9
1. La difficile gestione della Repubblica Islamica Iraniana.
All’indomani delle elezioni del 1997 per eleggere il presidente della Repubblica
Islamica d’Iran, la sensazione che un cambiamento fosse possibile si diffuse a
livello internazionale. Gli elettori iraniani avevano, infatti, designato, con il 60%
dei voti, l’hojatolesman Mohammad Khatami quale loro quinto presidente.
Più che i voti ottenuti, sorprese l’entità del tasso di partecipazione, pari all’88%
1
,
che fu interpretato come volontà popolare di implementare il programma
riformista presentato in campagna elettorale, ed ulteriore possibilità offerta alla
leadership per stabilizzare il governo islamico, in precario equilibrio dalla morte
di Khomeini. La morte di quest’ultimo aveva fatto emergere le contraddizioni
insite nel sistema del governo islamico iraniano, fino a quel momento coperte
dalla presenza di un leader carismatico capace di unire in sé tanto l’anima
religiosa quanto quella politica della rivoluzione.
2
A livello internazionale i risultati del 23 maggio 1997 furono accolti
positivamente, inducendo gli analisti del periodo a conclusioni positive e
fiduciose sugli sviluppi domestici ed internazionali dell’Iran, che gli avrebbero
permesso di uscire dall’isolamento, dalla condizione di stato pariah in cui si era
ritrovato dopo la presa degli ostaggi americani
3
e la guerra contro l’Iraq di
1
S. Akbarzadeh, Where is the Islamic Republic of Iran heading? in “Australian Journal of
International Affairs”, 59, n.1 (marzo 2005), p. 29.
2
M. Ranuzzi de’Bianchi, La morte di Khomeini e la sua difficile eredità: la monarchia del clero,
in M.Emiliani, M. Ranuzzi de’Bianchi, E. Atzori (a cura di), Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero
e potere in Iran, Bologna, Odoya, 2008, pp. 221-237.
3
Il 4 novembre 1979, il gruppo Khat-e Imam - Via dell’Imam, guidato dall’hojatoleslam Musavi-
Khoeni, occupò l’ambasciata statunitense a Teheran, prendendo in ostaggio tutti coloro che vi si
10
Saddam Hussein, nonché di intraprendere quel processo di liberalizzazione
fortemente richiesto dalla popolazione, ma fino ad allora impedito.
4
Tuttavia, nel 2001 Khatami dichiarò di non aver raggiunto gli obiettivi
preannunciati
5
ed i dati relativi alle elezioni di quell’anno mostrarono come la
popolazione iraniana avesse perso parte di quell’entusiasmo che l’aveva spinta a
recarsi alle urne la volta precedente
6
. Lo stupore maggiore ci fu però nel 2005,
quando uno dei fondatori della Repubblica iraniana, l’ayatollah Alì Akbar
Hashemi Rafsanjani, con due mandati presidenziali alle spalle, non solo non vinse
al primo turno - primo caso nella storia della Repubblica, ma fu altresì sconfitto
da Mahmoud Ahmadinejad, ultraconservatore e membro dei pasdaran, le Guardie
della Rivoluzione Islamica, create da Khomeini per difendere il regime.
Il fallimento del riformismo e l’emergere di membri militari nella gestione diretta
del Paese vanno analizzati quali fenomeni di un sistema iraniano in crisi.
Come già detto, la morte di Khomeini fece emergere le contraddizioni presenti
nella stessa Costituzione e che solo il primo Rahbar era riuscito a contenere,
ponendosi al di sopra di tutte le componenti del sistema. Fu proprio un forte
fazionalismo che esplose dopo il 1989, colpendo anche lo stesso clero, dove si
rifaranno strada i critici del velayet-e faqih, in realtà un governo rivoluzionario per
lo sciismo, definendo il ruolo dei religiosi nell’establishment della Repubblica.
Dalla fine della guerra contro l’Iraq, qualsiasi forza al potere in Iran cercò di
ridefinire il sistema e di affrontare le sfide che il Paese si trovò davanti, dalla
trovavano all’interno-57 persone tra funzionari e relative famiglie. La vicenda, successivamente
riconosciuta e fatta propria dal regime quale atto contro il Grande Satana, si concluse il 20 gennaio
1981.
4
M. Downes, Iran unresolved revolution, Ashgate, Aldershot, 2002, p. XII; D. Blumberg,
Reinventing Khomeini. The struggle for reform in Iran, Chicago, University of Chicago Press,
2001, pp. 228-229.
5
J. Amuzegar, Khatami’s First-Term Presidency: an Outsider’s Assessment, in “SAIS Review”,
XXII, n. 1 (Winter–Spring 2002), p. 14.
6
Alle elezioni presidenziali dell’8 giugno 2001 il tasso di partecipazione elettorale fu del 68%. Si
veda a riguardo S. Akbarzadeh, Where is the Islamic Republic of Iran heading?, p. 29.
11
ricostruzione economica con Rafsanjani al boom demografico e alla
disoccupazione con Khatami e Ahmadinejad
7
.
La fine del periodo riformista non va interpretata come la sconfitta definitiva del
gruppo di Khatami, ma come la sua sostituzione da parte di un’altra fazione,
attualmente i militari, chiamata dalla popolazione a risolvere la crisi in cui si trova
il meccanismo rivoluzionario di governo ideato da Khomeini, basato sull’unione
difficile di teocrazia e governo del popolo. Un processo continuo, che non è detto
possa essere infinito.
8
1.1. Il fallimento della visione riformista.
La notizia della vittoria elettorale di Khatami alle elezioni del 2001 e il suo
seguente mandato presidenziale - il secondo - furono accolti in maniera
completamente diversa rispetto a quanto accadde nel 1997. La scelta in favore di
Khatami non venne più vista come segno di fiducia nei confronti di un
programma riformista e di cambiamenti tangibili nel sistema, bensì come una
scelta fatta per paura che un altro nuovo presidente potesse solo peggiorare una
situazione già problematica. La popolazione iraniana si trovava nella stessa
condizione di quattro anni prima, politicamente repressa ed economicamente
fragile; scelse così un presidente che potesse almeno reggere il sistema fino a
sviluppi successivi.
9
7
Nel 2007, la popolazione iraniana era di 70.495.782 milioni di abitanti, rispetto ai 60.055.488 del
2004 ed ai 33.708.744 del 1975. I dati sono disponibili sul sito dello Statistical Center of Iran:
http://www.sci.org.ir/portal/faces/public/sci_en/sci_en.Glance/sci_en.pop
http://www.sci.org.ir/portal/faces/public/sci_en/sci_en.selecteddata/sci_en.yearbookdata
8
M. Emiliani, M. Ranuzzi de’Bianchi, E. Atzori (a cura di), Nel nome di Omar, cit., pp. 11-18.
9
J. Amuzegar, Khatami’s First-Term Presidency: an Outsider’s Assessment, cit., pp. 18-19.
12
Eppure il 23 maggio 1997, nulla lasciava presagire una tale situazione.
Mohammad Khatami si presentò alle presidenziali del 1997 come candidato di
Rafsanjani, non potendo quest’ultimo competere per la terza volta consecutiva, e
in opposizione al candidato appoggiato dalla Guida Suprema Alì Khamenei, Ali-
Akbar Nateq Nuri.
Il quinto presidente della repubblica iraniana venne dipinto fin da subito come
l’uomo del cambiamento, l’uomo che avrebbe segnato una fase nuova nella storia
del Paese e della regione, riconducendo l’Iran all’interno delle relazioni
internazionali dopo anni di isolamento voluto e imposto. Un presidente in pratica,
che avrebbe completato il processo di de-rivoluzione iniziato dal suo predecessore
e dato all’Iran la sua terza repubblica, dopo quella di Khomeini e di Rafsanjani.
10
Forse è stata proprio un’elezione carica di aspettative che ha poi portato ad una
disillusione più amara nei confronti della sua politica, sia all’esterno che
all’interno, soprattutto da parte degli studenti universitari che lo avevano
fortemente sostenuto.
11
Le cause del fallimento del progetto di Khatami sono da ricercare sia nel sistema
del governo islamico iraniano, sia nella sua stessa ideologia politica.
Khatami era un sayed - discendente del profeta, formatosi a Qom. Attivista
dell’Associazione degli studenti dissidenti musulmani, si legò al figlio di
Khomeini ed a Montazeri, diventando poi direttore del settore propaganda di
guerra dello Stato Maggiore durante il conflitto contro l’Iraq. Membro del
10
M. Ranuzzi, in M. Emiliani, M. Ranuzzi de’Bianchi, E. Atzori (a cura di), Nel nome di Omar,
cit., p. 211; M. Downes, Iran unresolved revolution, cit., p. 132.
11
La critica degli universitari a Khatami divenne esplicita durante i disordini del 18 Tir – 9 luglio
nel calendario iraniano. In seguito alla chiusura del giornale “Salam”, testata di riferimento per gli
studenti, montò la protesta nell’università di Teheran, condannata da Khamenei come azione
animata dall’estero. Gli studenti chiesero così a Khatami di prendere posizione e di parlare in loro
favore. L’invito non fu accolto, anzi il presidente, una volta conclusisi i disordini, condannò l’atto,
invitando a partecipare alla marcia contro “il complotto esterno e i nemici della Rivoluzione”,
organizzata dal Rahbar. Si veda anche R. Guolo, La via dell’Imam. L’Iran da Khomeini ad
Ahmadinejad, Bari, Laterza, 2007, pp. 87-90.
13
governo, nel 1992 fu costretto dai conservatori religiosi ad allontanarsi dalla scena
politica a causa delle sue posizioni sempre più riformiste.
12
La biografia del quinto presidente iraniano è importante per capire come Khatami
non si sia mai posto contro il sistema del velayet-e faqih, né abbia mai messo in
discussione il principio di supremazia del clero
13
. Gli stessi neologismi da lui
introdotti nel discorso politico e che si riferivano a società civile, pluralismo,
governo del popolo e governo della legge, furono utilizzati sempre secondo una
logica islamica. La società civile democratica diventò ben presto la società civile
islamica, in una democrazia islamica.
Sarà questo che poi porterà al formarsi di un’opposizione interna al gruppo dello
stesso Khatami.
In realtà il suo riformismo era stato in grado di cogliere la critica della
popolazione iraniana nei confronti di un’ideologia rivoluzionaria, vista come la
causa di un sistema corrotto che aveva portato all’arricchimento della sola classe
religiosa e dei suoi affiliati.
Il suo rimanere al potere però dipendeva proprio da quella classe religiosa, e in
particolar modo dalla Guida Suprema. La scelta di Khatami fu quella di
«riformare senza trasformare»,
14
ponendosi dunque a metà tra i conservatori
khomeinisti e coloro che volevano superare la rivoluzione, mettendo fine al
sistema del velayet.
15
L’ideologia di Khatami si inserì sempre all’interno di un’ideologia religiosa, per
nulla in contrasto con quella rivoluzionaria, ma non per questo coincidente con
quella dei conservatori, che occupavano i posti principali nel majlis, nel settore
12
Ibidem, pp. 77-105; M. R. Djalili, Iran: l’illusion réformiste, Paris, Presse de Sciences Po, 2001,
pp. 101-102.
13
S. A. Arjomand, The reform movement and the debate on modernity and tradition in
contemporary Iran, in “International Journal of Middle East Studies”, 34 (2002), p. 728.
14
M. R. Djalili, Iran: l’illusion réformiste, cit., p. 108.
15
R. Guolo, La via dell’Imam, cit., p. 82.
14
giudiziario, nelle forze armate, tutti sotto la protezione della Guida Suprema
Khamenei.
16
Se, infatti, quest’ultimo vedeva l’Iran quale modello di un Islam
rivoluzionario, Khatami voleva fare del suo Paese un modello di democrazia
islamica.
Il punto di maggiore interesse e impatto della presidenza Khatami, fu la politica
estera perseguita, pragmatica più che ideologica e in difesa degli interessi
nazionali. Se per Khamenei l’Iran doveva guidare il mondo islamico contro le
pressioni culturali e militari esercitate dagli USA, per Khamenei l’esistenza di tali
pressioni non giustificava un atteggiamento isolazionista
17
.
Le due presidenze di Khatami, infatti, segnarono un netto miglioramento delle
relazioni internazionali iraniane
18
, e fecero presagire l’apertura di un dialogo con
Washington, favorito in un primo momento anche dagli attacchi dell’11
settembre. Il governo di Teheran si dimostrò da subito propenso a partecipare alla
lotta globale al terrorismo, cogliendo ciò come l’occasione per sconfiggere i suoi
nemici interni e confinanti: i Mujaheddin-e khalq
19
ed il regime dei Talebani in
Afghanistan. La situazione cambiò radicalmente con l’emergere dei Neocons negli
Stati Uniti e l’axis of evil di Bush,
20
che conseguentemente portò al rafforzamento
dei conservatori iraniani.
16
M. Downes, Iran unresolved revolution, cit., p. 137.
17
S. Chubin, Whiter Iran? Reform, domestic politics and national security, in “Adelphi Papers”,
342 (2002), pp. 22-26.
18
In politica estera il presidente iraniano parlò di coalizione per la pace, indicando il 2001 come
l’anno per il dialogo tra le culture. Diretta conseguenza di questo atteggiamento fu l’apertura dei
contatti con l’Unione Europea e alcuni paesi arabi.
19
L’Iran cercò mediante la lotta globale al terrorismo di sconfiggere il gruppo dei Mujaheddin-e
Khalq, mirante a stabilire una forma di società islamica marxista. Nel 1981 dichiarò guerra al
governo islamico di Khomeini, che per combattere il gruppo puntò sull’azione dei Pasdaran e di
Hezbollah. Si veda a riguardo E. O’Ballance, Islamic Fundamentalist Terrorism, 1979-95. The
Iranian Connection, New York, New York University Press, 1997, pp. 125-144.
20
L’espressione axis of evil fu utilizzata dal presidente americano George W. Bush durante il suo
discorso sullo Stato dell’Unione il 29 gennaio 2002, in riferimento a un gruppo di stati - Iraq, Iran
e Corea del Nord - presumibilmente coinvolti in azioni di terrorismo internazionale, ed attivi nella
produzione di armi di distruzione di massa.
15
Il secondo mandato fu perciò fortemente condizionato dagli eventi internazionali,
come l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, e proprio nell’ambito della politica
estera emersero i punti critici del sistema di governo iraniano.
Stando alla struttura istituzionale del governo del velayet, la definizione della
politica estera è condivisa tra la Guida Suprema, il Consiglio per la sicurezza
nazionale, il ministero degli Esteri ed il presidente della Repubblica, quindi sia
organi legittimati dal punto di vista religioso che organi legittimati
democraticamente, cioè eletti.
La struttura dello stato duale irrompe così con tutta la sua forza nella presidenza di
Khatami, impedendogli di attuare un’agenda totalmente riformista e di formulare
un sistema di governo alternativo a quello islamico.
21
Khatami perciò, non fu il Gorbaciov di una Perestrojka iraniana. Consapevole di
poter essere sollevato dal suo incarico per azione del Parlamento (art.89 Cost.) o
della Guida Suprema (art.110.10 Cost.), decise di non cambiare il sistema. Il suo
riformismo fu un prodotto della stessa rivoluzione islamica, alla pari del
conservatorismo.
22
A tal proposito, Djalili sottolinea come l’attuale conflitto tra i
conservatori, mohafezekaran, e i riformisti, eslahgaran, non riguardi in realtà il
principio base del velayet-e faqih, ma sia piuttosto una lotta tra Islam ed Islam,
laddove per i primi si tratta di un messaggio che trascende spazio e tempo, mentre
per i secondi si può aprire alle idee moderne.
23
L’entusiasmo nei confronti di Khatami e del sogno riformista si spense durante le
elezioni presidenziali successive, nel 2001, ricevendo poi una sonora battuta
d’arresto nel 2005, quando fu eletto l’ultraconservatore Ahmadinejad.
http://www.whitehouse.gov/news/releases/2002/01/20020129-11.html
21
M. Ranuzzi, in M. Emiliani, M. Ranuzzi de’Bianchi, E. Atzori (a cura di), Nel nome di Omar,
cit., pp. 255-258.
22
«Le réformisme et le conservatisme sont, comme anus, les deux faces d’une même réalité.», M.
R. Djalili, citato in F. Tellier, L’Iran à l’heure du réformisme, in "Politique étrangère", 67/3
(2002), pp. 733-748.
23
Ibidem, p. 22.
16
L’Iran chiuse così il suo periodo riformista ancora vittima di una crisi di
legittimità. Il sistema di governo iraniano, nonché il sistema stesso di stato
islamico, si era arenato nel tentativo e nel bisogno di far convivere i suoi aspetti
teocratici e quelli democratici. Il tutto aggravato da una difficile condizione
economica, problemi sociali ed una crescente critica da parte della popolazione,
divisa tra le fasce più giovani che non avevano fatto la rivoluzione e che
attaccavano un sistema corrotto, e coloro i quali vi avevano combattuto e creduto,
fino a giurare fedeltà alle idee di Khomeini.
Il sistema però non era, e continua a non essere in grado di rispondere
adeguatamente a tali critiche, dovendo fare i conti con una struttura istituzionale
rigida, in cui qualsiasi riforma non deve solo passare il vaglio del Consiglio dei
Guardiani, ma deve essere anche coerente con l’ideologia sciita, o meglio con
l’interpretazione khomeinista dell’ideologia sciita. Il risultato è un sistema per
nulla flessibile, che aveva funzionato solo fin quando il suo stesso creatore era
rimasto in vita. Dopo il 1989, tutte le fazioni che lo avevano appoggiato nella sua
azione contro lo Shah, si ritrovarono prive di un punto in comune e ugualmente
legittimate a detenere il potere, forti anche del doppio criterio di legittimità che
caratterizzava il sistema. Quest’ultimo aspetto si riflette ancora oggi nelle
istituzioni parallele tanto da poter parlare di uno stato iraniano bicefalo.
1.2. Il fazionalismo della leadership iraniana e la crisi interna del clero.
Fino alla sua morte Khomeini fu contemporaneamente Rahbar-e enghelab e
Nayeb-e Imam, Guida Suprema e rappresentante dell’Imam sulla Terra. Così
facendo, grazie anche al suo carisma, riuscì a tenere unite le incoerenze
dell’ordinamento.
La Repubblica Islamica si basa, infatti, su istituzioni di natura diversa: da un lato
ci sono quelle religiosamente legittimate, dall’altro quelle che godono di una
legittimazione democratica. Una contraddizione che si riflette anche nella stessa
Costituzione che afferma la sovranità di Dio nel mondo, sottolineando però come
17
a sua volta Dio riconosca agli uomini la sovranità sui loro affari sociali.
24
Il
risultato è stato un insieme di istituzioni parallele, create per assicurare il controllo
religioso anche laddove non sarebbe stato possibile, dotando ogni autorità di un
suo alter ego. Di conseguenza la Costituzione iraniana non prevede solo un
Presidente della Repubblica, ma anche una Guida Suprema per assicurare il
rispetto dei principi islamici alla base dello Stato; parimenti il potere legislativo è
esercitato da un majlis, il Parlamento, sotto la supervisione di un Consiglio dei
Guardiani, una sorta di camera superiore che deve avallare le decisioni prese
dall’Assemblea nazionale
25
.
Appare evidente come un siffatto sistema funzioni relativamente bene solo se le
personalità al potere sono accomunate da un medesimo orientamento politico ed
ideologico, o in una situazione ottimale, quando le cariche maggiori sono nelle
mani della stessa persona – come accadde con Khomeini, appunto.
Il 1989 segnò quindi l’inizio della crisi. Morto il fondatore della Repubblica, le
fazioni che lo avevano appoggiato nella rivoluzione persero il loro punto di
unione e colui il quale aveva fino allora risolto le contraddizioni, anche evitando
di prendere posizione o definire una linea d’azione precisa.
Il fazionalismo fu una delle caratteristiche della rivoluzione del 1979, il cui
imperversare spinse alla creazione del Consiglio di Discernimento nel 1988, e che
ancora oggi pervade il regime iraniano. Non si tratta però di una pura opposizione
tra i gruppi filoclericali e quelli laici; le divisioni attraversano in maniera
24
R. Guolo, La via dell’Imam, cit., pp. 158-168; M. Emiliani, in M. Emiliani, M. Ranuzzi
de’Bianchi, E. Atzori (a cura di), Nel nome di Omar, cit., p. 136.
25
Il Majlis-e Shura ye-melli o Assemblea nazionale è composto da 270 membri eletti a suffragio
universale con un mandato di quattro anni. Esercita il potere legislativo. Il Consiglio dei Guardiani
o Majles-e Khobregan si compone di dodici membri, sei giuristi islamici nominati dalla Guida e
sei giuristi civili nominati dal Parlamento. Controlla l’attività legislativa, esamina i disegni di
legge governativi, ammette o esclude dalle elezioni i candidati in base ai loro requisiti politici e
religiosi.
18
trasversale la classe dirigente, come dimostrato dall’emergente opposizione
interna al clero, critica nei confronti di una classe religiosa politically engaged.
26
La prima fase della crisi si sviluppò subito dopo la fine della guerra contro l’Iraq,
quando l’allora presidente Rafsanjani, dovette fare i conti con un Iran socialmente
ed economicamente stremato dal conflitto. Intraprese così un piano quinquennale
di liberalizzazione economica, nonché un processo di de-rivoluzione ideologica ed
istituzionale per stabilizzare la Repubblica, che mirava alla centralizzazione della
struttura politica. Obiettivo primario era il controllo sulle forze armate ed i corpi
rivoluzionari, creati per rafforzare il potere del clero.
27
Tali scelte di Rafsanjani furono poi la causa della rottura interna alla destra,
compatta davanti al pericolo riformista proveniente da sinistra, ma fortemente
divisa sulle questioni economiche ed il ruolo dello stato a riguardo. Il matrimonio
di convenienza tra la destra conservatrice e la corrente progressista, bacini di
riferimento rispettivamente di Khamenei e di Rafsanjani, ebbe vita breve,
concludendosi nel 1997, quando la Guida Suprema appoggiò la candidatura di
Nateq Nuri contro l’allora presidente, ormai isolato dopo l’allontanamento dei
progressisti.
Il periodo della presidenza Rafsanjani fu quindi caratterizzato dall’unione delle
due destre, ognuna legata a uno dei membri della diarchia del momento. Inoltre,
sia Rafsanjani che Khamenei avevano alle spalle la partecipazione alla
Rivoluzione ed al primo governo rivoluzionario, che dava loro un’aurea di
legittimità, trasmessa anche al loro gruppo di riferimento.
Ogni fazione esistente, infatti, doveva fare i conti con l’eredità di Khomeini e
della sua idea di governo per costruire e legittimare la propria concezione di stato
islamico. Non solo il pensiero del Rahbar, ma la Costituzione iraniana, i testi
26
R. Guolo, La via dell’Imam, cit., pp. 158-168; M. Downes, Iran unresolved revolution, cit., pp.
146-149.
27
M. Moslem, Factional politics in post-Khomeini Iran, Syracuse, Syracuse University Press,
2002, p. 144.
19
religiosi e le opere di antichi teorici, furono, per ogni gruppo, il punto di partenza
per la creazione dei loro discorsi politici e socio-economici.
Il rimando ad un determinato tipo di stato islamico ideale era conseguente
all’importanza attribuita alla dimensione ideologica del populismo, piuttosto che
la religione o la rivoluzione
28
. All’interno della politica iraniana furono così
identificabili la destra tradizionale e quella moderna, la sinistra radicale ed i
neofondamentalisti.
29
La destra tradizionale e conservatrice è una fazione storica del regime iraniano,
che grazie alla sua Associazione del Clero Militante riuscì a creare e mantenere
uno stretto legame con la classe mercantile dei bazari. Nella scelta tra
repubblicanesimo e Islam, i membri di tale gruppo non avevano alcun dubbio: il
primo doveva essere subordinato al secondo, sottolineando altresì il ruolo
esercitato dal clero, chiamato a controllare che nel sistema tutto fosse
completamente islamico. Il gruppo giocò un ruolo fondamentale
nell’istituzionalizzazione della Repubblica islamica, anche se si oppose alla
formazione di un partito politico clericale fino al 1997, riuscendo comunque a
porre i suoi membri nelle posizioni chiave dell’ordinamento.
L’appendice più moderna e progressista della destra iraniana dava più attenzione
agli aspetti economici, guardando ai Quattro Dragoni asiatici quale modello da
seguire. Membro di spicco di tale fazione è stato Rafsanjani, promotore durante la
sua presidenza di alcune riforme secondo il “modello cinese”, approntando dei
cambiamenti alla struttura economica senza mettere in discussione l’asseto
istituzionale ed ideologico dello stato
30
.
28
Ibidem, pp. 9, 96.
29
W. Buchta, Who rules in Iran? The structure of power in the Islamic republic, Washington, The
Washington Institute for Near East Policy and the Konrad Adenauer Stiftung, 2002, p. 11.
30
La Repubblica Popolare cinese era per alcuni teorici iraniani, un altro modello di
istituzionalizzazione di una rivoluzione e che poteva perciò essere da esempio. Il regime aveva
optato per delle riforme economiche senza eliminare il controllo politico sui propri cittadini.
20
Tale progetto non solo risultò fallimentare, ma portò anche alla rottura
dell’alleanza strategica tra la destra conservatrice e quella progressista, unitesi nel
1989 in modo da affrontare meglio un comune nemico, rappresentato dalla sinistra
radicale. Quest’ultima, infatti, si opponeva ai conservatori, sottolineando come la
Rivoluzione non dovesse riportare l’Iran indietro nel tempo, ma come piuttosto
l’Islam fosse utile per vivere e sopravvivere nell’età moderna. Favorevole ad uno
stato redistributivo e ad un’economia pianificata, la fazione ridimensionò il suo
afflato rivoluzionario, ammorbidendo le posizioni e puntando, con Khatami, a
sfidare l’occidentalizzazione non attraverso la totale chiusura, quanto col pensiero
dei propri intellettuali.
31
Le formazioni di abadgaran-e islami (Bonificatori islamici) e isargaran (Società
dei devoti alla Rivoluzione islamica), emersero all’interno del movimento dei
neoconservatori. Identificati come i rivoluzionari di seconda generazione, sono i
combattenti in nome di Khomeini, per lo più ventenni durante il 1979, che si
arruolarono nelle forze armate create dal regime per la difesa della neorepubblica
e l’esportazione dell’esperimento rivoluzionario. A partire dalla prima presidenza
Khatami, iniziarono criticare apertamente il sistema, ai loro occhi allontanatosi
non più in linea col progetto originario. Ahmadinejad era membro e uno dei
fondatori dell’isargaran.
Ciascuna fazione davanti alla crisi di un sistema che stava perdendo
legittimazione politica ed egemonia economica, propose la sua soluzione.
Contemporaneamente, il progresso raggiunto e un rinato nazionalismo avrebbero rilegittimato la
classe al potere e il sistema. Per Elliot Hen Tov tutto ciò non funzionò in Iran a causa delle sfide
macroeconomiche, la concentrazione del potere economico nelle mani dell’industria petrolifera e
la mancanza di impegno politico. Si veda a proposito E. Hen Tov, Understanding Iran’s new
authoritarism, in “The Washington Quarterly”, 30/1 (winter 2006-2007), pp. 163-179; M.
Kazemzadeh, Ahmadinejad’s foreign policy, in “Comparative Studies of South Asia, Africa and
the Middle East”, 27/2 (2007), p. 426.
31
M. Moslem, Factional politics in post-Khomeini Iran, cit; W. Buchta, Who rules in Iran?, cit.,
pp. 11-21.
21
Per i progressisti di Rafsanjani, il modello cinese, l’intesa con l’Europa e la
repressione politica, avrebbero permesso lo sviluppo di una classe media urbana,
necessaria per rafforzare l’economia e lo stato. Il gruppo riformista invece, si
spingeva oltre, promuovendo distensione con gli Stati Uniti, la diminuzione della
repressione interna e la sospensione dell’arricchimento dell’uranio.
La popolazione iraniana diede modo a entrambi, per due volte, di attuare i loro
programmi, a partire rispettivamente dal 1989 e dal 1997, ma il processo non fu
lineare e privo di interruzioni. Soprattutto l’agenda politica di Khatami dovette
fare i conti con l’opposizione del clero conservatore e di Khamenei, che riuscì a
un po’ alla volta a fiaccare i suoi avversari, riconquistando la maggioranza nei
consigli municipali nel 2003, nel Parlamento nel 2004, fino alla presidenza nel
2005.
Il fallimento della politica riformista proposta da Khatami a partire dal 1997, così
come la nuova politica dell’amministrazione americana e la lotta all’Asse del
male, furono contestuali al rafforzamento del gruppo dei neofondamentalisti, che
si proclamarono difensori di un sistema per la cui creazione avevano combattuto
anche contro Saddam Hussein.
Gli hard-liners accusavano Rafsanjani e Khatami di aver tradito il progetto
originale di Khomeini, abbandonando l’idea di esportare la rivoluzione o peggio,
proponendo di ristabilire i contatti col Grande Satana. Tra le file di questo gruppo
si ritrovano ex combattenti, basiji, pasdaran o membri di Ansar-e Hezbollah, che
se hanno raggiunto posizioni importanti nell’ordinamento non lo devono ai legami
religiosi, quanto al fatto di aver militato e contribuito fisicamente alla costruzione
dello stato khomeinista.
Tuttavia, anche questo gruppo non è omogeneo ma diviso in subfazioni. Il gruppo
predominante è quello a cui appartiene Khamenei, ossia del Combatant Clergy, i
cui membri provengono principalmente dalle classi sociali più alte. Vi sono altresì
i bazari benestanti, che controllano, e vogliono continuare a farlo, il commercio
tradizionale e sono uniti nell’Islamic Coalition Party; infine, gli Young
Conservatives emersi nel 2002.
32
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M. Kazemzadeh, Ahmadinejad’s foreign policy, cit., pp. 423 - 449.