvendo alcune questioni
di una certa rilevanza. In particolare, sul loro ambito di efficacia, la Corte ha chiarito
che spetta al giudice ordinario individuare i confini della categoria professionale cui essi
fanno riferimento, considerando soprattutto la stessa contrattazione collettiva e le
associazioni stipulanti.
29
Si veda la più recente Cass., 7 novembre 2003, n. 16772.
30
Cfr. Cass., 4 gennaio 2001, n. 65.
31
SERMONTI, Il punto sull’attuazione degli artt. 39 e 40 Cost., 1959, in Diritto del Lavoro, I, 57.
SIMI, La funzione della legge nella disciplina collettiva dei rapporti di lavoro, Milano, 1962, 245.
32
PERA, Problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, 1960, 351.
23
La ratio della legge delega, infatti, è estendere l’efficacia dei contratti anche oltre la
cerchia degli associati, ma senza travalicare i confini della categoria
33
.
Similmente ha avuto modo di esprimersi la giurisprudenza ordinaria, specialmente
riguardo a due ordini di problemi:
- della natura dei contratti collettivi recepiti e dei relativi decreti delegati si è occupata
la Cassazione. Esaltandone l’aspetto “negoziale” – cioè di contratti rivestiti del valore
legale attribuitogli dal decreto – la Suprema Corte ha sostenuto che l’estensione erga
omnes dei loro effetti obbligatori non può considerarsi diretta legiferazione.
Questa qualificazione “negoziale” ha comportato come conseguenze per il contratto
recepito: l’onere della prova e la produzione in giudizio a carico della parte che lo
invoca
34
; l’inapplicabilità del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., che non riguarda i
rapporti privatistici
35
; la possibilità per lo stesso giudice ordinario di rilevare un
contrasto di esso con i principi costituzionali (con particolare riguardo ad un eventuale
contrasto tra i minimi retributivi previsti dal contratto e l’art. 36 Cost.
36
, e alla
conseguente possibilità per l’autorità giudiziaria di disapplicare questi minimi per
applicare invece quelli dei successivi contratti collettivi di diritto comune), così come
sancito anche dalla Consulta
37
.
33
Si veda per esempio Corte Cost. 15 maggio 1973, n. 60.
34
Cfr. Cass., 2 luglio 1980, n. 4199.
35
Cfr., per esempio, Cass., 24 maggio 1973, n. 1523.
36
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un esistenza libera e dignitosa.»
37
Cfr. Corte Cost., 6 luglio 1971, n. 156 e Corte Cost., 24 gennaio 1983, n.6.