LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
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PREFAZIONE
In molti paesi d’Europa si registra un interesse crescente per ponti a sezione composta acciaio-
calcestruzzo, questo a causa dei notevoli progressi raggiunti nelle caratteristiche dei materiali
(acciai saldabili ad alta resistenza, piatti di notevole spessore a resistenza garantita, calcestruzzi ad
alta resistenza), nella tecnologia di produzione degli acciai (piatti laminati a spessore variabile) e
nella tecnologia di costruzione e montaggio (saldatura in opera, tecniche di realizzazione della
soletta e precompressione esterna).
Negli ultimi venti anni questa tipologia costruttiva ha avuto una crescita tale da conferirle
competitività rispetto alla tipologia in calcestruzzo e riportarla all’attenzione dei committenti e dei
progettisti.
In particolare la tipologia bitrave con traversi flessibili rappresenta la soluzione maggiormente
utilizzata nel caso di tracciati con curvatura ridotta e un campo di luci variabile tra 40 e 100 m.
Gli impalcati a sezione composta acciaio-calcestruzzo offrono infatti numerosi vantaggi rispetto alle
soluzioni in cemento armato precompresso:
• leggerezza (elevato rapporto resistenza/peso);
• scarsa sensibilità ai cedimenti differenziali delle fondazioni;
• rapidità e facilità di esecuzione;
• adattabilità alle luci e alla geometria del tracciato stradale;
• durabilità, legata alla possibilità di rinnovare lo strato protettivo contro la corrosione e di
sostituire elementi strutturali;
• qualità architettonica conferita dalla semplicità dei particolari costruttivi e dalla chiarezza
dell’impianto strutturale che lascia comprendere la funzione dei vari elementi.
Figura 1 Viadotto Millau
Nel presente lavoro sono stati esaminati gli aspetti principali della verifica a fatica degli impalcati a
sezione composta con riferimento agli Eurocodici e alla letteratura tecnica francese, evidenziando le
condizioni in cui tali verifiche possano risultare dimensionanti per il progetto dell’opera nel suo
insieme.
Dopo aver illustrato le principali tematiche che regolano il problema della fatica, è stata messa a
punto una procedura di verifica articolata, che tiene conto del tension stiffening per la soletta in
calcestruzzo secondo le indicazioni fornite dall’Eurocodice 4-2. Per tale procedura è stata
implementata una routine di calcolo che, in maniera automatizzata, mette a disposizione i risultati
della verifica a fatica.
Inoltre, per un controllo sulla correttezza del metodo, i risultati sono stati confrontati con quelli
ottenuti con due metodi di più facile applicazione, che tengono conto della fessurazione in modo
semplificato.
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L’impalcato di riferimento è stato dimensionato con le innovative procedure di verifica descritte
dalla norma EC 1993-1-5 che, nella valutazione della sicurezza strutturale, tengono conto del
comportamento post-critico dei pannelli. Date le caratteristiche dei materiali, tale metodologia
contempla soluzioni strutturali e geometriche con elevate proprietà di snellezza e leggerezza.
Questa possibilità di impiegare strutture che possano in alcune zone superare i valori critici per un
certo numero di volte durante la vita di esercizio, può determinare problemi di deformazioni
eccessive (web breathing), e di delta tensionali elevati. Questi ultimi non facilmente prevedibili
possono determinare rotture per fatica.
La verifica a fatica a cui è stato sottoposto l’impalcato a sezione mista è una verifica a
danneggiamento relativamente ai diversi dettagli di progetto per la carpenteria metallica, valutata
mediante il metodo semplificato dei coefficienti λ, per tenere conto del complesso spettro dei delta
di tensione e seguendo l’approccio tipo “stess – life”. Questo metodo è utilizzato per tutti i metodi
di verifica implementati nel presente lavoro.
Nell’ambito dei metodi proposto dall’Eurocodice 4-2, la fessurazione della soletta è stata valutata in
maniera semplificata trascurando il contributo del cls quando interessato da tensioni di trazione, ed
in maniera più complessa tenendo conto del tension stiffening. Infine, per il metodo della letteratura
tecnica francese il contributo del cls è trascurato in funzione dei valori caratteristici delle resistenze
a trazione.
Le verifiche eseguite in maniera automatizzata hanno permesso il confronto dei risultati per i tre
distinti metodi, evidenziandone le differenze fondamentali.
L’analisi semplificata proposta dell’Eurocodice e il metodo francese presentano facilità applicativa.
Infatti, con diverse ipotesi per lo stato di fessurazione, portano a delta tensionali sollecitanti della
medesima entità sia per quanto riguarda la flangia inferiore che quella superiore nelle regioni
prossime all’appoggio. Nelle sezioni di campata si notano differenze legate alle diverse procedure
di classificazione della sezione, che nel metodo francese è fatta in base allo stato di sollecitazione
preesistente al transito del veicolo.
I due metodi semplificati risultano essere piuttosto cautelativi rispetto al secondo metodo del
tension stiffening, in considerazione del fatto che il contributo del calcestruzzo nella fase di
fessurazione è totalmente ignorato in funzione dell’entità delle tensioni di trazione agenti. Inoltre, i
valori delle trazione in soletta dovute al ritiro hanno una influenza determinante sui risultati
definitivi. Per tali metodi sembra opportuno affiancare un’analisi sull’influenza delle fasi costruttive
e del ritiro per la stima delle tensioni in soletta, a breve e lungo termine.
Infine, il metodo che tiene conto del tension stiffening sia nella fase di formazione delle fessure che
di fessurazione stabilizzata, porta a risultati più realistici a fronte di una più difficile applicazione.
Le maggiori complessità sono legate alla valutazione delle fasi di fessurazione e alla stima delle
rigidezze delle sezioni trasversali. La procedura descrive in maniera accurata il comportamento
della sezione composta soggetta ad azioni di tipo ciclico.
Le analisi svolte mostrano come la verifica a fatica possa risultare dimensionante per le strutture a
sezione composta e l’importanza di ottimizzare e posizionare i diversi dettagli costruttivi delle travi
principali e degli elementi secondari della carpenteria metallica.
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1 RICHIAMI SULLA FATICA
1.1 Aspetti generali
I primi studi intorno alla fatica vennero compiuti alla fine del secolo XIX, in seguito a una serie di
rotture "inspiegabili" di assali ferroviari progettati per resistere a carichi (statici) ben superiori a
quelli cui invece avveniva la loro rottura improvvisa in esercizio. In questo senso fondamentale è
l'opera di August Wöhler, il quale intuì che il fenomeno era dovuto alla natura ciclica del carico cui
l'assale era sottoposto (flessione rotante) e tentò di ricostruire lo stato di sollecitazione in
laboratorio, mettendo in relazione l'ampiezza massima del ciclo di sollecitazione con il numero di
cicli che il pezzo sopportava prima della rottura. Quando, infatti, si sottopone un materiale a carichi
ciclici variabili nel tempo si può arrivare a rottura per valori di tensione anche molto inferiori di
quella che si raggiungerebbe se il carico fosse applicato una sola volta, cioè della “tensione di
rottura” che caratterizza quel materiale. Questa riduzione, dovuta alla “fatica”, è tanto più sensibile
quanto maggiore è il numero di volte che si varia la tensione e quanto maggiore è l’escursione della
stessa: è evidente l’importanza che questi fenomeni assumono nei ponti.
In realtà su quasi tutte le strutture intervengono carichi variabili, ma in molti casi la variabilità di
questi carichi è modesta o avviene in tempi relativamente lunghi, per cui vengono normalmente
trattati come carichi statici (es. edifici, depositi). I ponti, invece, sono strutture soggette al passaggio
di veicoli con peso, sagoma e frequenza diversi, per cui le varie parti della struttura sono interessate
da complesse sollecitazioni cicliche.
Le rotture per fatica sono sempre di tipo fragile, anche quando riguardano materiali di per sé duttili,
e quindi costituiscono uno stato limite particolarmente insidioso; inoltre, l’utilizzo di acciai con
resistenze più elevate ha richiesto un impegno tensionale maggiore del materiale sia per carichi
statici che per carichi ciclici, ma, essendo la resistenza a fatica indipendente dalla resistenza a
rottura del materiale, l’aumento dell’intensità delle sollecitazioni cicliche ha enfatizzato il problema
della fatica. Nella progettazione strutturale è allora necessario considerare le verifiche relative a due
stati limite ultimi: collasso dovuto al massimo carico che può agire sul ponte, considerato di tipo
statico, e collasso per fatica dovuto a cicli di carico del traffico frequente. Di conseguenza, per tali
strutture, oltre alle verifiche riguardanti la massima capacità portante statica, è indispensabile
eseguire anche le verifiche a fatica, al fine di garantire un livello di sicurezza adeguato durante tutta
la vita programmata.
Il problema nei ponti con travata principale in acciaio ha assunto un notevole rilievo negli ultimi venti
anni soprattutto per il manifestarsi di rotture per fatica in numerose opere costruite a partire dal 1950;
ciò ha dato impulso a numerosi studi e ricerche che hanno consentito, da un lato, di migliorare le
conoscenze sul comportamento a fatica dei dettagli e, dall’altro, di affinare i metodi di verifica.
Nelle normative vigenti (ENV 1991-3, ENV 1993-1) sono presenti modellazioni dei carichi che
simulano con buona accuratezza gli effetti sulla struttura dei carichi reali e tecniche di verifica in
grado di garantire un’adeguata sicurezza strutturale. Questi metodi di verifica consentono sia di
verificare che le strutture progettate possano svolgere il loro ruolo in sicurezza durante tutta la vita
programmata, sia di stimare la vita residua di strutture esistenti progettate utilizzando metodi di
verifica a fatica poco affidabili.
Nell’ambito del metodo semiprobabilistico degli stati limite, la verifica di resistenza in condizioni
limite ultime si esprime con la disuguaglianza:
d d
S R ≥ , (1.1)
dove R
d
ed S
d
sono, rispettivamente, la resistenza di calcolo e la sollecitazione di progetto relative
allo stato limite considerato. La sollecitazione di progetto, nel caso dello stato limite ultimo di
fatica, fa riferimento a carichi fortemente variabili di tipo frequente; quindi, in base alla (1.1), la
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verifica a fatica di un determinato dettaglio richiede la conoscenza dell’effetto dei carichi, funzione
della geometria della struttura e dell’intensità e numero di ripetizioni delle azioni, e di un parametro
resistenza, funzione del materiale, della tipologia e delle modalità esecutive del dettaglio stesso. In
realtà, questo modo di procedere di tipo diretto è applicabile solamente nel caso di cicli di sforzo di
tipo costante; per cicli di ampiezza variabile, come si vedrà nel seguito, la verifica a fatica si esegue
attraverso l’impiego di una funzione scalare di danneggiamento, associando una frazione di danno
ad ogni gruppo di cicli.
1.1.1 Meccanismo di danneggiamento per fatica
Nel caso dei materiali metallici (di gran lunga il più importante e il più studiato) la fatica è legata ai
fenomeni di micro - deformazioni plastiche cicliche locali indotte dal ciclo di sollecitazioni. Esse
sono dovute al fatto che, per effetto di vari tipi di microintagli e/o discontinuità (bordi di grano,
inclusioni non metalliche, composti interstiziali, rugosità superficiali), localmente il valore dello
sforzo può superare il carico di snervamento anche se il carico macroscopico esterno rimane sempre
al di sotto di esso. Il danneggiamento per fatica procede attraverso tre stadi. Il primo, detto di
assestamento microstrutturale, ha l'effetto di stabilizzare il ciclo di isteresi plastica della massa
metallica (restringendolo o allargandolo a seconda dei materiali, se prevale l'incrudimento o
l'addolcimento) e, di conseguenza, di stabilizzare alcune caratteristiche meccaniche e fisiche dello
stesso. Slittamenti "disordinati" dei piani cristallini del metallo si localizzano in bande disposte a
45° rispetto alla direzione dello sforzo applicato, generando microintrusioni e microestrusioni, che
nella successiva fase di nucleazione andranno a costituire l'innesco del danneggiamento per fatica.
Sul fondo di tali microintrusioni, infatti, gli sforzi risultano amplificati per effetto d'intaglio
cosicché facilmente il materiale in quel punto cederà e si formeranno delle microcricche. La
nucleazione è la fase più critica della frattura per fatica ed è la fase più studiata in quanto interessa
circa l'80% della vita totale del componente, avviene per effetto delle variazioni delle tensioni
applicate, che determinano la comparsa di microdiscontinuità superficiali che determinano un
"danno" locale. L'accumulo di questi micro cambiamenti in seguito ad un più o meno elevato
numero di applicazioni di carico crea un danno cumulativo che genera macro discontinuità le cui
dimensioni sono tali da poter dar vita ad una cricca che poi è in condizioni di propagarsi. Dopo la
nucleazione della cricca, la sua propagazione avviene in maniera transgranulare (come una frattura
fragile) e in senso perpendicolare a quello del massimo sforzo (non più a 45°); ad ogni ciclo di
sforzo la cricca avanza di un "passo" e lascia a volte tracce caratteristiche, dette striature.
L'avanzare della cricca porta ad una progressiva diminuzione di sezione resistente: quando questa
diventa inferiore alla sezione critica si ha la frattura finale, di schianto, per sovraccarico (statico).
Più semplicemente si possono definire due fasi: fase di formazione della fessura (ingloba i due stadi
descritti precedentemente) e fase di propagazione della fessura (terzo stadio).
(vedi Figura 1.1)
Figura 1.1 Fasi di formazione e propagazione delle fessure
Resistenza a fatica
Fase di
formazione delle fessure
Fase di propagazione
delle fessure
Numero di cicli
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1.2 Resistenza a fatica
La resistenza a fatica di una struttura o di una sua parte dipende, oltre che dal materiale base
impiegato, da molti fattori come la presenza di autotensioni nei profilati metallici (dovute a
trattamenti termici, lavorazione ecc.), intagli, saldature e concentrazioni di tensione in genere.
Questi fatti provocano punte di tensione localizzate che però non hanno di solito molta influenza
sulla resistenza statica del pezzo nel suo insieme, grazie alle plasticizzazioni locali che provocano
una redistribuzione degli sforzi.
Viceversa questi fattori possono ridurre molto la resistenza a fatica dell’elemento così come la
riducono l’eventuale corrosione o la scabrosità superficiale del pezzo.
In letteratura sono presentati tre diversi approcci per l’analisi del problema della fatica: approccio
classico basato su curve tensione-durata S-N (curve di Wöhler) caratteristiche del dettaglio
considerato (stress-life approach), approccio basato su curve deformazione-durata ε-N (curve di
Manson-Coffin) e relativo legame tensione-deformazione ciclico (strain-life approach) e approccio
basato sulla meccanica della frattura.
Il primo approccio presenta un’analisi sommaria del fenomeno rispetto agli altri due senza fare
alcuna distinzione fra fase di formazione e di propagazione della fessura e per la sua relativa
semplicità di applicazione viene generalmente adottato nella verifica degli impalcati da ponte. Il
secondo consente di stimare con sufficiente precisione il numero di cicli necessari per la formazione
della fessura, ma non consente di stimare la fase di propagazione; il terzo permette di ricavare il
numero di cicli per la propagazione della fessura fino all’ampiezza critica ma non permette di
valutare il periodo di formazione della fessura. Di conseguenza il secondo e terzo approccio
dovrebbero essere utilizzati assieme per ottenere una corretta stima globale della vita del dettaglio.
1.2.1 L’approccio “stress–life”
Per primo Wöhler, mettendo in relazione l'ampiezza massima del ciclo di sollecitazione con il
numero di cicli che il pezzo sopportava prima della rottura, ricavò una serie di curve su base
statistica che ancora oggi costituiscono lo strumento base per la progettazione di componenti
meccanici sollecitati a fatica. Da questi diagrammi si evidenzia per alcuni materiali l'esistenza di un
limite inferiore di sforzo massimo al di sotto del quale il materiale non si rompe per effetto di fatica
nemmeno per un numero "molto alto" (idealmente infinito) di cicli. Questo valore dello sforzo è
detto limite di fatica del materiale.
Figura 1.2 Esempio di generica curva di Wohler
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In letteratura sono disponibili numerosi risultati di prove di fatica ad ampiezza costante sotto carico
sinusoidale, condotte su dettagli di acciaio in vera grandezza. Tramite questi è stato possibile
ricavare il legame tra il numero di cicli a rottura N e la variazione di tensione Δσ in ciascun ciclo
(Δσ=σ
max
-σ
min
), rappresentato dalla relazione
m
A N
−
Δ ⋅ = σ , (1.2)
dove A ed m sono costanti dipendenti dal materiale e dalla tipologia del dettaglio. In particolare il
valore di A viene valutato in modo tale che la probabilità di crisi per valori di N inferiori a quelli
forniti dalla curva (1.2) sia del 5% (curva caratteristica). Se si rappresenta la curva (1.2), chiamata
frequentemente curva di Wöhler, o curva S-N, su un diagramma bilogaritmico si ottiene una retta di
pendenza –1/m. La relazione (1.2) è valida finché Δσ ≥ Δσ
D
, essendo Δσ
D
un valore del delta di
tensione definito limite di fatica, al di sotto del quale la vita a fatica del dettaglio diviene infinita
(Figura 1.3). Nell’ENV-1993-1 tale limite corrisponde ad un numero di cicli pari a
6
10 5⋅ .
Figura 1.3 Curva S-N per i dettagli in acciaio nel caso di cicli di ampiezza costante
In realtà il comportamento a fatica dei dettagli strutturali dipende da molti parametri quali il tipo di
dettaglio, le concentrazioni di tensione presenti in corrispondenza di difetti e intagli, la finitura della
superficie del dettaglio, le tensioni residue di saldatura, il rapporto tra le tensioni minima e massima
R (= σ
min
/σ
max
) e la variazione di tensione nel ciclo Δσ. Comunque, nell’ambito della fatica a
elevato numero di cicli, se le curve S-N di riferimento vengono ricavate sulla base di prove su
campioni dei dettagli in vera grandezza si ha che, per ogni dettaglio, il numero di cicli alla rottura
risulta dipendere fortemente dalla variazione di tensione Δσ mentre è trascurabile l’influenza degli
altri parametri.
Le curve di Wöhler ottenute da prove su dettagli di acciaio in vera grandezza soggetti a cicli di
tensioni normali σ presentano un valore pressoché costante della pendenza corrispondente a m circa
uguale a 3; questi valori sono stati assunti sia nell’ENV-1993-1 che nella CNR-UNI 10011.
Quindi ogni curva caratteristica è individuata da un solo parametro, che è il valore del coefficiente
A della (1.2), o più convenientemente il valore di Δσ
C
in corrispondenza di una vita a fatica
prefissata, che per le normative citate è pari a due milioni di cicli (Figura 1.3).
Il valore della resistenza caratteristica Δσ
C
di un dettaglio, corrispondente ad una vita a fatica di due
milioni di cicli, viene definito classe del dettaglio. La classificazione definisce completamente la
curva caratteristica bilatera S-N, con tratto orizzontale in corrispondenza del valore Δσ
D
, valutato
con la (1.2) per un numero di cicli pari a cinque milioni.
Nel caso di storie di tensione di ampiezza variabile (Δσ = var.), è necessario distinguere due casi a
seconda che risulti Δσ
max
Δσ
D
oppure Δσ
max
>Δσ
D
, dove Δσ
max
è il massimo valore dell’intervallo
di tensione nell’oscillogramma. Nel primo caso (Δσ
max
Δσ
D
) tutti i cicli di tensione sono minori
N
Δσ
C
m=3
Δσ
D
2⋅10
6
5⋅10
6
m
1
S
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del limite di fatica e la vita a fatica risulta illimitata (Figura 1.3). Nel secondo caso (Δσ
max
>Δσ
D
),
invece, bisogna tener conto che anche cicli di tensione di ampiezza inferiore a Δσ
D
producono
danneggiamento in quanto agiscono su un dettaglio gia danneggiato; si fa riferimento allora ad un
diagramma trilatero convenzionale (Figura 1.4).
Questo diagramma ha pendenza corrispondente a m=3 e coincide con la curva caratteristica per
6
10 5⋅ ≤ N , ha pendenza corrispondente a m=5 nell’intervallo
8 6
10 10 5 ≤ < ⋅ N , ed è orizzontale
per
8
10 > N . La resistenza per 10
8
cicli viene definita limite per i calcoli di fatica e si indica con
Δσ
L
. Questo significa che un ciclo di ampiezza inferiore a Δσ
L
non produce alcun danno per fatica
anche se agisce su un dettaglio già danneggiato. Anche la curva trilatera di Figura 1.4 risulta
univocamente definita quando è stata assegnata la classe del dettaglio.
Nel caso di cicli di tensioni tangenziali Δτ, le curve caratteristiche assumono una pendenza legata a
m=5 e non presentano limite di fatica per cicli di ampiezza costante a cinque milioni di cicli; le
curve assumono una forma a bilatera con tratto orizzontale per
8
10 > N , in corrispondenza del
limite per i calcoli di fatica Δτ
L
(Figura 1.5). Ogni curva risulta univocamente definita una volta
assegnata la classe del particolare Δτ
C
.
Figura 1.4 Curva S-N convenzionale per i dettagli in acciaio nel caso di cicli di ampiezza variabile
Figura 1.5 Curva S-N per i dettagli in acciaio nel caso di cicli di tensioni tangenziali
Nelle verifiche di resistenza alla fatica le tensioni nel componente in esame vengono valutate con
strumenti semplici di analisi e nell’ipotesi di comportamento linearmente elastico del materiale.
Queste ipotesi sono accettabili nel caso di un numero elevato di cicli (N>10
6
) per cui le tensioni di
picco che possono superare la tensione di snervamento riguardano zone molto piccole e non
comportano apprezzabili ridistribuzioni di sforzi durante i cicli. La vita del dettaglio viene spesa per
la maggior parte (>90%) alla formazione della fessura e solo una minima parte (<10%) viene
impegnata nella propagazione della fessura fino alla rottura (Figura 1.1).
Δσ
C
m=3
N
Δσ
D
2⋅10
6
5⋅10
6
m
1
10
8
Δσ
L
m=5
S
Δτ
C
N 2⋅10
6
m
1
10
8
Δτ
L
m=5
S
LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
12
1.2.2 Approccio “strain-life”
La risposta del materiale dipende fortemente dal livello delle deformazioni locali in corrispondenza
delle zone maggiormente sollecitate. Se il livello delle azioni è ridotto, tensioni e deformazioni sono
linearmente dipendenti a meno di zone piccolissime di poco conto sulla risposta globale, di
conseguenza è giustificato l’utilizzo del metodo basato sulle curve tensioni-numero di cicli. Per
azioni più rilevanti è indispensabile ricorrere ad un approccio che consenta di quantificare il livello
di deformazione locale (strain-life). Le deformazioni plastiche locali sono responsabili del
danneggiamento che porta alla rottura per fatica; se tali deformazioni sono molto ridotte l’utilizzo
del metodo “stress-life” e “strain-life” conducono agli stessi risultati.
Nonostante la maggior parte delle strutture ingegneristiche e dei loro componenti siano progettati in
modo tale che le tensioni nominali rimangano in campo elastico, in alcune piccole zone si possono
verificare picchi di tensione elevati con conseguenti deformazioni plastiche. Essendo, però, queste
zone circondate da materiale in campo elastico risultano soggette ad un regime di deformazione
controllata. Il metodo “strain-life”, allora, assume che campioni lisci sottoposti a prova in controllo
di deformazione possono simulare correttamente il comportamento a fatica delle zone di picco di
sforzo di un dettaglio. Questo metodo considera avvenuta la rottura del dettaglio quando nella zona
di picco il volume di materiale ugualmente sollecitato si rompe, ossia quando si forma la fessura.
Per la stima della vita rimanente, riguardante la fase di propagazione della fessura, è necessario
ricorrere a metodi basati sulla meccanica della frattura.
Questo metodo necessita di curve deformazione-numero di cicli ε-N, ricavate da prove a
deformazione imposta di ampiezza costante e curve tensione-deformazione cicliche σ-ε relative a
campioni lisci di materiale. Per la curva ciclica si può utilizzare la relazione seguente valida per
molti metalli
n
K E
1
−
σ
+
σ
= ε
, (1.3)
dove E è il modulo elastico, K e n sono coefficienti legati al comportamento ciclico e devono essere
determinati da prove sperimentali cicliche. Il ciclo di isteresi si può descrivere utilizzando l’ipotesi
di Massing che afferma che per materiali a comportamento simmetrico il ciclo di isteresi si ricava
raddoppiando la curva tensione-deformazione ciclica della (1.3), e quindi si ha
n
K E
1
2
2
−
σ Δ
⋅ +
σ Δ
= ε Δ
.(1.4)
Le curve ε-N si ricavano da prove sperimentali come somma di due contributi: uno elastico ed uno
plastico. La variazione di deformazione elastica in funzione del numero di cicli si può esprimere
con un’equazione derivata dalla (1.2)
m
e
N B
1
−
⋅ = ε Δ
, (1.5)
e la variazione di deformazione plastica con il numero di cicli si ottiene dalla
'
1
m
p
N C
−
⋅ = ε Δ
, (1.6)
LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
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dove i parametri B, C e m’ devono essere determinati mediante prove sperimentali cicliche. Le
curve (1.5) e (1.6), se riportate su un diagramma bilogaritmico, sono delle rette. In particolare B e C
rappresentano, rispettivamente, le intercette con l’asse delle ordinate delle curve (1.5) e (1.6) e m’ è
l’inverso della pendenza della (1.6) che assume in genere valori compresi tra 1.5 e 2. La somma
delle due deformazioni consente di esprimere il legame tra la deformazione totale ed il numero di
cicli (Figura 1.6)
'
1 1
m m
N C N B
− −
⋅ + ⋅ = ε Δ
. (1.7)
Figura 1.6 Curva ε-N da prove a cicli di deformazione di ampiezza costante
Queste curve si riferiscono al materiale della zona soggetta a deformazioni plastiche. Sono
sensibilmente influenzate dalla presenza di difetti (es. dislocazioni fra i cristalli). Il metodo diventa
indispensabile per la valutazione del numero di cicli necessari per la formazione delle fessure
quando le sollecitazioni sono tali da provocare apprezzabili deformazioni plastiche. In questi casi
l’utilizzo del metodo S-N porterebbe a stime di vita molto grossolane e non cautelative. In generale
tanto più significativa è l’entità delle deformazioni plastiche, tanto minore è la frazione di vita spesa
per la formazione della fessura, di conseguenza è necessario a valle della stima del numero di cicli
necessario per la formazione della fessura far seguire un calcolo del numero di cicli necessario per
la propagazione della fessura fino alla dimensione critica; per questo ultimo scopo bisogna far
ricorso a metodi basati sulla meccanica della frattura.
1.2.3 Approccio con la meccanica della frattura
La vita a fatica di un componente è costituita da una fase di formazione ed una di propagazione
della fessura, come illustrato schematicamente in Figura 1.1. La dimensione della fessura alla
transizione fra la formazione e la propagazione è normalmente sconosciuta e spesso dipende
dall’analista e dalla dimensione del componente in studio.
È importante fare la distinzione fra fase di formazione e di propagazione della fessura: per basse
ampiezze di deformazione più del 90% della vita è spesa per la formazione, mentre per ampiezze
elevate la maggior parte della vita a fatica può essere spesa per la propagazione delle fessure.
L’approccio basato sulla meccanica della frattura è usato per stimare il numero di cicli necessario
per la propagazione della fessura fino alla sua apertura critica.
Questo metodo richiede, quindi, che sia nota o assunta tale la dimensione iniziale della fessura. In
effetti, per componenti con imperfezioni e difetti (come piccole cricche superficiali delle saldature,
inclusioni, difetti da laminazione, ecc.) o per dettagli già danneggiati dalla fatica (individuati su
strutture esistenti durante le ispezioni di manutenzione) una dimensione iniziale della fessura può
essere nota e di conseguenza questo approccio consente di valutare la vita globale del dettaglio. Per
componenti privi di difetti, invece, bisogna far precedere una stima della vita spesa per la
N
C
N
f
m’
1
Β
m
1
Totale
Elastica
Plastica
ε
LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
14
formazione della fessura con il metodo visto al punto precedente e sommarla alla vita spesa per la
propagazione.
La meccanica della frattura si basa sull’applicazione della teoria dell’elasticità a corpi con fessure o
difetti. Lo stato di tensione elastico in una lastra indefinita con una lesione di lunghezza 2a è
descritto, in un sistema di coordinate polari (r, ϑ) con origine nell’apice della lesione, dalla
relazione
) (
2
ϑ ⋅
π
= σ
ij ij
F
r
K
,(1.8)
dove K è il fattore di concentrazione di tensione e F
ij
è una funzione dell’angolo ϑ. Il fattore K, che
definisce l’intensità della tensione locale nell’apice della fessura, dipende dal modo di
propagazione, dalla dimensione, dalla forma e dalle condizioni al contorno della fessura. Assume
l’espressione generale
a g f K π ⋅ σ ⋅ = ) (
,(1.9)
dove σ è la tensione applicata al componente in argomento (da non confondersi con la tensione
locale σ
ij
della (1.8)), a è la dimensione della fessura e f(g) è un fattore di correzione che dipende
dal campione e dalla geometria della fessura. Valori del fattore K relativi ai problemi più comuni
sono riportati in letteratura (es. [5, 6]). I modi di propagazione della fessura generalmente presi in
considerazione riguardano:
I - propagazione per apertura,
II - propagazione per scorrimento,
III - propagazione per lacerazione.
(vedi Figura 1.7).
Figura 1.7 Modi di propagazione di una lesione
Per carichi ciclici, come nel caso della fatica, si considera la variazione di K in un ciclo di tensione
di ampiezza Δσ, per cui la (1.9) diventa
a g f K π ⋅ σ Δ ⋅ = Δ ) (
.(1.10)
Se si rappresenta in un diagramma bilogaritmico la velocità di propagazione della fessura da/dN in
funzione di ΔK si ottiene la curva di Figura 1.8. Nella figura si possono individuare tre regioni: (I)
riguardante ridotti livelli di carico, (II) intermedia caratterizzata da un andamento pressoché lineare
e (III) relativa a livelli elevati di ΔK e caratterizzata da velocità di propagazione della fessura molto
elevate. La maggior parte delle strutture si trovano a operare nella regione II.
Sono state proposte diverse curve per descrivere analiticamente la velocità di propagazione della
fessura; quella maggiormente usata è quella dovuta a Paris
Propagazione
per apertura
Propagazione
per scorrimento
Propagazione
per lacerazione
LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
15
m
K C
dN
da
Δ ⋅ =
,(1.11)
dove C e m sono delle costanti dipendenti dal tipo di materiale. In letteratura si possono trovare i
valori di tali costanti per diversi materiali. La costante m, comunque, per l’acciaio e per
propagazione della fessura per apertura (modo I – Figura 1.7) assume un valore prossimo a 3.
Figura 1.8 Variazione della velocità di propagazione con il fattore di concentrazione di tensione
Integrando la (1.11) è possibile calcolare il numero di cicli N
f
necessari per la propagazione di una
fessura da un ampiezza iniziale a
i
ad un ampiezza finale a
f
∫
Δ ⋅
=
f
i
a
a
m
K C
da
N
.(1.12)
Se a
f
corrisponde con il valore di apertura critico associato al valore critico di ΔK
cr
, si è raggiunta la
rottura. Quindi sostituendo la (1.10) nella (1.12), per intervallo di tensione costante, si ottiene
l’espressione di una curva S-N analoga a quella vista in precedenza
∫
π ⋅
σ Δ
=
−
f
i
a
a
m m
m
a g f
da
C
N
) ( )] ( [
,(1.13)
la quale, nell’ipotesi che f(g) sia costante sull’insieme dei cicli e che a
f
>>a
i
, si riduce ad
un’espressione analoga a quella di una curva di Woehler
2
) 1 5 . 0 ( )] ( [
−
−
π − ⋅ ⋅ ⋅
σ Δ
=
m
i
m m
m
a m g f C
N
.(1.14)
I metodi appena illustrati consentono di stimare la vita a fatica della maggior parte delle strutture.
Ogni approccio ha però dei vantaggi e dei limiti e la scelta di quello più indicato in una determinata
situazione viene a dipendere da numerosi fattori. In particolare:
Approccio “stress-life”: risulta indicato nelle situazioni caratterizzate da carichi di ampiezza
costante ed elevato numero di cicli. Può essere usato anche per una stima grossolana della vita di un
componente nel caso di carichi di ampiezza variabile. Presenta una notevole semplicità d’uso.
Approccio “strain-life”: risulta indicato per la stima del numero di cicli necessario per la
formazione di una fessura provocata da situazioni di carico alternato di ampiezza costante o
I
II
III
dN
da
log
K Δ log
LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
16
variabile. Permette, infatti, di tener conto correttamente dell’effetto delle tensioni residue risultanti
dalla sequenza di cicli di ampiezza diversa consentendo di valutare più accuratamente la
cumulazione del danno. Il metodo può essere applicato più facilmente a dettagli di geometrie più
complesse. Per contro richiede un maggiore impegno computazionale nelle verifiche.
Approccio con la meccanica della frattura: è indicato per stimare il periodo di propagazione di
una preesistente fessura, per cui è particolarmente adatto per la stima della vita residua di
componenti di strutture esistenti in cui sono state rilevate delle fessure. Nelle strutture prive di
difetti diventa difficile ipotizzare una dimensione iniziale della fessura, è quindi preferibile far
precedere un’analisi per la valutazione del periodo per la formazione della fessura.
Le relazioni per la valutazione della resistenza a fatica appena descritte riguardano situazioni di
carico ad ampiezza costante, nella pratica molte strutture sono soggette a storie di carico di
ampiezza variabile anche molto complesse.
1.2.4 Cicli ed Ampiezza di tensione
I principi e le metodologie che descrivono la verifica a fatica sono basati sull’impiego combinato di
quattro concetti che sono i cicli e l’ampiezza di tensione, le curve di resistenza a fatica, la
classificazione delle unioni e del danneggiamento per fatica.
I cicli di tensione, i più semplici, corrispondono a una variazione periodica di tensione di ampiezza
costante come mostrata in Figura 1.9.
Figura 1.9 Particolare di un ciclo di tensione ad ampiezza costante
La Figura 1.10 rappresenta il caso teorico di un elemento sottoposto ad una tensione variabile con
legge sinusoidale tra due limiti, σ
min
e σ
max
.
Figura 1.10
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17
Questo tipo di ciclo è quello che normalmente si ha nelle macchine di prova dei laboratori
sperimentali ed è individuato da due parametri: R e σ
max
oppure σ
m
e Δσ.
Il rapporto R può variare tra -1 e +1 e ha i seguenti valori caratteristici:
R = +1
0 < R < 1
R = 0
-1 < R <0
R = -1
σ
min
= σ
max
0 < σ
min
< σ
max
σ
min
= 0
- σ
max
< σ
min
< 0
carico statico
carico pulsante
carico pulsante dallo zero
carico alterno asimmetrico
carico alterno simmetrico
Se si assoggetta un dato elemento ad una ripetizione di N cicli, si avrà la rottura per fatica per un
valore della σ
max
inferiore, in genere, alla σ di rottura statica e tanto minore quanto maggiore è N.
Nella realtà i carichi agenti sui ponti non sono di tipo sinusoidale ma seguono una legge molto
variabile: se si registrasse l’andamento delle σ in una sezione di ponte, dando per scontato che se la
struttura ha una risposta elastica lineare la storia delle tensioni coincide con la storia dei carichi a
meno di una costante, si troverà, anziché l’andamento di Figura 1.10, qualcosa del tipo di Figura
1.11.
Figura 1.11 Esempio di oscillogramma
Si presenta allora il problema di determinare una tecnica che consenta di trattare problemi con
carico di ampiezza variabile utilizzando le informazioni ottenute per il carico di ampiezza costante.
Il primo problema che si pone è di come effettuare la conta dei cicli.
1.2.4.1 Conteggio dei cicli di tensione
Una volta determinato l’oscillogramma di tensione σ=σ(t) che descrive l’andamento della tensione
nel tempo nel punto o nel dettaglio considerato, si tratta di determinare lo spettro di tensione, vale a
dire il numero e l’ampiezza dei cicli di tensione associati all’oscillogramma da utilizzare nelle leggi
di danneggiamento. Nei ponti l’analisi degli oscillogrammi è molto complicata per la presenza di
picchi e ventri secondari che rendono molto difficile l’identificazione dei cicli, per cui l’entità del
danneggiamento e la vita a fatica dipendono anche dalla particolare tecnica di conteggio utilizzata.
L’efficacia di un metodo di identificazione è misurata dalla sua capacità di individuare tutti i cicli di
tensione, di tener conto dei cicli di grande ampiezza, di considerare anche i delta di tensione piccoli
t
σ
LA VERIFICA A FATICA NEGLI IMPALCATI A SEZIONE COMPOSTA ACCIAIO - CLS
18
e di valutare correttamente il valore medio di ciascun ciclo, nonchè dalla sua attendibilità nel
valutare, quando associato ad un criterio di danneggiamento, la vita a fatica.
Tra le metodologie di identificazione o conteggio che sono state proposte, quelle che sembrano dare
migliori risultati quando accoppiati con una legge di danneggiamento di Palmgren-Miner sono il
metodo del serbatoio (reservoir method) ed il metodo del flusso di pioggia (raiflow method). Essi
sono praticamente equivalenti e consentono di tener conto di tutte le variazioni di tensione, hanno
però l’inconveniente di non essere molto agevoli per una trattazione di tipo analitico.
Nel metodo del serbatoio (Figura 1.12):
• si suppone che lo spettro di carico sia formato da tratti simili che si ripetono, lunghi a
piacere: può essere il traffico di un giorno, di un mese, di un anno o più. (Questa ipotesi non
costituisce pertanto un limite).
Si analizza allora un tratto della storia delle σ compreso tra due massimi ripetuti;
• si immagina che il tratto da analizzare sia un serbatoio pieno di acqua e si misura il massimo
dislivello del liquido, al termine di tale operazione si forma un primo ciclo il cui delta di
tensione è rappresentato dalla differenza di quota tra il pelo libero originario e il punto più
basso, in Figura 1.12 rappresentato con Δσ
1
. Per riconoscere gli altri cicli bisogna procedere
in modo simile. Si prende, tra i vari bacini rimasti, il nuovo punto più basso e si procede allo
svuotamento del bacino relativo. In questo caso l’intervallo di tensione è definito dalla
differenza di quota tra il nuovo pelo libero ed il punto più basso, rappresentato da Δσ
2
. La
procedura prosegue fino al completo svuotamento del serbatoio.
Figura 1.12 Metodo del serbatoio
( ) t σ
t
Figura 1.13 Metodo del flusso di pioggia
σ(t)
t
1
σ Δ
2
σ Δ
3
σ Δ
4
σ Δ
5
σ Δ
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Il metodo del flusso di pioggia (Figura 1.13) è meno intuitivo rispetto al metodo del serbatoio ma ha
il vantaggio di poter essere implementato facilmente per consentire un’analisi numerica. Si tratta di
ruotare l’oscillogramma di 90°, in modo che l’asse dei tempi sia disposto verticalmente, ed
immaginare una goccia di pioggia che scorre sul profilo. Vengono imposte alcune regole alla goccia
d’acqua così da identificare in modo corretto i cicli. Innanzitutto l’oscillogramma viene disegnato in
modo che all’inizio e alla fine compaia il valore assoluto massimo delle tensioni. Si fa partire una
goccia d’acqua ad ogni inversione e si assume che essa continui a scorrere fino a che una delle
seguenti condizioni non risulti soddisfatta:
• la goccia d’acqua è partita da un picco, punto di massimo locale, e cade opposta ad un altro
punto di massimo locale più grande, in valore assoluto, di quello da cui è partita;
• la goccia d’acqua è partita da una cuspide, punto di minimo locale, e cade opposta ad un altro
punto di minimo locale più grande, in valore assoluto, di quello da cui è partita;
• la goccia d’acqua incontra un profilo già bagnato in precedenza.
Con questi tipi di conteggio si arriva a definire un certo numero di Δσ
i
ciascuno dei quali si ripete n
i
volte.
Il secondo problema che si pone è quello di valutare il danneggiamento causato dalle ripetizioni dei
carichi.
1.2.4.2 Cumulazione del danno per cicli ad ampiezza variabile
Si introduce una funzione danneggiamento D, che assume valore zero in assenza di danno e uno in
corrispondenza della rottura. In realtà, nella fase di propagazione, tale funzione può essere correlata
facilmente con l’estensione della fessura, mentre nella fase di formazione della fessura non è così
facile trovare un parametro effettivo cui collegare il danneggiamento, anche perché il
danneggiamento avviene a livello microscopico (dislocazioni, bande di scorrimento, microfessure,
ecc.). Per tener conto di questo, nella maggior parte dei metodi di cumulazione del danno viene
espressa la porzione di danno D
i
prodotta dal blocco di cicli di ampiezza S
i
in funzione del rapporto
fra il numero di cicli n
i
del blocco ed il numero di cicli a rottura N
i
del livello di tensione S
i
=
i
i
i
N
n
f D .(1.15)
In realtà questo modo di procedere è prevalentemente collegato all’utilizzo del metodo “stress-life”,
ma può essere utilizzato anche con il metodo “strain-life”.
La legge cumulativa del danno più semplice ed utilizzata è quella proposta da Palmgren e
successivamente ripresa da Miner, anche se questo Autore la derivò sperimentalmente nel 1945 per
le sole leghe leggere impiegate in campo aeronautico.
La legge è basata sull’ipotesi di danneggiamento lineare per cui indipendente dall’oscillogramma di
tensione e dalla sequenza dei blocchi di cicli di ampiezza diversa nella storia di tensione (l’ordine di
applicazione dei carichi non influenza il risultato finale. Ciò in realtà non è del tutto vero poiché se i
carichi ripetuti vengono applicati in modo crescente si ha un effetto di allenamento del materiale
che migliora il proprio comportamento a fatica, si pensi all’acciaio. L’opposto succede con carichi
decrescenti).
In particolare questo significa che un ciclo di tensione di ampiezza Δσ
i
produce una frazione di
danno pari a 1/N
i
, se N
i
è il numero di cicli a rottura del livello di tensione Δσ
i
. La (1.15) allora
diventa
i
i
i
N
n
D = .(1.16)