Capitolo 1
Introduzione
1.1 Il dissesto idrogeologico in Italia
Il dissesto idrogeologico è fra le cause di rischio principali per l’assetto sociale ed eco-
nomico del nostro paese. Questo è stato, ed è soprattutto oggi, fortemente condizionato
dall’azione dell’uomo e dai continui cambiamenti del territorio che hanno incrementato la
possibilità di accadimento di fenomeni disastrosi, e dall’aumentata presenza di beni e di
persone nelle zone dove tali eventi sono probabili e si manifestano, con effetti a volte ca-
tastrofici. L’antropizzazione del territorio, il continuo disboscamento, l’apertura di cave,
l’emungimento incontrollato dalle falde sotterranee, la mancata manutenzione dei versanti
e delle valli fluviali e per finire un generale mancato rispetto dell’attuale legislazione urba-
nistica e di conseguenza un eccessivo abusivismo edilizio, hanno sicuramente aggravato il
dissesto evidenziando la fragilità del territorio italiano.
Nell’ambito del rischio idrogeologico il diverso combinarsi di fattori geologici, morfo-
logici e climatici dà luogo a un’ampia varietà di fenomeni di dissesto che differiscono per
tipologia, cinematismo, caratteri evolutivi e dimensioni delle aree coinvolte. Tra le diverse
tipologie di eventi calamitosi, quali terremoti, eruzioni vulcaniche ed esondazioni, le frane
rivestono una particolare importanza.
L’ingente numero di fenomeni franosi che sono avvenuti negli ultimi decenni in Italia
[1] e nel resto d’Europa, ha offerto un’opportunità di studio, che ha arricchito il patrimonio
di conoscenze dirette su questi fenomeni, stimolando la nascita di una nuova cultura di
previsione e prevenzione, imperniata sia sull’individuazione delle aree più suscettibili al
1
CAPITOLO 1. Introduzione
rischio da frana che sull’attuazione di interventi diretti alla riduzione dell’impatto generato
dai vari eventi di attivazione.
Sebbene in generale la maggior parte dei fenomeni franosi che si attivano siano eventi di
riattivazione di movimenti gravitativi pregressi, che coinvolgono dunque aree già preceden-
temente identificate come “instabili” sulla base di semplici considerazioni “storiche”, una
tipologia di frane che assume un’importanza centrale nella valutazione della pericolosità e
del rischio associato è costituita dagli eventi di neo-attivazione. Questi risultano particolar-
mente pericolosi, proprio a causa dell’impossibilità di ricorrere a semplici considerazioni
storiche per la previsione sia del “dove” che del “quando”.
Da un punto di vista legislativo, i concetti di previsione e prevenzione dai rischi naturali,
sono stati introdotti in Italia con l’istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile
(Legge 24/2/1992 n.225), il quale ha definito nell’art.1 l’importante compito di "tutelare
l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni
derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi" .
Proprio grazie a strutture organizzative come la Protezione Civile sono diventati in-
dispensabili strumenti di previsione in grado di fornire informazioni utili e tempestive a
supporto delle decisioni per l’attivazione di piani di emergenza.
Particolare interesse rivestono oggi quei sistemi di allerta in grado di monitorare aree
a scala regionale o addirittura nazionale, di facile consultazione ed utilizzo operativo e
sfruttabili per la previsione e la prevenzione delle emergenze sia in ambito di Protezione
Civile che in generale per attività di gestione del territorio.
1.2 Scopo del lavoro
Quando si parla di dissesto idrogeologico non si può non tenere conto che il problema
rientra nel più ampio contesto di riferimento dell’analisi del rischio e della valutazione della
pericolosità, concetti per i quali è sempre meglio fornire un’adeguata definizione.
Il rischio si definisce come
R
I
=H V
I
E [2]
doveH (Hazard) rappresenta la pericolosità (sinonimo: probabilità di occorrenza) cioè
la probabilità che un evento potenzialmente distruttivo, di determinata intensità, si verifichi
in una determinata zona in un determinato periodo di tempo.
2
CAPITOLO 1. Introduzione
ConV si intende la vulnerabilità, cioè il grado di perdita prodotto su un certo elemento
o gruppo di elementi esposti al rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di
una data intensità (l’inverso dell’attitudine di una determinata zona a sopportare un evento
di IntensitàI) ed infine conE si considera l’esposizione, cioè il valore esposto dalla zona.
Il principale contributo della ricerca e della modellistica è centrato nel calcolo e nella
definizione del fattoreH, detto anche pericolosità.
La ricerca della pericolosità associata alle frane si può dividere in due componenti: la
previsione spaziale e la previsione temporale. La prima, meglio conosciuta come suscettibi-
lità, è volta alla localizzazione sul territorio delle aree più propense al dissesto e quindi alla
realizzazione di carte di pericolosità relativa, con ripercussioni e applicazioni sia nel campo
della pianificazione territoriale che in ambito di Protezione Civile.
Il presente progetto di ricerca si pone come obiettivo la realizzazione e la messa a punto
di una metodologia in grado di valutare la propensione al dissesto dei versanti attraverso
lo studio di quei fattori che si presume siano correlati con i fenomeni di instabilità. Tale
metodologia deve soddisfare al tempo stesso criteri di scientificità, applicabilità, trasparen-
za, ripetibilità e aggiornabilità. Il modello sviluppato deve inoltre essere in grado di fornire
agli utenti uno strumento di facile comprensione e applicabilità utile per il monitoraggio
in tempo reale di grandezze a diversa tipologia connesse al rischio idrogeologico, e per le
relative analisi e valutazioni degli eventi in corso.
La realizzazione di un sistema modulare, scalabile e interoperabile con strumenti ester-
ni, a scala regionale, deve gioco forza utilizzare l’uso dei software GIS (Geographic Infor-
mation Systems) che permettono la manipolazione di dati grezzi già esistenti, la loro omo-
genizzazione, il loro trattamento statistico e l’esecuzione di operazioni che in altri contesti
sarebbero difficilmente realizzabili.
Inoltre le analisi spaziali e temporali delle informazioni inserite all’interno del GIS
consentono l’individuazione reale di diversificati e molteplici scenari di pericolosità e di
rischio.
L’area di studio prescelta è la regione Sicilia divisa in sei macroaree per garantire
una riduzione del carico computazionale e soprattutto l’utilizzo del modello su macchine
standard, eliminando così a monte l’utilizzo di super-computer.
3
CAPITOLO 1. Introduzione
1.3 Fasi di lavoro
La durata del progetto e la metodologia utilizzata prevede una suddivisione in fasi di realiz-
zazione successive come evidenziato nel seguente diagramma di flusso (fig. 1.1).
Figura 1.1: Diagramma di flusso delle diverse fasi del progetto di ricerca
La prima fase è stata rivolta al reperimento dei dati che costituiscono la base empirica
di partenza tra cui in primis la carta inventario delle frane, che è stata ridefinita creando una
4
CAPITOLO 1. Introduzione
nuova e più aggiornata banca dati e in secundis la litologia, l’uso del suolo e la pendenza
i quali rappresentano quei fattori ambientali e morfometrici di primaria importanza per la
comprensione delle condizioni di innesco dei fenomeni franosi.
Di seguito i dati sono stati omogeneizzati (data la provenienza da fonti diverse) e rielabo-
rati, sia da un punto di vista geografico che topologico secondo le specifiche della direttiva
europea INSPIRE [3].
Nella seconda fase si è proceduto allo studio statistico delle relazioni esistenti tra fattori
predisponenti all’innesco di una frana e le frane stesse.
Successivamente i dati a disposizione sono stati utilizzati all’interno di modelli previ-
sionali basati sulla statistica multivariata, come la Regressione Logistica, per la previsione
e gestione del rischio idrogeologico a scala regionale [4, 5, 6].
Nella terza e ultima fase è stata svolta la validazione dei dati ottenuti nella seconda fase
affinando l’analisi e stabilendo quali fossero le variabili più significative. I risultati della fase
di validazione sono stati utilizzati per ritornare sulle analisi eseguite nella seconda fase, ap-
portando delle modifiche nella scelta dei fattori predisponenti come per esempio l’aggiunta
di due nuove variabili, quali il Curve Number (CN) e l’Indice di Anomalia Pluviometrica
(Ia).
5
Capitolo 2
Area di studio
2.1 Inquadramento Geografico
La Sicilia ricopre una superficie di 25.428 km
2
, escluse le isole minori. Posizionata nel
centro del mediterraneo, la sua forma triangolare ed il sistema montuoso determinano la
sua suddivisione in tre aree distinte (fig. 2.1):
• l’area settentrionale o tirrenico, da Capo Peloro a Capo Boeo, con una superficie di
circa 6.630 km
2
;
• l’area meridionale o mediterraneo, da Capo Boeo a Capo Passero, con una superficie
di circa 10.754 km
2
;
• l’area orientale o ionico, da Capo Passero a Capo Peloro, con una superficie di circa
8.072 km
2
:
L’orografia del territorio siciliano mostra evidenti contrasti tra la posizione settentrio-
nale, prevalentemente montuosa e quella centro-meridionale e sud-occidentale con un pae-
saggio caratterizzato per la maggior parte da rilievi modesti a tipica forma collinare, ad
eccezione della catena montuosa dei Sicani.
Un altro paesaggio ancora è quello presente nell’area sud-orientale, con morfologia di
altipiano e quello prettamente orientale dominato dall’edificio vulcanico dell’Etna.
7
CAPITOLO 2. Area di studio
Figura 2.1: Sicilia - Schizzo geografico
Provincia Comuni Superficie (km
2
) Densità (ab/km
2
)
Agrigento 43 3042 154
Caltanissetta 22 2128 133
Catania 58 3552 310
Enna 20 2562 71
Messina 108 3247 208
Palermo 82 4992 248
Ragusa 12 1614 187
Siracusa 21 2109 191
Trapani 24 2461 176
TOTALE 390 25707 198
Tabella 2.1: Densità abitativa per provincia (ISTAT 2000)
8
CAPITOLO 2. Area di studio
Amministrativamente la Sicilia è suddivisa in nove provincie (tab. 2.1), i cui capoluo-
ghi sono: Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e
Trapani.
I territori a più elevata altitudine mostrano una caratterizzazione ben definita: o sono ri-
coperti per la maggior parte da boschi, o al contrario sono incolti. In entrambi i casi, presen-
tano una densità abitativa ridotta in confronto alle aree pianeggianti litoranee e ovviamente
ai centri urbani maggiori.
2.2 Inquadramento Geologico - Strutturale
La geologia è uno dei fattori predisponenti al rischio da frana che maggiormente influiscono
sulla valutazione della suscettibilità, poiché condiziona i parametri meccanici dei terreni e
quindi la resistenza al taglio; i terreni coesivi sono caratterizzati da parametri di resistenza
al taglio più scadenti rispetto ai terreni granulari e sono quindi soggetti al elevata suscetti-
bilità da frana, mentre per gli ammassi rocciosi la resistenza dipende dalle caratteristiche
geomeccaniche della roccia intatta, dal livello di alterazione della roccia e dalle condizioni
strutturali al contorno (discontinuità fratturazioni, ecc.).
La storia geologica della Sicilia è molto complessa, sia per la sua collocazione in un’area
del Mediterraneo caratterizzata da un’estrema mobilità tettonica, sia per la natura sedimen-
taria delle rocce depositatesi in differenti domini paleo-geografici, sia per le vicissitudini
tettoniche che si sono succedute dal Paleozoico superiore al Quaternario.
La Sicilia, in relazione al suo assetto geologico-strutturale, viene in maniera schema-
tica suddivisa in tre elementi strutturali (fig. 2.2) che si susseguono da Nord verso Sud,
rappresentati, in ordine da:
1. un settore di catena, che si sviluppa lungo la costa settentrionale dell’isola, dai Monti
Peloritani all’arcipelago delle Egadi, costituito da un insieme di strutture stratigrafico-
strutturali che derivano da deformazioni di domini paleo-geografici mesozoici paleo-
cenici vergenti verso S-SE;
2. un settore di avanfossa, che occupa quasi per intero la porzione centro-meridionale
dell’isola, articolandosi in due bacini di sedimentazione (Bacino di Caltanissetta e di
Castelvetrano) separati dai Monti Sicani che rappresentano la propaggine meridionale
della catena;
9
CAPITOLO 2. Area di studio
Figura 2.2: Schema Tettonico della Sicilia [7]
1. Vulcaniti dell’Etna; 2. Successioni Plio-Pleistoceniche; 3. Successioni Tortoniane-Plioceniche; 4.Unità dell’Arco Calabro-Peloritano;
5. Unità Sicilidi; 6. Flysch Numidico; 7. Unità Panormidi; 8. Unità Imeresi; 9. Unità Sicane; 10. Unità Trapanesi; 11. Unità Iblee e
Saccensi.
3. un settore di avampaese, localizzato nell’estremità meridionale dell’isola e costituito
prevalentemente da rocce carbonatiche (Plateau Ibleo).
Il settore di catena si sviluppa lungo la costa settentrionale ed è la risultante della defor-
mazione tettonica subita dai corpi geologici appartenenti a vari domini paleo-geografici, a
seguito dei movimenti compressivi connessi con la rotazione antioraria oligo-miocenica del
blocco Sardo-Corso ed alla collisione di questo con il margine continentale africano.
La zona di catena, nella Sicilia Occidentale è costituita dal sovrascorrimento di più unità
tettoniche impilatesi con vergenza meridionale. Nel lavoro dal titolo “Evoluzione Paleotet-
tonica della Sicilia Nord-Occidentale (Giunta e Liguori, 1973)” [8], hanno costruito per la
catena un modello palinspastico che da Nord verso Sud prevede: una Zona Interna, una Piat-
taforma Panormide, un Bacino Imerese, una Piattaforma Intermedia, un Bacino Trapanese,
un Bacino Sicano ed infine una una Piattaforma Esterna.
Uno dei lavori più importanti sulla geologia della Sicilia, considerato ancora oggi un
valido punto di riferimento è lo “Schema Geologico della Sicilia (Catalano e D’argenio,
1982)” [9], dove gli autori dividono le unità che costituiscono la catena in unità dislo-
10
CAPITOLO 2. Area di studio
cate (Unità Saccensi, Sicane e Trapanesi), unità statigrafico-strutturali fortemente dislo-
cate (Unità Imeresi, Panormidi, Prepanormidi), unità interne (Sicilidi) ed unità dell’Arco
Calabro-Peloritano.
Nel 1987 Montanari [10] considera invece un Paleodominio Ibleo, uno Siculo Appen-
ninico (Sicano, Imerese, Panormide), uno Sicilide ed infine il Paleodominio Tunisino. A
quest’ultimo vengono riferiti i domini che gli autori precedenti avevano designato con il
nome di Prepanormide, Trapanese e Panormide.
Oggi, in accordo con le vedute più recenti, è da ritenere che le Unità bacinali Sicane
ed Imeresi siano sovrapposte sulle unità di piattaforma Trapanesi e Saccensi. Differenti
opinioni si hanno invece circa la posizione geometrica fra le Unità Panormidi e Imeresi,
con alcuni autori (Lucchesi e Agnesi, 2007) [11] che ritengono le Unità Imeresi sovrapposte
tettonicamente alle Unità Panormidi ed altri che prevedono invece il sovrascorrimento delle
successioni di bacino (Unità Imeresi) al di sopra delle successioni di mare basso (Unità
Panormidi).
Il settore di avampaese, è localizzato nella porzione sud-orientale ed è costituito da
rocce prevalentemente carbonatiche affioranti nell’area iblea. Questo settore è caratterizzato
dalla presenza di un substrato debolmente deformato che ha permesso lo sviluppo di estese
aree subpianeggianti localizzate ad alta quota, dissecate da frequenti e profondi canyon
fluviocarsici.
11
CAPITOLO 2. Area di studio
2.2.1 Unità Stratigrafico-Strutturali
Nella presente tesi, per la descrizione delle unità stratigrafico-strutturali è stato preso come
riferimento lo “Schema Geologico della Sicilia”[9] di Catalano e D’Argenio che distingue,
dalle zone interne verso le esterne, vari domini accavallati gli uni sugli altri, vergenti verso
sud e successivamente trasformati in unità stratigrafico-strutturali.
Di seguito una breve descrizione delle unità suddette.
Unità stratigrafico-strutturale Iblea
L’unità stratigrafico-strutturale Iblea (fig. 2.3) viene considerata come parte affiorante del-
l’avampaese della Sicilia. Il plateau Ibleo consiste di una struttura sollevata e limitata da
faglie normali con direzione NO-SE e verso nord da sistemi E-O. I terreni dell’area Iblea
hanno un’età che va dal Trias superiore al Pleistocene. In questi terreni è possibile differen-
ziare due successioni tipo che possono essere attribuite ad ambienti deposizionali in parte
diversi tra loro.
Figura 2.3: Affioramenti dell’Unità Iblea
L’originaria piattaforma carbonatica Iblea,
nel Giurassico si è divisa in due distinti do-
mini: l’area di Siracusa e l’area di Ragusa.
Alla fine del Lias questa differenziazione si
è progressivamente ridotta per arrivare, du-
rante il Malm sup.-Cretaceo, ad un ambien-
te deposizionale di tipo pelagico, comune
ad entrambe le aree, con la presenza di cal-
cari a Calpionelle e calcari a foraminife-
ri planctonici “Scaglia” fino ad arrivare al
Cretaceo sup. dove sottili depositi di acque
basse si sono formati su isolati seamounts vulcanici [12].
Unità stratigrafico-strutturali debolmente dislocate
Le unità stratigrafico-strutturali Saccensi (fig. 2.4) derivano dalla deformazione, poco
accentuata, del dominio Saccense e del fianco meridionale del dominio Sicano.
La stratigrafia del dominio Saccense è rappresentata da due successioni alquanto diverse
tra di loro.
12
CAPITOLO 2. Area di studio
La successione stratigrafica tipica delle unità di Monte San Calogero e di Pizzo Telegra-
fo è costituita da diverse centinaia di metri di:
(a) calcari a stromatoliti e megalodonti (Norico-Lias medio); (b) calcari a crinoidi, rosso
ammonitico nodulare, calcilutiti a lamellibranchi (Lias sup.-Malm);
Figura 2.4: Affioramenti delle Unità Saccensi
(c) calcari a calpionelle (Giurassico
sup.-Cretaceo inf.); (d) calcilutiti bianche
a globotruncane e globorotarie “Scaglia”
(Cretaceo sup.-Eocene); (e) calcilutiti mar-
nose e calcareniti organogene risedimentate
con nummuliti (Eocene-Oligocene inf.); (f)
calcari a lepidocicline e rodoficee (Oligoce-
ne sup.); (g) calcareniti organogene glauco-
nitiche (Miocene inf.); (h) marne sabbiose
pelagiche con orbuline (Miocene inf.); (i)
argille sabbiose, arenarie ed evaporiti (Tor-
toniano sup.-Messiniano); (j) marne bianche con globigerine e calcareniti risedimentate
“Trubi” (Pliocene inf.).
Nell’unità di Monte Genuardo la successione stratigrafica è costituita da circa un mi-
gliaio di metri di:
(a) brecce e calcari dolomitizzati, selciferi, risedimentati (Lias Inf.); (b) calcari ooliti-
ci e bioclastici risedimentati e calcari a crinoidi, brecce, calcilutiti, basalti (Lias-Malm);
(c) calcari a radiolari con selci, calcari a calpionelle e aptici (Giurassico sup.-Cretaceo
inf.); (d) marne con globotruncane da grigie a verdi e calcilutiti rosse “Scaglia” con po-
tenti intercalazioni di megabrecce maastrichtiane (Cretaceo sup.-Paleocene); (e) calciluti-
ti marnose biancastre con globorotalie “scaglia bianca” (Eocene medio e sup.); (f) mar-
ne pelagiche con calcareniti organogene a nummuliti risedimentate, calcareniti organo-
gene bianche con intercalazioni di marne (Oligocene-Miocene inf.); (g) marne argillose
con orbuline (Serravalliano-Tortoniano); (h) depositi terrigeni ed evaporitici (Tortoniano
sup.-Messiniano); (i) marne a globigerine “Trubi” (Pliocene inf.).
Le unità stratigrafico-strutturali Sicane (fig. 2.5) affiorano sia nella Sicilia occidentale
che nella Sicilia Orientale. Esse derivano dalla deformazione del bacino Sicano e la loro
13
CAPITOLO 2. Area di studio
messa in posto può essere datata tra il Tortoniano inferiore e il Pliocene inferiore nella
Sicilia occidentale e successivamente al Pliocene inferiore nella Sicilia orientale.
Figura 2.5: Affioramenti delle Unità Sicane
Due sono le principali successioni rico-
nosciute. La prima può essere ricavata
più o meno completamente nell’unità Piz-
zo Mondello, Monte Barracù e Monte Rose
ed è composta da diverse centinaia di metri
di:
(a) marne e calcari rossastri a luoghi tu-
facei con intercalati blocchi arrotondati di
calcari organogeni permiani, arenaree mi-
cacee con faune di affinità ladinica e fusi-
linidi risedimentate e rocce basiche (Trias
medio-Carnico); (b) argille pelagiche grigio scure, calcari a lamellibranchi (Carnico); (c)
calcari a dolomie con selce, brecce dolomitizzate, calcari con lamellibranchi e radiolari
(Norico-Lias inf.); (d) biocalcareniti a crinoidi, calcari con elementi neritici risedimenta-
ti, vulcaniti basiche (Lias medio-Malm); (e) calciluititi a calpionelle a luoghi silicizzate
(Giurassico sup.-Crataceo inf.); (f) calcilutiti a globotruncane da bianche a rosse “Sca-
glia” e megabrecce (Maastrichtiano); (g) calcilutiti marnose bianche e rosse (Cretaceo
sup.-Eocene); (h) calcareniti organogene risedimentate e marne verdi (Oligocene); (i) cal-
careniti organogene glauconitiche (Miocene inf.); (j) argille e marne sabbiose con orbuline
(Serravalliano-Tortoniano); (k) depositi gessosi (Messiniano).
La seconda successione stratigrafica rappresenta la parte più settentrionale del dominio
Sicano e consiste di:
(a) calcari pelagici grigi e brecce calcaree (Lias); (b) calcari rossi risedimentati (Dog-
ger); (c) calcari nodulari rosa (Malm); (d) calcari a calpionelle (Titonico sup.-Berrosiano);
(e) calcari a foraminiferi planctonici “Scaglia” (Cretaceo sup.); (f) calcareniti organogenee
glauconitiche (Miocene inf.); (g) marne grigie (Miocene medio e sup.).
Le unità stratigrafico-strutturali Trapanesi (fig. 2.6) derivano dalla deformazione dei
Domini Trapanesi, affiorano largamente nella parte più occidentale della Sicilia (dove rag-
giungono spessori di oltre 2.000 m) e nella parte centro-occidentale dell’isola. Le unità
distaccate dal loro basamento sono state accavallate sopra le marne argillose del Tortoniano
14
CAPITOLO 2. Area di studio
Figura 2.6: Affioramenti delle Unità Trapanesi
inf.-Serravalliano dei Domini Sicani e
Saccensi.
La loro successione è costituita da
diverse centinaia di metri di:
(a) calcari stromatolitici e dolomie, al-
ternantisi ciclicamente a calcari ad alghe
e megalodonti (Trias sup.-Lias medio); (b)
calcari a crinoidi rossi, vulcaniti basi-
che, calcari ammonitici rossi nodulari (Lias
sup.-Malm sup.); (c) calcilutiti a calpionelle
e globotruncane (Giurassico sup.-Cretaceo sup.); (d) Calcareniti organogene glauconitiche
(Miocene inf.); (e) marne argillose ad orbuline (Serravalliano-Tortoniano).
Unità stratigrafico-strutturali fortemente dislocate
Le unità stratigrafico-strutturali Imeresi (fig. 2.7) affiorano diffusamente dai Monti di
Trapani alle Madonie e verso est fino ai Nebrodi.
Figura 2.7: Affioramenti delle Unità Imeresi
Due sono le principali unità che caratteriz-
zano i terreni imeresi: l’unità di Sagana e
l’unità di Piana degli Albanesi. Verso est
affiora anche l’unità di Pizzo di Cane analo-
ga all’unità di Sagana e che ne costituisce la
continuazione laterale verso est [13]. Que-
ste unità si accavallano su quelle derivan-
ti dalla deformazione dei Domini Trapane-
si e Sicani, distaccatesi dal loro basamento
intorno al Miocene inf. e medio.
La successione caratteristica delle unità
Imeresi è data da un migliaio di metri e oltre di:
(a) argille rosse e verdi e marne grigie, calcilutiti con lamellibranchi, basalti (Carni-
co); (b) calcilutiti con selci ad Halobie e radiolari e calcareniti organogene e risedimentate
(Norico); (c) brecce dolomitizzate, calcareniti dolomitizzate e risedimentate, megabrecce
(Lias); (d) argilliti silicee, radiolariti con intercalazioni di calcareniti risedimentate (Lias
15
CAPITOLO 2. Area di studio
sup.-Cretaceo inf.); (e) marne a radiolari, calcilutiti e marne rosse con globotruncana e glo-
borotalia “Scaglia” con intercalazioni di calcareniti organogene con nummuliti risedimen-
tate (Cretaceo-Eocene); (f) argilliti ed arenarie “Flysch Numidico” (Oligocene-Miocene
inf.).
Le unità stratigrafico-strutturali Panormidi (fig. 2.8) affiorano da Capo San Vito fino
alle Madonie con andamento O-E. Dalla deformazione della piattaforma Panormide si sono
formate le due unità principali: l’unità Cozzo di Lupo e l’unità Monte Gallo-Monte Palmeto,
scollatesi dal basamento nel Miocene inferiore.
Figura 2.8: Affioramenti delle Unità Panormidi
L’unità Monte Dipilo-Monte Mufara è pre-
sente solo nelle Madonie e si può conside-
rare equivalente alle due unità precedente-
mente descritte.
Una successione tipo è costituita da
centinaia di metri di:
(a) calcari stromatolitici e calcari con
megalodonti, calcari algali, biolititi a spu-
gne e coralli (Norico-Lias inf.); (b) brecce
dolomitiche e calcari dolomitici risedimen-
tati (Giurassico inf.); (c) calcari con stroma-
toliti e molluschi, calcari algali e calcari d’acqua bassa risedimentati (Cretaceo-Giurassico);
(d) calcilutiti bianche e rosse con globotruncana e globorotalia “Scaglia” (Cretaceo-Eocene
inf.); (e) argilliti ed arenarie “Flysch Numidico” (Oligocene-Miocene inf.).
Unità Interne
Le unità Sicilidi (fig. 2.9) sono costituite da terreni derivanti da domini più interni rispetto
ai domini panormidi e sovrapposti geometricamente alle unità esterne della catena siciliana.
Su di esse poggiano le unità tettoniche dell’Arco Calabro e i depositi post-orogenici del
Miocene-Pliocene. Le Sicilidi, secondo Ogniben [14, 15, 16] sono costituite da due unità
tettoniche sovrapposte tra loro. La più bassa è l’unità di Troina costituita da terreni eocenici
e medio miocenici mentre l’altra, geometricamente più alta, è l’unità di Cesarò costituita da
terreni compresi tra il Giurassico sup. e l’Eocene inferiore.
16