1
INTRODUZIONE
Il settore televisivo è un settore in continua evoluzione e ciò comporta
un’accurata analisi del contesto di mercato, delle peculiarità del settore e delle
dinamiche tecnologiche e legislative in cui si colloca la testata televisiva da
valutare.
Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di fornire quante più
informazioni e osservazioni utili per una corretta e consapevole
contabilizzazione e valutazione di una testata televisiva, che tenga conto di
tutte le variabili in gioco e dei possibili scenari evolutivi richiamati.
Nel primo capitolo si analizza il settore televisivo in generale.
Vengono dapprima approfonditi gli aspetti economici e sociali
riguardanti l’influenza e il ruolo della televisione, per poi passare alla
definizione di impresa televisiva, alle varie tipologie riscontrabili in base al
finanziamento, alla copertura geografica e ai contenuti.
Si analizza quindi il mercato televisivo, la domanda e l’offerta del
settore e i fattori che li influenzano. Viene anche descritta l’evoluzione in
particolar modo legislativa del mercato televisivo in Italia fino al decreto legge
Gasparri e le problematiche e prospettive relative all’introduzione della
tecnologia digitale destinata a sostituire quella analogica.
Infine, vengono analizzati quali sono i costi e i ricavi tipici dell’azienda
televisiva.
Nel secondo capitolo si prende in esame la categoria dei beni
immateriali tra i quali la testata televisiva si colloca.
Vengono in particolare esposte alcune tra le più autorevoli definizioni e
classificazioni riscontrabili in letteratura, le caratteristiche che
contraddistinguono tali tipologie di beni e la relativa disciplina contabile a
livello nazionale (secondo la normativa civilistica e il Principio Contabile n.
24), internazionale (IAS 38) e americano (FAS 141 e 142).
2
Infine si illustrano le varie metodologie di valutazione degli Intangibles
chiarendo quando la loro applicazione risulta essere particolarmente
significativa.
Nel terzo capitolo si analizzano le varie metodologie di valutazione
delle testate televisive via etere e via cavo; vengono esposte alcune doverose
riflessioni sulla stima di tali beni prendendone in considerazione in dettaglio
alcuni aspetti peculiari. Infine, partendo dal dettato legislativo in materia di
concessioni radio-televisive e applicando il principio, accolto dalla prassi
contabile internazionale, della prevalenza della sostanza sulla forma, si cerca
di dedurre la natura e il corretto trattamento contabile delle testate televisive
nell’ambito delle immobilizzazioni immateriali.
Nel quarto capitolo si è affrontato un caso applicativo basato sulla
valutazione della testata televisiva spagnola “Telecinco”, controllata dal
Gruppo Mediaset.
Dopo aver descritto le vicende societarie del Gruppo Telecinco e le
caratteristiche operative ed economiche, si è passati all’applicazione dei
metodi esposti nel precedente capitolo e al loro confronto.
Con le conclusioni si sono tirate le somme del lavoro svolto ribadendo
i concetti più importanti ed esponendo ulteriori riflessioni.
Il lavoro è accompagnato da diversi riferimenti a bilanci e comunicati
di importanti società operanti nel settore televisivo quali la RAI, e i gruppi
Mediaset, Telecinco, L’Espresso, Telecom, al fine di fornire dei dati reali del
settore televisivo che fossero esplicativi dei primari aspetti economici,
contabili e operativi del comparto.
3
CAPITOLO I
Il settore televisivo
1.1. Aspetti socio-economici
“La televisione è una delle industrie dell’informazione di massa, fa
parte cioè di quelle attività che producono e distribuiscono informazioni ad un
vasto pubblico”
1
. Il termine ‹‹informazione›› individua una vastissima gamma
di messaggi, che vanno dall’intrattenimento (fiction, intrattenimento leggero e
culturale) alle informazioni hard (notizie in senso stretto) dalle informazioni di
servizio (notizie utilizzate per l’attività professionale), alle informazioni
pubblicitarie, per mezzo della parola e/o dell’immagine utilizzando le onde
elettromagnetiche (telecomunicazioni), o un supporto fisico (carta stampata,
dischi, pellicole, cd-rom, DVD), o il mezzo elettronico (banche dati, internet)
2
.
La produzione televisiva, insieme a quella radiofonica, può essere
definita all’interno del concetto di broadcasting, ovvero un sistema di
trasmissione a distanza fondato sulla diffusione e sulla ricezione elettronica
(attraverso un apparecchio terminale) di immagini e/o suoni destinati al
pubblico
3
.
La televisione è un linguaggio avente un potente impatto sulla cultura e
sulla politica, ma è anche una importante attività economica.
Nell’ambito del settore televisivo si colloca l’impresa televisiva, che
può essere definita come “[…]soggetto istituzionale ed economico che
organizza i modi, i tempi e i luoghi dell’offerta televisiva, scegliendo l’insieme
degli spettatori cui rivolgersi e decidendo la composizione del palinsesto”
4
. Il
concetto di impresa viene introdotto nel momento in cui, in riferimento a
1
P. Dunnet, The World Television Industry, Routledge, London, 1990, p. 20.
2
P. Dunnet, The World Television Industry, op. cit., p. 21.
3
Essa si distingue dall’attività di telecomunicazioni, che non comprende il concetto di “pubblico”,
bensì singoli utenti destinatari di messaggi privati, e da altri settori affini (discografico e
cinematografico), ma in cui la trasmissione e la ricezione non avvengono a distanza attraverso mezzi
elettronici, bensì attraverso supporti materiali. C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi
economici e variabili strategiche, Etas, Milano, 2002, pp. 3-4.
4
C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi economici e variabili strategiche op. cit., p.19.
4
determinati prodotti/servizi, nasce un mercato e l’attività di produzione si
trasforma da produzione per il consumo a produzione per lo scambio, al fine di
conseguire un reddito
5
.
Generalmente nel descrivere un mercato televisivo si parte da una
distinzione che riguarda le tre forme di finanziamento a cui possono attingere
le imprese:
1. finanziamento statale, nel caso delle emittenti pubbliche.
2. vendita di spazi pubblicitari, nel caso delle emittenti commerciali.
3. abbonamenti, nel caso delle emittenti ad accesso condizionato
6
.
Nel modello pubblico, poiché l'attività televisiva è collocata al di fuori
delle logiche di mercato, l'offerta può prescindere dalla domanda, ed è rivolta
a garantire il rispetto di alcuni valori collettivi (pluralismo, tutela delle
minoranze sociali, linguistiche e culturali); le motivazioni sociali sono
connesse alla diffusione e all'influenza della comunicazione televisiva sulla
società e, in particolare, sono rivolte alla tutela di alcune fasce sociali, per
esempio i minori
7
.
Le emittenti si distinguono anche in base alla copertura geografica che
può essere locale, nazionale e internazionale
8
.
Una ulteriore distinzione, questa volta in relazione ai contenuti, si può
stabilire tra emittenti generaliste, che si rivolgono ad un pubblico indistinto,
canali tematici, che si concentrano su argomenti specifici come ad esempio
sport o informazione, imprese televisive segmentate che si rivolgono a un
pubblico omogeneo in termini di fascia di età sesso o gruppo etnici di
appartenenza
9
, e infine abbiamo il modello televisivo personalizzato
rappresentato da un catalogo di titoli riferiti a programmi di diverso genere che
possono essere scelti direttamente dallo spettatore. Le due tipologie di offerta
televisiva fondate su tale modello sono la Pay-Per-View ("paga ciò che vedi")
5
G. Zappa , La produzione nell’economia delle imprese, Giuffrè Editore, Milano, 1956.
6
S. Russo, Il mercato italiano verso il digitale terrestre, http://www.presspool.it.
7
M. Mantegazza, Economia della televisione, http://www.televisione.cc.
8
C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi economici e variabili strategiche, op. cit., p.
26.
9
C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi economici e variabili strategiche, op. cit., p.
22.
5
e il Video-On-Demand ("video su richiesta") entrambe finanziate dagli
spettatori e rese possibili dalla tecnica di trasmissione digitale
10
.
L’industria della televisione è suddivisibile in tre attività principali, ad
ognuna delle quali corrisponde un particolare tipo di bene che viene
domandato e offerto. Vi è innanzitutto il prodotto finito “comunicazione
televisiva” fornito dalle reti televisive per ottenere ascolto, in genere a prezzo
zero, e domandato dai telespettatori; il mercato di questo bene ha natura assai
particolare perché solo eccezionalmente il prezzo è lo strumento che lo regola.
I telespettatori sono infatti recettori di “messaggi pubblicitari”: questa
caratteristica consente alle imprese non finanziate dallo Stato di offrire
“comunicazione televisiva”. Accanto a queste due attività ve ne è una terza, a
cui pure corrisponde un mercato. Si tratta del prototipo “intrattenimento ed
informazioni” ossia dei “prototipi” che le imprese televisive elaborano al loro
interno od acquistano per ottenere il prodotto
11
.
L’impresa televisiva deve dunque confrontarsi con due tipologie di
domanda di mercato: la domanda del pubblico (consumatore) e la domanda
degli inserzionisti.
La televisione offre al pubblico tre tipi di servizi che soddisfano tre
diversi bisogni:
1. trasmette a domicilio spettacoli e notizie il cui consumo dovrebbe altrimenti
avvenire in luoghi specializzati;
2. trasmette generi di spettacoli specifici;
3. in presenza di più canali offre la possibilità di scelta in ogni momento tra
differenti spettacoli di tipo diverso, soddisfa quindi una domanda di varietà
12
.
La nozione di spettatore assume sfumature diverse a seconda del
modello televisivo e mercato di riferimento. Il pubblico delle emittenti
pubbliche paga un canone allo Stato che a sua volta lo gira all’azienda
concessionaria; la nozione di spettatore coincide con quella di cittadino,
poiché l’obiettivo perseguito è quello di finanziare programmi accessibili a
10
C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi economici e variabili strategiche, op. cit., p.
24.
11
F. Silva, L’economia del settore televisivo, in M. Gambaro, F. Silva, in Economia della televisione,
Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 31-32.
12
F. Silva, L’economia del settore televisivo, op. cit., p. 35.
6
tutti i cittadini e tutelare e promuovere i diritti costituzionali degli individui e
comunità appartenenti alla collettività dello Stato
13
. Nel caso della televisione
a pagamento lo spettatore versa un abbonamento per avere accesso ai
programmi; si parla quindi di abbonato. Nel caso delle televisioni commerciali
o comunque quando la fruizione di un programma è gratuita, l’attenzione del
telespettatore viene venduta alle imprese che vogliono fare pubblicità. La
pubblicità è un mezzo di persuasione che cerca di modificare le preferenze
degli spettatori in quanto consumatori in favore dei prodotti pubblicizzati ma è
anche un mezzo di informazione che consente al consumatore di scegliere in
modo più appropriato. La televisione è un mezzo di comunicazione di massa,
che non riesce ad individuare un particolare tipo di consumatore, a dividere
l’ascolto sulla base di interessi o di livelli di reddito particolari; è uno
strumento adatto alla pubblicità soprattutto di beni maturi e di largo consumo.
Vi è dunque un’offerta di spazi pubblicitari da parte di imprese televisive e
una domanda da parte di altre imprese. Il venditore di un bene paga
all’emittente televisiva o ad un intermediario un prezzo per una
comunicazione pubblicitaria di durata predeterminata; il prezzo dipende dal
numero previsto di persone che assisteranno allo spettacolo al quale la
comunicazione è abbinata
14
. In generale l’impresa televisiva non tende a
raggiungere la massima audience, ma quella più utile possibile, cioè più
vendibile alla pubblicità
15
.
I fattori principali che agiscono sull’ascolto sono i generi trasmessi e il
palinsesto, oltre che al momento della giornata a cui si riferisce
16
.
Per palinsesto si intende un insieme di programmi (prodotti audiovisivi)
collocati all'interno di una griglia temporale
17
secondo un determinato schema
di disposizione logica; esso è quindi lo strumento organizzativo della
produzione che costituisce l’offerta per il pubblico. Per razionalizzare questa
13
C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi economici e variabili strategiche, op. cit., p.
33.
14
F. Silva, L’economia del settore televisivo, op. cit., pp. 38-39.
15
F. Siliato, La produzione di audience a mezzo di programmi, in M. Gambaro, F. Silva, Economia
della televisione, Il Mulino, Bologna, 1992, p. 229.
16
F. Silva, L’economia del settore televisivo, op. cit., p. 39.
17
C. Dematté, F. Perretti, L’impresa televisiva. Principi economici e variabili strategiche, op. cit., p.
18.
7
offerta i programmi vengono ripartiti per generi (informazione, fiction,
intrattenimento, sport, cultura, ecc.), affinché si possa raggiungere il giusto
tipo di pubblico nelle diverse fasce orarie in cui è divisa la giornata e la
massima audience vendibile alla pubblicità
18
. Le fasce orarie vengono divise
in prime time (h. 20,30-22,30), in cui si ha la maggiore densità di
telespettatori nell’intera giornata, e day time (le rimanenti ore di
trasmissione)
19
.
I dati riguardanti gli ascolti in Italia sono rilevati dal 1984 dalla società
Auditel s.r.l., nata con lo scopo istituzionale di rilevare in maniera imparziale e
obiettiva i dati relativi all’ascolto televisivo italiano. Attualmente l’attività di
raccolta/elaborazione è affidata in appalto alla società di ricerca AGB
20
. Le
elaborazioni dell’Auditel permettono diversi livelli di lettura, i più importanti
sono: audience: numero medio di ascoltatori di un’emittente nell’intervallo
considerato; share: rapporto tra il numero medio di ascoltatori di un emittente
e numero medio di ascoltatori del totale delle emittenti nell’intervallo
considerato; penetrazione: rapporto tra numero media di ascoltatori di un
emittente nell’intervallo considerato e l’universo di riferimento
21
. Oggi l’aspra
battaglia concorrenziale tra le grandi reti televisive si concentra proprio su
questi numeri.
1.2. IL settore televisivo in Italia: regolamentazione e
sviluppo fino all’avvento dell’era digitale.
1.2.1. Dalla nascita della TV fino alla legge Maccanico
Il sistema televisivo italiano viene generalmente considerato un caso
unico ed eccezionale dalla pubblicistica internazionale.
Le trasmissioni televisive in Italia hanno ufficialmente inizio nel
gennaio del 1954; due anni prima il governo aveva concesso alla RAI, società
18
F. Siliato, La produzione di audience a mezzo di programmi, op. cit., p. 229.
19
F. Siliato, La produzione di audience a mezzo di programmi, op. cit., p. 240.
20
M. Mantegazza, Economia della televisione, op. cit.
21
R. Gisotti, La favola dell’Auditel, Editori Riuniti, Roma, 2002.
8
controllata dal Ministero del Tesoro attraverso l’IRI, di trasmettere programmi
televisivi in via sperimentale. L’accordo, di esclusiva tra Stato e RAI,
prevedeva, per quanto riguarda le forme di finanziamento, un doppio regime
rappresentato da un canone versato dagli utenti della televisione e da introiti
pubblicitari derivanti dalla vendita di spazi che non potevano, però, occupare
più del 5% delle ore di trasmissione complessive
22
.
Fin dalla metà degli anni 50 alcune società sollevano di fronte alla
Corte Costituzionale una questione di illegittimità costituzionale del
monopolio pubblico nel settore televisivo. La Corte si pronuncia più volte a
favore di tale monopolio, in particolare con la sentenza n. 225 del 1974, con la
quale stabilì la legittimità del monopolio pubblico in ambito nazionale sulla
base della limitatezza delle frequenze e dal carattere di preminente interesse
generale del servizio televisivo, e nello stesso tempo pronuncia
l’incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in
ambito locale. Tale sentenza viene recepita dalla legge 14 aprile 1975 n. 103
che sancisce la ‹‹parlamentarizzazione››
23
del servizio TV, messo sotto il
controllo della commissione parlamentare e attribuisce il servizio, attraverso lo
strumento della concessione, a una società, la RAI-TV, il cui capitale era
completamente in mano pubblica
24
.
Verso la metà degli anni ’70 iniziarono ad operare a livello locale varie
trasmittenti televisive. Conseguentemente, si pose una questione di legittimità
costituzionale che venne risolta con la sentenza n. 202/1976 della Suprema
Corte con la quale si consentì la trasmissione a livello locale di programmi
televisivi
25
e fu dunque varato un Piano Nazionale di Ripartizione delle
frequenze per la propagazione nell’etere di segnali radiotelevisivi
26
. Tuttavia,
la liberalizzazione a livello locale consentì l’esercizio di reti televisive a
22
S. Russo, Il mercato italiano verso il digitale terrestre, op. cit.
23
A. Chimenti, Informazione e televisione. La libertà vigilata, Editori Laterza, Bari, 200, pp. 28-30.
24
Cfr. gli artt. 1 e 4 legge n. 103 del 1975.
25
M. Dugato, voce Disciplina della radiotelevisione, in Le Garzatine-Diritto, Garzanti, Milano, 2004.
26
Gli impianti televisivi di diffusione vennero tarati sui canali individuati dal piano di ripartizione,
contrassegnati empiricamente, in base agli accordi internazionali, con una determinata numerazione
progressiva nella banda UHF (da 21 a 69) e nella banda VHF (da A a H2). Gli impianti di
trasmissione non potevano operare sulle stesse frequenze per una medesima zona geografica per
problemi di interferenze. A. Sarli, Guida all’emittenza privata, JCE, Milano, 1994., p. 17 ss.