6portato con sé un forte bisogno di novità anche a livello istituzionale. Tra la
protezione dei due summenzionati interessi è infatti divenuto sempre più
problematico, ma estremamente necessario, ricercare un punto di equilibrio
che potesse rivelarsi il più duraturo possibile, attraverso il bilanciamento
delle contrapposte esigenze ad essi sottese ed avendo particolare riguardo ai
valori coinvolti nella realtà del caso concreto1.
Ciò che è parso da subito preoccupante è stata la difficoltà di assicurare
un’adeguata gestione del “potere informatico”2, quale problematica legata
alla caratteristica, propria degli elaboratori elettronici, di consentire il
rapido assemblaggio di informazioni di diverso tipo e di differente origine,
ma concernenti la stessa persona, in maniera tale da poter ipoteticamente
raccogliere, in relazione allo stesso soggetto, tutti i dati che, in tempi diversi
ed a differente scopo, sono stati inseriti negli elaboratori stessi3.
In tale contesto, se la nozione di privacy nasce con caratteristiche
tipicamente difensive, come “diritto a essere lasciati soli”4, assume poi, nel
volgere di alcuni anni, un aspetto più dinamico, incentrato sulla
salvaguardia dell’integrità personale del soggetto; resisi conto di come la
raccolta di informazioni, mediante l’utilizzo di elaboratori elettronici, fosse
ormai profondamente connaturata all’organizzazione delle strutture
1
R. FERRARA, Premesse ad uno studio sulle banche dati della pubblica amministrazione: fra
regole della concorrenza e tutela della persona, in AIDA, 1997, 271.
2
V. FROSINI, Diritto alla riservatezza e calcolatori elettronici, in Banche dati, telematica e
diritti della persona, a cura di ALPA e BESSONE, Padova, 1984, 89.
3
G. MIRABELLI, Le posizioni soggettive nell’elaborazione elettronica dei dati personali, in
Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1993, 313.
4
S. RODOTA’, Progresso tecnico e problemi istituzionali nella gestione delle informazioni, in N.
MATTEUCCI, Privacy e banche dei dati, Bologna, 1981, 25.
7pubbliche e private della società, gli interventi legislativi tradizionali,
incentrati sul divieto, si sono visti costretti a cedere il passo a schemi
puramente restrittivi, con i quali si è cercato di eliminare i possibili danni
che, dall’uso distorto delle informazioni, comunque legittimamente
acquisite, potevano derivare. L’accento è stato così spostato, dalla questione
concernente la proprietà delle informazioni, a quella relativa all’utilizzo che
di queste ultime il “nuovo proprietario” intende fare, in base alla
considerazione per cui, se il soggetto, nel momento in cui fornisce le
informazioni, rinuncia in parte al “diritto ad essere lasciato solo”,
certamente non per questo può considerarsi rinunciatario rispetto al diritto a
difendere la propria integrità personale, quale condizione indispensabile per
il pieno sviluppo della persona umana5.
Dinanzi al costante conflitto tra la realizzazione del “diritto
all’informazione la cui mancanza tanto impoverisce la democrazia della
nostra organizzazione sociale”6 e l’esigenza sempre più sentita di
predisporre strumenti di tutela in grado di ridurre gli attacchi alla privacy
insiti nella grande quantità di informazioni raccolte e gestite dagli
elaboratori elettronici di strutture pubbliche e private in diversi e sempre più
vasti ambiti spaziali, tanto a livello di legislazione nazionale, quanto in
ambito internazionale, si sono moltiplicati gli interventi volti a
regolamentare in maniera sempre più attenta i due aspetti del fenomeno al
5
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, Padova, 95 ss.
6
S. RODOTA’, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973, 79.
8fine di garantire comunque una sempre maggiore tutela della riservatezza
rispetto al trattamento dei dati personali; si è in tal modo passati dal
riconoscimento all’interessato del diritto di controllare successivamente
l’uso delle informazioni che lo riguardano, così come riconosciuto dalla
Convenzione di Strasburgo7, alla “rinascita del consenso”, ossia alla
predisposizione di un sistema in cui la privacy assume il nuovo aspetto di
“diritto dell’individuo di scegliere quel che è disposto a rivelare agli altri”8.
Inevitabilmente però, man mano che, con il passare del tempo, prendeva
consistenza il diritto del singolo individuo a vedere garantita la riservatezza
delle informazioni di carattere personale che lo riguardavano, si andava
d’altra parte prendendo coscienza degli interessi che, presentando aspetti di
conflitto con la configurazione di questo “nuovo diritto”, creavano problemi
di comparazione tra opposte esigenze. A venire in considerazione è stato
innanzitutto l’interesse all’informazione, quale esigenza connessa allo
svolgimento di qualsivoglia attività, vuoi facente capo alla pubblica
amministrazione che, nello svolgimento dei suoi compiti pubblici, ha
necessariamente bisogno di informazioni concernenti la collettività, vuoi
avente natura imprenditoriale, in funzione della notevole valenza
7
La Convenzione non prende posizione sul tema del consenso, mentre per il trattamento dei dati
sensibili prevede soltanto la predisposizione di “garanzie adatte” (art. 6).
8
S. RODOTA’, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 79 ss.; ID., Elaboratori elettronici e controllo
sociale, cit., 45; G. MIRABELLI, Le posizioni soggettive nell’elaborazione elettronica dei dati
personali, cit., 313; gli autori mettono peraltro in guardia dal “mito del consenso”, consistente nel
pericolo che quest’ultimo possa risultare “meramente illusorio” tutte le volte in cui, per un verso il
soggetto sia indotto a rilasciare il proprio consenso al trattamento dei dati che lo riguardano senza
un’adeguata ponderazione della situazione o in vista del soddisfacimento di un altro presente
bisogno, o per altro verso impedisca il trattamento di tali dati senza considerare le conseguenze
9economica che l’interesse ad essere informati può assumere. In simile
contesto è inevitabilmente emerso l’interesse del singolo ad essere
informato sui dati raccolti sulla propria persona o attività d’impresa
dall’amministrazione pubblica, cui può a sua volta essere contrapposta
l’esigenza, facente capo al terzo, le cui informazioni sono accomunate a
quelle di colui che ha presentato istanza di accesso, a veder garantito il suo
“interesse alla riservatezza nell’ambito della trasparenza della P.A.”9.
Dal punto di vista più propriamente strutturale è possibile sottolineare
innanzitutto come, pur trattandosi di due situazioni strettamente connesse,
tra titolare del diritto di accesso e titolare del diritto alla riservatezza non
esista un rapporto giuridico diretto di tipo bilaterale in quanto, se per un
verso l’amministrazione ha l’obbligo di mettere a disposizione
dell’interessato le informazioni richieste, essa non deve peraltro comunicare
informazioni coperte dal diritto alla riservatezza di terzi10. Tra i due
interessi che si contendono il campo, al di là della coincidenza del soggetto
passivo del rapporto, vale a dire l’amministrazione pubblica, è poi possibile
osservare come, sotto il profilo oggettivo, si venga a creare una situazione
di reciproca esclusione tra le due situazioni giuridiche, potendosi infatti
configurare il diritto alla riservatezza quale limite esterno al diritto di
che tale suo comportamento può avere sul soddisfacimento di altri suoi interessi o su interessi di
rilievo sociale.
9
G. MIRABELLI, Le posizioni soggettive nell’elaborazione elettronica dei dati personali, cit.,
313.
10
M. CLARICH, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela
processuale, in Diritto processuale amministrativo, 1996, 430.
10
accesso, con valenza complementare rispetto ad esso in quanto, tanto più
esteso sarà l’ambito oggettivo di quest’ultimo, tanto meno lo sarà quello del
diritto alla riservatezza11.
Una relazione di tipo inversamente proporzionale lega poi
legittimazione soggettiva all’accesso ed ambito oggettivo dello stesso, del
quale a sua volta è stato già sottolineato lo stretto collegamento con i limiti
posti al diritto d’accesso stesso; infatti, in un sistema che riconosce solo a
pochi soggetti il diritto di accedere alle informazioni detenute dalla
pubblica amministrazione, l’ingerenza potrà potenzialmente essere avvertita
come meno intrusiva e potrà pertanto giustificare meno, eventuali
restrizioni, sotto il profilo oggettivo, alle informazioni rese accessibili,
rispetto a sistemi nei quali le categorie dei soggetti legittimati ad accedere
alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione, essendo definite
in modo più esteso, rendono più sentita l’esigenza di prevedere limiti
all’ambito di estensione oggettiva del diritto di accesso stesso12.
Se la problematica relativa alla tutela della riservatezza ha contribuito in
maniera radicale alla definizione di nuovi rapporti tra burocrazie pubbliche
e private e singoli individui, ha altresì fatto crescere la domanda di leggi di
tutela e, in termini più ampi, la richiesta di un rimodernamento dello
11
M. CLARICH, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza, cit., 432.
12
M. CLARICH, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza, cit., 432 ss.; è quest’ultimo il caso
dell’esperienza francese, ove la legge del 17 luglio 1978, dopo aver riconosciuto il diritto
d’accesso al quisque de populo, senza condizionarne pertanto l’esercizio alla dimostrazione
dell’esistenza di uno specifico interesse da parte del richiedente, individua però, in un secondo
tempo, una serie molto estesa di casi di esclusione all’esercizio del diritto stesso.
11
“statuto delle informazioni personali”13 quale premessa indispensabile,
assecondata dagli stessi fabbricanti di elaboratori elettronici, per evitare
forme di rifiuto di queste stesse tecnologie.
2. Il segreto come “strumento di potere”.
Il segreto può assumere rilievo sotto un duplice profilo: come
“strumento di potere” e come “garanzia di libertà”14; nella prima accezione
il termine può in parte configurare il modo di atteggiarsi dell’apparato
amministrativo moderno che, pur qualificandosi come democratico,
conosce numerose deroghe al principio di pubblicità del potere pubblico
contribuendo, in tal modo, ad accrescere il divario esistente tra burocrazia e
società civile. Nel suo secondo aspetto il termine segreto può invece
assumere rilievo come garanzia di libertà costituzionali ed in particolare –
per quanto qui interessa – come tutela della privacy15.
Il segreto in termini generali è uno strumento polifunzionale in quanto
utilizzabile per la protezione di diversi interessi, talvolta aventi carattere
pubblico, talaltra privato16, dalla cui esigenza di tutela si è cercato di
trarre il fondamento costituzionale del segreto stesso; si è così innanzitutto
creduto di individuare la principale situazione giuridica protetta dal segreto
13
L’espressione è di S. RODOTA’, Progresso tecnico e problemi istituzionali nella gestione delle
informazioni, cit., 33.
14
G. PITRUZZELLA Segreto, I) Profili costituzionali, in Enc. Giur., XXVIII, Roma, 1992.
15
G. PITRUZZELLA, Segreto, I) Profili costituzionali, cit.
16
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, cit., 95 ss.
12
amministrativo nell’interesse pubblico al “normale funzionamento”
dell’amministrazione, espressione inizialmente utilizzata dalla dottrina
penalistica17 per individuare l’interesse protetto dalle disposizioni penali sul
segreto d’ufficio.
Per comprendere in che cosa consistesse il “normale funzionamento”
dell’amministrazione si è allora fatto riferimento, in via preliminare, al
rapporto di tipo funzionale intercorrente tra il dipendente pubblico e la
pubblica amministrazione; il primo è infatti tenuto al rispetto di una serie di
doveri nei confronti della seconda al fine di garantirne il “normale
funzionamento” e, fra tali obblighi, viene individuato anche quello di
mantenere il segreto d’ufficio. Quest’ultima figura viene però costruita dal
legislatore in maniera apparentemente immutabile, con un contenuto
largamente indeterminato18 e con il ruolo essenziale di “strumento di
separazione”19; tale costruzione, sul nascere dello “Stato amministrativo”
ottocentesco, ha poi trovato ulteriore riscontro nel criterio della divisione
sociale del lavoro, nel cui ambito la gestione pubblica si realizzava come
“gestione specializzata di alcuni”20.
L’interesse pubblico al “normale funzionamento” dell’amministrazione
troverebbe dunque nel segreto amministrativo un essenziale strumento di
17
G. DE GIORGIO, La rivelazione, in Rivista di diritto pubblico, 1909, I, 232, ove si ritiene che
nella “rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio”, a differenza che nella “rivelazione di
segreto professionale”, il reato sussista in quanto il danno è insito nella violazione del dovere
funzionale inerente alla qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
18G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, cit., 100; spesso si tratta di doveri a contenuto
indeterminato cui spetta alla Pubblica Amministrazione dare concretezza con scelte discrezionali.
19
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. I, Padova, 1984, 214.
20
U. CERRONI, La libertà dei moderni, 1968, 193 ss.
13
garanzia, grazie soprattutto alla forza espansiva della “funzione di
separazione” da questo svolta, la quale esplica i propri effetti in due diverse
direzioni, in primo luogo come strumento di separazione
dell’amministrazione dalla società in cui opera, ed in secondo luogo
creando al suo interno suddivisioni di ruoli e di “sapere”, coperte anch’esse
dal segreto.
E’ stata peraltro sottolineata l’ambiguità e genericità della definizione
stessa di “normale funzionamento”, rilevandosi come il giudizio sulla
“normalità” dell’agire amministrativo non possa non essere influenzato dal
contesto temporale e spaziale in cui la stessa amministrazione opera; la
definizione non trova poi nemmeno conferma nel dato costituzionale, a
meno di considerare il “normale funzionamento” dell’amministrazione
come espressione del suo operare in maniera efficiente ed imparziale ex art.
97 Cost., ma svuotando inevitabilmente, in tal modo, la nozione di qualsiasi
utilità pratica e concettuale e trovando ulteriori ostacoli nella stessa
difficoltà di configurare il buon andamento e l’imparzialità amministrativa
come espressioni del segreto21.
La ricerca dell’interesse principale alla cui tutela è rivolto lo strumento
del segreto, abbandonata la funzione di separazione attribuitagli in quanto
legato al “normale funzionamento” dell’amministrazione, si è allora
concentrata sull’interesse pubblico al perseguimento del fine istituzionale
attribuito dal legislatore alle singole amministrazioni, il quale poteva
14
trovare nel segreto un mezzo di realizzazione di fini non altrimenti
perseguibili, valutate le circostanze del caso concreto secondo i due principi
costituzionali di imparzialità e buon andamento22; se però la segretezza può
certamente essere considerata uno degli strumenti mediante i quali è
possibile perseguire l’efficienza nell’attività pubblica, è parso oltremodo
inadeguato assegnare a tale principio il compito di giustificare qualsivoglia
rifiuto di rilasciare informazioni amministrative23.
E’ stato allora ritenuto plausibile moderare gli effetti applicativi
derivanti dall’utilizzo del principio del buon andamento facendo ricorso al
metodo casistico24 e giustificando il rifiuto di rilascio di informazioni in
funzione della fissazione da parte dell’amministrazione pubblica,
nell’esercizio del suo potere di autorganizzazione, di limiti organizzativi
alla sua stessa attività, oppure in relazione a determinate categorie di
ipotesi. In questa seconda casistica possono allora ricomprendersi svariate
situazioni, quali quelle legate alla possibilità che la trasmissione di
informazioni da parte dell’amministrazione possa pregiudicare le finalità
della sua stessa azione, oppure quelle dovute al fatto che l’informazione
amministrativa da rilasciare può avere il medesimo oggetto e contenuto
della dichiarazione in cui si sostanzia l’atto finale di un determinato
21
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, cit., 161 ss.
22
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, cit., 174 ss.
23
A. MELONCELLI, L’informazione Amministrativa, Rimini, 1983, 268.
24
P. PISA, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano, 1977, 223; A. MELONCELLI,
L’informazione Amministrativa, cit., 268 ss.
15
procedimento amministrativo, non potendosi costringere l’amministrazione
a pronunciarsi in via anticipata sull’esito della propria azione25.
A questa impostazione è stato poi obiettato, in maniera radicale, come
sia piuttosto la pubblicità dell’azione amministrativa che, creando un clima
di collaborazione tra società civile e apparati amministrativi, incide
positivamente sull’efficienza ed imparzialità della pubblica
amministrazione26, così come confermato da chi ha salutato la riforma degli
anni Novanta in tema di procedimento amministrativo ed accesso ai
documenti in termini di “forte contributo sia all’imparzialità amministrativa
che all’efficienza”27.
E’ stato in effetti sottolineato come, sull’azione amministrativa i due
principi di pubblicità ed efficienza influiscano sotto un duplice profilo, per
un verso fungendo da limite al principio di pubblicità, in base alla
considerazione per cui, come visto, l’amministrazione per poter svolgere i
suoi compiti in maniera efficiente deve poter porre limiti, in determinati
casi, alla conoscenza all’esterno della sua stessa attività; d’altro canto però,
l’efficienza trova, nella pubblicità e conoscibilità all’esterno dell’azione
della pubblica amministrazione, un importante stimolo ad una corretta
valutazione della propria attività28 cosicché, se il segreto amministrativo
25
A. MELONCELLI, L’informazione Amministrativa, cit., 269.
26
A. ANZON Segreto, VI) Segreto d’Ufficio - Diritto Amministrativo, in Enc. Giur., XXVIII,
Roma, 1992.
27
U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996, 96.
28
F. SATTA, Introduzione ad un corso di diritto amministrativo, Padova, 1980, 155; P. PISA, Il
segreto di Stato, cit., 223.
16
non scompare, ne cambiano comunque ruolo e contenuti, perdendo sempre
più la sua funzione di separazione tra amministrazione ed amministrati, per
essere invece finalizzato alla tutela di “interessi specifici e ben individuati”,
nonché al perseguimento del fine istituzionale dell’amministrazione
secondo i criteri del buon andamento ed imparzialità29.
Nell’ambito degli interessi di natura pubblicistica, in base ai quali è
possibile giustificare una disciplina sul segreto amministrativo, ricade poi
quello volto a tutelare l’integrità dello Stato rispetto ad aggressioni esterne
o sovversioni interne; si tratta del segreto di Stato, che trova la propria base
costituzionale nella disciplina dettata dagli articolo 52 e 54 della Carta
Fondamentale e che funge da limite al rilascio di informazioni
amministrative ogni qual volta l’eventuale loro comunicazione possa
pregiudicare l’interesse alla conservazione della personalità dello Stato30.
Ma il segreto amministrativo può essere altresì volto alla protezione di
interessi aventi natura privatistica, trovando così legittimazione
nell’esigenza di tutela della persona umana, in relazione ai differenti
interessi sostanziali che la Carta Fondamentale riconosce e garantisce;
deroghe al principio di pubblicità possono allora essere giustificate qualora
il segreto assuma carattere strumentale rispetto all’interesse dei privati al
mantenimento della riservatezza su determinate notizie, detenute
dall’amministrazione ma riguardanti i privati stessi, le quali possono
29
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, cit., 165.
30
A. MELONCELLI, L’informazione amministrativa, cit., 269.
17
concernere gli ambiti più svariati, dal segreto documentale, al segreto
bancario, a quello professionale, scientifico, industriale, comprendendo poi
tutti gli elementi più o meno direttamente concernenti la dignità umana31.
Ma se allora, deroghe al principio di pubblicità appaiono giustificate
quando il segreto assume rilievo come “garanzia di libertà”32, gli ambiti di
operatività dei due principi non vanno comunque estesi in maniera
indiscriminata, bensì operando un adeguato bilanciamento tra i contrapposti
interessi in gioco, facendo applicazione del criterio di proporzionalità33:
l’amministrazione pubblica, nell’esercizio delle sue funzioni, dovrà allora
intervenire nella sfera giuridica del singolo soltanto nei limiti in cui ciò si
riveli strettamente necessario al perseguimento di pubbliche finalità34.
3. Segue: il segreto come “garanzia di libertà”.
Mentre il segreto come “strumento di potere” è elemento caratterizzante
lo stato assoluto, il segreto come “garanzia di libertà” può certamente essere
considerato una colonna portante dello stato democratico, nel quale viene a
delinearsi la problematica relativa al riconoscimento del diritto alla
riservatezza35. L’avvento della società di massa e lo sviluppo tecnologico,
31
A. MELONCELLI, L’informazione Amministrativa, cit., 269.
32
A. ANZON, Segreto, VI) Segreto d’Ufficio - Dir. Amm., cit.
33
A. SANDULLI, Note minime in tema di segreto di Stato, in Giurisprudenza Costituzionale,
1977, 1200; Id., La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998; A.
MELONCELLI, L’informazione Amministrativa, cit., 269.
34
A. SANDULLI, Note minime in tema di segreto di Stato, cit., 1203.
35
G. PITRUZZELLA, Segreto, I) Profili costituzionali, cit.
18
con l’introduzione di sistemi elettronici di raccolta, elaborazione, diffusione
dei dati completamente diversi rispetto al passato, hanno prospettato nuove
forme di ingerenza nella sfera privata altrui, dalle quali è derivata, come
conseguenza necessaria, l’esigenza sempre più pressante di fornire una
chiara definizione, nonché strumenti adeguati di tutela rispetto alle
problematiche relative alla salvaguardia della vita privata del singolo36.
Con il trascorrere del tempo emerge dunque, nei diversi ordinamenti,
accanto all’esigenza di conoscenza, l’opposta necessità di tutelare la sfera
privata della persona soggetto di diritti, di cui si prende atto, nel nostro
ordinamento, a livello dottrinale e giurisprudenziale, già nei primi anni
Cinquanta, ma solo molto più tardi a livello legislativo. In effetti, il codice
civile non si è preoccupato né di definire, né di disciplinare i valori
fondamentali della persona umana, ed in modo particolare, per quanto qui
osservato, il diritto alla riservatezza, nemmeno nell’ambito della più
generica affermazione di tutela della sfera privata del soggetto
sottolineando, per quanto concerne le categorie giuridiche riferite alla
persona, più gli aspetti patrimoniali che quelli strettamente personali37.
Diversa sarà invece l’ideologia che caratterizzerà l’elaborazione della
Costituzione repubblicana e le interpretazioni che di essa offrirà, a partire
36
G. GIACOBBE, Riservatezza (diritto alla), in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, 1243 ss.
37
G. GIACOBBE, Il diritto alla riservatezza: da diritto di elaborazione giurisprudenziale a diritto
codificato, in Iustitia, 2/1999, 91 ss.; l’autore, nell’ambito della contrapposizione tra sistemi
solidaristici e sistemi liberali, sottolinea il diverso modo di concepire la libertà del soggetto nei due
sistemi e riconduce la ∩disattenzione∪ del codice verso i valori della persona all’ideologia ed alla
cultura liberale nella quale si erano formati molti dei giuristi che hanno poi contribuito alla sua
stesura.
19
dalla sua entrata in funzione nel 1956, la Corte Costituzionale, ove ad
essere in primo piano sarà proprio la posizione del cittadino in quanto
persona “portatrice di valori originali che vanno al di là dei riconoscimenti
che lo Stato ad essa conferisce”
38
.
Le origini della problematica relativa alla tutela della privacy sono
certamente riconducibili all’esperienza di common law, a partire
dall’importante caso, appartenente all’esperienza giuridica inglese, Prince
Albert v. Strange
39
che segna la prima fase dell’elaborazione giuridica
anglosassone del diritto alla privacy, caratterizzata dalla creazione di uno
stretto legame tra privacy e property, in relazione al quale i caratteri
utilizzati per valutare la violazione del primo istituto vengono desunti dalla
violazione della proprietà, ossia in base all’istituto del trespass.
38
G. GIACOBBE, Il diritto alla riservatezza: da diritto di elaborazione giurisprudenziale a diritto
codificato, cit., 91.
39
Cit. A. CERRI, Riservatezza (diritto alla), II) Diritto Comparato e straniero, in Enc. Giur.,
XXVII, Roma, 1995.; nel caso di specie si trattava dell’appropriazione, da parte di un dipendente
della casa reale, di alcune copie di quadretti rappresentanti la famiglia della Regina Vittoria e del
principe Alberto.