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INTRODUZIONE
La storia delle migrazioni è la storia che da secoli descrive lo spostamento
di milioni di uomini, donne e bambini che lasciano il proprio Paese d'origine alla
ricerca di un’occasione di vita migliore. L'esperienza migratoria è fatta di tanti
momenti: c'è il momento della partenza, quello del viaggio, infine il momento
dell'arrivo, l'unico aspetto della vita del migrante con cui la società di accoglienza
si trova a confrontarsi. Troppo spesso, nel sentire comune, i momenti che hanno
preceduto l’arrivo vengono dimenticati o relegati ad un piano secondario. Così si
dimenticano i mesi, a volte gli anni, passati a preparare il viaggio, gli sforzi
economici che spesso tutta la famiglia deve fare per permettere anche a uno solo
di affrontarlo, la partenza dalla propria terra in cui si lasciano familiari e amici e il
lungo percorso che porta fino al punto di destinazione. Da qui, la scelta di parlare,
all’interno di questo lavoro, di migranti, piuttosto che di immigrati, termine,
quest’ultimo, che racchiude in sØ il punto di vista della società di accoglienza.
Attualmente i migranti che ogni anno si spostano all'interno di uno spazio
globale rappresentano circa il 3% della popolazione mondiale e tra il 10-15%
circa è costituito da migranti irregolari
1
. I motivi che spingono a lasciare il proprio
Paese sono diversi e spesso sovrapposti: le persone si spostano per povertà,
miseria, guerre e carestie, spesso fuggono da persecuzioni, molte volte migrare
non è una scelta volontaria, ma l'unica opzione possibile per sopravvivere.
Accanto a questi fattori oggettivi, si moltiplicano anche le scelte individuali, i
tentativi da parte dei singoli di dare nuove forme alle proprie vite. Al di là dei
motivi che spingono a spostarsi, le migrazioni sono oggi strutturali all’assetto
mondiale e in continua crescita.
1 Secondo i dati dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, attualmente il
numero dei migranti è intorno ai 192 milioni, con una crescita annuale del 2.9% circa.
International Organization for Migration, World Migration 2005: Costs and Benefits of
International Migration, www.iom.int
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L’inarrestabilità dei flussi migratori è tutt’oggi percepita dagli Stati di arrivo
come una minaccia all’ordine interno, cui gli stessi hanno risposto attuando
strategie centrate sul controllo dell’immigrazione irregolare, avvenuta, cioè,
all’esterno dei canali regolari d’ingresso. In Italia, l'aspetto mediatico della
questione immigrazione ha svolto, a partire dagli anni '90, un ruolo centrale
nell'indirizzare l'opinione pubblica verso un concetto di immigrazione come
invasione difficile da governare, andando così ad alimentare un sentimento con
tutta probabilità già diffuso all’interno della società. A fronte di un’incapacità
cronica di risalire alle cause dell’incertezza tipica della società globale,
imprenditori morali e attori politici in cerca di facili consensi hanno avuto buon
gioco nel far passare una visione della microcriminalità associata
sistematicamente alla presenza di migranti, spesso presentata perfino come
orizzonte strategico prevalente per gli irregolari che giungono nei Paesi
occidentali. L’effetto di questa impostazione retorica è quello di aver generato una
domanda di sicurezza di fatto basata sull’identificazione del migrante come
nemico interno. Il fenomeno migratorio viene rappresentato all’interno della
cronaca ponendo un’enfasi sui fatti criminali o devianti, attraverso un linguaggio e
un metodo che comunicano un’immagine dell’immigrazione come problema
sociale o come questione di sicurezza. Questo sembra determinare l'idea di
un'immigrazione pericolosa, che si è tradotta nell'equazione
clandestino=criminale in cui la condizione determinata dalla mancanza di un
permesso di soggiorno è associata ad un termine che indica la commissione di un
reato
2
. In questo clima di insicurezza, gli Stati hanno cercato di riconfermare il
ruolo di tutori dell’ordine attraverso una gestione poliziesca del fenomeno
migratorio.
2 Spesso sono gli stessi media a utilizzare in maniera impropria il termine clandestino
comportando una “criminalizzazione dell’alterità” e un “rafforzamento dell’esclusione” a cui non
sono immuni le stesse forze dell’ordine, sempre impegnate in una “gestione poliziesca del
fenomeno migratorio” che condanna qualsiasi migrante a continui controlli. Capello C., Le
prigioni invisibili: riflessioni sulle politiche dell’alterità, “Passaggi. Rivista italiana di scienze
transculturali”, n. 7/2004.
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La tensione tra migrazioni e tentativi degli Stati di controllare i confini
nazionali, ha portato alla creazione dei Centri di permanenza temporanea e
assistenza (Cpta) come strumenti per attuare l’espulsione di soggetti indesiderati,
presunta minaccia della stabilità interna.
Il fenomeno della diffusione dei Centri di Permanenza come strumento di
contrasto dell’immigrazione clandestina si riscontra ormai in tutta Europa a partire
dal 1995, soprattutto con l’entrata in vigore degli accordi di Schengen (26 marzo
1995) e con l’adozione di una politica europea di contenimento nei confronti di
flussi migratori sempre piø consistenti.
In Italia, l’istituzione dei primi Cpta, è avvenuta nel 1998, con
l’approvazione della legge conosciuta come Turco-Napolitano. Questa legge, in
cui coesistono misure garantiste e tentativi di riconoscimento di diritti per i
regolari, con misure restrittive nei confronti degli irregolari, ha materializzato
l’esistenza di un diritto speciale riservato agli stranieri irregolari. Questa norma,
distinguendo tra diritti riconosciuti ai regolari, sulla scia dei diritti riconosciuti al
cittadino e diritti che dovrebbero spettare a tutti gli stranieri indipendentemente
dal loro status giuridico, ha di fatto tracciato “un confine tra chi può essere
soggetto a qualsiasi provvedimento di ordine pubblico (fermo, espulsione,
detenzione nei campi) senza subire maltrattamenti (che violerebbero i diritti della
sua “persona umana”) e chi, essendo regolare, è equiparato in materia civile al
cittadino italiano”
3
. In questo modo l’Italia, così come il resto della realtà
internazionale, attraverso la creazione di istituzioni dove di fatto è possibile
sospendere anche quei diritti che dovrebbero spettare ad ogni uomo, per il solo
fatto di essere tale, ha mostrato la disponibilità a sacrificare i diritti fondamentali
di una categoria di soggetti in nome della difesa dello status quo
4
.
3 Dal Lago A., Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano,
1999, pag. 38.
4 Düvell F., La globalizzazione del controllo delle migrazioni, in Mezzadra S. (a cura di), I confini
della libertà, Derive Approdi, Roma, 2004, pag. 24.
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La previsione di norme che presuppongono un trattamento differenziato sul
piano giuridico tra cittadini e stranieri rappresenta un esempio di come, al fine di
tutelare la sicurezza interna da una presunta emergenza, nelle società
democratiche occidentali sia possibile sospendere i diritti fondamentali di alcune
categorie di persone.
A partire da queste premesse, l’ipotesi è che i Centri di permanenza
temporanea siano la materializzazione della contraddizione tra universalità dei
diritti dell’uomo e cittadinanza. I Cpta, in sostanza, sembrano essere luoghi di
esclusione dal godimento dei diritti fondamentali e strumento di tale esclusione:
sia come conseguenza di previsioni normative che sanciscono la privazione della
libertà personale in assenza di reato, sia come fonte di produzione di ulteriori
violazioni. La realizzazione dei Cpta ha, infatti, sancito la detenzione
amministrativa: per la prima volta, la detenzione è prevista per dei soggetti che
non hanno commesso alcun reato perseguibile dal punto di vista penale, ma
semplicemente un illecito amministrativo, cioè la mancanza di un permesso di
soggiorno regolare. Ciò è stato possibile per mezzo di una norma che demanda la
regolazione del fenomeno all’ambito amministrativo e attraverso un’esclusione
dei centri dal sistema carcerario, sancendo un diritto speciale caratterizzato dalla
mancanza del diritto di difesa, dalla discrezionalità crescente degli organi di
polizia, dall’assenza o dalla superficialità del controllo giurisdizionale.
A partire da queste considerazioni, questo lavoro tenta di analizzare quali
siano i meccanismi socio-giuridici che sembrano riuscire nell’impresa impossibile
di coniugare la proclamazione formale del principio di universalità e le pratiche di
esclusione di una parte della popolazione dall’effettivo godimento dei diritti
fondamentali, arrivando a ipotizzare quale ruolo svolgano questi centri all’interno
della società attuale. Se dunque, nonostante le dichiarazioni di principio,
l’appartenenza giuridica a uno Stato sia ancora la condizione necessaria per il
riconoscimento di diritti che dovrebbero spettare all’uomo in quanto tale.
L’analisi che svolgo all’interno di questo lavoro, cerca di ricostruire tutti gli
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aspetti sia della normativa, sia della prassi, che si pongono in contrasto con i diritti
umani sanciti sia a livello costituzionale, sia a livello internazionale con la
codificazione dei principi espressi dalla Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo del 1948. Se, infatti, il riconoscimento di tali diritti a tutte le persone
dovrebbe essere scontato, l’esistenza dei Cpta sembra dimostrare che anche nelle
democrazie occidentali alcune categorie di soggetti vengono escluse dal loro
godimento. Se dunque i principi enunciati all’indomani della seconda guerra
mondiale hanno cercato di porre un freno al potere dei governi, sembra che tale
limite sfugga nel momento in cui tale autorità viene esercitata nei confronti degli
stranieri.
L’elaborato risulta così strutturato:
Nel Capitolo I, viene fatta un’analisi della normativa italiana
sull’immigrazione, a partire dalla prima legislazione, con particolare attenzione
alla legge Turco – Napolitano che ha istituiti i Centri di permanenza Temporanea
e Assistenza, fino al “Pacchetto sicurezza” del 2008. L’esame della normativa si
è concentrato sulle disposizioni in tema di allontanamento degli stranieri
irregolari, entrando nel merito degli strumenti ad esso funzionali, quali
respingimento, espulsione, trattenimento all’interno dei Cpta, mettendo in
evidenza le modifiche apportate dal legislatore nel periodo successivo
all’istituzione di questi.
Il Capitolo II cerca di fornire una panoramica sulle strutture italiane
attualmente funzionanti, confrontando le caratteristiche strutturali e le modalità di
gestione interna. Il focus è centrato sui diritti e i doveri che spettano ai trattenuti in
base alla normativa. Infine, viene brevemente introdotta la questione del
trattenimento dei richiedenti asilo attraverso l’analisi dei centri riservati a questa
categoria di migranti.
Punto centrale del Capitolo 3 è la tematica dei diritti umani in relazione
all’istituto del trattenimento degli stranieri irregolari. A partire da una breve
riflessione sul riconoscimento dei diritti fondamentali degli stranieri e del rapporto
10
tra questo aspetto e il concetto di cittadinanza, vengono analizzati il diritto alla
libertà e il diritto alla difesa riconosciuti ai trattenuti in base alla legislazione
italiana. Il lavoro procede considerando gli aspetti delle disposizioni normative
che sono in contrasto con i diritti fondamentali sanciti sia a livello costituzionale,
sia dai principali strumenti internazionali di protezione dei diritti dell’uomo, con
particolare riferimento a specifiche categorie di migranti, quali i richiedenti asilo e
i minori. La parte centrale del capitolo intende far emergere le contraddizioni tra
norme e prassi e, in particolare, evidenziare le situazioni concrete che danno
origine ad ulteriori violazioni dei diritti umani.
Dalle considerazioni fatte in merito al discostamento tra diritto e prassi e
alle implicazioni che da questo derivano, il Capitolo 4 intende ricostruire le
possibili funzioni che rivestono i centri per migranti nelle democrazie occidentali.
e la loro compatibilità con il principio di universalità dei diritti dell’uomo.
Obiettivo fondamentale è definire se l’esistenza dei Centri di permanenza
temporanea e Assistenza può coniugarsi con l’effettività del principio di
universalità dei diritti dell’uomo.
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CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA DELL’IMMIGRAZIONE
IN ITALIA
1.1. Un diritto speciale dei migranti
Il diritto degli stranieri, l’insieme di norme volte a regolare l’ingresso e il
soggiorno nel territorio dello Stato e l’allontanamento dello straniero dal territorio
nazionale, ha subito rilevanti modifiche a partire soprattutto dalla fine degli anni
’90. Già in precedenza, si era assistito a uno spostamento dei flussi migratori
verso i Paesi dell’Europa meridionale a causa della chiusura delle frontiere da
parte dei Paesi dell’Europa del nord che, dalla metà degli anni ‘70, avevano
soppresso la possibilità di ingressi per lavoro rivolti ai cittadini extracomunitari
1
.
L’Italia è così passata dall’essere un paese di forte emigrazione, a meta
d’immigrazione nell’arco di un periodo di tempo relativamente breve. L’aumento
progressivo e repentino dell’immigrazione straniera, tuttavia, non è stato
accompagnato da un altrettanto rapido cambiamento sociale, politico e normativo
dell'Italia
2
. La posizione giuridica dello straniero è stata per molto tempo precaria
e incerta giacchØ le istituzioni hanno affrontato il fenomeno con politiche spesso
risultate contraddittorie, attuando interventi pubblici incompleti e privi di
organicità. Le caratteristiche del fenomeno migratorio hanno alimentato una
lettura dello stesso come fenomeno massiccio e disordinato, da contrastare con
misure immediate, mosse dall’urgenza, ma in ogni caso transitorio e temporaneo.
Tuttavia, l’aumento di fattori propulsori dell’emigrazione, quali guerre, carestie,
sottosviluppo e violazioni dei diritti umani, ha intensificato i flussi migratori
1 Nascimbene B. (a cura di), Diritto degli stranieri, CEDAM, Padova 2004, pag. 5.
2 Bolaffi G., Una politica per gli immigrati, Il Mulino, Bologna 1996, pag. 31.
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anche verso l’Italia. Ciò nonostante l’evoluzione normativa in tema
d’immigrazione è rimasta ispirata da una logica emergenziale, volta a contenere il
fenomeno migratorio in particolari circostanze e a fronte di situazioni d’urgenza
che di volta in volta si presentavano.
Questo tipo di approccio ha condotto alla creazione di un vero e proprio
diritto speciale dei migranti, costituito da un insieme di misure amministrative e
penali che hanno come principale scopo l’allontanamento dello straniero
irregolare dal territorio italiano.
La visione del migrante unicamente come forza lavoro, che ancora oggi non
ha abbandonato la politica di gestione dell’immigrazione, ha subordinato le
ipotesi d’ingresso regolare dello straniero alla logica del mercato, sulla base
quindi dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Se l’obiettivo era quello di
governare i flussi migratori, una disciplina degli ingressi legali piø restrittiva ha
favorito al contrario gli ingressi “clandestini” e le presenze irregolari sul
territorio
3
, cui si sono accompagnate politiche incentrate principalmente sul
tentativo di prevenire e reprimere l’immigrazione avvenuta al di fuori dei canali
d’ingresso previsti dalla legge.
Il trattamento dello straniero è determinato proprio dalla regolarità o meno
del suo soggiorno, in particolare per quanto riguarda la titolarità di diritti.
La posizione d’irregolarità che può caratterizzare la situazione giuridica
dello straniero, ha a che fare con la sua presenza sul territorio, oltre che con le
modalità d’ingresso all’interno dello stesso. Un cittadino straniero che entra
regolarmente nel nostro Paese, può, infatti, divenire irregolare in un momento
successivo per la perdita dei requisiti necessari alla presenza legale sul territorio.
PerchØ un ingresso sia regolare e quindi autorizzato, lo straniero deve ottenere il
rilascio del visto d’ingresso da parte dell’autorità diplomatica o consolare, che è
3 www.cestim.it/argomenti/25cpt/appello_arci_asgi_cgil_msf.html, tratto da: Chiudere la stagione
del diritto speciale dei migranti. I dati del Ministero dell’Interno confermano che, attualmente, i
migranti entrati regolarmente in Italia e solo successivamente divenuti irregolari sono circa il 67%
del totale dei migranti.
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subordinato al possesso di determinati requisiti. Questi devono essere verificati sia
al momento del rilascio del visto stesso, sia successivamente dalla polizia di
frontiera durante i controlli ai valichi di frontiera. Al fine dell’ottenimento di un
visto di ingresso, le attuali disposizioni legislative in materia di immigrazione
(Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero) prevedono che, al momento dell’ingresso nel territorio italiano, lo
straniero sia in possesso di un passaporto o di un documento di viaggio valido; di
documentazione idonea atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno;
dell’inesistenza di cause ostative; infine, deve dimostrare di disporre di mezzi di
sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e per il ritorno nel Paese di
provenienza. Il possesso dei requisiti descritti deve perdurare anche dopo
l'ingresso poichØ tali requisiti sono richiesti anche per il rinnovo del permesso di
soggiorno e il loro venir meno è motivo di revoca di quest’ultimo. Il permesso di
soggiorno, rilasciato per un tempo determinato e per determinate finalità, è il
documento che successivamente all’ingresso regolare, consente la permanenza sul
territorio dello stato italiano. Alternativamente lo straniero può essere in possesso
della carta di soggiorno rilasciata a tempo indeterminato a stranieri residenti da
lungo tempo o che abbiano legami familiari con cittadini italiani o comunitari e
che presentano determinati requisiti stabiliti dalla legge.
Separare la regolarità dall’irregolarità risulta estremamente difficile a causa
del difficile iter a cui è costretto lo straniero per ottenere il permesso di soggiorno
e per la facilità con cui si possono perdere i requisiti per il suo mantenimento. A
questo proposito, bisogna rilevare che il “diventare irregolare” è spesso
determinato non tanto dalla volontà o dall’incapacità del migrante, quanto
piuttosto dall’inefficienza e dalle anomalie della burocrazia. Le lacune normative
lasciano inoltre ampia discrezionalità all’autorità amministrativa in merito al
rilascio, al rinnovo o alla revoca del permesso di soggiorno. Per quanto riguarda le
finalità del permesso di soggiorno, se da un lato è il suo possesso a determinare la
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possibilità di restare sul territorio, dall’altro lato “consente un costante controllo di
polizia in funzione preventiva”
4
.
Altro è invece il concetto di “clandestino” (termine utilizzato dallo stesso
Ministero dell’Interno) con cui si è soliti indicare il cittadino extracomunitario che
è entrato illegalmente nel territorio nazionale, senza passare cioè dai valichi di
frontiera ed eludendo i controlli. Nell’utilizzo corrente, in particolare nel
linguaggio mediatico, i termini "clandestino" ed "irregolare" vengono utilizzati
come sinonimi, per indicare genericamente la condizione del migrante sprovvisto
di documenti, indipendentemente dai presupposti che caratterizzano le due diverse
posizioni
5
.
E’ opportuno evidenziare, inoltre, che i destinatari della normativa sugli
stranieri sono i cittadini extracomunitari. Con la firma del Trattato di Schengen
del 1990, lo straniero diventa, dal punto di vista giuridico, “colui che non è
cittadino di uno stato membro delle Comunità Europee” (art. 1 Convenzione di
applicazione dell'Accordo di Schengen). I soggetti verso cui sono indirizzate le
politiche italiane a partire dall’ingresso dell’Italia nell’area Schengen, sono
dunque i cittadini di paesi terzi rispetto all’Europa ed in particolare quelli a forte
emigrazione per le particolari condizioni socio-economiche e geograficamente piø
vicini alle frontiere europee.
La legislazione italiana sugli stranieri degli ultimi dieci anni è stata
caratterizzata dall’introduzione di misure sempre piø restrittive e repressive,
improntate alla logica del controllo del “diverso”. L’unica nota positiva è il
riconoscimento di diritti e doveri dello straniero regolare, che, se comunque non è
riuscita a superare la logica del migrante come forza lavoro, ha garantito una serie
di tutele nei confronti di chi risiede regolarmente nel territorio italiano.
Conformemente al panorama internazionale, l’Italia ha fatto dei passi in avanti
4 Nascimbene, B. (a cura di), Diritto degli stranieri, CEDAM, 2004, pag. 328.
5 Una breve discussione in merito al legame tra linguaggio, soprattutto mediatico, e percezione
dell’immigrazione viene affrontata nell’introduzione generale.