2
Indicazioni classiche all’intervento laparoscopico (vedi tabella 1) sono
prevalentemente le patologie benigne, addominali e pelviche.
La tecnica prevede in primo luogo la formazione di uno pneumoperitoneo
mediante insufflazione di CO
2
attraverso un ago di Veress introdotto in
addome per via transcutanea.
Questa metodica, tuttavia, non è scevra di rischi, essendo eseguita alla
cieca; sono state descritte, infatti, lesioni di visceri addominali e di vasi.
E’ stata introdotta, pertanto, una procedura differente per la formazione
dello pneumoperitoneo, la cosiddetta “open laparoscopy”; si accede alla
cavità peritoneale attraverso un’incisione addominale di circa 1,5 cm e si
posiziona un trocar a punta smussa (trocar di Hasson), attraverso il quale
viene poi insufflata la CO
2
.
Questa è una tecnica priva dei rischi inerenti l’ago di Veress ed il primo
trocar; l’inserimento di questi era responsabile di almeno il 90-95% delle
complicanze legate alla tecnica laparoscopica in generale.
Raggiunta una pressione intraaddominale di 12-14 mmHg, si procede
all’introduzione dell’ottica e degli strumenti in cavità peritoneale attraverso
introduttori (trocar) di diametro variabile, generalmente compreso tra 5 e
33 mm, opportunamente distribuiti sul campo operatorio in posizione
diversa in dipendenza dal tipo di intervento da effettuare.
L’ottica, munita di microcamera e sorgente luminosa, proietta sul monitor
l’immagine del campo operatorio, guidando i gesti del chirurgo che
manovra gli strumenti.
Sono di seguito analizzati aspetti generali dell’intervento laparoscopico e
peculiarità dell’uso della metodica in campo oncologico.
4
ESOFAGO:
Resezione di diverticoli.
Stadiazione per carcinoma.
STOMACO:
Vagotomie.
Gastroresezioni.
Gastroentero-anastomosi.
Raffie di perforazioni.
ILEO-COLON:
Resezioni ileali per tumori benigni.
Resezioni di colon per papillomi villosi.
MILZA:
Splenectomie per trombocitopenie o anemie emolitiche.
Biopsie per stadiazione di linfomi.
Diagnosi e valutazione di traumi.
FEGATO:
Terapia di cisti sierose e da Echinococco periferiche.
Resezione di piccoli tumori periferici.
Biopsie per stadiazione di tumori primitivi e metastatici.
PANCREAS E VIE BILIARI:
Resezione di tumori endocrini.
Derivazione di pseudocisti.
Derivazioni palliative per itteri ostruttivi da tumore.
Biopsie per stadiazione e resecabilità di tumori maligni.
RENE:
Nefrectomia per patologia benigna.
APP. GENITALE:
Legatura delle vene spermatiche per varicocele.
Diagnosi e terapia del testicolo ritenuto in addome.
Resezione di cisti ovariche.
Endometriosi.
Diagnosi e terapia di gravidanze extrauterine.
Isterectomia.
TABELLA 1: INDICAZIONI AL TRATTAMENTO LAPAROSCOPICO.
5
CAPITOLO 1:
Effetti dell’ intervento laparoscopico.
1.1. Effetti sulla funzione di organi e sistemi.
Un fondamentale vantaggio della chirurgia laparoscopica è quello di
limitare l’aggressione chirurgica, non solo in termini puramente estetici,
per le ridotte dimensioni degli accessi alla cavità peritoneale, ma anche per
una minore compromissione dello stato generale del paziente, come è
dimostrato dalla riduzione notevole dei tempi di degenza, da una più bassa
incidenza di complicanze postoperatorie e, non ultima, da una marcata
riduzione del dolore nell’immediato periodo postoperatorio
1
.
A fronte di questi vantaggi occorre considerare aspetti potenzialmente
lesivi della metodica, legati alla necessità della formazione di uno
pneumoperitoneo per procedere all’intervento.
L’aumento della pressione addominale, infatti, modifica i caratteri del
circolo addominale, con un’ovvia ripercussione sulla funzione di organi
vitali come il cuore, per il ridotto ritorno venoso nella vena cava inferiore,
responsabile di una riduzione netta della gittata cardiaca, ed il fegato, per
alterazioni del circolo portale.
6
1.1.1. Funzione epatica.
La pressione di insufflazione della CO
2
impiegata comunemente per la
formazione dello pneumoperitoneo è di 12-14 mmHg, significativamente
più alta della pressione venosa rilevabile nel distretto portale, generalmente
di 7-10 mmHg.
E’, quindi, lecito aspettarsi una riduzione del flusso portale, con variabili
effetti sulla capacità funzionale epatica.
Morino e coll.
2
hanno recentemente analizzato alcuni indici di danno
epatocellulare in pazienti sottoposti ad intervento laparoscopico per litiasi
della colecisti e per patologia non epatobiliare, riscontrando in tutti i
pazienti un significativo innalzamento dei livelli sierici di AST ed ALT,
proporzionale alla durata ed alla pressione dello pneumoperitoneo.
Valori meno alti sono stati riscontrati nel gruppo sottoposto ad una
pressione intraaddominale minore (10 mmHg vs. 14 mmHg).
L’incremento degli enzimi epatici è rilevabile anche dopo interventi
eseguiti per patologia non epatobiliare, ciò a conferma del ruolo di primaria
importanza svolto dallo pneumoperitoneo nell’induzione del danno epatico.
Ulteriori studi sono necessari per stabilire le proporzioni reali del problema,
che pone, comunque, delle limitazioni all’uso di questa procedura in
epatopatici, che presentino di base una riduzione critica della funzione
epatocellulare, soprattutto per interventi di lunga durata.
7
1.1.2. Funzione renale.
L’intervento laparoscopico è generalmente associato ad una contrazione
della diuresi, verosimilmente legata ad un’alterazione del circolo renale,
quale effetto della insufflazione di gas nella cavità peritoneale, con
alterazioni della pressione e della temperatura intraaddominale.
Soggetti con normale funzione renale sopportano bene tale condizione, ma
c’è da aspettarsi un effetto potenzialmente lesivo in quei pazienti che
abbiano una funzionalità renale già significativamente ridotta.
In procedure laparoscopiche di lunga durata (> 90 min), l’insufflazione di
gas riscaldato a 37° C ha dimostrato di migliorare la diuresi dei pazienti in
maniera significativa rispetto all’uso di CO
2
a temperatura ambiente,
probabilmente per un’effetto di vasodilatazione a carico dei vasi renali
3
;
questo approccio può essere utile in pazienti con funzionalità renale al
limite della normalità.
Quale modello di soggetti con insufficienza renale cronica, nella
valutazione dei cambiamenti indotti dallo pneumoperitoneo a breve e lungo
termine, Cisek e coll. hanno utilizzato maiali sottoposti ad ablazione di
parte del parenchima renale con riduzione al 22% della funzionalità
dell’organo
4
.
L’ esposizione a 6h di pneumoperitoneo a 20 mmHg ha prodotto negli
animali esaminati un peggioramento drammatico dei parametri di funzione
renale (filtrazione glomerulare, etc.), con insufficienza renale refrattaria
all’infusione di liquidi. Tali alterazioni si sono risolte in una settimana di
osservazione con il ritorno alle condizioni di partenza.
8
Non sembra, pertanto, che lo pneumoperitoneo induca cambiamenti a lungo
termine nella funzione renale, mentre sono dimostrate alterazioni acute di
questa, come, peraltro, già noto dall’esperienza clinica
3
.
Probabilmente sono in gioco fattori di regolazione complessi e non ancora
ben noti, piuttosto che semplici effetti meccanici.
9
1.2. Effetti oncologici generali.
Visti gli ottimi risultati ottenuti nella patologia non neoplastica, una serie di
studi sono stati condotti per determinare quali fossero gli effetti
dell’intervento in campo oncologico
5,6
.
Risultati incoraggianti
7,8
sono giunti dalla valutazione della crescita
tumorale in modelli sperimentali di cancro in roditori sottoposti ad
intervento laparotomico, laparoscopico (CO
2
pneumoperitoneo) oppure alla
sola anestesia (gruppo di controllo).
Allendorf e coll.
8
hanno osservato che la crescita di cellule di carcinoma
mammario murino (MMC), iniettate sottocute nel dorso di ratti al termine
di un intervento chirurgico, è differente in dipendenza dalla tecnica
operatoria impiegata.
A 12 giorni dall’intervento la dimensione del tumore sviluppatosi dalle
cellule trapiantate nel gruppo di roditori esposto al solo pneumoperitoneo è
apparsa significativamente minore di quella riscontrata nel gruppo
laparotomizzato; in entrambi i casi la dimensione delle masse neoplastiche
si è rivelata maggiore di quella ottenuta nel gruppo di controllo.
In un ulteriore studio si è osservata una variabile espressione di PCNA
(Proliferating Cell Nuclear Antigen), significativamente più bassa nelle
cellule tumorali trapiantate in topi sottoposti al solo pneumoperitoneo con
un pattern analogo a quello della crescita tumorale sopra descritto
7
.
Questi dati sono stati confermati in diversi modelli sperimentali, con l’uso
di differenti linee cellulari neoplastiche trapiantate sottocute negli animali
da esperimento al momento dell’intervento, aumentando così l’attendibilità
dei risultati sopra esposti.
10
Le difficoltà che la cellula neoplastica trapiantata incontra
nell’attecchimento e nella crescita sembrerebbero legate alla conservazione
delle capacità difensive da parte dell’ospite murino, con particolare
riferimento alla immunità cellulo-mediata, che è meglio conservata dopo
l’intervento laparoscopico (vedi par. 1.3.).
Questa possibilità è indicata dal fatto che topi atimici (“nudi”) presentano
un identico pattern di recettività verso l’inoculo tumorale
indipendentemente dalla procedura chirurgica attuata
7
; l’assenza di cellule
T, pertanto, annulla l’effetto positivo della laparoscopia sulla riduzione
della crescita tumorale.
Probabilmente è correlato con alterazioni del sistema immunitario anche il
diverso effetto ottenuto dall’esposizione a gas differenti in corso di
pneumoperitoneo.
Su modelli animali si è, infatti, dimostrato che la crescita di tumori
trapiantati in ospiti sottoposti a pneumoperitoneo è più spiccata nei topi
esposti a CO
2
che non in quelli che avevano subito un pneumoperitoneo
con He, pur mantenendosi, in entrambi i casi, in ambito significativamente
più basso rispetto alle esperienze laparotomiche
9
.
11
1.3. Effetti sulla funzione immunitaria.
La risposta immunitaria è un insieme complesso di funzioni che difendono
l’organismo da insulti di qualsivoglia natura, compreso lo sviluppo di cloni
neoplastici in qualsiasi distretto corporeo.
Per le sue caratteristiche di complessità, l’immunità risponde in maniera
diversificata alla pluralità di aggressioni cui è sottoposto l’organismo
stesso, variando i termini della risposta in relazione a numerosi fattori,
molti dei quali ancora non ben noti.
Lo stress chirurgico si è dimostrato essere uno dei possibili regolatori della
risposta immunitaria, modulandola, però, in senso negativo, con una
riduzione dell’espressione dei meccanismi di difesa umorale e cellulare.
Evidenze di questa condizione si sono riscontrate in diversi studi, dai quali
è emersa una correlazione diretta tra l’entità del trauma chirurgico ed il
grado di compromissione della risposta immune
10,11,12,13
, che è, in
definitiva, responsabile delle complicanze settiche degli interventi e
dell’eventuale disseminazione di neoplasie nel periodo postoperatorio.
Alla luce di queste acquisizioni, la chirurgia laparoscopica è apparsa come
uno strumento di notevole utilità per ridurre lo stress chirurgico ed i suoi
effetti negativi sulle difese immunitarie.
La chirurgia miniinvasiva, infatti, sfrutta un accesso chirurgico
estremamente limitato, con un minimo danno tissutale; ciò si traduce in una
risposta da stress ridotta e, quindi, in una minore alterazione dei
meccanismi di base dell’immunità, come dimostrato da vari Autori
14
.
Si sono effettuati numerosi confronti tra procedure chirurgiche
laparoscopiche versus le metodiche di intervento standard, con risultati
molto interessanti riguardo il problema in esame.
12
Ad esempio, nell’intervento di colecistectomia laparoscopica in pazienti
con litiasi sintomatica della colecisti, non complicata da episodi di
pancreatite o di colecistite acuta, lo studio di numerosi parametri della
funzione immunitaria ha rivelato, al confronto con l’intervento
laparotomico, una significativa differenza tra le due metodiche, con aspetti
più soddisfacenti per la prima
14,15,16,17
.
Nei pazienti sottoposti a colecistectomia convenzionale, infatti, si riscontra
già in I giornata e per le prime 72 ore un aumento significativo dei livelli
ematici di interleuchina-6, tipica espressione di una condizione di stress
18
,
mentre con skin-test è evidenziata una riduzione della immunità cellulo-
mediata, appare, inoltre, evidente una ridotta espressione degli antigeni
HLA-DR sulle APC.
Tutti i parametri analizzati rientrano nei limiti della norma solo dopo 6-7
giorni dall’intervento
14,16
.
I livelli ematici di interleuchina-6 e l’espressione degli antigeni HLA-DR
sulle APC sono indici molto utili per una valutazione globale dello stato
immunitario
19,20,21,22
.
E’ di particolare interesse, a tale proposito, la determinazione
dell’espressione, sulla membrana dei monociti, dell’HLA-DR, antigene del
complesso maggiore di istocompatibilità di classe II, necessario per
l’attivazione dei linfociti T.
La ridotta espressione di tale molecola sulle cellule presentanti l’antigene
(APC) comporta una minore efficacia dei processi di difesa cellulo-mediati
dell’organismo anche contro eventuali cloni neoplastici.
Le variazioni sopra riportate non appaiono dopo l’intervento di
colecistectomia laparoscopica nei pazienti esaminati in diversi studi.
13
In modelli sperimentali (suini) si sono ottenuti risultati di analogo
significato in interventi di fundoplicatio sec. Nissen, in cui è stata valutata
la clearance peritoneale di batteri introdotti in addome nel corso della
sperimentazione
23
, quale indice della validità dei meccanismi immunologici
di difesa.
In questa esperienza le difese immunitarie peritoneali sono apparse meno
compromesse negli animali sottoposti al trattamento laparoscopico al
confronto con quelli operati per via laparotomica.
Analoghi risultati si sono ottenuti valutando la competenza immunitaria in
roditori, sottoposti anch’essi allo stesso tipo di intervento
24
.
La conservazione di un’efficiente risposta immunitaria è obiettivo
fondamentale nel trattamento chirurgico delle lesioni neoplastiche, in cui la
compromissione delle difese immunologiche espone il paziente ad un
maggiore rischio di diffusione della malattia, localmente ed a distanza
25
.
In quest’ottica appare ancora più evidente l’interesse suscitato dalla
possibilità di una larga applicazione della chirurgia laparoscopica anche in
campo oncologico.
Risultati contrastanti si sono ottenuti nel confronto tra la chirurgia resettiva
del colon tradizionale e quella laparoscopica in ratti, in cui Kuntz & coll.
26
hanno riscontrato parametri immunologici più favorevoli dopo il
trattamento laparoscopico, mentre Bessler
27
e Douglas
28
hanno rilevato una
migliore risposta immunitaria in seguito all’ intervento tradizionale.
Complesso è, inoltre, il significato degli studi effettuati su pazienti
sottoposti a resezione intestinale confrontando la tecnica laparotomica e
quella laparoscopica.
Harmon & coll.
29
hanno rilevato livelli di Il-6 inferiori nei pazienti trattati
con intervento resettivo in laparoscopia per patologie diverse, benigne e
14
maligne, del colon, mentre Fukushima & coll.
30
hanno riportato in pazienti
operati per carcinoma del colon-retto livelli della stessa citochina inferiori
nel gruppo sottoposto all’intervento laparotomico.
In entrambi gli studi, peraltro, i pazienti operati per via laparoscopica
hanno mostrato una precoce ripresa della motilità intestinale ed una più
breve degenza ospedaliera, confermando la superiorità della metodica
miniinvasiva rispetto a quella tradizionale in relazione a questi fattori.
Altrettanto interessante è il riscontro, in pazienti sottoposti ad intervento
laparoscopico per ernia inguinale, di parametri immunitari non differenti
significativamente da quelli osservati in pazienti trattati con interventi
tradizionali
31
.
Probabilmente ciò è dovuto alle ridotte dimensioni della ferita chirurgica
nell’intervento a cielo aperto, paragonabili a quelle conseguenti all’accesso
laparoscopico.
Diverse variabili devono, quindi, essere considerate nella valutazione del
ruolo svolto dalla chirurgia laparoscopica ed ulteriori studi sono richiesti a
conferma di un vantaggio reale di questa tecnica rispetto alle procedure
chirurgiche classiche.