4
Introduzione
Fin dagli albori delle civiltà organizzate, conoscere in anticipo
gli intenti degli Stati, amici o nemici, è stata una delle maggiori
preoccupazioni dei decisori politici. Le informazioni raccolte da
traditori, spie, diplomatici e, in epoche più recenti, da organizzazioni
governative via via più strutturate, hanno rappresentato le basi su cui
fondare le principali scelte politiche, di pace o di guerra che fossero.
In tal senso, i Servizi d’informazione possono essere considerati come
uno strumento necessario di adattamento al cambiamento: quello Stato
che non sia in grado di conoscere e prevedere azioni e intenzioni dei
suoi vicini rischierebbe di pagare conseguenze spesso fatali. Da qui,
l’unico strumento giuridico a disposizione che consente di occultare
preziose informazioni per la tutela della sicurezza sociale non può che
essere il segreto di Stato.
Ripercorrendo le antiche origini di quest’istituto giuridico, nella
presente trattazione s’intende sviluppare l’argomento dapprima
mettendo in luce l’evoluzione che la nozione ha avuto nell’ordi-
namento italiano, a partire dalle codificazioni penali preunitarie, per
porre successivamente maggiore enfasi sull’allargamento del concetto
di segreto di Stato, con il codice penale Zanardelli del 1889, non più
limitato al solo segreto militare ma esteso anche a quello politico. Non
solo, con i Codici Rocco, intesi a tutelare sia la sicurezza dello Stato
sia tutti gli altri interessi politici fondamentali, dalla stabilità
economica al migliore assetto sociale della nazione, si compie
un’ulteriore dilatazione del concetto del segreto di Stato, in evidente
conformità con l’ideologia fascista.
5
L’evoluzione normativa italiana della nozione del segreto di
Stato passa inesorabilmente attraverso la sentenza n. 86 del 1977 della
Corte costituzionale e la conseguente approvazione della Legge 24
ottobre 1977, n. 801. Tale testo normativo, infatti, rappresenta il
superamento delle lacune giudiziarie e costituzionali sorte
nell’immediato dopoguerra, alle quali si è tentato di ovviare con una
disciplina legislativa organica ed innovativa, imperniata su un
concetto unitario di segreto di Stato. In realtà, il Legislatore del ’77,
ne abbozza soltanto la nozione, pur preparando al contempo il terreno
per una vasta ed importante discussione scientifica in materia
1
, che
seguirà negli anni a venire.
Nel 1988, all’interno del codice di rito, vengono introdotte
considerevoli innovazioni procedurali, riguardanti segnatamente le
acquisizioni di prove orali e reali.
La trattazione prosegue con l’analisi dell’attuale disciplina del
segreto di Stato, evidenziando le numerose e significative novità (in
primis l’introduzione del principio di temporaneità del segreto di Stato
e, in secondo luogo, l’attribuzione, in claris, alla Corte costituzionale
del ruolo di vero e proprio “giudice del segreto”, cosicché essa si pone
come organo di chiusura del complesso sistema dei controlli). Il punto
di raccordo della Riforma è rappresentato dalla figura del Presidente
del Consiglio, cui è demandata la responsabilità politica dell’intero
settore, e dai ruoli di controllo ricoperti dal Parlamento, che
s’inserisce così nell’attività di secretazione, incarnando il principio
1
Come ribadito recentemente dal Dott. Mosca C. (già Prefetto di Roma), nell’ambito
del ciclo di Conferenze organizzato dalla Fondazione Dragan, nell’incontro del 23
novembre 2010 avvenuto a Roma, dal titolo “Servizi d’intelligence e Segreto di Stato”.
Significativamente, l’illustre A., nel medesimo incontro, pone in luce che sino al ‘77 «era
stato un periodo buio dal punto di vista scientifico in tale materia».
6
democratico della rappresentanza popolare.
Successivamente, e solo dopo aver inquadrato la categoria del
Segreto nell’ordinamento italiano, nonché le varie forme che esso
assume nel procedimento penale, il tema viene sviluppato
approfondendo la delicata questione relativa all’esigenza di un
contemperamento tra la tutela di una sfera di segretezza dello Stato,
con la salvaguardia dei principi costituzionali, in primis il diritto
all’informazione sancito dall’art. 21 della Costituzione, riportando le
principali posizioni della dottrina.
Il terzo capitolo rappresenta il naturale sbocco della trattazione.
In esso si affronta il tema relativo ai Servizi d’informazione e
sicurezza, inevitabilmente connesso a quello del segreto di Stato.
Dopo un excursus storico circa l’evoluzione di tali apparati
informativi, ci si sofferma sull’importanza per le moderne democrazie
di disporre di Servizi d’intelligence, atti a garantire l’esistenza stessa
della Nazione e delle istituzioni democratiche che la guidano. La
centralità di tale argomento è diventata preponderante soprattutto
nell’ultimo decennio, quando l’esplosione del fenomeno terroristico su
scala mondiale ha messo in luce l’esigenza di prevenire e contrastare
il formarsi anche di piccole cellule eversive. Viene tracciato, dunque,
l’assetto organizzativo dei Servizi d’informazione, attraverso
un’analisi comparata con il precedente impianto introdotto dalla
Legge n. 801/77 ed evidenziando le non poche innovazioni
intervenute. Qui giova mettere in luce come, a partire dal ’77, inizi un
vero e proprio processo di «democratizzazione dell’attività d’intel-
ligence, che viene ad abbracciarsi definitivamente ed inesorabilmente
7
col diritto»
2
. Prima le regole erano viste come un ostacolo, come
pregiudizio per gli operatori dei nostri Servizi. L’idea era che esse
avrebbero impedito il libero dispiegarsi della loro attività concreta e a
ciò, conseguentemente, si accompagnava uno scarso sistema di
controlli. In questo quadro evidentemente ben potevano verificarsi
delle deviazioni di singoli individui. Attualmente, invece, pur restando
l’attività d’intelligence “non convenzionale”, si passa ad un sistema
molto più trasparente e chiaro. Si pensi alle nuove norme in tema di
garanzie funzionali, che chiariscono nettamente il confine tra lecito ed
illecito, legittimando le condotte degli operatori d’intelligence solo se
regolarmente autorizzate, secondo una procedura rigorosa e
fortemente dettagliata.
Nel quarto ed ultimo capitolo si analizzano, sul piano concreto,
le premesse teoriche sviscerate nelle prime tre parti del presente
saggio, dando conto delle recenti decisioni della Corte costituzionale
in materia. Chiamata a pronunciarsi in sede di conflitto di attribuzione
tra Poteri dello Stato, la Consulta in più occasioni (dapprima negli
anni 1998 e 2000, poi nel 2009) ha avuto modo di ribadire e talvolta di
introdurre importanti principi in tema di segreto di Stato e attività
d’intelligence. Particolare attenzione è data alla recentissima sentenza
n. 106/09, risolutiva di ben cinque conflitti di attribuzione, insorti in
riferimento al procedimento giudiziario relativo al sequestro di
persona dell’imam Abu Omar, che rientra nel più ampio contesto delle
extraordinary renditions. La decisione ha rappresentato un vero e
proprio banco di prova per la Riforma del 2007, pur determinando
talvolta perplessità ed incertezze tra gli Studiosi.
2
Mosca C., durante la conferenza del 23 novembre 2010 dal titolo “Servizi
d’intelligence e Segreto di Stato”.
8
Capitolo I
IL SEGRETO DI STATO NELL’EVOLUZIONE
DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
Sezione I
1. Sviluppi storici
Sommario: 1. Dalle origini del segreto di Stato ai “Codici Rocco” ― 2.
Profili di criticità costituzionale: la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del
1977 ― 3. La prima legge organica in materia: analisi della disciplina contenuta
nella legge n. 801/1977 ― 4. Le innovazioni introdotte dal c.p.p. del 1988
1.1 Dalle origini del segreto di Stato ai “Codici Rocco”
L’esigenza di sottrarre al dominio pubblico dei fatti ritenuti
“sensibili” dall’Autorità, e perciò non divulgabili, non è una
caratteristica dei moderni Stati democratici.
Un concetto di «segreto di Stato», seppure in forma primitiva e
rudimentale, si rinviene già nell’antica Roma.
Fu lo storico Tacito
3
ad usare l’espressione di arcana imperii,
“segreti del potere”, intesi come instrumentum regni, ad indicare quel-
le res che, per ragioni di opportunità politica, dovevano rimanere
oscure alla cittadinanza e dalle quali, a volte, dipendeva la stessa
3
P. C. TACITO, Annali, libro II.
9
sopravvivenza di Roma. Già sul finire del VI secolo a.C., cioè nella
fase relativa alla prima espansione di Roma, era avvertita la necessità
di punire il comportamento di chi avesse rivelato notizie che
avrebbero potuto avvantaggiare il nemico, come emerge da due norme
contenute nel libro quarantanovesimo del Digesto, titolo sedicesimo
4
.
Viceversa una legge dell’età regia prevedeva l’attribuzione della
cittadinanza agli stranieri che avessero rivelato una notizia segreta
importante per Roma
5
. Un ruolo chiave nella secretazione delle notizie
era svolto dal Senato, anche se «non è possibile immaginare un potere
esclusivo sulla falsariga di quanto accade oggi per l’organo al vertice
dell’Esecutivo […] per la diversità strutturale dell’antico ordinamento
[…] in cui coesistono più centri di potere, il Senato, il comizio, il ceto
sacerdotale […]»
6
. Mano a mano che l’espansionismo di Roma viene
ad accrescersi, le norme incriminatrici si affineranno anche se la
fattispecie sanzionatoria rimarrà unitaria: sarà punito il
comportamento di uno specifico soggetto, generalmente un miles, che
rivela delle notizie segrete, di natura militare; l’effetto giuridico
ricollegato è la condanna a morte.
Nel diritto medievale la segretezza relativa alla sicurezza dello
Stato era strettamente legata alla volontà del princeps. Tuttavia il
4
Arr. Men. 3 re mil. D.49.16.6.4: exploratores, qui secreta nuntiaverunt hostibus,
proditores sunt et capitis poenas luunt. «Gli esploratori che rivelano i segreti ai nemici
sono dei traditori e sono passibili di pena capitale». Mod. 4 poen. D 49.16.3.4: is qui
exploratione emanet, hostibus insistentibus, aut qui a fossato recedit capite puniendus
est: «Colui che, mandato in esplorazione, si trattiene lontano dal campo oltre il tempo
prescritto mentre i nemici sono nelle vicinanze e colui che si allontana dal vallum deve
essere punito con la pena di morte».
5
Quint. Decl. Min. 254: peregrinus qui indicaverit secretum ad rem publicam
pertinens, si indicare voluerit, habeat romanam civitatem. «Lo straniero che venga a
conoscenza di segreti rilevanti per la res publica, qualora li riveli ottiene la cittadinanza
romana».
6
Gambacurta S., Mosca C., Scandone G., Valentini M., I servizi di informazione e il
segreto di Stato (legge 3 agosto2007, n. 124), Milano, Giuffrè Editore, 2008 p. 469.
10
potere del sovrano non era ritenuto svincolato da limiti normativi
7
e il
Diritto era considerato originario e indipendente rispetto allo Stato; il
segreto di Stato era indicato col termine di credentia
8
e la rivelazione,
ch’era già punita nelle precedenti leggi barbariche, venne repressa
ulteriormente nei regimi feudale ed assoluto. Anche nel diritto
statutario si rinvengono diverse modalità di persecuzione a carico di
coloro che avessero rivelato fatti secretati dall’Autorità
9
.
In epoca rinascimentale il segreto di Stato ben si conciliava con
la “ragion di Stato”, di machiavelliana memoria: il principe aveva il
diritto di dissimulare, per non far apparire quello che è, e tale
comportamento era giustificato solo per conseguire la salvezza dello
Stato, la quale doveva venire prima delle convinzioni personali dello
stesso principe, poiché egli non era il padrone, ma il servitore dello
Stato. Diversa è l’impostazione nel successivo periodo assolutistico,
dove si riscontra una perfetta identificazione tra gli interessi del
sovrano e quelli dello Stato (riprendendo la massima di Ulpiano: quod
principi placuit legis habet vigorem).
La progressiva affermazione delle tendenze democratiche,
orientate a considerare lo Stato come una vera e propria res publica,
ha determinato una costruzione del fenomeno del segreto di Stato,
7
Cfr. Passerin D’Entreves A., La dottrina dello Stato, Torino, 1962, pp. 114 ss., 219
ss., 288 ss.
8
Termine risalente al latino medioevale, che può essere tradotto in termini
omnicomprensivi, a ricomprendere il segreto politico, amministrativo e militare.
9
Stat. Modena 1327, IV, 246: si aliquid tractaretur et imposita esset credentia, et
aliquis panderet, Potestas habeat liberum arbitrium puniendi prout sibi videbitur
expedire. «Se ci fosse una trattativa, e fosse stato imposto il segreto politico,
amministrativo o militare, e qualcuno lo rivelasse, il Potere ha la libertà di punire il
colpevole così come gli sembrerà più opportuno». Stat. Cadore, 1419, add. 30: aliquis
consiliarius non audeat narrare aliquam Partem extra Consilium personis, quae non
essent de Consilio, secretam, et si contrafecerit amputetur ei lingua ita quod penitus a
guttare separetur. «Se qualche consigliere riveli, al di fuori del Consiglio, qualche notizia
che fosse stata segretata, a costui gli si dovrà amputare la lingua in modo che sia separata
completamente dalla gola».
11
incentrata sulla limitazione crescente dell’ambito applicativo. La sfera
pubblica è immaginata come una “casa di vetro”, per usare una
celebre frase di Norberto Bobbio: gli atti del potere devono essere
conoscibili e controllabili dall’organo rappresentativo del popolo
10
.
Nell’ordinamento italiano la tutela penale del segreto di stato ha
subìto un progressivo sviluppo; nelle codificazioni penali preunitarie
la disciplina è riconducibile al modello del codice napoleonico del
1810 ovvero a quello toscano del 1853
11
. Nel primo la logica era
quella di punire il comportamento di chi svelasse notizie segrete al
nemico, nell’ambito di una situazione di belligeranza, integrante
quest’ultima, una condizione di sussistenza del reato. Nel secondo
invece, lo stato di guerra era considerato una semplice circostanza
aggravante. Si registra, dunque, un allargamento del concetto di
segreto, non più solo limitato al segreto militare ma esteso a
ricomprendere anche quello politico. Il meccanismo processuale di
tutela rimaneva il medesimo: era fatto divieto al Giudice di obbligare
a deporre taluni soggetti qualificati che avessero avuto cognizione di
fatti segreti
12
.
Una nuova fase si apre col codice penale Zanardelli del 1889,
nel quale la tutela si amplia, a ricomprendere non solo le notizie
militari ma i segreti concernenti la sicurezza dello Stato
13
.
Seguirà, poi, il codice di procedura penale del 1913 che
10
Per riprendere le parole di Caianello V.: «la pubblicità del potere è la regola dei
regimi democratici, il segreto l’eccezione». Tratto da Segreto e democrazia. Prolusione
all’apertura dell’Anno Accademico 1995-96 della scuola di addestramento del SISDE.
Roma, 27 novembre 1995, in Per aspera ad veritatem, 1996, n. 4, reperibile in
www.sisde.it .
11
Pisa P., Il segreto di Stato. Profili penali, Giuffrè ed., Milano, 1977.
12
Art. 150, Cod. Regno sardo-piemontese (1847); art. 274 Cod. proc. pen. 1859; art.
137 Cod. Proc. Criminale per gli Stati Estensi (1855).
13
Art. 107, Codice Zanardelli (1889), in cui, inoltre, si abbandona la distinzione tra
stato di guerra e non.
12
perfeziona l’ambito di tutela con l’introduzione di due norme
14
;
successivamente, alla vigilia del conflitto mondiale, per la prima volta
viene introdotta la delega al governo, ad individuare quali notizie
dovessero essere secretate
15
.
Nel periodo fascista si assiste ad un inasprimento delle pene
relative al reato di rivelazione e per tali fattispecie viene attribuita la
cognizione giurisdizionale ad un Tribunale Speciale per la difesa dello
Stato.
Si giunge così ai “Codici Rocco” (1930), che ricomprendevano
sia il codice penale che quello processuale. E’ riscontrabile un filo di
continuità con il codice del 1913
16
. La disciplina sostanziale è
contenuta negli articoli 256-263, attualmente ancora in vigore nel
nostro ordinamento; il codice di rito, invece, regolava la tutela
processuale agli articoli 342 e 352, che saranno poi successivamente
abrogati dalla legge n. 801/77. Tuttavia nel 1930 sarebbe venuta meno
l’identità tra la delimitazione dell’ambito oggettivo della tutela
sostanziale con quella processuale, rispetto al precedente codice di rito
del 1913
17
.
E’ individuabile una distinzione tra notizie segrete in senso
proprio (primi due commi dell’art. 256 c.p.) e notizie riservate (terzo
14
Art. 240 Cod. proc. pen. 1913: «L’Autorità giudiziaria non può acquisire atti,
documenti o altre cose esistenti presso i pubblici uffici, quando attengono a segreti
politici e militari concernenti la sicurezza dello Stato»; art. 241: «I pubblici ufficiali non
possono essere interrogati sui segreti politici e militari concernenti la sicurezza dello
Stato».
15
Legge 24 marzo 1915, n. 273, contenente norme relative alla difesa “economica e
militare dello Stato”.
16
Paolozzi G., La tutela processuale del segreto di Stato ,Milano, Giuffré, 1983, p.
29; Pisa P., Il segreto di Stato, Profili penali, Giuffré, 1977, p. 51 e ss..
17
Parte della dottrina, tra cui Paolozzi G., La tutela processuale, cit., ritiene che
l’ambito oggettivo del segreto politico-militare assegnato dal Legislatore del 1930 fosse
maggiore sul piano processuale, rispetto al piano sostanziale. Disallineamento poi venuto
meno con l’entrata in vigore della legge n. 801/77.
13
comma)
18
. Le prime vengono individuate oggettivamente ma con
parametri di elasticità, con riferimento all’interesse alla “sicurezza
dello Stato” e agli altri ”interessi politici interni o internazionali” dello
Stato stesso (notizie contenute anche in atti del Governo non
pubblicati); le seconde, invece, sono “notizie di cui l’Autorità
competente ha vietato la divulgazione”, diverse dalle prime per la
minore pena prevista, sebbene il bene giuridico protetto (la sicurezza
dello Stato) rimanesse lo stesso.
Quanto al profilo processuale veniva sancito il divieto per
l’Autorità giudiziaria di interrogare una categoria di individui,
soggettivamente circoscritta ex lege, (pubblici ufficiali, pubblici
impiegati e incaricati di pubblico servizio) tendenzialmente a contatto
con documenti e notizie protette dal segreto; questi soggetti avevano il
potere-dovere di opporre il segreto all’Autorità giudiziaria. Nel caso in
cui quest’ultima avesse dubitato della fondatezza dell’opposizione
avrebbe potuto attivare una fase di controllo, tra l’altro marginale ed
esterna rispetto al procedimento in corso
19
, facendo rapporto al
Procuratore generale presso la Corte d’appello, affinché questi
informasse il Ministro di grazia e giustizia per l’eventuale
autorizzazione a procedere in ordine al reato di falsa testimonianza.
In ogni caso nel codice Rocco è rilevabile una dilatazione della
nozione di segreto di Stato, determinata dall’impostazione anti-
democratica e autocratica del regime fascista
20
; in ogni sistema
18
Pisa P., Segreto (Tutela processuale del segreto), in Enc. Giur. Treccani, vol.
XXVIII, Roma, 1992, p. 1.
19
Paolozzi G., La tutela processuale, op. cit., p. 68.
20
«Con una ulteriore ed altrettanto profonda innovazione rispetto al Codice vigente
in rapporto alla diversa concezione dello Stato, alle sue finalità e quindi dei suoi
diritti[…], il progetto non limita la portata delle sue disposizioni, ai soli segreti politici e
militari, inerenti alla sicurezza dello Stato, secondo la formula adottata dal codice
vigente[…], ma la estende a tutte le notizie, che nell’interesse dello Stato o, comunque,
14
totalitario è evidente che il segreto non potrebbe mai rappresentare
l’eccezione: diviene al contrario strumento ordinario e costante, per
opacizzare l’azione di governo, resa incontrollabile ed autonoma.
1.2 Profili di criticità costituzionale: la sentenza della
Corte Costituzionale n. 86 del 1977
Questo quadro normativo è sopravvissuto per più di trent’anni,
nonostante la caduta del regime totalitario e l’adozione della
Costituzione repubblicana. Bisognerà attendere la pronuncia
21
della
Corte Costituzionale n. 86/1977 e, di lì a pochi mesi, la successiva
approvazione della legge
22
24 ottobre 1977, n. 801, per assistere ad
una radicale riforma dell’assetto normativo della materia in esame.
Questo periodo intermedio è caratterizzato da forti critiche
dottrinarie
23
tese a mettere in evidenza l’insanabile contrasto tra la
disciplina suesposta e i vincoli emergenti dal testo costituzionale:
l’interesse dello Stato, qualificato come tale dal governo, prevale
nell’interesse politico, interno o internazionale dello Stato, debbano rimanere segrete. E’
questa una necessaria conseguenza del diverso orientamento da me impresso a tutto il
Titolo, le cui disposizioni debbano intendersi dirette alla protezione penale, non soltanto
della sicurezza, ma dell’intera personalità dello Stato. Le notizie che debbono rimanere
segrete[...] costituiscono quei “segreti di stato” i quali possono avere l’oggetto più vario,
dalla sicurezza politica e militare dello Stato alla solidità delle sue finanze[…]». Tratto
dalla Relazione del Ministro di grazia e giustizia Alfredo Rocco sul progetto definitivo
del codice penale dal vol. V dei Lavori preparatori del codice penale e del codice di
procedura penale, a cura del Ministero della giustizia e degli affari di culto, Tipografia
delle mantellate, 1929.
21
Corte Costituzionale, sentenza 24 maggio 1977, n. 86, in Giur. Cost., 1977, p. 696
22
«Istituzione e ordinamento dei Servizi per le informazioni e la sicurezza e
disciplina del segreto di Stato» (Gazzetta Ufficiale n. 303 del 7 novembre 1977).
23
Per tutti, Anzon Demmig A., Segreto di Stato e Costituzione, in Giur Cost., 1976,
I, p. 1755 ss.
15
indiscriminatamente su ogni altro; è evidente una «[…] preminenza
tirannica dell’esecutivo su ogni altro potere dello Stato»
24
.
I punti d’incompatibilità costituzionale erano diversi:
l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e la separazione dei
poteri (art. 104 Cost., primo comma), la sottoposizione dei giudici
soltanto alla legge (art 101 Cost., secondo comma), rappresentano
principi cardine dell’ordinamento costituzionale che entravano in
evidente conflitto col sistema della originaria versione del codice
Rocco, il quale impostava un rapporto di subordinazione del potere
giudiziario rispetto a quello esecutivo
25
. Del resto risultava
incompatibile con il sistema anche il principio espresso nell’art. 112
Cost. (obbligatorietà dell’azione penale), dato che l’esercizio
dell’azione penale dipendeva in sostanza dalla mancata apposizione
del vincolo di segretezza da parte del Governo. Ulteriori profili di
conflitto riguardavano l’art 24 Cost., secondo comma, recante il
principio del diritto di difesa: l’occultamento, attraverso l’opposizione
del segreto, di un mezzo di prova decisivo a discarico per l’imputato,
avrebbe potuto determinare palesi violazioni del diritto di difendersi
per la considerazione che l’imputato sarebbe stato condannato sulla
base di un quadro probatorio incompleto, da cui erano escluse prove
liberatorie pure esistenti ma non conoscibili dall’Autorità
24
Nuvolone P., Sulla validità dell’attuale disciplina normativa del segreto di Stato,
nelle accezioni politico- militare e d’ufficio, in Rass. Parl., 1968, p. 237.
25
Al riguardo Bargis M., Profili sistematici della testimonianza penale, Milano,
1984, p. 242, la quale ha osservato che l’art 352 c.p.p., nella sua versione originaria,
«tutelava essenzialmente gli interessi del potere esecutivo, consentendo un controllo
gerarchico sulle dichiarazioni dei soggetti, mentre lasciava sussistere uno “sbarramento”
all’attività probatoria del giudice, sul quale non era possibile provocare un sindacato
“esterno”». Musio P., Il segreto politico militare nella prospettiva di un nuovo codice di
procedura penale, in Indice pen., 1975, p. 480 ss.
16
giudiziaria
26
. Ultimo punto di attrito sembrava emergere dalla portata
dell’art. 3 Cost., in quanto la disciplina previgente creava una sorta di
statuto processuale speciale nei confronti di specifiche categorie di
soggetti (pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di pubblico
servizio) in virtù dell’impossibilità da parte dell’Autorità giudiziaria di
attivare un effettivo controllo sulla fondatezza dell’opposizione del
segreto.
Ad un simile quadro veniva ad aggiungersi la nota vicenda dello
“scandalo SIFAR”
27
del 1964, alla quale fece seguito la nomina di
una Commissione parlamentare d’inchiesta
28
che si proponeva di
analizzare la normativa concernente il segreto di Stato. Le posizioni di
maggioranza e opposizione si dividevano circa le prospettive di
riforma ma emergeva già allora la necessità di pervenire, in forza di
una riforma legislativa, ad una modifica del sistema, in prospettiva di
un riallineamento ai valori emergenti dal tessuto costituzionale.
Nel corso dei c.d. Anni di Piombo si sono registrati diversi casi
di condizionamenti di procedimenti giudiziari, proprio per un utilizzo
distorto e antidemocratico del segreto di Stato: dal processo sul “golpe
bianco”, a quello sul “golpe Borghese”, a quello per la “strage di
26
Pisapia G. D., Sulla validità dell’attuale disciplina normativa del segreto di Stato,
in Rass. Parl., 1968, pag. 618;
27
Per “scandalo SIFAR” s’intende il tentativo di colpo di Stato messo in atto dal
Generale Giovanni De Lorenzo che, con l'appoggio degli ambienti di estrema destra e
dell’Arma dei carabinieri, si proponeva di “persuadere” il Presidente del Consiglio, l’On.
Aldo Moro e il presidente della Repubblica Antonio Segni a liquidare i socialisti con un
piano, il famoso “Piano Solo”, che avrebbe garantito l’ordine e messo a tacere le
opposizioni. Il piano non ebbe seguito, grazie al rifiuto dei vertici democristiani di
appoggiare l'idea di De Lorenzo, vertici democristiani che, però, si affrettarono a coprire
la trama golpista con una cappa di silenzio. Questo complotto ai danni dello Stato venne
ribattezzato come “caso SIFAR”, nel 1967, quando ne furono svelati i retroscena dai
giornalisti de “L’Espresso” Eugenio Scalfari e Lino Iannuzzi. Questi ultimi furono citati
in giudizio, per rispondere del reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del
Generale De Lorenzo; il relativo procedimento risultò condizionato da plurime
opposizioni del segreto di Stato, da parte di testimoni a discarico citati dagli imputati.
28
Istituita con legge 31 marzo 1969, n. 93.
17
piazza Fontana” e “la strage di Bologna”. Sono, queste, solo le più
eclatanti vicende di cronaca giudiziaria che hanno messo a dura prova
la tenuta delle istituzioni democratiche nel nostro Paese, in quel
delicato equilibrio tra i Poteri dello Stato
29
.
Con la sentenza
30
n. 86 del 24 maggio 1977 la Corte
Costituzionale ha inciso profondamente sugli sviluppi normativi in
materia di segreto di Stato ed ha tracciato il solco per un moderno e
innovatore dibattito parlamentare.
Con tale sentenza si è dichiarata l’illegittimità costituzionale
degli articoli 342 e 352 del c.p.p. 1930, nella parte in cui affidavano al
Ministro di grazia e giustizia, anziché al Presidente del Consiglio dei
Ministri (che «dirige la politica generale del Governo e ne è
responsabile», come recita l’ art. 95 Cost.), la tutela del segreto di
Stato, senza oltretutto prevedere la fissazione di alcun termine entro il
quale effettuare la conferma della sussistenza del segreto, che doveva
risultare da un provvedimento motivato. In particolare, il Giudice
delle leggi dubitava della compatibilità degli articoli del codice di rito
con gli articoli 101, 102 e 112 della Costituzione. Il segreto di Stato,
invero, trovava radicamento costituzionale attraverso il richiamo
all’art. 52, che cristallizza la preservazione della sicurezza dello Stato
come fondamentale valore costituzionale, nonché come «sacro
dovere» del cittadino, e all’art. 126 (che si riferisce più specificamente
alla «sicurezza nazionale»). Il concetto di sicurezza dello Stato,
29
Flamini G., Nunziata C., Segreto di Stato, uso e abuso, Roma, Editori Riuniti,
2002.
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Sentenza pronunciata nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 342
e 352 del codice di procedura penale (1930), promossi con ordinanze emesse il 5 e il 24
maggio 1976 dai giudici istruttori dei tribunali di Torino e di Roma, nel procedimento
penale a carico di Sogno Rata del Vallino Edgardo, Cavallo Luigi ed altri, iscritte ai nn.
533 e 712 del registro ordinanze 1976 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 253 del 22 settembre 1976 e n. 10 del 12 gennaio 1977.