INTRODUZIONE
Grândola, vila morena
Terra da fraternidade
O povo é quem mais ordena
Dentro de ti, ó cidade
Dentro de ti, ó cidade
O povo é quem mais ordena
Terra da fraternidade
Grândola, vila morena....
La principale radio nazionale portoghese, Radio Renacença, trasmette la canzone censurata
dal regime fascista “Grândola Vila Morena” di Josè "Zeca" Afonso, come segnale di inizio
della rivoluzione.
Partendo dalla capitale, Lisbona, l‟occupazione delle forze armate si diffuse in tutto il
Portogallo.
Fu una rivoluzione incruenta, tanto che in molti si sono chiesti come fosse possibile definire
questa importante pagina di storia una vera e propria “rivoluzione”.
I militari assediarono le città, comunicando ai cittadini la situazione, sempre attraverso la
radio, richiedendo loro di collaborare pacificamente per evitare disordini di ogni tipo.
Trovarono e imprigionarono il Capo del Governo, Marcelo Caetano, salito al potere dopo la
morte di Salazar, e il Presidente della Repubblica Tomás e arrestarono altre figure importanti
della dittatura.
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A mezzogiorno si poteva definire già conclusa la rivolta e fiumi di persone si riversavano per
le strade delle città festeggiando la libertà.
Una rivoluzione pacifica può sembrare un paradosso, ma è totalmente plausibile in un Paese
come il Portogallo, stremato socialmente ed economicamente da quarantotto anni di dittatura,
di cui gli ultimi tredici macchiati dalle sanguinose guerre nelle colonie in rivolta per
l‟indipendenza.
Una rivoluzione che serpeggiava tra i militari di basso grado, i capitani, che già da tempo la
progettavano, che più di tutti avevano potuto toccare con mano l‟insensatezza dei
possedimenti coloniali, pilastro fondamentale, come anche loro stessi, del regime di Salazar.
Dalla morte del dittatore, avvenuta nel 1970, Marcelo Caetano salito al potere, non era
riuscito più a tenere imbrigliata la situazione, come il suo predecessore, spingendo il Paese
inconsapevolmente verso la libertà.
Finalmente qualcosa era cambiato. Il popolo probabilmente non si chiedeva che direzione
avrebbero preso adesso, a chi sarebbe passato il potere, a quali decisioni dare la priorità o
quali richieste potevano ora avanzare. Per mezzo secolo la staticità del Paese li aveva spenti,
isolati dal resto del mondo. Questo cambiamento era radicale, era forte e sebbene potesse far
paura, la gioia non lasciava spazio a nessun altro sentimento, a nessun tipo di diffidenza.
Canti e cortei per tutte le strade principali di Lisbona, ma anche di Porto o Coimbra; le donne
distribuivano cibo fra i militari, fermi sulle loro postazioni d‟assedio, e fiori, garofani rossi,
che diventarono il simbolo della Rivoluzione.
L‟eco della rivoluzione raggiunse il mondo e per quanto si provasse a condividere un po‟ la
felicità dei portoghesi, non si poteva evitare di parlare delle conseguenze di questo 25 aprile.
In Italia la liberazione dal regime fascista si era conclusa proprio il 25 aprile, ma di ventinove
anni prima, e i giornali italiani, ancora all‟oscuro della Rivoluzione dei Garofani, ricordavano
il passato e parlavano delle prospettive del futuro di questo Paese, che anni prima, aveva
scelto la libertà.
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Quel giorno, il Corriere della Sera, apriva il quotidiano con un articolo di fondo intitolato “I
peccati originali”. L‟immagine dipinta era quella di un Paese bloccato, rassegnato
all‟impotenza.
L‟Italia dei mali cronici: terrorismo, mafia, crisi economica, Stato inadempiente ai propri
doveri e responsabilità.
Il patrimonio più importante che aveva lasciato la guerra era il riscatto morale; lo spirito del
25 aprile era fatto dal rifiuto alla rassegnazione.
Invece, la crisi minacciava sia il popolo che la classe dirigente e la soluzione, poteva essere
solo la rinuncia di un tipo di politica da “padre saggio e unico veggente della patria”,
rifiutando uno Stato che non dialoga e teme il proprio Paese.
L‟articolo si appellava alla società italiana chiedendo di assumersi le responsabilità che la
riguardavano, impegno morale, lo stesso che dopo la guerra l‟aveva fatta risorgere dalle
proprie ceneri.
Quel giorno e i successivi, i giornali italiani erano impegnati su diversi fronti, interni ed
esteri: il sequestro del magistrato Mario Sossi ad opera delle Brigate Rosse, i pro e i contro sul
Referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini, che aveva introdotto quattro anni prima il
divorzio nel Paese; e la crisi in Israele.
Dalla diffusione della notizia del colpo di stato portoghese, furono obbligati a ritagliare uno
spazio per informare gli italiani, che l‟idea di rifiuto alla rassegnazione aveva raggiunto anche
la “città bianca”, Lisbona, facendo crollare il regime fascista che gravava su questo Paese
europeo e le sue province d‟oltremare, e che aveva, decenni prima, oppresso l‟Italia.
Il giorno successivo alla rivolta portoghese tutti i giornali italiani più importanti riportavano le
notizie di questo avvenimento. Ognuno esprimeva al riguardo le proprie opinioni, ponendo o
meno l‟accento sulle idee politiche che le caratterizzavano.
Soffermandoci su cinque giornali in particolare, rappresentanti ognuno delle diverse
sfaccettature della realtà politica italiana, quali quindi Il Corriere della Sera, Il Popolo,
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L‟Avanti, L‟Unità e Il Secolo d‟Italia, un elemento è in comune: le notizie sul Portogallo,
storiche e geografiche.
Questo non sorprende più di tanto, in quanto compito di un giornale è quello di informare.
E‟ chiaro che la dittatura di Salazar aveva isolato i portoghesi dal resto del mondo e viceversa,
quindi il Portogallo era percepito dall‟Italia come qualcosa di sconosciuto, come
sottolinearono anche altri articoli dei giornali nei giorni successivi.
Come hanno evidenziato i giornalisti italiani, gli affari politici ed economici del Portogallo
sotto il regime, riguardavano gli inglesi, alleati storici del Paese; gli americani creditori per le
guerre coloniali; la Spagna, vicina di casa del Portogallo, che resisteva a stento con il proprio
regime. Persino i sovietici e i cinesi erano con gli occhi puntati sul Portogallo, molto di più
sulle sue colonie, secondo Il Secolo D‟Italia . Ma l‟Italia, come i restanti Paesi europei, non
aveva particolari interessi sui fatti portoghesi.
Chiaramente i giornali di sinistra, quali L‟Avanti e L‟Unità, non avevano perso di vista il fatto
che il regime fascista ancora gettava ombra su Paesi appartenenti geograficamente all‟Europa.
Altre analogie, come abbiamo visto, esistevano tra il Portogallo e l‟Italia, che andavano dalla
più ovvia dittatura fascista, all‟interesse coloniale (radicato nei secoli, per il Portogallo,
effimero per l‟Italia), alla più semplice riguardante proprio il 25 aprile, simbolo per entrambi
della libertà.
La rivoluzione dei garofani, però, aveva dato rilievo ad altri fattori che andavano al di là delle
analogie e delle differenze fra questi due Paesi.
Gli affari internazionali. Con la libertà, più che pensare alla crisi economica e sociale che
sopraffaceva il popolo portoghese, erano le dinamiche mondiali ad assumere maggior
importanza.
Quello che prima era celato da un velo di omertà, adesso usciva allo scoperto e i giornalisti
italiani non persero tempo e cominciarono a discutere, tramite i loro spazi giornalistici, su tali
questioni.
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I giornali più palesemente schierati, utilizzarono questo avvenimento storico per ribadire le
proprie idee e convinzioni: da sinistra, si reclamava la fine delle sanguinarie guerre nelle
colonie, in nome dell‟indipendenza e appellandosi ai diritti umani; da destra, si affrontava con
circospezione la questione coloniale, ponendo l‟accento sulla presunta netta assenza dei
movimenti di sinistra nella rivoluzione e sul terrore delle ripercussioni di questo evento
politico “sulle mire espansionistiche maoiste cino-sovietiche”.
Il Corriere della Sera e Il Popolo, più imparziali in questa situazione, raccoglievano non solo
notizie storiche, ma anche sociali.
Riportarono i racconti dei loro inviati che avevano assistito ai festeggiamenti della caduta del
regime, ma espressero anche il loro dubbio più importante: il futuro del Paese che si era
liberato della dittatura grazie alle forze armate.
Per il giornale democristiano Il Popolo, le forze armate che nel Portogallo avevano
allontanato da anni la Chiesa dagli interessi economici e politici, potevano rivelarsi portatrici
di “buoni propositi che possono rivelarsi col tempo illusori”.
Il Corriere della Sera rivelava nei suoi articoli in prima pagina, il giorno seguente alla
Rivoluzione, la preoccupazione degli ancora oscuri obiettivi della classe salita da quel
momento al potere dicendo che “la libertà che viene dai soldati è sempre ambigua”.
Invece, Il Secolo d‟Italia, poneva fiducia alle forze armate dicendo che questo avrebbe
garantito una più veloce e indolore ricomposizione del quadro sociale, mentre L‟Unità,
supponeva la presenza di compagni di sinistra tra le file dell‟esercito.
Poche sono invece le opinioni sulla società portoghese.
Il Corriere pubblica il 26 aprile, in terza pagina, l‟articolo di Paolo Burgiolli intitolato “Un
uomo di Lisbona” che riporta i racconti di un colono dell‟Angola, fascista e razzista, che
trovandosi a discutere con il giornalista sulla situazione portoghese, affermava di trovarsi in
un Paese marcio, che non era stato in grado di concludere le guerre nelle colonie, mettendo a
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