4
INTRODUZIONE
Il compito dell‟organizzazione aziendale, come disciplina di studio, è quello
di analizzare e disegnare i “processi di divisione del lavoro e di coordinamento
fra più soggetti in un sistema di attività economiche” al fine di “identificare il
modo «migliore» per aggregare, combinare, coordinare, controllare, in una parola
organizzare persone e tecnologie o, più in generale, risorse economiche”
1
.
Rielaborando questo principio generale di riferimento, si può definire lo specifico
scopo del tema oggetto di studio nel presente lavoro. Si vuole affermare, in
particolare, che l‟appartenenza ad un sistema operativo di rete è una modalità
organizzativa che presenta un forte potenziale per aggregare, combinare,
coordinare, controllare, in una parola organizzare persone e tecnologie o, più in
generale, risorse economiche, attorno ai temi dell‟etica economica, della
responsabilità sociale e della sostenibilità delle attività organizzative.
Il lavoro di tesi si compone di tre parti.
Nel primo capitolo viene analizzato il tema delle relazioni tra
l‟organizzazione e l‟ambiente in cui questa opera. Si nota innanzitutto come
l‟attenzione ai rapporti con l‟ambiente nasca a seguito della valutazione della
natura di sistema aperto agli scambi con l‟esterno dell‟organizzazione, per poi
ripercorrere sinteticamente le principali tappe costituenti il processo di
affermazione delle teorie relative al tema dei rapporti organizzativi con
l‟ambiente. Le teorie vengono distinte in due macrocategorie: le teorie adattive e
le teorie evolutive, a seconda del modo in cui viene concepito il comportamento
organizzativo. Le prime assumono l‟esistenza di un rapporto passivo di reazione
ai cambiamenti che avvengono nell‟ambiente, le seconde presuppongono, invece,
un comportamento proattivo di collaborazione con l‟ambiente ed un
atteggiamento attivo volto alla costruzione congiunta del futuro desiderato da
parte dell‟organizzazione.
1
Mercurio R., Testa F., 2002, Organizzazione. Assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli,
Torino, p. 2.
5
Dalla considerazione della natura di sistema aperto, discende naturalmente la
valutazione dell‟opportunità che l‟organizzazione ha di cooperare con altri attori
del suo ambiente. È in questo caso che si può parlare di relazioni
interorganizzative e di reti tra organizzazioni.
Nel secondo capitolo sono tracciate le caratteristiche di base dei sistemi
reticolari. Dapprima si ripercorrono le tappe principali del pensiero economico-
organizzativo relativo alla natura delle reti tra organizzazioni rispetto alle forme
organizzative “classiche”, mercato e gerarchia, e vengono presentate tre diverse
posizioni teoriche: le reti come forma intermedia (o ibrida) tra le due forme di
base, le reti come forma alternativa con caratteristiche distintive proprie ed
infine, le reti come modello operativo piuttosto che come modello ideale di
governo delle attività organizzative. Successivamente si definiscono due diverse
prospettive di analisi dei sistemi reticolari: relazionale e strutturale, a seconda che
il focus sia posto alle relazioni tra i nodi della rete (gli attori) o che sia posto alla
struttura complessiva derivante dall‟insieme delle relazioni, dirette ed indirette,
che si vanno a formare nel network. Vengono poi indicate le determinanti della
nascita delle relazioni di rete, rispetto alle quali si notano le diverse posizioni
riferibili alle correnti teoriche interessate a comprendere la natura dei sistemi
relazionali. Si passa successivamente a definire le caratteristiche proprie delle reti
tra organizzazioni, delineandone le proprietà strutturali: contenuto, natura,
oggetto e struttura delle relazioni. Infine, le reti sono distinte in tre categorie di
base, a seconda dei meccanismi di coordinamento adottati: reti proprietarie,
burocratiche e sociali.
Nel terzo capitolo l‟attenzione è focalizzata su una specifica ed emergente
forma di network: le reti miste denominate “CSR-driven”, ossia reti costituite da
attori provenienti dai tre diversi settori economici (pubblico, privato e non-profit)
ed in cui il fine dell‟azione è lo svolgimento di attività legate all‟etica ed alla
responsabilità sociale. Viene dapprima precisato cosa si intende per etica
organizzativa, responsabilità sociale e sostenibilità delle attività organizzative.
Successivamente si analizzano le reti miste da tre diversi punti di vista: come
network ibridi e sinergici, come reti dalle spiccate caratteristiche etiche e culturali
6
ed infine come megacomunità che affrontano i temi complessi relativi alla
gestione dei problemi globali. Dal primo punto di vista le reti miste presentano
un livello tale di integrazione tra gli attori partecipanti che può venirsi a creare
una sorta di simbiosi e di unità di rete tale per cui nel momento in cui si opera
collettivamente non è possibile distinguere l‟azione e le caratteristiche di uno
specifico attore; la seconda chiave di lettura si concentra sui valori intangibili
legati alla cultura e alla componente culturale dell‟etica che sta alla base del
processo di formazione di tale tipologia di rete; infine, le reti miste sono
analizzate adottando la metafora della megacomunità, ossia un soggetto formato
da organizzazioni provenienti dai tre settori che opera al fine di realizzare la sua
vision di una “globalizzazione sostenibile”.
7
CAPITOLO 1
LE RELAZIONI INTERORGANIZZATIVE
1.1 Le relazioni interorganizzative come “filosofia” d’azione nel rapporto
con l’ambiente
Il tema dell‟analisi e della comprensione delle relazioni che si instaurano tra
attori organizzativi, sia all‟interno che all‟esterno dell‟organizzazione, ha, sin
dall‟inizio, interessato studiosi provenienti da diversi ambiti disciplinari. Sono
numerosi, infatti, oltre ai contributi di carattere prettamente economico o di teoria
dell‟organizzazione, anche quelli di carattere antropologico, sociologico o
psicologico.
Questo interesse manifestato da più dottrine può essere spiegato in virtù del
fatto che “l‟organizzazione è sempre stata definita una materia interdisciplinare.
In teoria, ciò significa che essa richiede l‟apporto di più di una scienza sociale
fondamentale”
2
e approcci di analisi differenti in funzione delle finalità di ricerca
dei diversi studi.
Le relazioni interorganizzative possono essere definite come “flussi,
transazioni e collegamenti relativamente durevoli, che hanno luogo tra due o più
organizzazioni”
3
e possono essere studiate, alternativamente, come sistema
“isolato” di relazioni, o come sistema “integrato”, vale a dire come complesso di
interazioni, più o meno formalizzato, che costituisce un network, o rete tra
organizzazioni.
Lo studio dei network nasce, in origine, da ricerche di carattere sociologico e
antropologico, finalizzate alla comprensione dei legami interpersonali in contesti
2
Grandori A., 1995, L’organizzazione delle attività economiche, Il Mulino, Bologna, p. 10.
3
Daft R.L., 2004, Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, p. 155.
8
esterni all‟organizzazione
4
. In principio, dunque, lo studio delle reti si concentra
sull‟analisi dei raggruppamenti sociali, di cui si sono studiate le condizioni
esplicative delle dinamiche di gruppo, in particolare, le strutture comunicative e
di trasferimento della conoscenza tra gli individui che li costituiscono.
Successivamente, con gli sviluppi in campo sociologico della teoria
funzionalista
5
e in campo antropologico con la scuola di Manchester
6
si pongono
le basi per un‟integrazione dei diversi approcci di studio alle relazioni e alla
nascita di una più consistente teoria di studio delle relazioni interorganizzative,
rappresentata dall‟analisi strutturale
7
.
Nell‟ambito dell‟organizzazione aziendale, l‟interesse per le relazioni tra
attori organizzativi, e, conseguentemente, per le reti interorganizzative, nasce
inizialmente dalla constatazione della natura delle organizzazioni come sistemi
aperti ed in quanto tali, immerse in un continuo e imprescindibile flusso di
scambi con l‟ambiente
8
.
È proprio dalle relazioni esterne che si generano le risorse che determinano la
funzionalità e lo sviluppo futuro dell‟organizzazione. Un sistema è definibile
come “un insieme di elementi interagenti che acquisiscono input dall‟ambiente, li
trasformano e restituiscono output all‟ambiente esterno”
9
; l‟apertura del sistema
sottolinea l‟impossibilità dello stesso di sopravvivere autonomamente.
L‟organizzazione (sia essa un‟impresa, un‟organizzazione non-profit o
un‟istituzione del settore pubblico) è un sistema aperto in quanto ottiene risorse
4
Soda G., 1998, Reti tra imprese, Carocci, Roma, pp. 47-61.
5
Il funzionalismo ha concentrato la sua attenzione alla comprensione delle determinanti dei
comportamenti individuali e di gruppo, considerando l’organizzazione come una “struttura sociale
adattabile”. Il limite principale di questo approccio è riscontrabile nell’adozione di un rapporto
deterministico di adattamento individuale alle richieste esterne, atteggiamento che si rivela inadeguato
nei contesti caratterizzati da dinamismo e da relazioni di tipo informale. Tra i principali esponenti della
corrente funzionalista si ritrovano Talcott Parsons, Robert K. Merton, Philip Selznick. Soda G., 1998, op.
cit., pp. 48-49.
6
Le posizioni espresse dagli esponenti della cosiddetta “scuola di Manchester” si pongono in netta
contrapposizione con le conclusioni alle quali era giunto il funzionalismo. La scuola di Manchester, in
particolare, sottolinea l’importanza dei cambiamenti che avvengono nei processi socioculturali, a
differenza del funzionalismo, il quale ha una visione statica della realtà che osserva. I principali autori
appartenenti a questa corrente di studi sono Max Gluckman, James C. Mitchell, J.A. Barnes. Soda G.,
1998, op. cit., pp. 49-50.
7
Soda G., 1998, op. cit., pp. 48-51.
8
Per ambiente si intende “tutto ciò che sta all’esterno dell’organizzazione” Daft R.L., 2004, op. cit., p.
122.
9
Daft R.L., 2004, op. cit., p. 16.
9
dall‟ambiente (materie prime, forza lavoro, risorse finanziarie, informazioni, ed
altro ancora), le utilizza ed effettua una trasformazione delle stesse per restituire
all‟esterno un output (principalmente prodotti o servizi, ma accanto a questi
possono essere indirizzate all‟esterno informazioni e altre risorse immateriali).
In quanto sistemi aperti, le organizzazioni intessono continuamente una fitta
rete di collaborazioni e di interdipendenze le une con le altre. Proprio le
interazioni che si realizzano nell‟ambiente sono oggetto di studio delle teorie
relazionali e dei network.
L‟importanza assunta dalle relazioni con l‟ambiente esterno è stata, dunque,
messa in luce per la prima volta con la diffusione del cosiddetto approccio
sistemico aperto, il quale si discosta in maniera fondamentale dalle teorie
classiche dell‟organizzazione, su tutte la teoria tayloristica dell‟Organizzazione
Scientifica del Lavoro (OSL)
10
. Le teorie classiche hanno concentrato la loro
attenzione sulle modalità di progettazione su basi scientifiche dei sistemi
organizzativi, adottando principi che garantissero la massima efficienza
produttiva, partendo dall‟assunto che esistesse la cosiddetta one best way, ossia
un unico modo per lo svolgimento “ideale” di ogni azione. Da questo punto di
vista, le organizzazioni erano considerate insiemi di elementi paragonabili agli
ingranaggi di una macchina, dove ogni componente aveva un ruolo ben
determinato e da svolgere in maniera razionale e, appunto, meccanica.
All‟ambiente era riconosciuto un ruolo marginale, era considerato dato,
prevedibile e stabile, non in grado di esercitare influenze né all‟interno
dell‟organizzazione, sulla sua operatività quotidiana, né sulla performance finale.
I componenti dell‟organizzazione, dunque, costituivano un sistema chiuso ed
isolato dagli attori esterni. L‟attenzione era concentrata a garantire il miglior
rapporto tra obiettivi, struttura ed efficienza.
Un sistema aperto, al contrario, dipende dall‟ambiente per la propria
sopravvivenza e deve stabilire con esso un rapporto adeguato
11
. Quest‟approccio
allo studio delle organizzazioni, noto anche come “open system theory”, si
10
Per una rassegna delle principali correnti del pensiero organizzativo si veda Bonazzi G:, 1995, Storia
del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano.
11
Morgan G., 2002, Images. Le metafore dell’organizzazione, Franco Angeli, Milano.
10
sviluppa negli anni ‟50 e ‟60, principalmente sulle basi degli studi di un biologo,
Ludwig Von Bertalanffy
12
, il quale propone una serie di principi generali di
natura biologica applicabili ad ogni tipo di sistema.
Figura 1 Alcuni principi fondamentali della teoria generale dei sistemi
12
Von Bertalanffy L., 1971, Teoria generale dei sistemi, ILI, Milano.
•L'ambiente e il sistema si trovano in un rapporto di interazione e di dipendenza
reciproca. L'interazione ambientale è il fondamento della sopravvivenza
Il concetto di "sistema aperto"
•Il sistema aperto ha in sé la capacità di autoregolarsi e di mantenersi in uno
stato determinato
Omeostasi
•Il sistema aperto mantiene sé stesso importando energia ed espellendo le
tendenze entropiche a decadere e deteriorarsi
Entropia/entropia negativa
•Tutte le componenti sistemiche sono in uno stretto rapporto di influenza
reciproca
Struttura, funzione, differenziazione e integrazione
•I meccanismi di regolazione interna del sistema devono riflettere la varietà
dell'ambiente
La varietà necessaria
•In un sistema aperto possono esistere più vie per realizzare un dato risultato
Equifinalità
•L'evoluzione è caratterizzata da un processo ciclico di variazione, selezione e
mantenimento delle caratteristiche selezionate
Evoluzione sistemica
Fonte: adattato da Morgan G., 2002, Images. Le metafore dell‟organizzazione, Franco Angeli,
Milano, pp. 64-66
11
Questa nuova concezione dell‟organizzazione ha portato i teorici a fornire
nuove prospettive di analisi della realtà organizzativa, utili per poter rispondere
alle richieste dell‟ambiente. Come affermato da Morgan: “ci si è resi conto che le
organizzazioni devono prestare attenzione a ciò che succede al di fuori delle loro
mura”
13
.
Oltre all‟accettazione della natura dell‟organizzazione come sistema aperto,
che al pari degli organismi biologici è dipendente dagli scambi con l‟esterno per
la propria sopravvivenza, si può avanzare anche un secondo parallelo con la
teoria biologica, e, ampliando l‟ottica di osservazione, si può definire il contesto
nel quale l‟organizzazione economica opera come un ecosistema, esattamente
come accade per gli organismi viventi. In particolare, l‟organizzazione
economica opererà in un ecosistema definito, alternativamente, socio-
organizzativo, in quanto costituito in gran parte da altre organizzazioni, oltre che
da individui, o ecosistema di business, vale a dire “un sistema formato dalle
interazioni di una comunità di organizzazioni e dei loro rispettivi ambienti”
14
.
Considerare l‟organizzazione come componente di un ecosistema ci permette
di riprendere alcuni degli aspetti studiati dall‟ecologia umana, estendendoli
all‟assetto organizzativo. Infatti, come riportato da Lomi:
“Gli human ecologists chiamarono ecosistema umano (human ecosystem)
il sistema generato dall‟interazione tra la popolazione e l‟ambiente: più
precisamente l‟ecosistema umano era considerato come una risposta a livello
di popolazione alla necessità di mantenere una relazione sostenibile con
l‟ambiente inteso in senso sia fisico che culturale”
15
.
Analogamente, l‟ecosistema socio-organizzativo è generato dalle interazioni
tra organizzazioni e ambienti. Dall‟interpretazione del carattere di queste
interazioni sono sorte diverse teorie la cui attenzione è stata di volta in volta
concentrata su diversi aspetti del rapporto organizzazione/ambiente: nelle teorie
adattive si è maggiormente sottolineata la tendenza a creare relazioni sostenibili e
13
Morgan G., 2002. op. cit., p. 66.
14
Daft R.L., 2004, op. cit., p. 155.
15
Lomi A. in Hannan M., Freeman J., 1993, Ecologia organizzativa, Etas, Milano, p. 15.
12
necessarie per garantire la vitalità dell‟organizzazione o della popolazione di
organizzazioni; nelle teorie più recenti, invece, si è sottolineato il carattere
proattivo e co-evolutivo del rapporto che si instaura tra le organizzazione e gli
ambienti di riferimento
16
.
In ogni caso, a partire dalla diffusione delle idee di natura sistemica di Von
Bertalanffy, tutte le teorie affermatesi successivamente
17
, hanno accettato e
interpretato la realtà dell‟organizzazione come unità istituzionale incompleta in
sé, evidenziando come non si può “prescindere dalla struttura delle relazioni
interorganizzative per comprendere il funzionamento della singola impresa”
18
.
Si è assistito, perciò, nell‟ambito degli studi organizzativi, al fine di
rappresentare la struttura dell‟insieme delle relazioni e comprendere l‟influenza
da queste esercitata in ambito sociale, economico e organizzativo
19
, a uno
spostamento dell‟attenzione dal livello di analisi “micro” (o del comportamento
organizzativo), rappresentato dall‟individuo, dall‟unità organizzativa o dal
gruppo di individui, al livello di analisi “macro” (o della teoria organizzativa)
20
,
rappresentato dalla singola organizzazione e dalle relazioni di questa con
l‟ambiente e con le altre organizzazioni.
Relativamente alla natura dei legami tra organizzazioni, tradizionalmente,
questi sono stati analizzati da un punto di vista che riconosceva l‟esistenza di
relazioni competitive tra soggetti alla ricerca del raggiungimento “egoistico”
degli obiettivi individuali. Le relazioni erano strumentali all‟ottenimento delle
risorse di cui l‟impresa necessitava per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Una
delle tendenze che si è ormai affermata da qualche decennio nell‟arena di
business è però la diffusione di un elevato numero di attività collaborative e di
diverse forme organizzative attraverso le quali si svolgono queste attività.
Mentre originariamente le prime forme di estensione dei confini dell‟impresa
erano limitate alle funzioni produttive, allo stato attuale ogni elemento costitutivo
dell‟organizzazione può essere un potenziale punto di accesso e di forza sul quale
16
Astley G.W., Fombrun C.J., 1983, Collective strategy: social ecology of organizational environments,
Academy of Management Review, Vol. 8, n. 4, pp. 576-587.
17
Le principali di esse saranno analizzate nei paragrafi successivi.
18
Lomi A., 1991, Reti organizzative: teoria, tecnica e applicazioni, Il Mulino, Bologna, p. 18.
19
Lomi A., 1991, op. cit., p. 19.
20
Daft R.L., 2004, op. cit., p. 37.
13
far leva al fine di creare nuove e vantaggiose opportunità, per mezzo della
cooperazione. Si osserva, quindi, il passaggio da un atteggiamento altamente
competitivo a una crescente collaborazione, anche tra imprese concorrenti.
È in quest‟ottica che l‟attenzione si sposta all‟osservazione e alla
comprensione delle modalità di formazione e di azione delle reti, o network tra
organizzazioni e ai sistemi di funzionamento delle relazioni interorganizzative.
Come affermato da Daft “nell‟economia dei tempi attuali le organizzazioni si
considerano come team che creano valore congiuntamente piuttosto che aziende
autonome in competizione l‟una con l‟altra”
21
.
È quindi sempre più cruciale puntare alle reti tra organizzazioni, sia come
oggetto di studio, sia come strumento d‟azione per operare nell‟attuale contesto
economico, caratterizzato da elevati livelli di incertezza e di complessità, e che
continuamente pone alle organizzazioni sfide enormi, di carattere globale. È
necessario adottare un‟ottica sistemica, che superi i confini della singola
organizzazione e si ponga a livello di raggruppamenti organizzativi e di intero
ecosistema. In aggiunta, come osservato da Niccolini, “la letteratura è concorde
nel ritenere che la capacità di lavorare in rete sia una delle chiavi del successo
aziendale, […] in particolare in elevate condizioni di incertezza ambientale […].
Tale legame tra l‟assetto di lavoro interorganizzativo e l‟efficacia risulta ancora
più evidente in presenza di sfide ambientali ardue. Alcuni autori […] e
soprattutto la prassi hanno, infatti, evidenziato che le sfide ardue sembrano
raggiungibili principalmente con assetti di rete”
22
.
Uno dei fattori che rileva maggiormente come determinante delle relazioni
tra organizzazioni (che non necessariamente finiscono per costituire delle reti
formalizzate tra organizzazioni) è proprio la complessità ambientale. In un
ambiente stabile e semplice, infatti, esistono bassi livelli di rischio e incertezza,
che l‟organizzazione riesce ad affrontare in maniera efficace autonomamente. Al
crescere dell‟incertezza e della complessità, aumenta il rischio ambientale e, di
pari passo, la necessità per l‟organizzazione di dotarsi di strutture d‟azione più
21
Daft R.L., 2004, op. cit., p. 154.
22
Niccolini F., 2008, Responsabilità sociale e competenze organizzative distintive, Edizioni ETS, Pisa, p.
155.
14
flessibili, in ambito sia intraorganizzativo
23
che interorganizzativo. Al suo
interno, dunque, l‟organizzazione procederà all‟adozione di strutture
organizzative più flessibili ed orizzontali, andando a modificare la tradizionale
struttura gerarchica verticale, di tipo funzionale, orientata all‟efficienza e gestita
ricorrendo all‟autorità centrale e alle norme scritte. Come sottolineato da
Ricciardi: “nella realtà delle attuali organizzazioni il numero dei livelli gerarchici
tende a ridursi, diventano preponderanti le linee di comunicazione orizzontale e
al nucleo interno di rapporti gerarchici si affiancano sempre più spesso relazioni
esterne di mercato e forme di collaborazione con fornitori, clienti, e, talvolta,
concorrenti.”
24
Da un punto di vista organizzativo, è evidente la necessità di ridisegnare i
confini interni, dando un maggior peso alle relazioni con gli attori
dell‟ambiente
25
, mirando a comprendere le “azioni delle organizzazioni”
piuttosto che “l‟organizzazione delle loro azioni”
26
. Così facendo, si supera
l‟atteggiamento tradizionale della teoria degli studi organizzativi, che, come
osservato da Salancik, ha manifestato la tendenza a concentrare l‟attenzione
“sugli alberi invece che sulla foresta”
27
.
Le principali teorie sull‟organizzazione e i rapporti (adattivi e reattivi) con
l‟ambiente, che saranno illustrate nel prossimo paragrafo, mostrano in maniera
evidente come l‟attenzione sia posta “agli alberi”, vale a dire alla singola
organizzazione, o al massimo alla popolazione di organizzazioni, “un piccolo
bosco”, ma mai alla “foresta”, costituita dalla fitta trama di relazioni e di rapporti
che è necessario osservare in profondità per poter cogliere appieno le potenzialità
e le ricchezze offerte da ogni singolo componente e dall‟insieme degli stessi.
Un‟altra considerazione che si può suggerire è relativa all‟importanza che la
ricerca organizzativa ha riconosciuto agli effetti del sistema di relazioni nel quale
23
Così come suggerito dagli studi di Lawrence e Lorsch, da cui si evidenzia che le organizzazioni e le
unità che le compongono hanno risultati migliori quando i livelli di differenziazione e di integrazione
corrispondono al livello di incertezza dell’ambiente. Daft R.L., 2004, op. cit., pp. 135-137.
24
Ricciardi A., 2003, Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, Franco Angeli,
Milano, p. 14.
25
Ricciardi A., 2003, op. cit., p. 14.
26
Soda G., 1998, op. cit., p. 11.
27
Salancik G.R:, 1995, Wanted: a good network theory of organization, Administrative Science Quarterly,
Vol. 40, pp. 345-349.
15
l‟individuo è coinvolto. È emerso, infatti, che alcuni dei fattori che determinano
il comportamento individuale non sono strettamente riconducibili a
caratteristiche esclusive dell‟attore. Si parla, in queste circostanze, di
embeddedness
28
. La prospettiva dell‟embeddedness considera il sistema
relazionale come un‟entità vera e propria, che si aggiunge alle “classiche” entità
di riferimento: individui, gruppi, organizzazione.
L‟organizzazione, nel dover gestire una complessa trama di relazioni e di
interdipendenze esterne, può trovarsi embedded
29
in un sistema relazionale, il
quale può essere governato, oltre che tramite le due forme “base”
tradizionalmente considerate e tra loro diametralmente opposte: il mercato o la
gerarchia
30
, anche attraverso una modalità differente ed alternativa: i network.
Nei paragrafi successivi verranno sinteticamente illustrate le principali teorie
che hanno cercato di dare una spiegazione alla crescente tendenza da parte delle
organizzazioni a costituire reti collaborative.
1.2 Le relazioni organizzazioni/ambiente: le teorie adattative
Ripercorrendo la storia del pensiero organizzativo si incontrano diverse
teorie che hanno concentrato la loro attenzione sulle relazioni esistenti tra
organizzazioni e ambienti, e sulle relazioni interorganizzative, dandone una loro
spiegazione, in chiave interpretativa o in chiave evoluzionista.
Se ne propone una sintesi, al fine di sottolineare, per ciascuna delle teorie
illustrate, gli aspetti più rilevanti in funzione dell‟obiettivo del lavoro di chiarire
le caratteristiche delle relazioni e delle reti interorganizzative.
Le teorie che saranno illustrate in questo paragrafo sono la teoria della
dipendenza dalle risorse, la teoria dei costi di transazione, la teoria dell‟ecologia
delle popolazioni e la scuola neo-istituzionalista. Caratteristica comune di questa
28
Soda G., 1998, op. cit. p. 16.
29
Il termine “embedded” può essere tradotto con “incastonato”.
30
Il tema del rapporto tra mercato, gerarchia e reti sarà approfondito nel secondo capitolo.