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CAPITOLO PRIMO
LA SIMBOLOGIA RELIGIOSA
TRA ANTROPOLOGIA E SOCIOLOGIA
SOMMARIO: 1. L‟antropologia del simbolismo religioso. 2. Prospettive sociologiche dei
simboli religiosi. 3. I simboli nei diritti confessionali.
Il simbolo religioso è un segno
1
o un espressione sensibile di un og-
getto o di un‟idea non visibile, del mondo divino, spontaneamente adopera-
to tutte le volte che l‟individuo, o il gruppo, intende pensare alla sfera mi-
steriosa del sacro. Possiamo distinguere varie specie di simboli, in base alla
loro natura, sono realistici, idealistici e razionalistici; riguardo la loro
espressione, invece, sono grafici, gestiti e formulati
2
.
Il valore realistico si ha nell‟identificazione alla cosa cui il simbolo si
riferisce, in quanto appartenente ad un individuo o un gruppo di tipo primi-
tivo. È proprio in questa realtà, cioè quella primitiva, che c‟è una stretta re-
1
U. GALIMBERTI, La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo, Milano, 2001, p. 71
ss., rileva che: C. G. Jung distingue simbolo e segno sulla circostanza che il primo rinvia a qual-
cosa di sconosciuto, e presuppone sempre che «l‟espressione scelta sia la migliore indicazione o
formulazione possibile di un dato fatto relativamente sconosciuto, ma la cui esistenza è ricono-
sciuta o considerata necessaria».
2
Cfr. ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed
arti, Roma, 1936, vol.XXXI, p. 796
4
lazione tra il rappresentante ed il rappresentato, dove gli individui vedono il
vero carattere e motivo spiritico del simbolo, dietro la cosa materiale che lo
rappresenta. Esempio di questa mistificazione sono i riti simbolici di magia
imitativa
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, quando nelle danze magiche, i danzatori rivestono la propria pel-
le ed indossano la maschera dell‟animale che identificano.
Oltre il suo valore realistico, il simbolo riflette la verità religiosa che
rappresenta, si pone in modo non troppo razionale per non perdere la sua
efficacia mistica basata sul senso dell‟inconcepibile e del misterioso. Non
sarà una riproduzione completa e fedele della realtà, come una fotografia di
ciò che rappresenta, in modo che possa essere immediatamente ricordato e
all‟occorrenza facilmente rappresentabile
4
.
Un simbolo parla per allusioni, esprime una certa esteriorità, ma vuole
dire qualcos‟altro, raggiungendo una realtà esclusa da un linguaggio più
concreto. Sembrerebbe più naturale credere che una affermazione diretta,
sia più esplicita e facile da ricordare rispetto a un‟affermazione indiretta,
che impone dei passaggi logici e verbali. In realtà, il simbolo condensa e
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Nel mondo primitivo dei Lele, una popolazione che abita il limite meridionale della foresta
tropicale della regione del Kasai (Congo), la vita quotidiana era vissuta in base a credenze imi-
tative, ogni persona deve possedere la virtù del buhonyi, che significa vergogna, timidezza o
modestia, altrimenti corrisponde ad un animale, che non può avere tale virtù. Cfr. M. DOUGLAS,
Antropologia e simbolismo. Religione, cibo e denaro nella vita sociale, Bologna, 1985, p. 31 ss.
4
In senso contrario, un segno più misterioso e complicato, il pesce (ichthýs), simbolo di «Gesù
Cristo figlio di Dio salvatore», utilizzato dai primi cristiani come segno di riconoscimento:
quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà,
tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono l'ichthýs. Se l'altro completava il segno, i
due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l'uno dell'al-
tro; J. DANIÉLOU, I simboli cristiani primitivi, (trad. a cura di A. PROIETTO), Roma, 1997.
5
contrae la verità là dove la definizione letterale costringe a dilungarsi in de-
scrizione e perifrasi, conservando suggestioni recondite che
un‟affermazione semplice può ridurre e dissolvere
5
.
La chiesa, fin dalle sue origini, pare avesse adottato il concetto di sim-
bolo come affermazione autorevole e formale di fede religiosa, tale da dif-
ferenziare i fedeli dai profani. In particolare il “simbolo” si riferiva alla
confessione di fede recitata dal neofito al momento del Battesimo sotto
forma del così detto Credo o “Simbolo Apostolico”
6
.
Il simbolo mostra infatti un architettura a doppio senso, è un segno la
cui specifica valenza rinvia ad una cosa che lascia intravedere un significa-
to, ed è l‟effetto di un processo analogico che è evocato soltanto da quel
senso primario
7
. Ma a differenza del segno, il simbolo non serve a conse-
guire risultati di conoscenza che siano verificabili o argomentabili, ma ad
evocare, in modo altamente sintetico sul piano cognitivo, rappresentazioni
intellettuali o immaginali.
L‟uomo usa segni astratti e convenzionali, cioè parole e simboli per
definire razionalmente il mondo e la realtà che lo costituiscono. Già
l‟artista paleolitico, che tracciava nel fondo delle caverne i graffiti che raf-
figuravano cose o animali, disegnavano il mondo organizzandolo secondo
personali esigenze logiche (magico-religiose, categoriali e funzionali) e con
5
E. WIND, L’eloquenza dei simboli, (a cura di T. ANDERSON), Milano, 1992, p. 3ss.
6
M. LUNGHI, Antropologia del simbolo religioso. Percorsi sacri a Brescia, Milano, 1997, p. 16
ss.
7
J. ROCOUER, L’interpretazione. Saggio su Freud, Milano, 1967, p. 30.
6
queste operazioni si poneva a incommensurabile distanza rispetto a tutti gli
altri animali. In seguito, scoperto il grande valore simbolico della parola, il
mondo, fino ad allora muto e silenzioso, fu interpretato dall‟uomo, che di-
venne, con le parole di Merleau-Ponty, “l‟unica prosa e poesia del cosmo”
8
.
Il simbolismo si manifesta attraverso due espressioni distinte: una ico-
nico-figurativa, relativa a forme materiali, e l‟altra semiotico-linguistica,
propria della comunicazione parlata. Il primo tipo rispecchia le immagini
esteriori che permettono la comprensione delle verità metafisiche, in quan-
to non esprimibili in altro modo se non per la componente sensibile della
conoscenza umana.
Il simbolismo verbale, invece, è la forma stessa del linguaggio che si
rivela capace di orientare il pensiero a superare il livello fisico della realtà
che attraverso l‟intuizione e la dialettica raggiunge la realtà sovrumana.
Tutto ciò è stato collegato dai pensatori cristiani di tutti i tempi
all‟affermazione contenuta nel prologo del Vangelo di Giovanni “In princi-
pio era il verbo… Tutto è stato fatto per mezzo di lui”. In tal modo il Cri-
stianesimo ha offerto un fondamento alla lettura simbolica del mondo dove
l‟opera del Verbo è anche la sua manifestazione considerando il creato un
linguaggio divino che va compreso in tutto ciò che vuole significare.
Commenta René Guenon «Se il verbo è il pensiero all‟interno e Parola
all‟esterno e se il mondo è l‟effetto della parola divina proferita all‟origine
8
M. MERLEAU-PONTY, L'oeil et l'esprit, Paris 1960, p.85 ss.
7
dei tempi, la natura stessa può essere presa come simbolo della realtà so-
prannaturale… Tale corrispondenza è il vero fondamento del simbolismo
ed è perciò che le leggi di un ambito inferiore possono sempre essere prese
per simboleggiare la realtà di ordine superiore, ove esse hanno la loro ori-
gine profonda, che è nello stesso tempo il loro principio e la loro fine»
9
.
Attraverso i secoli, l‟uso dei simboli, si è manifestato come un feno-
meno umano universale profondamente radicato nei codici di comunica-
zione e fondato sullo stesso uso del linguaggio entrando a far parte delle
prerogative dei rapporti sociali. E ciò che colpisce, anche considerando la
scena mondiale contemporanea, è la larga diffusione e l‟uso della nozione
di simbolismo per indicare soggetti, persone e avvenimenti di interesse ge-
nerale
10
.
Per comporre in modo tra loro solidale le nozioni di simbolismo e di
interpretazione, sono considerati come “due versanti”, produzione e rice-
zione, dello stesso fenomeno, sicché un testo o un discorso diventa simbo-
lico
11
nel momento in cui noi, attraverso un lavoro di interpretazione, sco-
priamo che esiste un senso indiretto
12
.
Questo senso indiretto può essere paragonato a quel carattere sopran-
naturale del simbolo che si sostituisce ai sensi e all‟intelletto che uniti rap-
9
R. GUENON, Simboli della scienza sacra, Milano, 1990, p. 22.
10
R. FIRTH, I simboli e le mode, Bari, 1977, p. 6 ss.
11
Si noti come nel Tempio Etrusco, il quale aveva corrispondenza con l‟universo, era possibile
trarre gli auspici consultando il fegato degli animali cha a sua volta corrispondeva, nelle sue
singole parti, alle diverse zone del cosmo.
12
T. TODOROV, Simbolismo e interpretazione, Napoli, 1986, p. 16.
8
presentano la realtà, costituendo però, i nemici naturali della religione.
L‟uomo preferisce, almeno a livello immaginale, i sistemi di simboli ai si-
stemi di cose, i sistemi di significati ai sistemi di fatti, e proprio questo fa-
scino irreale rende la religione pericolosa
13
.
I simboli religiosi sono stati utilizzati dall‟homo religiosus per tra-
scendere l‟ambiente temporale ed entrare in contatto con le potenze so-
prannaturali. Nel momento in cui l‟uomo prende coscienza del proprio de-
stino e della sua incapacità di dominarlo, vuole ricorrere ad una potenza
superiore a lui, misteriosa e ineffabile, che lo aiuti a mediare tra l‟oggetto
simbolico a cui tende e lui stesso. I simboli rappresentano, quindi, per
l‟homo religiosus un elemento di equilibrio, di ordine e di stabilità
14
.
Non si può, però, solo puntare l‟attenzione sul significato dei simboli
ed i loro contenuti rappresentativi, i loro effetti pratici, la loro carica se-
mantica, bisogna chiedersi quali forze si nascondono dietro e per quali
meccanismi sono in grado di produrre certi effetti
15
.
13
Cfr. E. DIENI, A. FERRARI, V. PACILLO, (con la collaborazione di L. L. VALLAURI) Simboli e
realizzazione, in ID., Symbolon/Diabolon. Simboli, religioni, diritti nell’Europa multiculturale,
Bologna, 2005, p. 24.
14
J. RIES, Trattato di Antropologia del sacro. Le origini e il problema dell’homo religiosus, Mi-
lano, 1989, p. 265.
15
Cfr. V. LANTERNANI, Antropologia religiosa: etnologia, storia, folklore, Bari, 1997, p. 154 ss.
9
2. Prospettive sociologiche dei simboli religiosi.
Le nostre istituzioni sociali ed economiche, la nostra cultura, la nostra
arte e musica, con molte delle nostre aspirazioni sono adesso legate a quelle
del resto del mondo, che costituiscono un villaggio globale multiculturale
pieno di promesse e di conflitti
16
.
Un processo, quello verso il villaggio globale, di cui le religioni uni-
versali ne costituiscono parte integrante, in quanto hanno la capacità di ri-
spondere a domande fondamentali in modo comprensibile, creando quelle
“Verità”, che nella società multiculturale possono entrare in competizione
fra loro e generare conflitti tra i popoli che le praticano.
La società è l‟insieme di relazioni sociali che intercorrono tra gli indi-
vidui. La relazione sociale è allo stesso tempo, referenza simbolica, che ri-
ferisce qualcosa a qualcos‟altro all‟interno di un quadro di significati sim-
bolici, connessione o vincolo strutturale, cioè un legame che costituisce sia
vincolo che risorsa, e fenomeno emergente di un agire reciproco, giacché la
relazione ha una propria connotazione che trascende quella dei soggetti che
la pongono in essere
17
.
L‟identità si fonda sulla relazione vissuta come appartenenza, perché
la stessa è «la capacità di elaborare ciò che la relazione sociale rileva come
16
Cfr. R. KURTZ LESTER, Le religioni nell’era della globalizzazione. Una prospettiva sociologi-
ca, Bologna, 2000, p. 14.
17
P. DONATI, Teoria relazionale della società, Milano, 1991, p. 25.
10
sua storia normativa»
18
. L‟identità implica un senso di appartenenza e di
reciprocità ad un determinato ordine sociale, simbolico e relazionale.
Il simbolo è letto nella società moderna sia alla luce delle relazioni che
si costituiscono tra esso e coloro che lo utilizzano, che alla luce delle rela-
zioni che si costituiscono tra gli attori sociali che si servono di simboli; i
quali generano e documentano i legami sociali, rinsaldando le relazioni già
esistenti e consentendo di stabilire una reciprocità anche tra persone che
non si conoscono personalmente. Come osservato da Gadamer, «il simbolo
indica ciò che non vale solo per il contenuto, ma per la possibilità di essere
esibito; esso è quindi un documento attraverso il quale i membri di una co-
munità si riconoscono; sia esso un simbolo religioso, o si presenti in senso
profano, come un distintivo, un lasciapassare, una parola d‟ordine»
19
.
Un altro sociologo, Durkheim, ritiene che all‟interno del sistema sim-
bolico, il simbolo ha il potere di costruzione della realtà che tende a stabili-
re un ordine gnoseologico, in una realtà conformistica, caratterizzata
dall‟omogeneità del tempo, dello spazio che rende possibile l‟accordo tra i
soggetti coinvolti. Individua così i simboli come gli strumenti per eccellen-
za dell‟integrazione sociale, poiché strumento di conoscenza, oltre che di
comunicazione, rendono possibile il consensus sul senso del mondo sociale
18
P. DONATI, Teoria relazionale della società, cit., p. 26.
19
H.G. GADAMER, Wahrheit undMethode. Tubingen, 1960, trad. it. di G. VATTIMO, Verità e
Metodo, Milano, 1983, p. 100.
11
stesso
20
. Nell‟indagare sui nessi tra il simbolismo sociale e la religione,
Durkheim interpreta in modo simbolico credenze e riti totemici
21
, conside-
rando la venerazione dei popoli primitivi, non rivolta agli animali ma alla
società, perché gli stessi animali sono la sua figura e il suo emblema. Da
queste proposizioni si coglie in pieno il pensiero dell‟autore che considera
la società essenzialmente simbolica e la vita sociale il fondamento
dell‟attività relazionale dell‟uomo.
Nelle relazioni sociali i simboli, se non sono imposti, assolvono una
funzione aggregante ed esprimono precisi messaggi di appartenenza alla
stessa identità del gruppo sociale. Il simbolo ha la capacità di sintetizzare i
messaggi che provengono dai membri, e di comunicarli con immediatezza,
costituendo tradizionalmente uno strumento di richiamo identitario capace
di suscitare e rafforzare appartenenze, ma al tempo stesso determinare
esclusioni rispetto al gruppo
22
.
20
Cfr. P. DONATI (a cura di S. BELARDINELLI, L. ALLODI), Sociologia della cultura. Sociologia,
cambiamento e politica sociale, Milano 2006, p. 106.
21
ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti,
Roma, 1936, vol. XXXIV, p. 113-114; il totem è un oggetto materiale, un corpo celeste, un
animale o una pianta che, nelle credenze delle tribù primitive, ha dato origine ad un gruppo et-
nico, con la conseguenza di un rapporto di discendenza e parentela, che determina degli obbli-
ghi all‟interno del gruppo, talvolta di carattere religioso. Nasce così Il Totemismo, un sistema di
discendenze e di parentele fondato sul totem. Secondo le varie credenze, esso presuppone
l‟esistenza di animali-antenati, che avrebbero dato origine al gruppo, diventandone anche i pro-
tettori. Ogni gruppo etnico si identificava con un animale. E infatti, ogni membro del gruppo
non solo pensava di discendere da un determinato animale (il totem), ma pensava anche di po-
tersi appropriare, con iniziazioni particolari, delle qualità di questo animale: ad esempio, della
forza, del coraggio, della bellezza. Le caratteristiche degli animali- totem hanno una forte valen-
za simbolica.
22
Cfr. J. HABERMAS, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, 1996, trad. it. Milano,
2002, pag. 141 ss.