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Introduzione
Il tema: la partecipazione
L’elaborato tratta il tema della pianificazione partecipata, ossia
dell’inclusione degli abitanti del luogo nei processi decisionali
che determinano le trasformazioni sul territorio. Si tratta di una
pratica che ricolloca il cittadino in primo piano nella conoscenza,
nella gestione e nella cura del proprio territorio, ed al tempo stes-
so colma nella pianificazione le lacune lasciate dall’ente pubblico
che, oramai molto meno potente in termini economici rispetto al
passato, spesso non riesce più a gestire in maniera coerente e pro-
ficua l’iniziativa dei privati. Per questi motivi, nella nostra epoca,
in cui ci si sta faticosamente e lentamente avviando verso grossi
cambiamenti, la pianificazione partecipata rappresenta uno dei
punti di svolta verso il nuovo tipo di pianificazione del territorio
che si va delineando.
La struttura
La tesi è suddivisa in cinque sezioni e si propone di realizzare un
percorso tematico che possa inquadrare la pratica della pianifica-
zione partecipata nel contesto attuale e possa descriverne, attra-
verso numerosi esempi, le diverse modalità con cui essa prende
forma.
La prima sezione rielabora, con l’aggiunta di diverse integrazioni di
altri autori e riflessioni personali, la tesi esposta da Alberto Mag-
naghi ne “Il progetto locale”, che è sembrato particolarmente utile
per inquadrare la partecipazione nell’attuale contesto sociale ed
urbanistico. In questa sezione della tesi viene descritto il fenom-
eno di sradicamento di persone ed attività umane rispetto al ter-
ritorio in cui si collocano che ha preso piede nell’ultimo secolo,
con un breve cenno storico sulle cause che lo hanno generato.
Quindi ne vengono elencati gli effetti negativi, economici e soci-
etari, che il fenomeno genera a scala globale e tenderà a generare
ancor più violentemente in futuro con l’affacciarsi di nuovi paesi
in via di sviluppo nel sistema economico e produttivo mondiale.
Infine verranno analizzati diversi modelli futuri per capire come
costruire nuovamente un rapporto più stretto fra uomo e terri-
torio che possa permettere un buon livello medio di qualità della
vita ed al tempo stesso scongiurare i pericoli conseguenti la de-
territorializzazione. In questo ambito è fondamentale ricostituire
delle comunità locali attive e coscienti che, anche grazie alla col-
laborazione reciproca e con le amministrazioni, possano prendersi
cura del territorio in cui vivono e contribuire alla sua gestione ed
al suo governo. È forte quindi il richiamo alla partecipazione come
elemento fondante di questo nuovo auspicabile corso.
La seconda sezione individua, su due livelli (comunitario e re-
gionale) direttive e normative vigenti in Italia che trattano nella
maniera più diretta il tema della partecipazione, analizzandole e
confrontandole. A livello comunitario sono stati selezionati docu-
menti e pubblicazioni che promuovono, ad un livello più o meno
generale le pratiche di coinvolgimento dei cittadini. Si è anche evi-
denziata, sempre attraverso l’analisi dei documenti, l’evoluzione
delle politiche europee da un ambito strettamente promozionale
nei confronti della partecipazione verso un ridisegno del sistema
di governance che regola le trasformazioni territoriali, volto a dare
maggior peso al rapporo fra privati ed istituzioni e soprattutto a
dare maggior voce alla cittadinanza. A livello regionale sono state
prese in considerazione unicamente testi legislativi di Toscana ed
Emilia-Romagna poichè al 2010 sono le uniche due regioni italiane
ad aver realizzato un’apposita legge per promuovere i processi
partecipativi sul proprio territorio.
Le ultime tre sezioni invece sono costituite da una casistica di
situazioni legate alla pianificazione partecipata o ai movimenti
spontanei sorti all’interno delle comunità locali. Nel primo caso
si tratta della stesura o della presentazione di progetti in cui si è
fatto ricorso a procedure partecipative che hanno visto il coinvol-
gimento dei cittadini come cosiddetto “terzo attore” attraverso
dibattiti pubblici o altri strumenti; nel secondo dell’imposizione
da parte dei cittadini in prima persona delle proprie posizioni
all’amministrazione pubblica o ai grandi interessi privati. La prima
di queste tre sezioni, ossia la terza, si occupa di individuare, descri-
vere e commentare alcuni fra i più importanti ed innovativi esempi
di pianificazione partecipata che si sono avuti in Italia. La quarta si
cala nel contesto provinciale ed è costituita da una serie di schede
elaborate dalla sezione ligure dell’apposita commissione sulla par-
tecipazione costituita dall’INU. L’ultima invece, che costituisce la
parte di maggior ricerca dell’elaborato, si propone come una sorta
di atlante, non esaustivo, dei processi partecipativi che animano
le comunità del ponente genovese. Non esistendo letteratura in
materia, le principali fonti per la stesura di questa parte sono state
le interviste ai principali promotori dei movimenti partecipativi e
la partecipazione ad assemblee pubbliche e momenti di confronto
con le istituzioni.
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Il radicamento è forse il bisogno più importante dell’anima umana.
Mediante la sua partecipazione attiva e naturale all’esistenza, l’essere umano ha una radice
Simone Weil
Sin da quando l’essere umano ha iniziato ha lasciato la vita nomade per sta-
bilirsi in un determinato luogo, ha iniziato a tessere un dialogo costante con
una porzione di territorio limitrofa, più o meno vasta, da cui poter ricavare,
attraverso la sua conoscenza e la sua cura, le risposte alle sue necessità. Con
lo scorrere della storia queste relazioni si sono modificate, sovrapposte e
stratificate, donando al territorio quelle caratteristiche di complessità, vari-
età e unicità che lo hanno reso paragonabile ad un’opera d’arte a cui contri-
buiscono in maniera congiunta uomo e natura.
Si può anche dire, come in una celebre definizione di Magnaghi, che il territo-
rio rappresenta la fecondazione della natura da parte della cultura e che, am-
pliando questa metafora, esso sviluppa un proprio carattere ed una propria
identità alla stregua di un essere vivente. Sempre come un essere vivente il
territorio segue un proprio ciclo di vita, conoscendo una nascita, una giovine-
zza, una maturità, una vecchiaia ed una morte, intesa come raggiungimento
di un livello minimo di relazioni fra attività umane e vincoli e risorse territo-
riali. Questo ciclo però in realtà non è mai concluso in quanto il territorio,
dopo il declino e la morte (deterritorializzazione), ha conosciuto più volte nel
corso della storia una nuova rinascita, ovvero lo sviluppo di una nuova forma
della relazione coevolutiva fra insediamento umano ed ambiente.
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La fase fordista
Il 20° secolo ha dato avvio e successivamente alimentato il primo
processo di deterritorializzazione che esula dalla logica ciclica ap-
pena descritta all’interno della quale si colloca la vita del territorio.
Per la prima volta la deterritorializzazione non si configura come
una fase transitoria in attesa di una nuova territorialità ma è una
secca interruzione di questo stesso processo, dettata dalla pres-
soché totale autonomia ricercata e raggiunta dall’attuale ciclo di
civilizzazione nei confronti dell’ambiente circostante: il territorio è
stato trattato come un semplice supporto fisico alle attività umane
e la sua complessità è stata semplificata a quella di un foglio bian-
co, piatto, su cui disegnare gli insediamenti secondo nuove regole
dominanti che apparentemente non necessitano di una relazione
con l’ambiente circostante, ma anzi ne sono ostacolate per motivi
orografici, culturali, paesaggistici,…
A dare avvio a questa nuova fase è stato il fordismo ed in partico-
lare alcuni risvolti che la sua larga diffusione a scala mondiale ha
avuto sulla società e sull’economia:
• Il sapere tecnico e le innovazioni tecnologiche hanno liberato le
attività dell’uomo dai vincoli territoriali, affermando la certezza
di poter localizzare dovunque tutto sempre. La logica insedia-
tiva delle funzioni economiche di produzione, circolazione, ri-
produzione e consumo ha iniziato quindi a seguire dinamiche
sconosciute in passato: non più vicinanza fra produzione e con-
sumo, strategicità geografica, comodità rispetto alle percorren-
ze, facilità di reperimento delle risorse necessarie, poiché tutte
queste qualità hanno perso il loro ruolo di discriminanti eco-
nomiche. Al contrario a determinare la localizzazione di questi
impianti sono sopraggiunti nuovi fattori: migliore organizza-
zione del ciclo produttivo, costo del suolo, normative vigenti,
situazione politica, costo e qualificazione della forza-lavoro.
• La funzione ha prevalso sul luogo, per cui tutto il territorio è
stato suddiviso secondo aree produttive, abitative, agricole o
logistiche in una logica che ha portato a saturare gli spazi cit-
tadini. Nelle città di antico regime e per lungo tempo nella città
moderna vi erano luoghi che rispondevano a bisogni sociali
molteplici e mescolati fra loro (ad esempio l’ospedale medi-
evale fungeva, oltre che da luogo di cura, da ospizio, ostello,
luogo religioso e spazio commerciale) e creavano così una forte
attrattività come luoghi pubblici e centrali. Attualmente in -
vece le principali attrezzature collettive sono diventate “isole”
monofunzionali e molto specializzate. Persino gli antichi cen-
tri storici e le aree a maggior naturalità sono state inserite in
questa schematizzazione funzionale, divenendo spesso rispet-
tivamente spazi museali e parchi naturali. Dal momento che lo
spazio pubblico, nella sua definizione di luogo che integra varie
funzioni e permette in tal modo scambio e socializzazione, non
è contemplato in questo ferreo sistema funzionale, esso non
esiste più nella metropoli, in quanto i tradizionali luoghi di ag-
gregazione sono stato oramai trasformati in strade, parcheggi,
nodi di traffico, centri commerciali,… L’abitante della metropoli
pertanto non ha più luoghi in cui vivere ed identificarsi e la sua
condizione passa da quella di abitante a quella di residente
(se risiede in città) o city user (se invece utilizza la città per
lavorare, studiare, comprare,…). Egli perde progressivamente
la sua influenza sulle cose pubbliche e il suo legame con la co-
munità locale, che così si sfalda, perdendosi nell’individualismo
o tuttalpiù nel riconoscimento in società di minoranza che af-
fermano interessi materiali di interesse limitato e non consen-
tono mediazione, portando ad una frammentazione culturale
e societaria. Le conseguenze sono intolleranza, fenomeni di
violenza e sviluppo di meccanismi di autodifesa verso il disagio
esterno, che però isolano in modo ancora maggiore l’individuo
(ad esempio le gated communities per chi ne ha la possibilità
economica o la reclusione abitativa cui ricorrono soprattutto
molti anziani).
• L’introduzione della catena di montaggio, la logica della riduzi-
one dei costi delle materie prime e la diffusione di nuovi ma-
teriali quali plastica, cemento armato ed acciaio ha orientato
la produzione verso realizzazioni standardizzate. Questa logica
ha invaso anche l’ambito costruttivo, rendendo indifferente
rispetto alla localizzazione non solo la funzione, ma anche
l’architettura degli edifici e quello agrario, preferendo le mono-
colture vaste ed estensive delle produzioni più redditizie agli
appezzamenti piccoli e variegati dei prodotti locali. In questo
modo non solo si sono perse rispettivamente le tipologie ed-
ilizie ed i paesaggi agricoli propri dei luoghi a favore di una
semplificazione spesso alienante, ma gli svantaggi hanno anche
riguardato la distruzione delle forme classiche dell’abitare (vici-
nato, cortile, strada,…), la riduzione della fertilità dei suoli e la
criticità dell’ecosistema.
A causa dell’espansione incontrollata delle città e del loro mercato
è stata stravolta la complementarità storica fra città e campagna
circostante che portava ogni città ad avere un territorio di riferi-
mento dimensionato in base alla sua popolazione, caratterizzato
Espansione suburbana incontrollata a Città del Messico
Urban sprawl al posto delle paludi delle Everglades (Florida)
IL PROCESSO DI DETERRITORIALIZZAZIONE
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dai suoi abitanti e a sua volta caratterizzante le attività che vi si
svolgevano. Come affermato da Botero già nel 1588, è invero cosa
degna che le città, giunte a un certo segno di grandezza e di po-
tenza, non passino oltre, ma o si fermino a quel segno o ritornino
indietro… Il nutrimento si cava o dal contado della città nostra o da
paesi altrui, e se la città ha da crescere bisogna che le vettovaglie
le siano portate da lungi ma la grandezza che dipende da cause
remote o da mezzi malagevoli poco dura. La metropoli odierna
invece trae risorse e materie prime dall’intero sistema-mondo e
deposita le sue funzioni sul territorio circostante casualmente, in
maniera diffusa e decentrata, occupando in maniera dispersiva
tutto lo spazio a sua disposizione. Al di fuori dell’urbanizzazione per
blocchi monofunzionali delle periferie industriali metropolitane,
il territorio esternamente lla città è stato destrutturato e si può
suddividere semplicemente in: spazi, prevalentemente di pianura
perché più adatti alla meccanizzazione, destinati all’agricoltura
industrializzata; spazi soprattutto costieri destinati all’industria di
massa della vacanza; paesaggi di collina e di montagna (la parte
più rilevante per estensione) in degrado ed abbandono.
La fase post-fordista
Queste cause fin qui elencate erano, come detto, legate principal-
mente all’economia fordista, che però è entrata in crisi negli anni
’60-’70. Questa crisi si è concretizzata nella fisionomia delle città
soprattutto con la dismissione delle aree industriali e la crescita
del terziario. Tuttavia, anche con l’affermarsi di un sistema socio-
economico globale port-fordista, la deterritorializzazione è prose-
guita, in parte ereditando buona parte dei processi che l’hanno
scatenata durante il fordismo, in parte innescandone di nuovi
legati strettamente alla terziarizzazione ed all’informatizzazione,
che, sommandosi ai precedenti, hanno accelerato il distacco
dell’uomo dal territorio:
• Il comando della produzione è diventato telematico, per cui
aspazializzato e atemporalizzato ed ha perso completamente,
tranne che nella sede, il contatto fisico con il territorio.
• A far da contrappeso allo svuotamento estetico, sociale e relazi-
onale dello spazio in cui viviamo è sopraggiunto l’arricchimento
progressivo del nuovo spazio virtuale: per “curare” gli svan-
taggi creati dall’impoverimento delle relazioni uomo-territorio
e, conseguentemente, uomo-comunità, ci si può rivolgere
alla rete informatica, mondo in cui sono trasmigrate buona
parte della libertà, delle relazioni e delle emozioni che non si
trovano più nel mondo reale impoverito ma che comunque
l’uomo cerca per la sua stessa natura. Contemporaneamente
la piazza concreta, privata della sua funzione di socializzazione
e di scambio (trasferitasi sulla piazza telematica), viene sem-
pre più investita in quel processo di trasformazione funzionale
(diventa un parcheggio, un monumento, un museo,…) che
porta alla scomparsa dello spazio pubblico nelle nostre città. In
un’efficace provocazione, Magnaghi afferma che questo mod-
ello di vita, che progressivamente sta venendo esportato nella
realtà sociale ed urbanistica del terzo mondo, fa intravedere lo
scenario di un futuro di baraccopoli dotate di videocomputer.
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Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bau-
ci non riesce a vederla ed è arrivato. I sottili trampoli che si alzano
dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e ci si perdono sopra le
nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti
si mostrano di rado: hanno tutto l’occorrente lassù e preferiscono
non scendere. Nulla della città tocca il suolo tranne quelle lunghe
gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose,
un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame. Tre
ipotesi si danno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la
rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com’era
prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si
stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso,
formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.
Italo Calvino, Le città invisibili
Le conseguenze del fenomeno di deterritorializzazione
Il processo generale di deterritorializzazione sin qui descritto, in
quanto estraneo ai corsi ed ai ricorsi storici, ha causato effetti a
cascata sul paesaggio, sull’ambiente e sulle relazioni sociali:
• Distruzione delle identità locali a scapito di un’omologazione
a livello mondiale di tecniche costruttive, materiali, tipologie
edilizie, urbane e rurali e di modelli abitativi e conseguente dis-
truzione dei paesaggi nell’accezione attualmente considerata
(si potrebbe affermare che il punto d’arrivo sia l‘omologazione
di essi ad un unico paesaggio globale)
• Rottura delle degli equilibri ambientali, dovuta all’eccessivo cari-
co di peso antropico, alla dissipazione ed alla distruzione delle
risorse non rinnovabili, all’interruzione delle reti ecologiche,
alla perdita di sapienza ambientale diffusa, all’abbandono della
cura da parte della comunità insediata,… Generalizzando, il
principale elemento che produce squilibrio è l’estraneità degli
abitanti ai luoghi
• Crescente disagio sociale, più visibile per quanto riguarda le cat-
egorie sociali più povere, che subiscono in misura maggiore gli
effetti negativi della globalizzazione e del degrado ambientale,
ma che si estende sotto diverse forme (sradicamento, perdita
d’identità) alla totalità della popolazione
Si può insomma asserire che il processo di liberazione tecnica,
culturale ed antropologica dal territorio, se per lungo tempo ha
coinciso con la crescita del benessere generale su modello occi-
dentale, a partire dagli anni ’70-’80 ha invertito questa tendenza
iniziando a iniziando a produrre nuovi tipi di povertà, legati prima
ancora che all’aspetto economico, al livello di qualità di vita che è
ancora più alla radice del benessere dell’essere umano. Queste nu-
ove povertà sono di tipo ambientale, di identificazione, di qualità
urbana e territoriale,… In ogni caso i danni sono anche economici:
la crescita illimitata dell’urbanizzazione ha aumentato la vulnera-
bilità biologica, strutturale, economica e funzionale dell’uomo che
deve così far fronte a ciò con un aumento delle “spese difensive”
provocate da degrado ambientale ed urbano, peggioramento
della qualità di aria, acqua e suoli, difficoltà nello smaltimento dei
rifiuti, inquinamento acustico, pendolarismo, incidentalità, crimi-
nalità urbana,….
Il modello attuale proiettato nel prossimo futuro
Tuttavia neanche il calo demografico che nei paesi del 1° mondo sta
avvenendo in maniera piuttosto repentina ha fermato il processo
di urbanizzazione. Apparentemente non sembra esserci alcuna
ragione che giustifichi ulteriori espansioni delle città, mentre al
contrario, le numerosissime situazioni di degrado giustifichereb-
bero la riqualificazione delle città esistenti. Quello che invece
continua a spingere all’espansione è la ricerca di una ridefinizione
del rango delle varie città all’interno delle gerarchie territoriali;
si è generata così una competizione a scala mondiale capeggiata
da quelle che sono definite metropoli globali, in cui ogni città si
gioca (o forse si brucia) le sue risorse, attraverso la diminuzione
del costo del lavoro, delle spese sociali e ambientali,… Come è
stata definita suggestivamente da Brecher e Costello questa è una
competizione verso il fondo, dal momento che un buon risultato
in questa graduatoria mondiale significa per i cittadini una perifer-
izzazione ed un calo delle condizioni della propria vita.
Le città cercano così di attrarre in continuazione nuovi investimenti
attraverso l’impianto di nuovi servizi rari (terziario avanzato, uni-
versità, parchi scientifici e tecnologici,...) da cui ripartono i mec-
canismi che attraverso la loro presenza ricreano una domanda in-
dotta di abitazioni e servizi. In questo modo però le città tendono
ad omologarsi maggiormente, inseguendo tutte lo stesso modello
vincente, oscurando e marginalizzando peculiarità, tradizioni e
saperi locali, che vengono visti come semplice folklore se non ad-
dirittura come sintomo di sottosviluppo ed arretratezza, mentre
invece potrebbero essere persino la chiave vincente per avvantag-
giarsi in questa competizione e poterne uscire fuori (come d’altra
parte fa notare Micheal Porter, il maggior studioso del “vantaggio
competitivo fra nazioni”, si ottiene un miglior risultato differenzi-
ando il proprio prodotto e questo concetto è applicabile anche
all’offerta residenziale, lavorativa, commerciale e turistica pro-
posta dalle città).
Su tutto ciò per di più incombe lo spettro della diffusione di queste
problematiche ad una scala ancora più vasta di quella attuale, dal
momento che, dietro ai paesi che attualmente sono i principali
fautori di questi processi, stanno crescendo, economicamente e
demograficamente, una schiera di paesi in via di sviluppo che,
per ritagliarsi un posto nell’economia globalizzata, stanno repli-
cando il sistema portato avanti sinora da quelli più industrializzati
e stanno inserendo sempre con maggior forza le proprie città nella
competizione globale, sorrette da un andamento demografico
che, al contrario di quello dei paesi del 1° mondo, è quasi sempre
ancora in attivo e da una forte povertà diffusa che attira grandi
masse senza reddito dalle campagne alle periferie. Con queste
condizioni, la crescita delle metropoli assume forme allarmanti:
è una crescita talmente rapida che non solo non ammette una
pianificazione (spesso latente anche nel boom demografico del
dopoguerra dei paesi occidentali) ma neanche la nascita di un
meccanismo spontaneo urbanizzazione-lavoro-servizi che possa
fungere da regolatore sociale. Inoltre le dimensioni delle nuove
periferie sono talmente sproporzionate da rompere ogni relazi-
one residua (formale, culturale, urbanistica,…) con la propria città:
si potrebbero definire secondo Magnaghi periferie di metropoli
mai nate.
Tre possibili approcci per risolvere il problema
Appare quindi evidente che, almeno fermandosi ad una vi-
sione quantitativa del problema, una soluzione, o quantomeno
LA NECESSITÀ DI UN APPROCCIO TERRITORIALISTA
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un’inversione di tendenza, risulti molto difficile. Tuttavia studian-
do le dinamiche della società e del territorio si possono individu-
are tre approcci per garantire al nostro pianeta una sostenibilità
ambientale:
• L’approccio funzionalista o dell’ecocompatibilità si basa sul con-
cetto di sviluppo sostenibile, ossia sul principio che tecnica e
sviluppo possano sopperire ai problemi che causano. È attuabile
attraverso la definizione di misure correttive, individuate ad es-
empio nella monetizzazione dei beni ambientali, nell’attuazione
di politiche speciali, nella promozione di ritrovati tecnici per
diminuire l’inquinamento,… Tutto ciò però suppone ancora una
visione del territorio quale un semplice supporto funzionale
alle attività umane, quindi se da una parte si potrebbe avere un
miglioramento delle condizioni vitali ed ambientali dell’uomo,
dall’altra proseguirebbe il processo di dissipazione, degrado e
distruzione del territorio.
• L’approccio ambientalista o biocentrico antepone a tutto il risp-
etto dell’ambiente, individuato come valore primario: la tutela
non è più settoriale come nella pianificazione attuale ma rivolta
all’intero territorio, anche urbano. Garantisce quindi la conser-
vazione del territorio per le generazioni future ma questo an-
che a costo di una regressione dell’attuale sistema antropico:
al centro del nuovo sistema normativo viene posto l’ambiente,
non l’uomo.
• L’approccio territorialista o antropocentrico invece ha alla base
la valorizzazione del territorio: esso viene visto come un pat-
rimonio (insieme di valori) da utilizzare per il soddisfacimento
delle necessità umane tramite le sue risorse (interpretazioni
del patrimonio finalizzate al suo utilizzo secondo la contingenza
del luogo e del tempo) ed incrementare per garantire la sos-
tenibilità del sistema. Vengono pertanto promossi atti territo-
rializzanti che possano ricostruire, in forme nuove, le relazioni
virtuose intrecciatesi nella storia fra ambiente fisico, costruito
ed antropico, che quindi non si fermano come nell’approccio
precedente, alla cura dell’ambiente naturale, dal momento che
il territorio non esiste senza l’uomo, ma vanno oltre valoriz-
zandone il patrimonio ed utilizzandone, in maniera razionale
e sostenibile, le risorse. Ovviamente è quest’ultimo approccio
a garantire sia la sostenibilità ambientale che un ritorno alla
cultura dei luoghi.
Fondamentale per avviare il processo di riterritorializzazione
attraverso quest’ultimo tipo di approccio è l’individuazione
dell’identità territoriale, ossia capire come è fatto il territorio ed
in cosa consiste il suo patrimonio, la sua identità intrinseca e dura-
tura, risultato ad oggi di secoli di intrecci fra componenti naturali,
edificate ed antropiche. La conoscenza e lo sviluppo dell’identità
territoriale precisa l’individualità e la personalità dei luoghi, ne
rafforza il paesaggio, ne connota l’unicità e le peculiarità prodotte
dalle permanenze e dalle invarianze. Nella definizione dell’identità
territoriale non basta soffermarsi all’analisi dello stato attuale,
ma occorre studiarne approfonditamente la “profondità” storica,
non finalizzata a museificare o copiare le forme del passato, ma
ad acquisire regole di sapienza ambientale, perdutesi nel tempo,
che hanno creato in passato relazioni positive fra insediamento
umano ed ambiente e che quindi sono da riscoprire per dare avvio
ad una “bonifica” che possa curare e ricostruire i sistemi territo-
riali devastati e contaminati dalla presenza umana.
SOCIETA’
Scenari alternativi
Prevalgono i modelli
unici e gli stili
internazionali. A parità
di condizioni economi-
che i comportamenti si
uniformano
OMOLOGAZIONE
Fattori di cambiamento:
globalizzazione - frammentazione sociale -
mescolanza multietnica - sradicamento
Schema logico degli ipotesi di scenari futuri per le città europee elaborati durante il convegno “I futuri della città”: la società
Si conserva o si
recupera un rapporto
con natura, ambien-
te, storia
I tenori di vita tendono
a differenziarsi per
strati sociali.
Aumentano le distanze
sociali. Si dissolve la
civitas
Si afferma un sistema
di differenze equili-
brate. Le etnie si radi-
cano esi amalgamano.
I diritti di cittadinanza
sono uguali per tutti
REIDENTIFICAZIONE DISEGUAGLIANZE PARITA’ SOCIALI
Le città tendono a
rassomigliarsi tutte ad
esclusione dei centri
storici
Le città e i luoghi
recuperano
identità
Le città si dividono in
recinti. Si formano nu-
ove schiavitù. Si priva-
tizza lo spazio. Decade
il valore socializzante
dello spazio urbano
Si recupera il valore
socializzante dello
spazio urbano. Le città
si ristrutturano e si
riattrezzano in modo
pervasivo
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I limiti della partecipazione nel suo attuale utilizzo
La partecipazione storicamente si è connotata nell’universo della
decisionalità urbanistica come un ausilio tecnico da parte di isti-
tuzioni e professionisti sporadicamente apportato a progettazioni
e rivendicazioni fatte dagli abitanti, se non addirittura in casi
fuorvianti come forma di raccoglimento del consenso su progetti
precostituiti. Ciò che accade solitamente in questi approcci parte-
cipativi, con colpe sia delle competenze scientifiche che di quelle
politiche ed amministrative, è che essi si realizzino utilizzando
una struttura procedurale già pronta, riconosciuta e sperimentata
(quasi sicuramente in condizioni completamente estranee a quelle
che si stanno affrontando). Hanno quindi un grosso limite nel non
riuscire ad adattarsi al contesto in cui operano, il che causa spesso
un “rigetto” da parte della cittadinanza che, non riconoscendo
l’utilità di tali iniziative, si sente presa in giro dalle istituzioni e le
abbandona, perdendo la fiducia sia nelle amministrazioni locali
che nei propri mezzi.
Bisogna considerare inoltre che queste iniziative, pur comunque
idealmente valide se calate nel contesto di generale distacco del
cittadino dal processo di trasformazione della sua città, hanno
raramente ottenuto nella loro applicazione risultati soddisfacenti
anche quando la partecipazione dei cittadini ad esse è stata pi-
ena e costante. Da ciò risaltano diversi aspetti limitativi relativi
allo straniamento del moderno abitante dei luoghi. Innanzitutto
egli, come già detto, è oramai un semplice residente: non conosce
il proprio territorio, non ha controllo sui mezzi della produzione
(non può sapere nella maggior parte dei casi da dove provengono
luce, cibo ed alimenti ed attraverso quale meccanismo giungono
fino a casa sua) e talvolta non conosce neanche gli effetti del suo
lavoro. Inoltre, con la diffusione del lavoro industriale e soprat-
tutto terziario e la delega della costruzione dell’ambiente urbano
e rurale a sistemi funzionali e tecnologici, ha perso in sapienza
ambientale, impulso alla capacità di sviluppare idee per il cambia-
mento del territorio. Infine è da considerare anche la mancanza
di luoghi collettivi in cui riconoscersi e creare comunità, per cui
l’organizzazione dello spazio è vissuta come una pratica estranea
e sovraordinata: gli viene chiesto di progettare qualcosa che non
conosce.
La partecipazione in questi anni è quindi stata rivolta nella quasi
totalità dei casi solamente a rivendicazioni (della casa, della scuo-
la, del verde, della stazione ferroviaria,…) o rifiuti (della discarica,
del viadotto, della fabbrica…). Le poche volte in cui si è concretiz-
zata in una produzione del cambiamento, ha potuto agire solo per
singoli frammenti disorganici (una piantumazione, un restauro,
una pedonalizzazione,…), ben lontani dalla produzione sociale di
territorio a cui dovrebbe puntare.
La necessità di ricostituire le comunità locali
Invece l’identità locale fondamento dell’approccio territorialista
descritto nel capitolo precedente, prevede necessariamente la
presenza di una società locale che vi si riconosca in essa, carat-
terizzando il proprio territorio e costruendovi socialità. Tut-
tavia come si è detto in precedenza le comunità locali si sono
disgregate e semplificate per via della perdita di luoghi sociali
all’interno delle città e dello straniamento fisico e decisionale del
cittadino rispetto ai luoghi in cui vive. Per ricostruire pertanto i
luoghi bisogna prima di tutto ricostruirne gli abitanti, superando
l’alienazione e l’individualismo degli attuali residenti e liberandoli
dall’incasellamento come produttori-consumatori deciso dal mer-
cato. Occorre quindi ricostruire questo frammentato mosaico di
identità, in buona parte nomadi, escluse e marginali nella società
odierna, cittadini che non hanno e, data la struttura della società,
spesso non sono portati a chiedere, rappresentanza e voce ma
che sono potenziali portatori di una quantità enorme di idee, in-
formazioni, creatività.
L’affezione individuale ai luoghi può a prima battuta sembrare
molto difficoltosa nell’odierna società, multietnica e dinamica, e
in effetti sarebbe ingiusto e controproducente sminuire i prob-
lemi portati dalla convivenza di immigrati ed autoctoni e da un
ricambio migratorio molto più rapido di una volta. Tuttavia le città
hanno in passato fondato la loro fortuna sull’accettazione della di-
versità e le problematiche che inevitabilmente sorgono sono sem-
pre state messe da parte di fronte ad un comune interesse civico
ed è la solidità della comunità esistente a garantire continuità
anche quando i suoi membri cambiano. Le situazioni di conflitto
dunque portate dalle grandi differenze riscontrabili in una società
complessa, possono essere tramutate in soluzioni concertate se
viene riconosciuto l’interesse comune come la produzione di va-
lore aggiunto territoriale (incremento del patrimonio).
Occorre dunque investire sulla società locale rivestendola dei
compiti dei quali il mondo moderno l’ha privata. Basilare è
l’ottenimento di un elevata capacità di autogoverno rispetto ai
sistemi decisionali sovraordinati, in modo da poter bilanciare le
leggi omologanti della globalizzazione economica a cui questi ul-
timi, per loro struttura, sono inevitabilmente legati. L’autogoverno
si può infatti definire come l’aggiunta nei processi decisionali di
un terzo attore (la comunità locale) in aggiunta ai due tradizion-
almente considerati (stato e mercato). Questa triplice forza che
dovrebbe regolare nelle aspettative il governo della società futura
ricalca d’altra parte le tre azioni (rispettivamente decisione pub-
bliche, processi economici e comportamenti sociali) che Indovina
indica come quelle che storicamente, attraverso stretti rapporti
di interdipendenza, hanno dato come risultato la città. La forza
politica di questo terzo attore, di per sé debole, può essere incre-
mentata tramite una rete di connessioni fitta e non gerarchica fra
una pluralità di società locali, diversificate per stili di sviluppo, real-
izzando uno scambio solidale arricchente contrapposto all’attuale
competizione gerarchizzante. È una concezione parallela, seppur
molto più forte, di quella di Indovina, che invece auspica un in-
dividualismo ben temperato, ossia che, pur non modificando
l’impronta individuale della società, consenta all’individuo di sta-
bilire relazioni con gli altri sulla base dell’interesse generale.
Le occasioni per un possibile cambiamento
È quindi innanzitutto lo sfaldamento della comunità locale (ed
ancora più a monte lo straniamento dei cittadini dai luoghi in cui
vive) il fattore responsabile della scarsità e della profonda inef-
ficacia delle azioni partecipative. Tale processo, come risalta dai
capitoli precedenti, sembrerebbe essere irreversibile. Tuttavia si
possono cogliere nella società che sta evolvendo, alcuni segnali
contestuali di cambiamento che potrebbero modificare le oppor-
tunità dell’abitante nella costruzione del territorio:
• Il numero dei lavoratori salariati è fortemente calato negli ul-
timi anni a scapito dei lavoratori autonomi, ed in particolare di
quelli che Sergio Bologna definisce come lavoratori autonomi
DALLA PARTECIPAZIONE ALL’AUTOGOVERNO ATTRAVERSO LA COMUNITÀ LOCALE